La malattia mentale negata. È il momento di importanti domande collettive, soprattutto rivolte agli psichiatri per capire come si possa fare prevenzione

«Quando siamo davanti all’orrore cerchiamo di rassicurarci etichettando tutto come malattia mentale, ma la violenza non è il prodotto della malattia mentale, la violenza nasce da situazioni di marginalità, è la conseguenza di non saper controllare gli impulsi. Si uccide sempre per rabbia, per un demone che si porta dentro». Così la psichiatra Emi Bondi, presidente uscente della Società di psichiatria, intervistata dal Corriere della Sera l’1 settembre dopo il femminicidio di Sharon Verzeni. Come può la comunità scientifica accettare queste affermazioni religiose senza ribellarsi? Come può non farsi sentire rispetto a queste e alle affermazioni di Paolo Crepet che dice che solo l’Onnipotente potrebbe capire l’accaduto a Paderno dove un diciassettenne ha sterminato la famiglia a partire dal fratellino di 12 anni?

Se Crepet invoca l’onnipotente, Emi Bondi ha scomodato il diavolo che avrebbe agito tramite Sangare.  Sono tutte affermazioni, purtroppo letterali, facilmente riscontrabili sui maggiori giornali.

Le lancette del tempo sembrano tornate indietro di secoli. Lo denunciammo già diversi anni fa su queste pagine quando scoprimmo che un’associazione di psichiatri e psicoterapeuti cattolici si affidava alla collaborazione di esorcisti per affrontare i casi più complicati perché oltre certi livelli di malattia ci sarebbe – a loro dire – la possessione demoniaca.

E che fine ha fatto il giornalismo, specie sul servizio pubblico, che avrebbe dovuto sottolineare che per fortuna sono molto rari i casi di giovani e adolescenti che uccidono lucidamente? Il caso di Omar e Erika (vent’anni fa) e quelli di Paderno, di Traversetolo e di Viadana sono cari rari ma vanno diagnosticati correttamente.

Gli psichiatri e i giuristi che intervengono su questo numero di Left parlano di una patologia estrema, di perdita totale degli affetti, di “deserto interiore”, di psicosi. Il malessere degli adolescenti, che pure va attenzionato moltissimo, specie dopo il Covid, esige una risposta che non arriva dalla scuola e dalle istituzioni, ma è altra cosa rispetto ai casi estremi appena citati e che hanno scosso profondamente l’opinione pubblica, che pure – giustamente – esige una risposta concreta sul piano scientifico.

E qui torniamo alla questione iniziale, come è possibile che nessuno nell’ambito della rete sociale intorno a Giulia Cecchettin abbia colto un segnale di pericolo nei 300 messaggi al giorno (trecento!) che Turetta le mandava non certo per amore ma solo per controllarla e annichilirla? Come è possibile che a livello istituzionale nessuno sia intervenuto in tempo per fermare Sangare dopo le minacce di morte – più volte denunciate – alla madre e alla sorella? Sangare, poi, ha ucciso Sharon Verzeni, “scelta” proprio perché donna, dopo aver risparmiato dei ragazzini incontrati sulla sua strada. Come è possibile che nessuno avesse visto oltre l’immagine esteriore di Chiara, efficiente baby sitter, venditrice a comando, studentessa modello e catechista? Indottrinata da un pensiero religioso che non distingue l’aborto da un omicidio, ha creduto che feto e bambino fossero la stessa cosa arrivando così a uccidere due neonati invece di abortire come consente la legge 194? Dove erano i familiari e i suoi affetti che ora affermano di non aver saputo nulla? La rete sociale ha fallito? Ce lo dobbiamo chiedere collettivamente. È soprattutto dobbiamo interpellare psichiatri con una valida formazione scientifica per capire come si possa fare prevenzione.