C’è tutta l’antropologia di un certo modo di fare politica in Virginia Raggi che ieri si è travestita da postino per recapitare alla sede di Casapound una cattivissima missiva in cui gli si chiede di rimuovere l’insegna sull’edificio che occupano abusivamente nel centro di Roma, alla faccia dei cittadini romani, degli italiani e dei contribuenti che secondo la Corte dei Conti avrebbero speso circa quattro milioni di euro per lasciarli lì dentro a pascolare mentre giocano a fare i fascisti del terzo millennio.
È simpatica questa cosa di una moderna partigiana che avrebbe coraggiosamente tolto il nome di Mussolini dal citofono negli anni addietro e che oggi invece ci regala una diretta Facebook mentre chiede a Di Stefano e soci mica di levarsi delle scatole come sarebbe giusto che sia ma che si limita a chiedere di togliere la scritta da fruttivendoli che hanno esposto sulla facciata.
La facciata. Appunto. La facciata che ha preso proprio la Raggi quando pochi minuti dopo i suoi compagni di partito alla Camera votavano contro un ordine del giorno che chiedeva invece di mandare via i fascisti piuttosto che occuparsi solo di sistemargli il fondotinta. I grillini in Parlamento hanno votato contro a un ordine del giorno che invece avevano votato in massa al Campidoglio con tanto di plauso della sindaca.
La facciata. Appunto. La politica di facciata che vorrebbe convincerci che i proclami siano azioni e debbano essere considerati alla stregua dei decreti. Ma siccome la campagna elettorale qui da noi è permanente allora tutti a fare le promesse dimenticandosi di essere loro a governare e quindi di avere tutti gli strumenti a disposizione.
È una politica di facciata, finta, e anche di facciate: le testate che continuano a darsi tra di loro Giuseppe Conte e Matteo Salvini che hanno dato due versioni contrapposte dello stesso episodio e sembra che nessuno se ne sia accorto.
«Il segreto del successo è la sincerità. Se riesci a fingerla, ce l’hai fatta», scriveva Jean Giraudoux.
Buon venerdì.