La rivista americana Time ha selezionato le 100 foto più influenti e ha dato vita al progetto 100photos, una collezione di cento scatti attraverso i quali rivivere i cambiamenti storici, le conquiste, le tragedie e le sconfitte vissute da quando nel 1826 il mondo scoprì il potere straordinario dell’immagine fotografica. L’impresa ovviamente ha dello straordinario se si considera che, arrivati al 2016, dopo ben 190 anni di storia, le immagini di cui siamo in possesso sono milioni e una selezione fra tutte è decisamente qualcosa di epico. Ma come si determina quanto uno scatto è influente? I redattori e i photoeditor di Time hanno scelto di confrontarsi con migliaia di fotografi, esperti, amici, famigliari anche per raccogliere quante più idee e testimonianze possibili in modo da essere sicuri di redigere un elenco di 100 foto che fosse rappresentativo. Il risultato di tutto questo è raccolto su 100photos.time.com con gallery, testimonianze, video e interviste e pubblicato in un volume speciale e in parte sul numero cartaceo della rivista di questa settimana. «Non esiste una formula che definisca con certezza una foto influente» hanno spiegato Ben Goldberger, Paul Moakley e Kira Pollack curatori del progetto «alcune immagini sono state inserite nella nostra lista perché erano le prime del loro genere, altre perché hanno ridefinito il nostro modo di pensare e vedere la realtà. Altre ancora perché hanno determinato un taglio netto con quello che c’era prima e cambiato il nostro modo di vivere. La cosa che sicuramente condivido queste fotografie è l’essere 100 parti e punti di svolta nella nostra esperienza umana». Assemblando la collezione Goldberger, Moakley e Pollack hanno inoltre notato un altro aspetto in comune fra questi scatti: il fotografo doveva esserci, essere lì sul posto, testimone di un fatto che avveniva in un luogo specifico, ma che poi grazie all’immagine veniva diffuso in tutto il mondo. Questo era vero per Alexander Gardner quando partito con la sua camera oscura trainata da cavalli per fotografare la battaglia di Antietam nel 1862, ma anche per David Guttenfelder, il primo fotografo professionista al mondo a postare uno scatto su Instagram mentre si trovava in Corea del Nord nel 2013. Vengono allora in mente le parole di James Nachtwey, fotoreporter che ha dedicato la sua vita all’ “essereci”, quando, qualche anno fa parlando del suo lavoro, ha detto: «si continua ad andare avanti, a inviare immagini, perché le immagini hanno il potere di dare vita ad un'atmosfera in cui il cambiamento è possibile. Mi sono sempre aggrappato a questo».

1945, la fine del Terzo Reich

battaglia-di-berlino «Alla fine trovai il punto perfetto e dissi al soldato che era con me: Alyosha, arrampicati là!» racconta così Yevgeny Khaldei di come ha scattato una delle foto che più sono rimaste impresse nel nostro immaginario. Yevgeny aveva atteso 1400 giorni al seguito dell’esercito russo per poter imprimere sulla pellicola un’immagine come quella che scattò il 2 maggio 1945 fra le rovine di una Berlino ormai conquistata.

1955, il cadavere di Emmett Till che mise l’America faccia a faccia con il razzismo

