Pasquale Tridico, economista, docente universitario, già direttore dell’Inps, è stato eletto alle recenti elezioni europee nella Circoscrizione Sud, col M5S, ottenendo oltre 118 mila preferenze. In totale sono stati 8 gli europarlamentari eletti nelle liste del Movimento. Nella sua intensa attività intellettuale e politica si è sempre caratterizzato per una attenzione forte alle tematiche sociali, rifiutando le logiche neoliberiste che imprigionano ogni tipo di giustizia ed equità. Con lui inevitabilmente partiamo dal risultato del secondo turno delle elezioni legislative in Francia e del suo sorprendente esito, almeno in Italia.
«Mi pare che ci sia stata una chiara manifestazione di volontà. Si sono contrapposte una destra reazionaria, un centro liberista e una sinistra popolare e progressista. Il popolo ha scelto quest’ultima. Non voglio lasciarmi prendere dall’ottimismo ma questa è un’indicazione per il nostro Paese. Piacerebbe vederla replicata da noi anche perché ci sono molte similitudini di prospettiva con l’Italia».
Il M5S ha scelto di entrare nel Parlamento europeo nel gruppo “The Left”, anche incontrando il parere favorevole delle forze politiche nostrane come Sinistra italiana e Rifondazione Comunista. Quali sono le ragioni che vi hanno spinto a chiedere di aderire a questo gruppo e quali sono gli elementi di affinità più importanti?
Il M5S ha un substrato di riferimento negli strati popolari. Parliamo di una parte di elettori che a volte non ha votato e si è rifugiata nell’astensione. Nel 2022, ad attrarre alla base, c’era la rappresentatività di una voce popolare simile a quella parte della sinistra a sinistra del Pd. Un blocco sociale simile al nostro che avanzava una proposta politica simile. Proponevamo e proponiamo tre pilastri: giustizia sociale, equità uguaglianza, lotta alla povertà redistribuzione; giustizia ambientale, fondamentale per il pianeta e, come terzo pilastro, una politica di pace. Per noi fa testo l’articolo 11 della Costituzione. Sono gli stessi pilastri che abbiamo ritrovato in The Left, con un simile blocco di riferimento sociale. In sintesi entrare in The Left mi è sembrato uno sbocco naturale.
Nel gruppo The Left le posizioni rispetto alla prospettiva di un’ “Europa Sociale”, sono molto vicine fra i rappresentanti dei diversi Paesi. Si opera per un’istituzione attenta ai diritti di chi è più svantaggiato. A vostro avviso esiste la possibilità di una riforma così radicale nell’Ue?
Se non ci fosse questa prospettiva non avrebbe neanche senso il nostro fare politica, il nostro impegno. L’Europa sociale è necessaria. Finora abbiamo costruito solo un’Unione economica, fondata sulla moneta, sulla finanza. Finché non tocchiamo la carne vera non sarà mai possibile modificare le coscienze e portarle ad avvertire l’utilità di istituzioni europee. Dobbiamo realizzare un progetto che metta al centro la pace e la libertà come cuore della politica Ue. Dobbiamo agire per garantire prosperità per tutti, proteggere il welfare e difendere un lavoro che non è mai stato adeguatamente rappresentato da Maastricht in poi.
In che modo?
Dobbiamo ragionare su tre pilastri che vadano a smontare i fondamentali economici neoliberisti. Il primo è quello del combattere la svalutazione del lavoro in nome della competitività, che si traduce nel pesare soprattutto su chi lavora. Il secondo è quello legato alla necessità di una politica monetaria indipendente che non salvaguardi soltanto la moneta ma ponga al centro le politiche occupazionali, anche pensando a come agisce la Federal Reserve. Il terzo pilastro è una politica fiscale degna di questo nome che invece di pensare solo ad una riduzione della spesa pubblica e alla riduzione del debito in regime di deflazione, cambi registro. Questo modello, che ha imposto l’austerità, non ha neanche portato la crescita che prometteva il vecchio impianto liberale. L’Ue non è cresciuta più degli Usa, l’Italia è uno dei Paesi che ha più pagato le spese di queste politiche. L’austerità ha portato ad un aumento delle diseguaglianze senza crescita. E parliamo di trent’anni di politiche sbagliate seguendo le sirene del neoliberismo. Addirittura il Fondo monetario si era ispirato ad un modello che prevedeva un aggiustamento strutturale. Invece si è scelto di devolvere meno nella spesa pubblica e di lasciarsi governare dalla logica della competitività che rende strutturali le diseguaglianze. È stato annientato anche il tradizionale approccio liberale.
Il patto di stabilità è un altro punto critico in Ue, come pensate di intervenire per modificare un impianto che di fatto obbliga paesi come l’Italia ad un profondo taglio della spesa pubblica?
