Con la reazione genocidaria di Israele al crimine orrendo attuato da Hamas il 7 ottobre 2023, è ricomparso il bisogno di censurare ogni critica allo Stato ebraico, con il ricorso ad un pretestuoso quanto inflazionato “Discorso dell’antisemita”, sovrapponendo in maniera febbrile il diritto alla libera espressione, con l’emergenza dettata da una campagna d’odio cosmico. Ultimi a farne le spese, alcuni giornalisti e attivisti storici propal modenesi, che da ormai due anni organizzano un presidio stabile nel centro cittadino, sensibilizzando attraverso un bollettino l’opinione pubblica sul massacro in atto.
Un bollettino nel quale, racconta Flavio Novara, giornalista di Alkemianews.it, si è cominciato ad indagare sui legami che interessano le istituzioni locali e gli interessi economici israeliani presenti sul territorio. È partita quindi una verifica per progetti dual use dall’università di Modena e Reggio perché, a differenza di altre città, a Modena non si è mobilitato nessun movimento universitario pro palestina. Il campo si è allargato poi alla riconversione militare dell’automotive. In particolare il salto di qualità è avvenuto con il focus sull’azienda italo-israeliana di cybersicurezza Tekapp, con sede a Formigine. Secondo diverse inchieste giornalistiche si tratterebbe di una realtà che ha strette connessioni con la divisione 8200 dell’IDF.

Anche il boicottaggio dei prodotti Coop è stato portato avanti con successo, con interventi nelle assemblee della cooperativa che hanno spinto la dirigenza a promuovere la cessazione dell’acquisto di alcuni marchi israeliani. Comunicare verità scomode e presidiare permanentemente sul territorio ha consentito al gruppo di attivisti di divenire davvero incisivi. Tuttavia aggiunge Flavio, mai si sarebbero immaginati che sul Resto del Carlino sarebbe stato pubblicato un comunicato stampa della Tekapp, con una serie di argomentazioni che hanno cercato di smontare l’attendibilità dell’inchiesta svolta, annunciando di voler procedere nelle sedi più opportune contro il danno reputazionale. Conclude però ancora Flavio: «Noi non abbiamo fatto nient’altro che prendere ciò che l’azienda stessa ha utilizzato come campagna di marketing».


Anche chi scrive questo articolo scopre oggi che la vicenda che lo ha riguardato per l’esposizione di una bandiera palestinese, dal proprio balcone di casa, è finito sui medesimi siti. La giornalista del Manifesto mi chiarisce che non si sa chi ci sia dietro queste sigle, ma dal momento che sporgerà denuncia per diffamazione, sarà compito della polizia postale individuare i responsabili. Sui siti si fanno altre farneticanti dichiarazioni, per le quali in particolare “l’antisemita” Maggiori sarebbe stata pagata da Cina, Qatar e Russia per portare avanti campagne diffamatorie quando notoriamente è proprio Israele a fornire apparati tecnologici di Cybersicurezza ai cinesi ed a Putin. Su Altreconomia, Linda ha messo in luce anche il traffico di armi illegale dal distretto lombardo ad Israele. In particolare aggiunge che hanno fatto passare come componenti civili anche dei pezzi di cannoni dagli uffici doganali di Milano e di Bologna.

È vero, innegabile: l’antisemitismo esiste e veglia su tutti noi, anche ahimè a volte a sinistra. Ma può un espediente simbolico nocivo determinare la Storia, senza che a quella tecnica venefica si accompagni la ricaduta in termini di capitalizzazione effettiva sull’agire collettivo, politico? Perché quella peculiare forma nefasta di razzismo che è l’antisemitismo ha una valenza così determinante, tanto che chi lo ha subito deve invocarne di nuovo un inesistente ricorso, per legittimare a sua volta i propri crimini? Perché questo cortocircuito etico alimenta una fase disumanizzante ed afona della traiettoria occidentale, tanto da assegnarle i caratteri di un definitivo punto di non ritorno? Bisognerebbe provare a far deragliare definitivamente dai binari della convivenza quei significati che il portato politico dell’invettiva assume, e addirittura della sua esigenza pretestuosa, per evitare che altri binari vengano di nuovo a trasportare verso l’abisso il tessuto stesso del nostro esserci. O il genocidio giustifica il genocidio e la lotta all’antisemitismo diviene l’assunto di quella neolingua da cui scaturisce il controllo totalizzante di ogni dissenso? Può la sedicente “unica democrazia mediorentale” seppellire il cuore stesso della libertà?
C’è una costante che attraversa da sempre, anche da prima della sua genesi, lo Stato di Israele e quella peculiare forma di manipolazione strumentale della realtà che è la calunnia.
Si può dire infatti che, da un’ingiusta accusa di tradimento, mossa nei confronti di Alfred Dreyfus, l’Europa conosce la trasformazione definitiva del secolare antigiudaismo medioevale, in un ben più funzionale e moderno antisemitismo. D’altronde, da un’accusa di cospirazione messa in opera nei truculenti Protocolli dei Savi di Sion nel 1903 e dai pogrom tremendi che l’accompagnarono e seguirono, il sionismo compie un balzo in avanti perentorio nella risposta alla questione ebraica.
Tuttavia la vicenda più significativa che segnerà l’atto di nascita definitivo dello Stato d’Israele, come spazio declinato ad una sovranità che celebra e trova la sua legittimazione ontologica nel culto della memoria della Shoah, sarà quello legato al processo di Gerusalemme. Qui di nuovo l’impegno civile della filosofia entrerà in cortocircuito con le istanze del Leviatano, come già era accaduto nella polis socratica. Hannah Arendt compie il suo gesto parresiastico, consegnandoci il ritratto del “male”, sottratto però a qualsivoglia aura metafisica. In tal modo infrange la narrazione della classe dirigente israeliana, in preda ad un vero e proprio riflesso schmittiano, e sarà attaccata incredibilmente per il suo “antisemitismo”.
L’autore: Marco Cosentina è insegnante




