La rivisitazione del Teatro dei Venti del Don Chisciotte di Cervantes è una storia senza tempo, una messinscena spettacolare e visionaria che si pone in dialogo costante con il presente. Attori, musicisti e sorprendenti macchine teatrali danno vita a un’esperienza collettiva unica: un invito a partecipare, a porsi in prima linea dinanzi agli eventi, a interrogarli con coraggio e con rinnovata umanità. Ne abbiamo parlato con il regista e drammaturgo Stefano Tè, già premio Ubu, con Dino Serra e Massimo Zanelli, per Moby Dick, nel 2019.
Don Chisciotte fa tappa il 12 luglio a Cotignola (Ravenna), il 19 luglio a Rionero in Volture (Pz) e poi andrà in Danimarca ad agosto
«Per un mondo più giusto bisogna farsi eroi», dice il narratore nell’incipit dello spettacolo. Cosa vuol dire, oggi, diventare eroi?
Sono parole che dice anche il personaggio di Sancho, quando afferma che tutti dovremmo agire da eroi. Perché Don Chisciotte è dentro di noi, e dobbiamo soltanto riacquistare quel coraggio, saper dire “no”. Ma non solo, bisogna creare trambusto, creare movimento, mobilitazione, che non vuol dire solamente prendere una bandiera e andare a manifestare, vuol dire soprattutto creare gruppo. Io non sento più parlare, nemmeno i politici, di obiettivi collettivi, di bene comune, di qualcosa che appartiene a tutti.
Alla fine dello spettacolo (che abbiamo visto nella sua versione itinerante in Parco Ducale di Parma) hai preso la parola affermando che «il teatro non basta più». Quanto è importante lasciarsi ancora sorprendere e saper stare insieme in un modo nuovo?
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