A colloquio con l'ex Pm che nel 1981 scoprì la lista degli iscritti alla P2 fondata da Licio Gelli. Il capo della loggia eversiva è stato individuato all'ultimo processo sulla Strage di Bologna come il finanziatore dei terroristi neri esecutori dell'attentato

Giuliano Turone, da magistrato protagonista nel marzo del 1981 della scoperta delle liste della Loggia P2 a Castiglion Fibocchi insieme a Gherardo Colombo, oggi si fa storico e va oltre quel momento apparentemente definitivo per Gelli: l’ex magistrato ci prende per mano e ci conduce dentro le trame della riorganizzazione della rete piduista, che coincide con il consolidamento del potere dei corleonesi dentro Cosa nostra, passando per la sistemazione giudiziaria del latitante Gelli, ben protetto per tutta la sua vita… una micidiale alleanza fascio-piduista (e mafiosa, ndr) che porta sulle spalle diverse stragi e la decapitazione di un’intera classe dirigente progressista, nell’isola siciliana, che si è posta tra la fine degli anni Settanta e gli inizi del decennio successivo come la punta più avanzata di un possibile rinnovamento». Così scrive Stefania Limiti nella appendice al nuovo libro dell’ex magistrato Giuliano Turone Crimini inconfessabili. Il ventennio dell’Antistato che ha voluto e coperto le stragi (1973-1993), edito da Fuori Scena. Abbiamo rivolto alcune domande all’autore per approfondire i contenuti di questo appassionato e documentatissimo lavoro di indagine e di ricostruzione del ventennio più buio della nostra democrazia, che è anche una preziosa chiave di lettura dell’attuale situazione politica.

Turone, partiamo dal titolo. Quali sono i crimini inconfessabili?
Le stragi sono crimini inconfessabili. Ci sono buoni motivi per non confessare mai una strage. Pensiamo a quella di Bologna. Fioravanti e Cavallini confessarono innumerevoli omicidi politici ma mai quello che hanno fatto a Bologna. Le prove invece sono solidissime e sono state confermate anche nelle ultime sentenze che hanno visto la condanna in via definitiva di Cavallini e, nei primi due gradi di giudizio, di Bellini. Sentenze che hanno confermato la loro partecipazione alla strage e hanno portato elementi in più a carico degli ex terroristi Nar Fioravanti, Mambro e Ciavardini.

C’è chi ancora sostiene ogni anno quando si avvicina il 2 agosto che siano stati i palestinesi…
Chi lo dice è gente abituata a mentire anche diecimila volte al giorno, sapendo di avere un seguito che acriticamente li ascolta. Ma ormai esistono migliaia di pagine di sentenze che hanno smontato questa bufala con prove granitiche.

Nel 1980 c’è stata la strage del 2 agosto che è considerata il momento più drammatico della storia repubblicana. Nel libro lei si sofferma molto su un delitto avvenuto pochi mesi prima, il 6 gennaio, a Palermo: l’omicidio di Piersanti Mattarella, perché?
L’omicidio di Mattarella è un momento chiave della storia d’Italia della seconda metà del Novecento. È il crimine più depistato e fu in quella occasione che iniziò il connubio perverso tra Cosa nostra e la destra eversiva.

Secondo la procura di Palermo che nel 2018 ha riaperto le indagini sugli esecutori, il presidente della Regione Sicilia sarebbe stato ucciso su ordine della cupola mafiosa (Riina, Provenzano, Brusca, Pippo Calò, Francesco Madonia etc) da Antonio Madonia (figlio di Francesco) e Giuseppe Lucchese che guidava la 127 su cui i due killer si dileguarono. A gennaio il nuovo procuratore ha iscritto Madonia e Lucchese al registro degli indagati.
L’iscrizione è un atto dovuto ma sarebbe dovuta avvenire una trentina di anni fa. Quello di Madonia è stato il re dei depistaggi. La notizia che notizia non è perché è vecchissima, è uscita fuori anche di recente, a gennaio scorso. Negli anni Novanta è stato il depistaggio che ha favorito l’assoluzione per insufficienza di prove di Fioravanti e Cavallini (che dunque non potranno più essere processati per questo delitto). Far passare Madonia per sosia di Fioravanti fu un escamotage per mettere l’uno al posto dell’altro. La “sentenza Cavallini” e anche quella su Bellini per la strage di Bologna hanno demolito totalmente questo depistaggio.

