L’attacco della presidente del Consiglio Giorgia Meloni al Manifesto di Ventotene (in Aula il 19 marzo) ha generato un acceso dibattito pubblico sui meriti di quel documento che molti considerano l’atto fondativo del processo di integrazione europea.
È un dibattito salutare, purché si vadano a considerare le ragioni profonde dell’attacco di Meloni. La presidente del Consiglio si è astutamente concentrata su alcuni passaggi riguardo alla proprietà privata e alla democrazia che, decontestualizzati, risultano controversi. Ma il vero bersaglio era il cuore ideale del Manifesto, ovvero l’idea che la condizione per estirpare la guerra in Europa fosse il superamento del nazionalismo - superamento che per gli autori del Manifesto non poteva che avvenire in un’Europa federale. Il nazionalismo è una forma di identità collettiva che raggruppa gli individui sulla base del territorio, la lingua, la storia e così via (ma più si cerca di compilare una lista esauriente di criteri più risulta difficile arrivare a definire cos’è una nazione).
Così come tutte le altre forme di identità collettive, il nazionalismo sovrappone un’identità sociale a quella individuale, però creando una tensione latente fra le due.
Questo articolo è riservato agli abbonati
Per continuare la lettura dell'articolo abbonati alla rivista
Se sei già abbonato effettua il login