Nel ricordare un grande uomo, un grande politico, un grande rivoluzionario vi proponiamo l’intervista realizzata a Montevideo dalla nostra collaboratrice Gabriela Pereyra (qui nella foto con el Pepe)
Pepe, tu sei ancora il punto di riferimento della sinistra in Uruguay, come ne vedi il futuro e cosa pensi dei giovani che, anche alla luce delle primarie del Frente amplio, si profilano come nuovi leader?
Io sono della idea che qualsiasi vittoria, qualsiasi trionfo non sia mai definitivo, perché non credo neanche alle sconfitte definitive. Negli uomini c’è l’idea della lotta permanente per salire scalino dopo scalino, con l’obiettivo di raggiungere lo sviluppo della civiltà. Questo non cade dal cielo, non è una casualità, ma scaturisce dalla naturale esigenza di realizzare la propria identità, di migliorare le condizioni di vita. Questo è essere di sinistra, dunque ciò che chiamiamo sinistra è l’espressione di una “vecchia” tendenza dell’uomo. Mi sento parente di Epamidonda, dei fratelli Gracchi, sono figlio di quella eterna lotta che esiste nella storia dell’uomo per la solidarietà, per un po’ di umanità, per migliorare, in contrapposizione alla visione conservatrice e reazionaria. Perciò confido nelle nuove generazioni, perché gli unici sconfitti sono quelli che smettono di lottare.
Dunque, sei ottimista per il tuo partito?
Nessuno è perfetto. L’importante è apprendere dagli errori. Pensiamo alla Rivoluzione francese, ai razionalisti, a Robespierre, che ragionando in un mondo religioso, pieno di pregiudizi, elevarono il dio ragione e non capirono che l’uomo è sì dotato della razionalità ma è anche passione, emozione, e oltre ai naturali bisogni della vita ha delle sue esigenze personali da realizzare. Insomma è molto più complicato di come lo vedevano. Questo per dire che le nuove generazioni, i nostri “eredi”, hanno a disposizione un arsenale di conoscenza che noi non potevamo avere. Devono saperlo mettere a frutto.
Al contrario delle nuove leve, la tua generazione ha vissuto sulla sua pelle l’idea di lotta.
È vero. Ti faccio qualche esempio. I lavoratori che lottarono per le otto ore di lavoro, otto ore di riposo e otto ore per vivere, sognavano un mondo utopistico. La storia umana è un cimitero di utopie, ma questa alla fine si è realizzata. Lottando. Quando ero ragazzo, la mia generazione faceva molta difficoltà ad avere i soldi per prendere l’autobus e andare al liceo. Abbiamo lottato per il diritto al biglietto gratuito per gli studenti. Oggi sembra una sciocchezza, ma quella lotta che forse molti studenti di oggi non conoscono, ci costò anche dei morti, i “martiri degli studenti”. Tutto quello che implica progresso umano e sociale, implica una lotta, niente è regalato dagli dei. Ci sono sempre gruppi di persone che aspirano a qualcosa di nuovo, di diverso, in tanti non raggiungono mai l’obiettivo ma con i loro “sogni” contribuiscono alla trasformazione della società. È per questo che confido nei “nostri” giovani. Ma non è una questione di nomi quanto di predisposizione alla lotta permanente. L’importante è non credere, in caso di vittoria, di aver preso il potere in maniera permanente. Perché è falso.
L’America Latina è tornata a vivere tempi difficili…
In tanti Paesi si vive come ai tempi della Santa Alleanza. Tempi con la retromarcia, conservatori, a tratti reazionari. Dobbiamo riuscire a separare la matrice conservatrice da quella reazionaria, impedire che chi è conservatore di trasformi in reazionario che appiattisce qualunque forma di lotta o di dissenso. Ma anche dal punto di vista progressista bisogna separare ciò che è progresso da ciò che è capriccio. Perché si rischia di sfociare nell’iperproduzione causando dei danni irreparabili alle generazioni future.
Vale a dire?
