Perché mettere Sandro Pertini in copertina? In primis perché la sua lezione di antifascista militante ci appare più viva e attuale che mai in tempi di fascisti del terzo millennio che compiono azioni squadriste dando la caccia a rom e migranti; in tempi di ultrà destrorsi che impunemente fanno apologia del fascismo in spazi pubblici, riuscendo a squadernare striscioni che inneggiano al duce in luoghi super sorvegliati come piazzale Loreto e via della Conciliazione. Il suo esempio di impegno democratico e per la libertà è più che mai necessario oggi mentre la repressione del dissenso viene imposta attraverso il decreto Sicurezza-immigrazione che Salvini minaccia addirittura di inasprire con un decreto bis.
Cosa direbbe il presidente partigiano alle forze dell’ordine e a quei vigili del fuoco che entrano in case private per far rimuovere innocui cartelli di protesta? «Questa Lega è una vergogna», c’era scritto nello striscione appeso a un balcone, citando una canzone di Pino Daniele.
E cosa direbbe il partigiano Pertini di quegli esponenti del Pd che incalzano Salvini perché non ha ancora deportato 500mila immigrati come aveva promesso?
Di fronte a un sempre più preoccupante clima di sdoganamento di gruppi fascistoidi (come CasaPound e Forza nuova) e di disapplicazione delle leggi Scelba e Mancino, il liberalismo alla Voltaire ha le armi spuntate, poiché considera libertà di espressione la propaganda di pensieri violenti che mirano a ledere la democrazia e colpiscono l’integrità psicofisica di donne, migranti e di soggetti appartenenti a minoranze. Colpire i soggetti più vulnerabili è la vigliaccata di tutti i fascisti. Dal criminale di guerra Mussolini fino ai suprematisti degli anni Duemila.
E allora, di fronte agli astratti distinguo di storici allievi di De Felice e di ex direttori di quotidiani mainstream che ammoniscono chi usa il termine fascismo per descrivere il pensiero di estrema destra legittimato dal ministro dell’Interno che pubblica con una casa editrice vicina a CasaPound (ne abbiano parlato sul numero scorso), pensiamo che sia salutare tornare a studiare la storia, ricordando il rifiuto netto del fascismo, la capacità di reagire e il coraggio di guardare lontano di partigiani come Pertini, come Ferruccio Parri (di cui Laterza ora ripubblica a cura di Carlo Greppi Come farla finita con il fascismo) e tanti altri.
Durante la liberazione di Genova, quando i nazifascisti cercano di patteggiare una ritirata alla chetichella chiedendo di incontrare i capi partigiani, Remo Scappini e compagni risposero «Giammai!».
Quando Riccardo Lombardi nel 1974 fu chiamato ad un confronto televisivo con Almirante, l’esponente socialista lasciò la sedia vuota, come ricorda Roberto Musacchio nel pezzo di apertura di questo sfoglio in cui Filippi traccia l’incredibile mappa dei salotti tv - da quello di Mentana a quello di Formigli e oltre - che ospitano chi semina odio, contenuti razzisti, misogini e antisemiti. È falso il liberalismo di chi mette sullo stesso piano i partigiani e i ragazzi di Salò poiché i primi lottavano contro il nazifascismo, i secondi per imporre quel regime totalitario e criminale. Il politically correct di chi parla di “censura” negando che il fascismo sia un crimine, fa pensare a quanti danni abbia prodotto l’amnistia senza un processo di elaborazione collettiva, senza un processo ai fascisti, senza una Norimberga italiana.
Fare i conti con la storia del fascismo significa anche aprire gli occhi su quelle forme striscianti che arrivano al potere inopinatamente. Come è accaduto in Turchia. Lo scrive Ece Temelkuran in Come sfasciare un Paese in sette mosse (Bollati Boringhieri) denunciando il regime imposto da Erdoğan che nei giorni scorsi è arrivato a cancellare il risultato delle recenti elezioni a Istanbul dove ha vinto un sindaco democratico. Fare i conti con la storia del fascismo significa anche vedere come il fascismo cresca nella «zona grigia». Gli ideologi nazisti non sarebbero riusciti a imporre il loro lucido e disumano piano di sterminio se non ci fosse stato il silenzio colluso dei gregari, degli ignavi, di chi si dice né di destra né di sinistra, facendo così il gioco delle destre, anche le più impensabili. Di fronte alla pericolosa fatuità grillina e al tiepido impegno del Pd che ha cancellato l’antifascismo dal proprio statuto, proponiamo qui non certo la violenta ghigliottina giacobina, ma una forte chiamata alle armi della conoscenza, della critica, della risposta democratica, senza se e senza ma.
Per questo serve un pensiero nuovo, serve chiarezza di idee sulla realtà umana in cui la violenza non è innata, serve distinguere il grano dal miglio e un nettissimo rifiuto del veleno che si nasconde nella normalizzazione dell’autoritarismo e del fascismo mascherato.
