La Striscia di Gaza è stata trasformata in un perverso laboratorio di guerra 4.0

A Gaza la devastazione non ha “solo” il volto della guerra coloniale che data dal 1948, ma quello ulteriormente inquietante di una guerra di religione per la riconquista di Giudea e Samaria e della sperimentazione tecnologica. Imbracciando la Torah, il governo di Netanyahu ha lanciato sul territorio palestinese una crociata di guerra automatizzata, governata da algoritmi, droni e reti neurali. Come scrive Sergio Bellucci, la novità del presente è che «tutti i fattori immaginati dalla letteratura fantascientifica distopica sono già qui»: capacità predittive, sistemi agentici, armi autonome letali che uccidono civili senza esitazione, né pietà. La Striscia di Gaza è stata trasformata in un perverso laboratorio di guerra automatizzata, «un beta testing in scala reale di quel che potrà accadere nelle guerre del futuro». Sulla pelle dei palestinesi, indistintamente bambini, ragazzi, donne, anziani, l’esercito israeliano sperimenta lo sviluppo di sistemi IA come The Gospel (Il Vangelo, sic!), The Lavender e Where’s Daddy che selezionano obiettivi, con margini di errore accettati a priori: dieci, venti, fino a cento civili come “danni collaterali” per ogni presunto “combattente” tecnologico. Le conseguenze di questa guerra impari su Gaza sono sotto gli occhi di tutti. Siamo davanti a un genocidio in diretta 24 ore su 24 come dice la giornalista palestinese Faten Elwan, intervistata su questo numero di Left. I costi umani sono elevatissimi, con oltre 60mila vittime fra i civili palestinesi certificate non solo da Hamas. E per Israele e “alleati” aumentano i profitti. La guerra automatizzata a Gaza ha prodotto un nuovo ciclo di accumulazione capitalistica. «Israele, dal 7 ottobre 2023 in poi, ha visto le esportazioni tecnologiche crescere fino al 64% del totale e la Borsa di Tel Aviv salire del 200%», scrive nella storia di copertina Franco Padella. Nello stesso periodo la tecnologica statunitense Palantir ha raddoppiato il suo valore azionario.

E nell’altro scenario di guerra nel cuore dell’Europa cosa sta accadendo? In tre anni e mezzo di conflitto in Ucraina si sono fronteggiati due eserciti, con grandi perdite umane da entrambe le parti, ma anche di civili ucraini. Per rispondere all’invasione russa l’esercito di Kiev si è fatto forte dei droni turchi forniti da Erdoğan e dei sistemi satellitari dapprima messi a disposizione da Musk. Se la Russia ha convertito la propria economia in una economia di guerra, altrettanto ha fatto l’Ucraina diventando una grande produttrice di droni di nuova generazione low cost. Equipaggiati con software open-source e reti neurali per il riconoscimento facciale possono diventare strumenti di assassinio mirato. In Ucraina si sono già visti droni Fpv (First-person view) modificati con esplosivi, pilotati da remoto; ma la nuova frontiera riguarda soprattutto gli sciami autonomi: centinaia di droni che comunicano tra loro, saturano le difese antiaeree e si adattano agli imprevisti. In questo quadro, come ha rivelato per primo il Financial Times, Trump non è certo un mediatore neutro. Oltre a promettere a Zelensky cento miliardi di armi Usa pagate dalla Ue, ha stretto un patto con Kiev per l’acquisto di più di 50 miliardi di droni di nuova generazione prodotti in Ucraina in joint venture con aziende Usa. Dietro la logica spietata della guerra automatizzata c’è la logica altrettanto spietata del capitalismo, della massimizzazione del profitto, ad ogni costo.

