Ogni morte è una sconfitta dello Stato, ma anche un favore a chi del profitto fa scudo contro ogni responsabilità

Nel 2024 sono morte 1.090 persone lavorando. Tre al giorno. Senza contare i 589.571 infortuni registrati e le 88.499 denunce per malattie professionali. È una strage continua, ma così regolare da sembrare normale. Una strage che chiamiamo “lavoro”.

Crescono gli ispettori (+59%), aumentano i controlli (+42%), ma il 74% delle aziende ispezionate è risultata irregolare. Oltre 80.000 illeciti, 19.000 casi di lavoro nero, 1.226 per caporalato, 83.330 violazioni sulla sicurezza. L’Ispettorato Nazionale del Lavoro (INL) ha sospeso 15.000 attività imprenditoriali, quasi 5.500 solo per violazioni sulla sicurezza. Ha accertato oltre 200 milioni di euro di contributi non versati, ha promosso quasi mille incontri di sensibilizzazione. Ma non basta.

Ogni anno annunciano potenziamenti, nuovi ispettori, campagne informative. Ma intanto si continua a morire. Si muore nei cantieri, nei capannoni, nei campi. Si muore in silenzio. Per negligenza, per risparmio, per assenza di controlli. Ogni morte è una sconfitta dello Stato, ma anche un favore a chi del profitto fa scudo contro ogni responsabilità.

Il Primo Maggio dovrebbe celebrare chi lavora, non commemorare chi muore. Invece è diventato il giorno del bilancio: più denunce, più malattie, più irregolarità. Eppure non cambia nulla. Ogni governo che accetta questa normalità ne è complice. Ogni ministro che taglia fondi, ogni dirigente che minimizza, ogni politico che distoglie lo sguardo è parte di questa lunga, lenta mattanza.

Buon mercoledì. 

 

Foto AS