Desta grandissima preoccupazione l’arresto a Teheran della giornalista Cecilia Sala, sequestrata il 19 dicembre alla vigilia del suo ritorno in Italia. Nonostante le rassicurazioni della Farnesina, essendo ben note le violazioni di diritti umani nelle carceri iraniane non si può non temere per la sua incolumità fisica e psichica: Sala è in isolamento a Evin, una delle più famigerate prigioni iraniane, dove tanti dissidenti politici, attivisti per i diritti umani sono stati torturati. In quello stesso carcere a breve sarà rinchiusa di nuovo anche la premio Nobel per la pace Narges Mohammadi, che rischia la vita, anche perché gravemente ammalata.
Mentre scriviamo l’agenzia Irna comunica che «La cittadina italiana è arrivata in Iran il 13 dicembre con un visto giornalistico ed è stata arrestata per aver violato la legge della Repubblica islamica dell’Iran. Il suo caso è sotto inchiesta». In pratica una carcerazione preventiva. Da più parti viene avanzata l’ipotesi che sia trattenuta come ostaggio nella trattativa per il rilascio di Mohammad Abedini Najafabadi, ingegnere iraniano dalla doppia cittadinanza svizzera, arrestato dalla Digos il 16 dicembre a Malpensa. È accusato di aver fornito tecnologia e informazioni strategiche ai Pasdaran. E gli Stati Uniti ne chiedono l’estradizione.
Purtroppo non è un fatto nuovo per il regime iraniano che tante volte in passato ha usato questi mezzi di ricatto. Purtroppo non è un fatto nuovo neanche che gli Stati Uniti chiedano all’Italia obbedienza e vassallaggio. Ora saranno i giudici della Corte di Appello di Milano a dover decidere dell’estradizione di Abedini. L’ultima parola, però, spetta al ministro della Giustizia Nordio. Ma come si muoverà il governo? Dovremo aspettare la visita del presidente uscente Biden il 9 gennaio per capirlo? Sarà in grado la presidente del Consiglio di difendere l’autonomia italiana dalle pressioni Usa che considerano l’Iran nemico? Sarà in grado di non sottostare ai ricatti di una teocrazia che ha in odio la libertà delle donne, la libertà di espressione e di stampa? Non è facile risolvere questa delicatissima partita che dolorosamente si gioca sulla pelle di Cecilia Sala.
Di sicuro certa stampa italiana, incurante dei rischi che corre la collega, non aiuta a tenere alta la bandiera di Sala e di tutti i giornalisti ingiustamente presi di mira e incarcerati solo per aver fatto il proprio lavoro. In Iran- Paese fanalino di coda di tutte le classifiche che riguardano la libertà di stampa – più di un’ottantina sono in prigione.
Inaccettabile in questo difficilissimo contesto è l’attacco all’identità professionale che Sala sta subendo in Italia da parte di svariati media: un tripudio di paternalismo, sessismo, nonnismo. Si va dal book fotografico della giornalista decontestualizzato dal suo lavoro pubblicato dal Messaggero alla celebrazione della perfezione dell’ovale del suo volto (Ferrara su Il Foglio), fino a chi è andato a riesumare tweet di dieci anni fa nei quali Sala polemizzava sul caso dei marò (Il Giornale e Libero) e a chi lamenta la troppa attenzione che i media hanno dedicato al suo caso rispetto a quello di Assange (Travaglio su Il Fatto quotidiano). Ma la medaglia dell’attacco più vergognoso spetta senza alcun dubbio a Vittorio Feltri che scrive «Cecilia Sala è nei guai per colpa sua, ossia a causa della sua condotta superficiale, per la sua avventatezza, per la sua sottovalutazione dei rischi, per la sua inesperienza», concludendo poi con un climax di offese. Insopportabile per la gerontocrazia giornalistica maschile che una giovane donna possa essere professionalmente preparata e impegnata, al punto di non pontificare in editoriali scritti dal divano di casa ma andare a vedere davvero come è fatto il mondo. Cecilia Sala è andata in Iran, avendo fatto tutti i passi necessari e con regolare visto di lavoro, per raccontare la straordinaria lotta non violenta che le donne del movimento Donna, vita, libertà portano avanti per la libertà, la laicità, per i diritti di tutti, a costo non di rado della vita (come purtroppo ci dicono tanti stupri, uccisioni, sfregi al volto subiti dalle attiviste e dai loro compagni), tutto questo per combattere quel patriarcato, islamista o occidentale, di cui l’esimio collega è un campione. Tutta la nostra solidarietà a Cecilia Sala che ha dato voce a coloro che sono state silenziate. Siamo al suo fianco. E al fianco della rivoluzione culturale che grida Donna, vita, libertà.
aggiornamento del 2 gennaio 2025:
Purtroppo l’anno nuovo non porta buone notizie riguardo a Cecilia Sala, la giornalista de Il Foglio e di Chora Media detenuta nel carcere di Evin in Iran. Le rassicurazioni fatte dal regime riguardo alle sue condizioni di detenzione non trovano conferma nei fatti. Non le è stato consegnato il pacco che le era stato inviato con generi di prima necessità. Niente libri, niente mascherina per poter dormire in una cella di isolamento che ha la luce costantemente accesa. A Cecilia Sala sono stati tolti anche gli occhiali da vista.
Il governo iraniano non ha formalizzato accuse specifiche, al di là di una presunte “violazione delle leggi della Repubblica islamica”.