Cosa non quadra?
Per fare un esempio, i due pezzi di targa avanzati per il camuffamento di quella della 127 usata per la fuga furono trovati nel 1982 a Torino nel covo dei Nar in via Monte Asolone, gestito da un esponente non secondario proprio del gruppo di Fioravanti e Cavallini. Questi reperti catalogati con il nr. 42 sono in seguito scomparsi dall’ufficio corpi di reato del tribunale di Palermo. In quel covo c’erano anche degli elementi che li legavano alla P2: centinaia di tesserini di riconoscimento dell’arma dei carabinieri e della guardia di finanza, due dei quali erano stati trovati addosso a Cavallini e Soderini all’atto del loro arresto nell’83.

Perché Piersanti Mattarella fu ucciso?
Ci fu una convergenza di interessi. Piersanti Mattarella era l’erede di Aldo Moro, uno dei due fautori del compromesso storico, e c’era chi voleva evitare che ne raccogliesse il testimone. Ma Mattarella era anche detestato dalla mafia per via della sua lotta alle cosche. A causa sua Cosa nostra stava perdendo parecchi appalti e aveva tutto l’interesse a eliminarlo.

E cosa è successo?
Bontate che allora era ancora il grande capo non voleva che i killer del presidente della Regione Sicilia fossero uomini della mafia. Lo riteneva controproducente. Pertanto si rivolse al suo uomo a Roma che era Pippo Calò e che aveva legami strettissimi con la Banda della Magliana. È così che si arriva ad assoldare i killer all’interno dell’eversione nera.

Cosa c’entra il terrorismo nero? Perché Fioravanti e Cavallini si sarebbero prestati?
Non avevano nulla contro Mattarella ma se si pensa al ruolo che ebbero nella strategia della tensione non solo con la strage di Bologna, strategia in cui rientrava anche il delitto Moro, allora diventa tutto più chiaro.

Ma Moro fu ucciso dalle Br.
Quando parlo di strategia della tensione mi riferisco a quella ordita dai servizi atlantici e in particolare dalla Cia sotto la guida di Henry Kissinger. Il compromesso storico era visto come fumo negli occhi dagli Usa che non volevano Berlinguer al governo – nemmeno l’Urss lo voleva, infatti tentarono di ucciderlo – ma quando le Br rapirono Moro gli “strateghi della tensione” si insinuarono nella vicenda per far sì che si concludesse con l’omicidio. Il ruolo cardine di questa storia è stato svolto dallo psichiatra Steve Pieczenik, un uomo della Cia che Kissinger mandò da Cossiga e Andreotti per far finta di trattare con le Br per conto dello Stato italiano, creando le false aspettative che hanno spinto i brigatisti a far precipitare la situazione.

In Crimini inconfessabili ma anche nel suo precedente libro Potere occulto (Chiarelettere) lei ricostruisce tutto nei particolari. È per questo che non si vuole far emergere tutta la verità sul delitto Moro?
Di certo c’è che in questo modo, impedendo l’alternanza di potere, fu massacrata la sovranità del nostro Paese. Dopo Moro, il delitto chiave per scongiurare l’alternanza al governo che peraltro sarebbe il sale della democrazia, è quello di Mattarella.

Sette mesi dopo ci fu la strage di Bologna.
Destabilizzare il Paese spaventando la gente in modo tale che andasse a votare per i conservatori, per realizzare lo status quo. Questo era lo scopo dei mandanti e finanziatori. E qui veniamo a Licio Gelli e alla P2. Il capo della loggia segreta non solo è stato riconosciuto come finanziatore e mandante – e in questo è particolarmente importante ciò che emerge dal recente “processo Bellini” di Bologna – ma anche lui, come il braccio armato della P2 nella strage che ha tutto l’interesse a negare per garantirsi protezione, ha sempre cercato di non essere mai associato alla bomba della stazione di Bologna che ha ucciso 85 persone e ne ha ferite 200. E finché è stato in vita ci è riuscito.

