Visibili e invisibili ma soprattutto croniche. Sono le patologie di cui in Dietro l’angolo (Giraldi Editore), si è occupata Paola Boldrini – cui si deve l’inserimento della Medicina di Genere nel Sistema Sanitario Nazionale, legge 3 del 2018, – oggi vice presidente dell’Intergruppo Parlamentare su diabete, obesità, malattie croniche non trasmissibili e già vice presidente della Commissione sanità in Senato oltreché fondatrice, con il deputato Nicola Provenza (M5Stelle), nel 2021, dell’Intergruppo parlamentare sulla cronicità: non mantenuto dall’attuale governo, era nato dalla consapevolezza che l’interesse su determinate patologie, con la pandemia, era sceso sotto le scale di cantina.
L’intergruppo aveva una doppia ambizione: ricordare che ci sono malattie non mortali che durano per tutta la vita e presidiare l’aggiornamento del piano della cronicità, fermo dal 2016, di cui proprio ora si torna a parlare, con una stesura – ancora non ufficiale – che vedrebbe l’inserimento di nuove patologie come obesità, epilessia, endometriosi. Da quell’esperienza era nato nel 2023 un testo, “La cronicità al tempo del Covid”, una sorta di dossier con lo stato dell’arte e le linee guida da seguire che Boldrini e Provenzano avevano presentato alla Camera e consegnato al ministero della Sanità. Anche questo, pare, rimasto parcheggiato sulle scrivanie del dicastero. Eppure sono 24 milioni gli italiani che soffrono di almeno una patologia cronica. E se la malattia oncologica è destinata ad aumentare, lo stesso vale per quella cronica. In entrambi i casi contribuiscono la denatalità e l’invecchiamento progressivo della popolazione. «La riflessione sulla cronicità deve essere uno degli assi portanti della sanità pubblica – ripete Boldrini – , diversamente il sistema sanitario e socio assistenziale rischia di scoppiare senza riuscire a farsene carico».
Boldrini, che sempre si è occupata anche di malattia oncologica, ed è componente del cda di Europa donna Italia ha così raccolto le testimonianze di 9 presidenti di associazioni di pazienti con cui negli anni ha lavorato per costruire percorsi legislativi. Tra le patologie ha selezionato quelle per incidenza più impattanti sulla popolazione e su cui sussiste lo stigma. Perché in effetti, in un Paese come il nostro che tra marketing e sensibilizzazione accende spesso nelle piazze luci di diverso colore, i pregiudizi e la scarsa conoscenza fanno la loro parte. Alcuni esempi: fino a non molto tempo fa chi soffriva di cefalea veniva considerato uno che non aveva voglia di lavorare o faceva poco sesso, soprattutto se donna; i diabetici che nei bagni dei luoghi pubblici si somministravano l’insulina erano additati come tossici; gli psoriasici venivano trattati come poco meno che lebbrosi; le fibromialgiche – questo ancor oggi – soggetti psichiatrici; gli emofiliaci, individui che con un taglio possono morire dissanguati, quindi meglio evitarli. E così via. Il tutto, ovviamente, senza distinzione di genere.
Scrive Boldrini nell’introduzione: «Desideravo fare il punto sulle patologie non ritenute prioritarie e che per questo creano rabbia e frustrazione in chi ne è affetto. Purtroppo in Italia ci sono malattie di serie A e di serie B. Le prime sono quelle che mettono a rischio la vita, le seconde ne penalizzano “solo” la qualità e quindi meritano minore attenzione. Sono invece quelle che rischiano di fare saltare l’impianto del welfare, per le implicazioni che hanno anche sul mercato del lavoro. Se è fuori dubbio che una buona sanità ha priorità legate all’aspettativa di vita, lo è altrettanto che il diritto di cura è costituzionalmente garantito. Nel diritto di cura stanno l’ascolto, il rapporto di fiducia medico-paziente, la scienza, la cultura, l’umanizzazione delle cure». Temi, tutti, che si scontrano con un sistema sanitario pubblico sempre più aziendalista, dove i tempi di visita sono ridotti a 15 minuti per cui è difficile valutare la storia medica pregressa – o anche recente – del paziente, praticamente costretto a selezionare la descrizione dei suoi sintomi». Dietro l’angolo non è la biografia di un politico che racconta cosa ha fatto, semmai quella di Paola Boldrini è in fondo la prima o la decima testimonianza, tra le altre. Nel testo racconta infatti per la prima volta pubblicamente di essere stata colpita dal tumore due volte, di sapere cosa significa sottoporsi alla chemioterapia, alla radioterapia, all’iter dei controlli, acquistare una parrucca da indossare, vivere con lo spettro della recidiva. Spiega anche il perché mai da parlamentare in ruolo ha voluto rivelare la sua condizione. «Non volevo l’attenzione su di me, volevo usare solo gli strumenti a mia disposizione. Non volevo essere l’esempio di chi “ha vinto”, “ce l’ha fatta”, “ha sconfitto il cancro”. E’ una narrazione che non apprezzo. Quindi ho fatto come tutti. Mi sono curata, ho continuato a lavorare, mi sono dedicata al libro». La prefazione è di Livia Turco, antesignana del riconoscimento della medicina di genere, che scrive. «L’universalismo concreto è quello che riconosce le differenze e le diseguaglianze ed attiva interventi mirati e differenti per prenderle in carico. È quello che “va incontro” alle persone e “scopre” le malattie, il disagio, le sofferenze ed attiva interventi mirati. Paola è molto consapevole del valore di questa sfida dell’universalismo nella presa in carico e nelle cure che decide di occuparsi, nel corso degli anni, di quelle tante patologie sulle quali ancora sussiste disinteresse o stigma che creano rabbia e frustrazione in chi ne è affetto. Malattie nascoste, considerate non centrali, eppure così diffuse e causa di grandi
sofferenze».
Ogni capitolo del libro di Paola Boldrini si apre con una scheda sui dati della singola patologia e sullo stato di riconoscimento della stessa. Seguono le testimonianze. Protagoniste sono Antonella Celano, artrite reumatoide (Apmarr, LECCE), Valeria Corazza, psoriasi (Apiafco BOLOGNA), Valentino Orlandi, talassemia (Rino Vullo, Ferrara, Cristina Cassone, emofilia (FedEmo, Milano), Barbara Suzzi, fibromialgia (Cfu- Italia, Bologna), Monica Priore, diabete (FederDiabetici Puglia), Giuseppe Marinò, ipovedenti (Bii Onlus, Treviso), Lara Merighi, cefalea (Al.Ce.Ets), Claudia Sant’Angelo, cancro allo stomaco (Vivere senza stomaco si può, Ferrara), Mario Barlomei, professionista e Direttore della Scuola di Etica Medica Fnomceo di Rimini, che narra il difficile percorso dei giovanissimi medici in un Sistema sanitario che, come ha insegnato il Covid, nel loro percorso di formazione pretende le competenze degli strutturati e dà loro la pacca sulle spalla che si dà per incoraggiare gli studenti.
L’autrice: Camilla Ghedini è giornalista e collaboratrice di Left