In ventuno mesi oltre 235 reporter palestinesi sono stati uccisi dall’esercito israeliano: uno sterminio nello sterminio per mettere a tacere chi racconta l’orrore

Oltre che quello dell’umanità Gaza è diventata il più grande cimitero dei giornalisti della storia. In un mondo che sempre più sceglie la deriva degli autoritarismi, del razzismo e della cancellazione dei diritti, delle armi al posto della diplomazia, ogni speranza di cambiamento si è inabissata in Palestina.

Una guerra nella guerra. Con metodo mafioso, di uno Stato mafioso: come nelle stragi di mafia un boss sanguinario, Benjamin Netanyahu, comanda di far saltare l’“autostrada”, ovvero un ospedale, una scuola, un quartiere, ovunque cioè si trovino i nostri colleghi, e i suoi killer premono il pulsante assassinando chi documenta il genocidio.

Un numero spaventoso, impensabile, il più grave, sistematico attacco contro donne e uomini della stampa e della televisione nella storia dell’umanità: intorno ai 237 morti. Un numero provvisorio, naturalmente. Mai così in nessun conflitto. Un rapporto inserito nel progetto “Cost of War” del Watson institute for international and public affairs evidenzia come, a partire dal 7 ottobre 2023, siano stati uccisi a Gaza più giornalisti che durante le due guerre mondiali, e in Vietnam, ex Jugoslavia e Afghanistan. Un genocidio nel grande genocidio, l’olocausto dell’informazione, della voce e della parola scritta, della testimonianza sui crimini di guerra. In un quadro indicibile, inasprito dalla sporca strategia dell’affamare e dell’assetare, il racconto dei sopravvissuti è stato, ed è, dolorosissimo. Almeno quello che potevamo ricevere prima del taglio della rete internet, bombardata a metà giugno scorso per spingere i gazawi in una voragine di buio e silenzio. E per chiudere la bocca a quanti riferivano al mondo dell’orrore in atto. Netanyahu adotta una tecnica feroce, da criminale planetario, come è stato definito. Da boss mafioso

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