«Si torna così alla selezione delle donne che parte dall’alto, alla scelta di collaboratrici che assicurano obbedienza, e si rinuncia a ogni possibilità di aprire un vero dialogo, libero e coraggioso, fra donne che amano la Chiesa nella libertà e uomini che ne fanno parte. Si torna all’autoreferenzialità clericale (…). Di conseguenza non possiamo che dichiarare concluso il nostro lavoro, interrotto bruscamente benché ci siano ancora progetti aperti – per esempio l’approfondimento dei cinque sensi – e articoli commissionati o addirittura scritti. Ma riteniamo necessaria questa scelta per salvaguardare la nostra dignità ed evitare così il processo di logoramento purtroppo già in corso».
Si sono dimesse tutte le donne della redazione del mensile “Donna chiesa mondo” dell’Osservatore Romano. Mica una, due. Tutte. Tutte. Il motivo l’hanno scritto in una lunga lettera al Papa che non lascia scampo a troppe interpretazioni:
«Come ben sa, non siamo state noi a parlare per prime, come forse avremmo dovuto, delle gravi denunce dello sfruttamento al quale numerose donne consacrate sono state e sono sottoposte (sia nel servizio subordinato sia nell’abuso sessuale) ma lo abbiamo raccontato dopo che i fatti erano emersi, anche grazie a molti media. Non abbiamo più potuto tacere: sarebbe stata ferita in modo grave la fiducia che tante donne avevano riposto in noi.
Ora ci sembra che un’iniziativa vitale sia ridotta al silenzio e che si ritorni all’antiquato e arido costume della scelta dall’alto, sotto il diretto controllo maschile, di donne ritenute affidabili. Si scarta in questo modo un lavoro positivo e un inizio di rapporto franco e sincero, un’occasione di parresia, per tornare all’autoreferenzialità clericale. Proprio quando questa strada viene denunciata da Lei come infeconda».
Siamo alle solite: le donne funzionano solo quando bisogna sventolarle come simbolo. Però non devono mica pensare, giudicare né tantomeno scrivere. E non è solo una questione di Chiesa. Purtroppo no.