Alla luce della vittoria della sinistra in Francia la situazione può cambiare. Avevamo una proposta liberista che ha perso e una destra nazionale che, con il patto di stabilità in Italia, deve affrontare forti contraddizioni. Difficile spiegare come il ministro Giorgetti approvi il patto mentre nel Parlamento Europeo, Lega, FdI e persino il Pd, si siano astenuti. C’è una scarsa consapevolezza di cosa si va a votare. In campagna elettorale non hanno fatto altro che annunciare che andavano a “cambiare questa Europa”. Poi non lo hanno fatto dimostrando una totale incoerenza. Penso che ci sia la possibilità da parte del Parlamento di proporre e votare scelte diverse. Il Consiglio si muove in una direzione che spesso è diversa dal Parlamento. Lo vedo dalla sinistra, noi che vogliamo l’integrazione europea non possiamo tagliare 13 miliardi di spesa pubblica.
Quali sono a suo avviso le proposte su cui puntare?
Servono nuove proposte progressiste per favorire l’integrazione. Occorre aumentare la spesa sociale e istituire un reddito minimo di cittadinanza europeo pagato col bilancio dell’Ue. Così facendo, in caso di condizione di crisi in uno degli stati membri, soprattutto i più poveri, il divario viene compensato dal fatto che ad erogare le risorse è l’Unione attraverso un bilancio centrale. Dovremmo comportarci come durante la crisi della pandemia, in cui si è realizzata una risposta positiva. Si pensi al fondo Sure con cui si è pagata la Cassa integrazione per chi non poteva andare al lavoro e che è stata erogata collettivamente. Si tratta di un modello che dovremmo seguire facendo il contrario di quelli che sono i dettami del Consiglio. Se si crea una coalizione forte e aperta della sinistra che ponga al centro la questione sociale, si potranno ottenere importanti risultati. L’Europa può essere questa.
Consiglio e Commissione rischiano di mantenere l’orientamento del passato. Quindi confermate la vostra opposizione alla riconferma, alla guida della Commissione di Ursula Von der Leyen che 5 anni fa avete sostenuto?
Anche dalle precedenti dichiarazioni, non solo di Conte, abbiamo chiarito che non avremmo votato Van der Leyen. Rispetto a quanto affermato 5 anni fa la Commissione da lei presieduta ha fatto una vera e propria marcia indietro su alcuni aspetti fondamentali. Aveva garantito che si sarebbe investito sul new green deal, sulla transizione ecologica e digitale, anche prefigurando la possibilità di scorporare le spese dai deficit nazionali. Dopo l’invasione in Ucraina ha deciso invece di scorporare unicamente gli investimenti dalla Difesa, quanto di più lontano dal nostro punto di vista. Von der Leyen aveva anche messo in programma un reddito minimo e un salario minimo; al di là delle direttive, si tratta di aspetti che sono venuti a mancare e che motivano la contrarietà del nostro gruppo ad un suo secondo mandato. Noi siamo coerenti. Molto probabilmente otterrà una sua maggioranza, intervenendo anche sulle ambiguità di Meloni e dei Verdi. Nessuno ha avanzato altre proposte, quindi diamo per scontato che dovrebbe avere i voti per essere rieletta.
Torniamo alla collocazione europea, Come ben sa, sul tema della guerra, o meglio delle guerre, anche in The Left ci sono sensibilità ed accenti diversi. Voi vi siete caratterizzati per un fermo no al riarmo e all’invio di armi in Ucraina. Come pensate di agire tanto per fermare questo conflitto quanto per il massacro in atto in Palestina?
Siamo entrati in The Left con molto rispetto. Su un punto siamo stati chiari: la pace e le modalità per raggiungere la fine del conflitto in Ucraina e in Medio Oriente. Vorremmo convincere i nostri compagni a non sostenere l’invio di armi in Ucraina. Di pari passo, il riconoscimento di tutta l’Ue dello Stato di Palestina, così come ribadito dopo la vittoria da Mélenchon anche dopo il suo grande risultato elettorale, costituirà altra chiave identitaria gruppo The Left.
Da ultimo un tema che divide le sinistre in Ue è quello del diritto d’asilo e di come confrontarsi con le migrazioni. Un tema strutturale, su cui in passato avete, come M5s ricevuto critiche. Come pensate si possa e si debba agire in un quadro europeo, su questi temi?
Per chiarire la nostra posizione noi abbiamo espresso il voto contrario all’ultimo Patto sull’immigrazione, presentato in primavera in Parlamento. Io credo che dovremmo ragionare con lo stesso approccio con cui ci muoviamo sull’economia. Un approccio collettivo, basato su una reale solidarietà europea, che riveda il regolamento Dublino. Il Patto è arrivato quando eravamo agli sgoccioli, con criteri finti e privi di prospettiva. Sappiamo che la destra xenofoba ha guadagnato consensi utilizzando l’immigrazione. Ma è accaduto perché non si fanno proposte adeguate. Ci sarebbe molto da ragionare, ma se ad esempio si partisse dal salario minimo legale, i primi a beneficiarne sarebbero le lavoratrici e i lavoratori migranti, Sono loro quelli, che per condizioni di precarietà pagano per primi le ingiustizie attuali. Una adeguata politica salariale sarebbe importante per parlare anche a loro, per offrire una risposta giusta.
L’autore: Stefano Galieni è giornalista, politico ed esperto di immigrazione
Intervista realizzata in collaborazione con Transform Italia