Cosa è rimasto della P2 dopo Castiglion Fibocchi e lo scioglimento della loggia di Gelli? Nel libro lo definisce il “sistema P2”.
Nel marzo del 1981 scoprimmo la lista e per un certo periodo mettemmo in crisi la P2. Il governo Spadolini, l’unico veramente “anti-P2”, però ebbe vita breve e nel giro di poco più di un anno il sistema si ricostituì in maniera strisciante. In quel decennio Gelli è stato latitante per 5 anni, una latitanza dorata e protetta tra la Svizzera e l’Italia. Quando voleva poteva prendere il caffè a Roma in via Veneto, tranquillamente, come ha riferito uno dei suoi avvocati svizzeri in un’intervista all’Espresso. E questo è molto significativo riguardo l’esistenza di un potere occulto che lo proteggeva. Durante la latitanza insieme ai suoi legali predispose tutto per tornare in Italia e consegnarsi in modo tale da essere sicuro di passare il resto della sua vita nella sua villa senza essere disturbato minimamente. E anche questo gli è riuscito.

Il “ventennio dell’Antistato”, citando il sottotitolo del libro, si conclude con le stragi del 1993.
Mettere in fila le date è importante. Dopo la caduta del muro di Berlino, la strategia della tensione di matrice atlantica, per così dire, si assopì. E in Italia ci fu “Mani pulite”. Ma gli epigoni della prima repubblica, quelli importanti, rimangono in piedi. Chi e come ce lo spiegò lo stesso Gelli. Nell’ultima parte della sua vita concesse diverse interviste. Qualcuno gli chiese del Piano di rinascita democratica. E lui rispose tutto compiaciuto che il piano stava andando avanti e che c’era «Berlusconi che è molto bravo in queste cose». E poi ancora in un’intervista al Corriere del 2011: «D’altra parte dovete tener conto che io, sì, avevo la P2 ma Andreotti aveva l’Anello (o “Sid parallelo”, ndr) e Cossiga aveva la Gladio». Fu una cosa incredibile: dichiarò candidamente chi è che proseguiva il “lavoro”. Oltre alla discesa in politica di Berlusconi nel 1994 ricordo che Andreotti tra l’89 e il ’92 è stato nuovamente presidente del Consiglio, con Cossiga presidente della Repubblica. Ed entrambi, il primo nel 1991 (nominato da Cossiga) e l’altro nel 1992, sono divenuti senatori a vita.

L’ultimo capitolo si intitola “I nipoti di Mussolini”. Chi sono?
Il riferimento è al libro di David Broder in cui afferma che l’Italia è sempre stato un Paese apripista. Lo è stato nel 1922 perché il fascismo nasce lì. E lo è stato nel 1992 quando Berlusconi inizia a parlare di politica e poi due anni dopo quando da presidente del Consiglio per primo sdoganerà gli eredi di Almirante al governo.

L’articolo è stato pubblicato su Left di aprile 2025. Qui

Scrivevo già per Avvenimenti ma sono diventato giornalista nel momento in cui è nato Left e da allora non l'ho mai mollato. Ho avuto anche la fortuna di pubblicare articoli e inchieste su altri periodici tra cui "MicroMega", "Critica liberale", "Sette", il settimanale uruguaiano "Brecha" e "Latinoamerica", la rivista di Gianni Minà. Nel web sono stato condirettore di Cronache Laiche e firmo un blog su MicroMega. Ad oggi ho pubblicato tre libri con L'Asino d'oro edizioni: Chiesa e pedofilia. Non lasciate che i pargoli vadano a loro (2010), Chiesa e pedofilia, il caso italiano (2014) e Figli rubati. L'Italia, la Chiesa e i desaparecidos (2015); e uno con Chiarelettere, insieme a Emanuela Provera: Giustizia divina (2018).