Cosa c’è dietro il monito di Nick Bostrom che ipotizza un algoritmo programmato per massimizzare la produzione di graffette fino a ricoprire l’intero pianeta? Il tema è quello della responsabilità sociale delle imprese
Come accadde per la legge europea per la protezione dei dati personali, il Digital market act, approvato dal Parlamento europeo nel marzo scorso, sta generando attriti tra la Commissione europea e le imprese del settore. La Apple, infatti, ha annunciato che al momento, a causa di quelle norme, alcune funzioni non potranno essere disponibili per gli europei, che ne verranno penalizzati. Il conflitto è in corso e sembra destinato ad accentuarsi: da un lato vi sono minacce e pressioni per una diffusione più accelerata di queste tecnologie, dall’altro, da tempo, vi sono profonde preoccupazioni sui rischi sociali che esse possono generare. Un filosofo molto ascoltato negli ambienti della Silicon Valley, Nick Bostrom, ha addirittura ipotizzato che un algoritmo programmato per massimizzare la produzione di graffette potrebbe ricoprire l’intero pianeta di graffette, conducendo all’estinzione della nostra specie. Tesi insostenibile, certo, che però coglie un punto: affidare scelte economiche e sociali alle macchine può essere disastroso.
Purtroppo una macchina programmata per sfruttare ogni opportunità offerta dal mondo circostante, priva di remore morali e di rispetto della vita umana, è già qui e condiziona ogni aspetto della nostra vita. È la società per azioni. Ciò che è pericoloso, pertanto, non è la tecnica, ma una tecnica potentissima posta al servizio di grandi corporations che hanno come obiettivo non certo la massima produzione di graffette, ma il massimo profitto.
Un po’ di storia è sempre utile per focalizzare l’enormità della posta in gioco. Il punto di partenza per ricostruire come tale macchina sia stata costruita può essere individuato nel principio della responsabilità limitata, che tanti dibattiti ha suscitato nell’Ottocento. Con esso proprietari e azionisti che formano una società a responsabilità limitata sono responsabili solo con il capitale investito, lasciando i costi di un eventuale fallimento sulle spalle dei creditori. Al tempo quello che è ormai un principio giuridico consolidato trovò molti oppositori: essi sottolineavano che il principio basilare della responsabilità personale nella condotta degli affari non poteva essere abbandonato; i suoi sostenitori ritenevano invece che l’investitore non dovesse rispondere col suo patrimonio per la condotta di un’impresa di cui possedeva solo una parte. Prevalse l’idea che il benessere collettivo fosse favorito se si facilitavano gli investimenti, e il principio della responsabilità limitata è divenuto il cardine di ogni ordinamento.
Nel secolo successivo si pose il problema se una società dovesse o meno operare nell’esclusivo interesse degli azionisti. Nel 1914 Henry Ford decise di portare da 2,89 a 5 dollari l’ora il salario dei suoi operai. In seguito, piuttosto che distribuire dividendi straordinari, stabilì una riduzione dei prezzi del Modello T e un aumento degli investimenti. La sua idea era che i benefici dell’industrializzazione dovessero diffondersi nella società e non solo portare all’aumento dei già ingenti profitti degli azionisti. Egli fu citato in giudizio dagli azionisti di minoranza, e nel 1919, con una decisione che fece storia, il tribunale stabilì che il dovere di ogni società è di operare nell’interesse degli azionisti, escludendo ogni altra motivazione. La macchina disumana era pronta: con la responsabilità limitata gli azionisti sono responsabili solo per la quota investita nell’impresa; col principio della massimizzazione del valore per gli azionisti, conta solo l’interesse dei proprietari.
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