La valutazione dell’impatto della tecnologia sulla realtà chiama in causa questioni di enormi dimensioni, come le biotecnologie, l’Intelligenza artificiale, le nuove fonti energetiche, nelle quali sempre si rintracciano aspetti positivi e evolutivi, e aspetti problematici e controversi. Come fare a definire il confine tra rischi e opportunità? La tecnologia serve per risolvere problemi oppure li crea? La verità, tanto ovvia quanto non esauriente, è che entrambe le possibilità si possono verificare, e questo dipende, in modo evidente, dall’uso che se ne fa. La disponibilità sempre più rapida di nuovi strumenti tecnologici mette a dura prova la capacità di comprenderne per tempo gli effetti sul singolo individuo e sulla società e da ciò può nascere la preoccupazione di arrivare a individuare i rischi correlati all’uso di un nuovo strumento quando è ormai tardi per intervenire sulle conseguenze: si pensi, ad esempio, alla dibattuta questione degli effetti che la prolungata esposizione a social media, videogiochi e strumenti digitali in genere avrebbero sulle strategie di apprendimento in età evolutiva.
La questione dell’impatto sulla vita psichica e sui rapporti interumani delle innovazioni tecnologiche, in particolare per le nuove generazioni, pone dunque degli interrogativi nuovi e difficili, di cui si è discusso nella giornata del 14 novembre, a Roma, presso la sala Basaglia in Piazza Santa Maria della Pietà, all’interno dell’itinerario formativo dedicato ad operatori socio-sanitari Trappole digitali. Adolescenti e dipendenze tecnologiche, e aperto alla partecipazione di chiunque fosse interessato all’argomento. L’evento si inserisce nel progetto Educatamente 2.0, organizzato dalla Asl Roma 1 con la collaborazione scientifica del Dipartimento di Psicologia dell’Università di Roma La Sapienza.
Come psicologa clinica, psicoterapeuta e consultant per l’area psicologia e psicoterapia del comitato scientifico della World Association on Dual Disorders-Italia, che ha patrocinato il mio intervento, sono stata invitata a relazionare sul tema Gaming Patologico. Quando il gioco diventa pericoloso. La questione del Gaming Disorder l’ho già affrontata insieme a Dori Montanaro, Marinica Montanaro e Ilario Ritacco, all’interno del volume dal titolo omonimo pubblicato nel 2021 per la collana Bios Psiché Adolescenti della casa editrice L’Asino d’oro e sarà anche argomento di una giornata di formazione Ecm organizzata dalla Associazione Magma in collaborazione con la Scuola Medica Ospedaliera di Roma e del Lazio, dal titolo Gaming Disorder. Definizione e strategie di intervento, che si terrà il prossimo 15 dicembre.
L’interesse per il fenomeno nasce dal fatto che i casi di dipendenza da videogiochi, già nota da anni nei paesi asiatici, stanno aumentando nel mondo occidentale, parallelamente al crescere dell’offerta di essi sul mercato. È infatti dell’inizio del 2022 l’introduzione della nuova categoria “Gaming Disorder’” all’interno dell’Icd-11 (International Classification of Diseases), il manuale diagnostico dell’Oms, nella sezione relativa ai disturbi del comportamento legati alle dipendenze. Questo disturbo, su cui c’è molto ancora da approfondire, presenta quindi delle caratteristiche in comune con altre forme di dipendenza (come astinenza, craving, isolamento sociale) che si intrecciano con delle caratteristiche specifiche dei videogiochi, come l’interattività e l’immersività, in grado di fornire un’intensa stimolazione sensoriale. L’uso del videogioco prenderebbe in queste condizioni una forma alterata e compulsiva che perderebbe, o lascerebbe fortemente sullo sfondo, la sua dimensione ludica e ricreativa.
L’aspetto della stimolazione sensoriale è al centro di una ricerca sulla psicodinamica delle dipendenze che porto ormai avanti da anni. Essa è ora supportata da una consistente mole di risultati in campo clinico e di studi diretti e sistematici processo- risultato sull’impatto del trattamento psicoterapico. La conoscenza e la ricerca sugli aspetti biopsicosociali causativi e di mantenimento della psicopatologia del videogioco, costituiscono il punto di partenza imprescindibile per individuare ogni forma di trattamento terapeutico e per impostare adeguati progetti di prevenzione in età evolutiva. Di tutto questo si è parlato durante i lavori dedicati allo studio delle dipendenze tecnologiche.