La risposta di piazza alla provocazione del ministro Musumeci che chiedeva un celebrazione sobria dell’ottantesimo della Liberazione è stata forte e chiara: cortei e manifestazioni che hanno visto la partecipazione di migliaia di persone in molte parti d’Italia.
Dopo aver provato ad aduggiare la ricorrenza del 25 aprile imponendo 5 giorni di lutto nazionale per la morte del papa, senza riuscirci, la presidente del Consiglio ha abbozzato un timido: “Oggi l’Italia celebra l’ottantesimo anniversario della Liberazione. In questa giornata, la Nazione onora la sua ritrovata libertà e riafferma la centralità di quei valori democratici che il regime fascista aveva negato e che da settantasette anni sono incisi nella Costituzione repubblicana”.
Frasi vaghe, involute – commenta lo storico Davide Conti – che lasciano pensare che il fascismo sia stato una parentesi nella storia mentre intanto si cerca di cambiare la Costituzione antifascista. In attesa di poter dialogare dal vivo con lui il 27 aprile (alle 10,30) alla Festa della Resistenza di Roma nello storico quartiere di San Lorenzo, gli abbiamo rivolto qualche domanda sul suo ultimo libro Roma in armi (Carocci editore): rigorosa e scientifica ricostruzione della Resistenza romana, che restituisce dignità alla Capitale, attraverso il racconto puntuale della coraggiosa azione rivoluzionaria compiuta dai gappisti, sostenuti dai romani delle borgate.
Un libro che affonda le radici in una lunghissima ricerca di Conti e che nel 2018 portò al conferimento da parte del presidente Mattarella della medaglia al valor militare a Roma e che ora sfocia nella creazione di un portale dedicato alla Resistenza di Roma (con fotografie, video, documenti, dati, biografie) realizzato con fondi europei, dallo stesso Conti con il regista Aldo Di Russo.
Dopo l’armistizio, o per meglio dire la resa dell’8 settembre 1943, dopo le grandi perdite di Porta San Paolo e di altri tentativi di scontro frontale con i nazifascisti, a Roma per iniziativa della meglio gioventù – ragazzi e ragazze cresciuti sotto il fascismo, ma che il regime non era riuscito ad accecare – nacquero coraggiose forme di guerriglia contro la guerra totale perpetrata dai nazifascisti fatta di stragi, deportazioni, fucilazioni, prigioni e stanze di tortura.
Nonostante l’assoluta sproporzione di forze, i gruppi di azione patriottica del partito comunista, del partito socialista e delle squadre del partito d’azione, nella Roma occupata dai nazifascisti nel 1943 e 1944 organizzarono una suddivisione della città in 8 aree e dettero vita a comizi a sorpresa e ad azioni di guerriglia urbana. Nel libro Roma in armi, Davide Conti, con un approccio documentario rigoroso, ne ricostruisce minuziosamente la mappa e ce ne offre una chiave interpretativa.
Davide Conti come si è sviluppato questo tuo lavoro nato dall’incrocio di una mole impressionante di documenti: fogli clandestini dei partiti antifascisti, rapporti della questura e della polizia fascista, archivi giudiziari, giornali d’epoca, fonti orali?
Tutto è cominciato con il lavoro di ricerca che mi fu commissionato dall’Anpi di Roma. Mi fu assegnato l’incarico di fare una ricerca su queste fonti nuove con l’obiettivo di presentare poi un report, una sorta di perizia documentale sulla resistenza romana, su tutte le sue azioni militari e non, da presentare al Ministero. Accadeva nel 2016. Nel 2018 questo iter è andato a buon fine, ha passato il taglio del ministero della Difesa e quindi il presidente della Repubblica Mattarella ha firmato il conferimento della medaglia a luglio 2018 alla città di Roma. Questo libro scaturisce proprio da quella ricerca. Ho utilizzato una pluralità di fonti ponendo il focus sulle azioni militari e di guerra, che non avevano avuto il giusto riconoscimento.

C’è un grande rimosso nella storia riguardo alla resistenza romana. All’indomani della fine della guerra sulla città è stata stesa una coltre di oblio perché quasi immediatamente tornò ad essere la capitale politica del Paese, conservatrice, democristiana. Divenne la capitale del cattolicesimo che era sempre stato ostile a una vicenda emblematica della resistenza armata dentro la città come quella di via Rasella. Questi due elementi immediatamente dopo la fine della guerra bloccarono la svolta storica. Inoltre i quartieri popolari subirono una pesantissima punizione da parte delle truppe tedesche per la loro osmosi con la resistenza armata. La loro storia è stata per decenni disconosciuta proprio per queste ragioni. Basti dire che il Quadraro venne rastrellato il 17 aprile del 1944 perché considerato un “nido di vespe”, cioè luogo in cui i partigiani trovavano rifugio, accoglimento, cure mediche, cibo, sostegno e il riconoscimento della medaglia al valore civile al quartiere è arrivata solo negli anni 2000. Per decenni quella vicenda era stata praticamente cancellata, perché parlare di quel rastrellamento punitivo della popolazione avrebbe significato porre all’ordine del giorno della discussione sulle ragioni per cui era avvenuto
Perché il quartiere del Quadraro fu rastrellato?