[su_divider style="dotted" divider_color="#d3cfcf"][su_button url="https://left.it/left-n-20-17-maggio-2019/" background="#a39f9f" size="7"]SOMMARIO[/su_button] [su_button url="https://left.it/prodotto/left-20-2019-17-maggio/" target="blank" background="#ec0e0e" size="7"]ACQUISTA[/su_button]
[su_divider text=" " style="dotted" divider_color="#d3cfcf"]Perché mettere Sandro Pertini in copertina? In primis perché la sua lezione di antifascista militante ci appare più viva e attuale che mai in tempi di fascisti del terzo millennio che compiono azioni squadriste dando la caccia a rom e migranti; in tempi di ultrà destrorsi che impunemente fanno apologia del fascismo in spazi pubblici, riuscendo a squadernare striscioni che inneggiano al duce in luoghi super sorvegliati come piazzale Loreto e via della Conciliazione. Il suo esempio di impegno democratico e per la libertà è più che mai necessario oggi mentre la repressione del dissenso viene imposta attraverso il decreto Sicurezza-immigrazione che Salvini minaccia addirittura di inasprire con un decreto bis.
Cosa direbbe il presidente partigiano alle forze dell’ordine e a quei vigili del fuoco che entrano in case private per far rimuovere innocui cartelli di protesta? «Questa Lega è una vergogna», c’era scritto nello striscione appeso a un balcone, citando una canzone di Pino Daniele.
E cosa direbbe il partigiano Pertini di quegli esponenti del Pd che incalzano Salvini perché non ha ancora deportato 500mila immigrati come aveva promesso?
Di fronte a un sempre più preoccupante clima di sdoganamento di gruppi fascistoidi (come CasaPound e Forza nuova) e di disapplicazione delle leggi Scelba e Mancino, il liberalismo alla Voltaire ha le armi spuntate, poiché considera libertà di espressione la propaganda di pensieri violenti che mirano a ledere la democrazia e colpiscono l’integrità psicofisica di donne, migranti e di soggetti appartenenti a minoranze. Colpire i soggetti più vulnerabili è la vigliaccata di tutti i fascisti. Dal criminale di guerra Mussolini fino ai suprematisti degli anni Duemila.
E allora, di fronte agli astratti distinguo di storici allievi di De Felice e di ex direttori di quotidiani mainstream che ammoniscono chi usa il termine fascismo per descrivere il pensiero di estrema destra legittimato dal ministro dell’Interno che pubblica con una casa editrice vicina a CasaPound (ne abbiano parlato sul numero scorso), pensiamo che sia salutare tornare a studiare la storia, ricordando il rifiuto netto del fascismo, la capacità di reagire e il coraggio di guardare lontano di partigiani come Pertini, come Ferruccio Parri (di cui Laterza ora ripubblica a cura di Carlo Greppi Come farla finita con il fascismo) e tanti altri.
Durante la liberazione di Genova, quando i nazifascisti cercano di patteggiare una ritirata alla chetichella chiedendo di incontrare i capi partigiani, Remo Scappini e compagni risposero «Giammai!».
Quando Riccardo Lombardi nel 1974 fu chiamato ad un confronto televisivo con Almirante, l’esponente socialista lasciò la sedia vuota, come ricorda Roberto Musacchio nel pezzo di apertura di questo sfoglio in cui Filippi traccia l’incredibile mappa dei salotti tv – da quello di Mentana a quello di Formigli e oltre – che ospitano chi semina odio, contenuti razzisti, misogini e antisemiti. È falso il liberalismo di chi mette sullo stesso piano i partigiani e i ragazzi di Salò poiché i primi lottavano contro il nazifascismo, i secondi per imporre quel regime totalitario e criminale. Il politically correct di chi parla di “censura” negando che il fascismo sia un crimine, fa pensare a quanti danni abbia prodotto l’amnistia senza un processo di elaborazione collettiva, senza un processo ai fascisti, senza una Norimberga italiana.
Fare i conti con la storia del fascismo significa anche aprire gli occhi su quelle forme striscianti che arrivano al potere inopinatamente. Come è accaduto in Turchia. Lo scrive Ece Temelkuran in Come sfasciare un Paese in sette mosse (Bollati Boringhieri) denunciando il regime imposto da Erdoğan che nei giorni scorsi è arrivato a cancellare il risultato delle recenti elezioni a Istanbul dove ha vinto un sindaco democratico. Fare i conti con la storia del fascismo significa anche vedere come il fascismo cresca nella «zona grigia». Gli ideologi nazisti non sarebbero riusciti a imporre il loro lucido e disumano piano di sterminio se non ci fosse stato il silenzio colluso dei gregari, degli ignavi, di chi si dice né di destra né di sinistra, facendo così il gioco delle destre, anche le più impensabili. Di fronte alla pericolosa fatuità grillina e al tiepido impegno del Pd che ha cancellato l’antifascismo dal proprio statuto, proponiamo qui non certo la violenta ghigliottina giacobina, ma una forte chiamata alle armi della conoscenza, della critica, della risposta democratica, senza se e senza ma.
Per questo serve un pensiero nuovo, serve chiarezza di idee sulla realtà umana in cui la violenza non è innata, serve distinguere il grano dal miglio e un nettissimo rifiuto del veleno che si nasconde nella normalizzazione dell’autoritarismo e del fascismo mascherato.