Al centro del docufilm di Valerio Jalongo “Il senso della bellezza”, un connubio fra arte e scienza, c’è la ricerca stessa: fin dagli albori l’essere umano ha sempre cercato, spingendosi coraggiosamente nell’oscurità delle grotte per dipingere

Cosa hanno in comune scienziati e artisti ? A questa domanda prova a dare una risposta il nuovo documentario di Valerio Jalongo Il senso della bellezza, proiettato in queste settimane nelle sale italiane, riscuotendo un grande e inaspettato seguito. Il documentario racconta un momento speciale del Cern: dopo la scoperta del bosone di Higgs, ora la sfida è quella di ricreare il momento subito prima del Big Bang, da cui tutta la materia, come noi la conosciamo ha avuto origine.

Non si tratta però di un documentario didascalico, i racconti dei fisici che si susseguono in questo racconto, non approfondiscono aspetti tecnici della loro materia, ma al contrario fanno emergere la passione che li spinge quotidianamente a portare avanti la loro ricerca. Valerio Jalongo si interroga su una delle esigenze umane più profonde, il desiderio di conoscenza. «La natura ama nascondersi» con questa frase di Eraclito inizia la sua indagine sul modo in cui l’uomo tenta di conoscere ciò che va al di là della percezione dei cinque sensi. La macchina protagonista di quest’esperimento, la più grande mai costruita dall’uomo, l’Lhc – Large Hadron Collider – non è una macchina comune, non svolge una funzione dedita all’utile.

È piuttosto, come la definisce il regista, «una macchina poetica» perché non ha un fine pratico, ma al contrario tenta di dare risposte a domande che svelano i misteri dell’uomo e della natura. Se in 2001 Odissea nello spazio…

L’articolo di Martina Brandizzi e Ilaria Rocchi prosegue su Left in edicola


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