time-100-influential-photos-david-jackson-emmett-till-46 Emmett Till era un ragazzino nero di Chicago, nell’estate del 1955 si recò in Mississippi per far visita a dei parenti. Un giorno si fermò in una macelleria, Bryant’s, qui incontrò Carolyn, la moglie del proprietario. Una donna bianca. Non si è mai appurato se in quell’occasione effettivamente Emmett flirtò con lei o si espresse in qualche apprezzamento. Quello che è certo è che due giorni dopo il marito della donna, prelevò il ragazzino di colore appena 14enne dalla casa dello zio in cui alloggiava e, assieme ad un amico e complice, picchiò ripetutamente Till, gli sparò, gli cavò un occhio, gli attaccò attorno al collo con del filo spinato la pala di un macchinario usato per lavorare il cotone del peso di oltre 30kg e gettò il corpo senza vita nel fiume Tallahatchie. Till venne ritrovato tre giorni dopo da due pescatori. Una giuria composta interamente da bianchi assolse Bryant e l’amico anche se nessuno dei due aveva un alibi. Quando la madre di Till si presentò per riconoscere il corpo martoriato del figlio ordinò al responsabile delle pompe funebri: «Lasciate che tutti vedano quello che ho visto io». Così lo riportò a Chicago e insistette perché il funerale si svolgesse come una cerimonia pubblica. Decine di migliaia di persone sfilarono a fianco dei resti di Emmett Till, ma fu con la pubblicazione sulla rivista Jet di alcune foto dei funerali che ritraevano la madre accanto al corpo del figlio che l’America si trovò faccia a faccia con l’orrore del razzismo che ancora imperversava e mieteva vittime nelle comunità nere e soprattutto con l’impunità dei bianchi. gorn-004-jetoct13-lg_0

1965, Lennart Nilsson fotografa un feto di 18 mesi

schermata-2016-11-28-alle-15-30-52 Quando Life dedicò nell’aprile del 1965 la copertina al “Drama of Life Before Birth” (Il dramma della vita prima della nascita), la rivista americana vendette in pochissimi giorni una quantità enorme di copie, andando addirittura esaurita. L’immagine di Nilsson era dirompente, faceva breccia nella testa delle persone e soprattutto mostrava per la prima volta come appariva un feto durante lo sviluppo, aprendo una serie di questioni e interrogativi che avrebbero fatto storia.

1989, l’uomo con la busta della spesa che fermò i carri armati

schermata-2016-11-28-alle-14-11-04 Lo scatto storico dopo il massacro di Piazza Tienanmen fu realizzato da Jeff Widener dal balcone del sesto piano del Beijing Hotel. L’uomo diventato un simbolo di resistenza contro i regimi e un eroe non è mai stato identificato.

2001, l'uomo che cade dalle Torri Gemelle

Un uomo si getta dalle torri gemelle colpite da due aerei di Al-Qaeda. La foto scatta da Richard Drew è l’unica in circolazione che invece di concentrare l’attenzione sugli aerei, la pone sulle persone. Su quel salto disperato incontro alla morte nel tentativo di fuggirla.

2011, la Situation Room durante la cattura ed uccisione di Bin Laden

schermata-2016-11-28-alle-15-08-08 schermata-2016-11-28-alle-15-09-27 Lo scatto realizzato da Pete Souza ha fatto storia.

2015, Alan Kurdi

La foto della morte in un naufragio del piccolo Alan Kurdi, bambino siriano di 3 anni, è diventata il simbolo della tragedia dei migranti e ha portato all’attenzione del mondo la guerra civile che si sta combattendo in Siria. La foto scattata da Nilüfer Demir nel giro di poche ore fece il giro dei social media diventando estremamente virale in tutto il mondo. Media e giornali travolti dalla forza di quest’immagine hanno aperto anche un dibattito sul fatto che fosse giornalisticamente o meno opportuno pubblicare la foto. Qui tutte le foto selezionate da Time, i video e le storie che si nascondo dietro gli scatti.

