La recente guerra tra India e Pakistan, sebbene scaturita da tensioni militari nella regione contesa del Kashmir, trova terreno fertile nelle ideologie politiche dominanti dei due governi. Dal lato indiano, il Bharatiya Janata Party (BJP) del Primo Ministro indiano Narendra Modi ha rafforzato negli ultimi anni una linea nazionalista indù, accompagnata da una politica interna sempre più autoritaria e ostile verso le minoranze musulmane. Tra l’altro il partito nazionalista e ultrareligioso ha trovato un alleato importante nel governo di estrema destra italiano che, va rammentato, ha siglato con il governo di Narendra Modi una serie di accordi nel campo della difesa e del commercio di armi, naturalmente, ma anche in altri settori. Ad esempio È stato firmato un Memorandum of Understanding per rafforzare la cooperazione in materia di difesa. L’accordo prevede: scambio di informazioni tra le forze armate, organizzazione di esercitazioni militari congiunte e formazione reciproca a vari livelli.
Dal lato di Islamabad, capitale del Pakistan, il governo, guidato da forze conservatrici, legate all’establishment militare e a istanze islamiste, ha mantenuto una retorica anti-indiana, funzionale alla legittimazione del proprio potere interno.
Queste convergenze ideologiche, seppur opposte nei contenuti, condividono una medesima logica: il rafforzamento dell’identità nazionale attraverso la contrapposizione all’altro. Il Kashmir, simbolo e nodo irrisolto di settant’anni di ostilità, ovvero dall’indipendenza dei due paesi dall’Impero britannico, diventa così il catalizzatore perfetto per trasformare tensioni interne in consenso patriottico.
Non è un caso che l’ultima escalation sia giunta in un momento di difficoltà economiche e tensioni sociali in entrambi i paesi. Il ricorso alla retorica bellica e alle rivendicazioni territoriali permette a leadership conservatrici di distogliere l’attenzione pubblica da crisi interne e rafforzare il proprio controllo politico. Inoltre, nel caso dell’India, Modi. Dopo lo scarso risultato delle elezioni del 2024, necessita di un rafforzamento della propria immagine.
In definitiva, la recente guerra non nasce solo da motivazioni strategiche o militari, ma affonda le sue radici nella polarizzazione ideologica dei due governi. Quando il conservatorismo si fonde con il nazionalismo, la guerra diventa non solo possibile, ma in certi casi politicamente utile, specialmente in politica interna, ma non solo. D’altronde già nel 1999, con la guerra del Kargil, si era proposto uno scenario molto simile. In quel caso il Pakistan era guidato da un governo del medesimo partito che lo guida attualmente e dal fratello dell’attuale Primo ministro, così come Nuova Delhi era guidata da un governo del BJP.
Sarebbe estremamente semplificativo legare a doppio filo i governi conservatori dei due paesi alla guerra, tuttavia il conflitto appena terminato, scatenato da un attacco terroristico che per l’India è stato fiancheggiato dai servizi segreti pakistani, ha di certo rinforzato le compagini conservatrici alla guida dei due paesi. Oltre a ciò il conflitto ha dato lustro, in Pakistan, al potere militare che, dopo vari periodi di dittatura, negli ultimi anni è rimasto sul retro della facciata politica ufficiale pur mantenendo un ruolo da “pretoriano” e facendo sentire a fasi alterne il proprio peso sulle scelte dei governi civili.
L’autore: Francesco Valacchi è cultore della materia, dottore di ricerca in scienze politiche all’Università di Pisa. Si occupa di geopolitica, con particolare riguardo all’area asiatica. Il suo ultimo libro è A nord dell’India, storia e attualità politica del Pakistan (Aracne)