Per le stesse ragioni per cui dieci giorni prima erano stati rastrellati con altrettanta violenza al quartiere di Centocelle, la zona di Borgata e Gordiani, tutta la cosiddetta ottava zona della periferia est della città, perché quella zona era il naturale habitat della Resistenza. Da qui il disconoscimento e l’oblio sulla Resistenza romana che ha portato anche all’oblio delle vittime della violenza nazista su Roma, fatto ancor più grave.
Proprio su questa negazione della storia si innesta la clamorosa uscita di La Russa su via Rasella dove, a suo dire, furono uccisi degli anziani musici e non delle SS e quella di Meloni sulle Fosse Ardeatine ( “Furono uccisi perché italiani”) fino al suo attacco strumentale al Manifesto di Ventotene?
Tutto ciò fa parte di questo tentativo di torsione della verità storica che è tipico di quello che nella storiografia viene chiamato l’uso pubblico della storia. Lo si fa non tanto per chiudere i conti con quel passato, ma per utilizzarli per governare il presente, per legittimare le scelte che si operano oggi. Attraverso la contestazione della Resistenza, contestano la radice resistenziale della Costituzione, ponendo così all’ordine del giorno la possibilità di cambiare la Costituzione, perché se si contesta la sua radice si può anche procedere al cambiamento del suo esito finale, ovvero la Carta, che infatti è l’obiettivo politico di questo governo che non ha mai riconosciuto l’antifascismo come radice storica della Costituzione.
E arriviamo così al ministro Musumeci che ha chiesto”un 25 aprile sobrio” per la morte del papa. In questo quadro Meloni ha abbozzato qualche frase del tipo: “Onoriamo valori democratici negati da fascismo”. Come definirle?
Frasi vaghe, involute. Posta di fronte all’obbligo – almeno da protocollo – di esprimersi pubblicamente sul tema la Meloni, dopo molte uscite assolutamente non congrue al suo ruolo di presidente del Consiglio, ieri ha provato ad accennare qualcosa, senza specificare. Ha cercato di formulare un concetto, ma sempre in maniera assolutamente inefficace, insufficiente nei fare i conti con la storia. Il fascismo non aveva soltanto “conculcato” le libertà dello Stato liberale. E’ accaduto molto altro. Il fascismo aveva costruito un modello oppressivo e liberticida che è stato completamente rovesciato dalla Costituzione antifascista. Questo è il nuovo! Se non si affronta tutto ciò si rischia di rappresentare il fascismo come qualcosa che al più interrotto lo sviluppo storico della democrazia liberale, si ritorna – al massimo – alle tesi di Benedetto Croce del fascismo come parentesi. Invece purtroppo il fascismo è qualcosa di profondamente e intrinsecamente legato alla società italiana al punto tale che gli eredi della Repubblica di Salò, gli eredi dell’Msi, a loro volta eredi dell’RSI, sono oggi al governo e possono permettersi di esserlo senza abiurare al senso del fascismo.
Come si deduce da provvedimenti come il decreto sicurezza e il progetto di premierato che impongono alla democrazia una torsione autoritaria?
Autonomia differenziata, premierato e decreto legge sulla sicurezza sono tre elementi assolutamente evidenti di questa torsione autoritaria che si coniuga con il ritorno nello spazio pubblico dell’idea della guerra come qualcosa di assolutamente ormai normale, assolutamente ordinario, che naturalmente incide sulla vita delle persone non solo per la politica di morte che esprime, ma anche per le condizioni oggettive di vita, di conversione dell’economia in economia di guerra, che significherà perdita di posti di lavoro, peggioramento delle condizioni di vita delle persone e quindi ulteriore impoverimento e allargamento della forbice della disuguaglianza.
Qui l’introduzione al libro Roma in armi (Carocci)
Qui l’articolo di Davide Conti su Left di aprile Chi ha paura dell’articolo 11
In foto WP: Militari fascisti della R.S.I. prendono parte al rastrellamento di civili davanti a Palazzo Barberini, a seguito dell’attentato di via Rasella del 23 marzo 1944: alcuni dei fermati saranno poi trucidati alle Fosse Ardeatine