Ora siamo prigionieri, in modo subliminale, di una civilizzazione che è come una ragnatela gigantesca, che ha come nuova religione il mercato, e tendiamo a confondere essere con avere, allora la nostra vita è prigioniera e si confonde il progresso con il fatto di comprare nuove cose continuamente, e così fino all’infinito ed è una specie di gara dell’asino con la carota, perché questa civilizzazione è funzionale al mercato, ci trasformiamo in consumatori del tempo della nostra vita, in modo d’essere utili al successo del mercato. La gente vive in questo clima e non è facile uscirne.
Anche in Europa le destre avanzano inesorabilmente.
L’odio contro i migranti che si è sviluppato in Europa paradossalmente può aiutare a portare in luce le ombre della nostra civiltà. I popoli non hanno memoria. L’Europa è rinata mille volte dai propri disastri. I nostri cognomi, i cognomi di tanti cittadini sudamericani rappresentano il grido muto del dolore vissuto dall’Europa nel secolo scorso, giusto? Ma l’Europa ricca ha commesso ogni tipo di crudeltà. Si è spartita l’Africa con una matita e ora pretende che gli africani non sbarchino sulle sue coste. È impossibile impedirlo, ma costerà molta sofferenza. In ogni caso quella dell’Europa, e di Salvini che pensava di risolvere tutto con la vergogna della chiusura dei porti, è una battaglia persa.
Perché?
Perché vinceranno le donne d’Africa che hanno 8-10 figli. Perché i Paesi europei invecchiano e non si possono sostenere senza mano d’opera, hanno bisogno degli immigrati. Da una parte gli sputano in faccia e non li vogliono fare entrare in Europa, poi però devono fare i conti con la realtà. Questo accade anche negli Usa che respinge i messicani. Sanno benissimo che senza di loro l’intera produzione agricola crollerebbe.
Eppure Trump continua a discriminare i messicani…
Sai dov’è il pericolo? Nel fatto che ci evolviamo e invece d’avere un mondo integrato, ci troveremo un mondo di muri, con i poveri e disgraziati da una parte e dall’altra i fortunati e ricchi, o per lo meno, gli appartenenti a settori della società con un certo livello di ricchezza e di istruzione. Questa dicotomia è un pericolo, questi due mondi sono un pericolo. Noi lottiamo per un mondo integrato, un mondo interdipendente, consapevole che ciascuno di noi ha bisogno dell’altro per vivere.
Come vedi il futuro dell’ambiente?
Non sono ottimista. Ora come ora è condannato dalla civiltà dello spreco. Il vero ecologismo è politico. O l’essere umano è capace di prendere misure a livello mondiale o ci stiamo condannando all’olocausto ecologico. L’alternativa al consumo continuo non è tornare alle caverne. Ci sono risorse per tutto, ma abbiamo bisogno di parametri industriali diversi, a livello mondiale. Invece stiamo indebolendo i pochi accordi internazionali esistenti. Ogni prodotto oggi dovrebbe essere concepito per un eventuale riciclo che dovrebbe essere incluso in parte del costo. Il riciclaggio deve essere trasformato in un’occasione e non nella condanna di chi è sommerso dalla povertà.
Tra pochi giorni l’Uruguay torna alle urne (lo stesso giorno dell’Argentina). Cosa pensi che accadrà?
Io lotterò per far sì che ci vada bene. Ma se per caso andasse male, bisogna continuare a lottare, dov’è il problema? Siamo stati in carcere, sotterrati, perseguitati, torturati. A chi mi parla di sconfitta io dico che l’unica sconfitta è quando ci si arrende. Io dico che il problema è un altro. Viviamo perché siamo nati, e questo è l’unico “miracolo” sulla terra, la nascita. Ma alla nostra vita dobbiamo dare un senso, e per me è la militanza politica per migliorare le condizioni sociali. È la mia ragione di vita, perché se non vivo per una causa, allora l’unico motivo diventa pagare delle rate. Io questa la chiamo libertà, perché con un pezzo del tempo della mia vita faccio ciò che voglio non ciò che mi viene imposto.