Forse ci eravamo illusi che bastasse questo: avere visto la sconfitta dei tedeschi, avere rimosso Mussolini, avere aperto i cancelli dei lager, essersi seduti per scrivere una Costituzione con le migliori menti del Paese per evitare la rinascita di qualsiasi dittatura, avere letto le parole di Primo Levi, avere portato i partigiani a scuola per raccontare cosa fu il fascismo, avere organizzato incontri con i deportati perché i loro tatuaggi fossero i nostri tatuaggi. Abbiamo pensato che dopo un orrore del genere, dopo avere tollerato che le persone diventassero fumo sarebbe stato impossibile ricaderci.
E abbiamo pensato di averla salvata, Liliana Segre, lei e i sopravvissuti alla sventura, abbiamo pensato di averli onorati del nostro dolore e della compassione e abbiamo pensato che ora Liliana Segre fosse al sicuro. Ci sbagliavamo. Eccome. E non ci sbagliavamo solo perché ora abbiamo in giro una grande donna, anziana gentile, nobile solo per come non abbia mai ceduto al giogo della rabbia e della vendetta che deve essere protetta dallo Stato per l’odio che scorre contro tutto quello che rappresenta ma ci sbagliavamo anche perché ci eravamo convinti di dovere proteggere Liliana Segre dal passato e invece abbiamo costruito un presente che la mette in pericolo, ancora.
In pericolo da una vita, Liliana Segre: significa che non ne siamo mica usciti da quel rancido periodo di violenza. È cambiato il fascismo, sotto traccia e dissimulato in sovranismi vari all’amatriciana, ma questo Paese è ancora un pericolo per la Segre. Ecco, scusate, a me fa scoppiare il cervello sapere che non l’abbiamo mica salvata Liliana Segre, non è tanto la questione della scorta, mica solo questo, è la consapevolezza che questo Paese sia ancora “pericoloso” per lei a non andarmi giù, che in tutti questi anni non abbiamo voluto vedere la brace che sotto bruciava ancora.
«Auschwitz è fuori di noi, ma è intorno a noi, è nell’aria. La peste si è spenta, ma l’infezione serpeggia: sarebbe sciocco negarlo. In questo libro se ne descrivono i segni: il disconoscimento della solidarietà umana, l’indifferenza ottusa o cinica per il dolore altrui, l’abdicazione dell’intelletto e del senso morale davanti al principio d’autorità, e principalmente, alla radice di tutto, una marea di viltà, una viltà abissale, in maschera di virtù guerriera, di amor patrio e di fedeltà a un’idea», scriveva Primo Levi. Noi pensavamo che fosse un capitolo di Storia. Invece è una diagnosi dell’oggi.
Buon venerdì.