Dietro quella che Bellucci chiama la guerra senza volto, fatta senza esitazioni, senza rimorso, solo attraverso codici che eseguono istruzioni, c’è sempre dietro un programmatore in carne ed ossa. Non dobbiamo perdere di vista questo aspetto. L’automazione dell’“essere per la morte dell’altro” prevede sempre una decisione e una responsabilità politica e umana a monte. L’essere per la morte è un costrutto culturale, una ideologia, che può e deve essere rifiutata e sconfitta. Non è un dato di natura, ontologico. La guerra non è inscritta nel nostro Dna, non è frutto del peccato e del Caino che secondo il perverso pensiero religioso sarebbe in ciascuno di noi. «La guerra è disumana, è il cancro della storia umana che va eradicato», diceva Gino Strada. E tanto più lo è la guerra ai tempi dei droni e dei robot killer che non hanno sentimenti, non hanno remore, non hanno empatia ma solo una logica calcolatrice. Già durante il processo di Norimberga il nazista Speer, l’architetto di Hitler, ebbe a dire che la colpa della Shoah era della tecnologia tedesca così potente e implacabile. I nazisti sarebbero stati solo degli esecutori (vedi Gitta Sereny, Albert Speer, Adelphi). Martin Heidegger, teorico del nazismo, scrisse pagine e pagine per dare tutte le colpe alla tecnica e scagionare i nazisti. La verità è un’altra: c’è sempre la responsabilità di chi programma la tecnologia e di chi la usa, come ci ha ricordato Brecht. La differenza è che con i nuovi scenari di guerra è molto più difficile di primo acchito riconoscere di chi sia questa responsabilità.

L’Ai bellica non nasce nel vuoto, ma da scelte culturali e politiche. Ogni algoritmo è progettato ad hoc. E allora occorrono nuovi strumenti giuridici di indagine e di rafforzamento del diritto umanitario e internazionale. Di fronte all’agghiacciante scenario che si dischiude oggi urge una moratoria globale sulle armi “autonome” letali sfatando l’illusione diffusa che la macchina ci assolva da ogni responsabilità, la guerra automatizzata non è un destino tecnologico è il braccio armato della logica capitalista.

La logica anaffettiva di produrre strumenti di morte, se possibile a basso costo, testarli su campi di battaglia reali, venderli sul mercato globale. Non è un destino divino già scritto. Se vogliamo cambiare rotta dobbiamo stringere un nuovo patto internazionale, simile a quello che ha portato al controllo sulle armi nucleari e che oggi più che mai deve essere a sua volta riattivato. Servono movimenti dal basso, come scrive Francesco Vignarca della Rete pace e disarmo per far sentire la nostra voce di cittadini, per far pressione sui governi per fermare la corsa riarmo e a nuovi armamenti tecnologici che sta tellurizzando l’Europa, sempre più immemore di sé e della propria nascita contro i fili spinati, come scrissero Rossi, Colorni, Spinelli e Hirschmann nel Manifesto di Ventotene.

Le democrazie rischiano di perdere la loro legittimità se adottano pratiche belliche in contrasto con i loro valori di giustizia sociale e rispetto dei diritti umani, scrive Mariarosa Taddeo in Codice di guerra (Raffaello Cortina). La regolamentazione dell’IA in guerra e per la difesa non è solo questione militare, rileva, ma riguarda il futuro delle democrazie e il loro rapporto con diritti, trasparenza, la libertà dei cittadini. La difesa, la “sicurezza” non può giustificare la sorveglianza totale.

Ma noi non ci accontentiamo di un codice etico di guerra che la contenga entro certi limiti, per prevenire le violazioni più gravi di diritti umani. Ripudiamo la guerra. Esprimiamo un rifiuto totale della logica della violenza e della sopraffazione, in accordo con l’articolo 11 della nostra Carta costituzionale nata dalla Resistenza. E con Left vogliamo invitarvi a una riflessione profonda, per una critica radicale della ragione bellica per dirla con il titolo di un bel saggio di Tommaso Greco appena uscito per Laterza. Come ha scritto Elisabetta Amalfitano in Controstoria della ragione (L’Asino d’oro edizioni), è tempo di una nuova antropologia che liberi l’umano dall’idea che il conflitto armato sia la cifra necessaria della storia.

In apertura, disegno di Marilena Nardi