La rivista americana Time ha selezionato le 100 foto più influenti e ha dato vita al progetto 100photos, una collezione di cento scatti attraverso i quali rivivere i cambiamenti storici, le conquiste, le tragedie e le sconfitte vissute da quando nel 1826 il mondo scoprì il potere straordinario dell’immagine fotografica. L’impresa ovviamente ha dello straordinario se si considera che, arrivati al 2016, dopo ben 190 anni di storia, le immagini di cui siamo in possesso sono milioni e una selezione fra tutte è decisamente qualcosa di epico. Ma come si determina quanto uno scatto è influente? I redattori e i photoeditor di Time hanno scelto di confrontarsi con migliaia di fotografi, esperti, amici, famigliari anche per raccogliere quante più idee e testimonianze possibili in modo da essere sicuri di redigere un elenco di 100 foto che fosse rappresentativo. Il risultato di tutto questo è raccolto su 100photos.time.com con gallery, testimonianze, video e interviste e pubblicato in un volume speciale e in parte sul numero cartaceo della rivista di questa settimana.
«Non esiste una formula che definisca con certezza una foto influente» hanno spiegato Ben Goldberger, Paul Moakley e Kira Pollack curatori del progetto «alcune immagini sono state inserite nella nostra lista perché erano le prime del loro genere, altre perché hanno ridefinito il nostro modo di pensare e vedere la realtà. Altre ancora perché hanno determinato un taglio netto con quello che c’era prima e cambiato il nostro modo di vivere. La cosa che sicuramente condivido queste fotografie è l’essere 100 parti e punti di svolta nella nostra esperienza umana».
Assemblando la collezione Goldberger, Moakley e Pollack hanno inoltre notato un altro aspetto in comune fra questi scatti: il fotografo doveva esserci, essere lì sul posto, testimone di un fatto che avveniva in un luogo specifico, ma che poi grazie all’immagine veniva diffuso in tutto il mondo. Questo era vero per Alexander Gardner quando partito con la sua camera oscura trainata da cavalli per fotografare la battaglia di Antietam nel 1862, ma anche per David Guttenfelder, il primo fotografo professionista al mondo a postare uno scatto su Instagram mentre si trovava in Corea del Nord nel 2013. Vengono allora in mente le parole di James Nachtwey, fotoreporter che ha dedicato la sua vita all’ “essereci”, quando, qualche anno fa parlando del suo lavoro, ha detto: «si continua ad andare avanti, a inviare immagini, perché le immagini hanno il potere di dare vita ad un’atmosfera in cui il cambiamento è possibile. Mi sono sempre aggrappato a questo».

1945, la fine del Terzo Reich

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«Alla fine trovai il punto perfetto e dissi al soldato che era con me: Alyosha, arrampicati là!» racconta così Yevgeny Khaldei di come ha scattato una delle foto che più sono rimaste impresse nel nostro immaginario. Yevgeny aveva atteso 1400 giorni al seguito dell’esercito russo per poter imprimere sulla pellicola un’immagine come quella che scattò il 2 maggio 1945 fra le rovine di una Berlino ormai conquistata.

1955, il cadavere di Emmett Till che mise l’America faccia a faccia con il razzismo

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Emmett Till era un ragazzino nero di Chicago, nell’estate del 1955 si recò in Mississippi per far visita a dei parenti. Un giorno si fermò in una macelleria, Bryant’s, qui incontrò Carolyn, la moglie del proprietario. Una donna bianca. Non si è mai appurato se in quell’occasione effettivamente Emmett flirtò con lei o si espresse in qualche apprezzamento. Quello che è certo è che due giorni dopo il marito della donna, prelevò il ragazzino di colore appena 14enne dalla casa dello zio in cui alloggiava e, assieme ad un amico e complice, picchiò ripetutamente Till, gli sparò, gli cavò un occhio, gli attaccò attorno al collo con del filo spinato la pala di un macchinario usato per lavorare il cotone del peso di oltre 30kg e gettò il corpo senza vita nel fiume Tallahatchie. Till venne ritrovato tre giorni dopo da due pescatori. Una giuria composta interamente da bianchi assolse Bryant e l’amico anche se nessuno dei due aveva un alibi. Quando la madre di Till si presentò per riconoscere il corpo martoriato del figlio ordinò al responsabile delle pompe funebri: «Lasciate che tutti vedano quello che ho visto io». Così lo riportò a Chicago e insistette perché il funerale si svolgesse come una cerimonia pubblica. Decine di migliaia di persone sfilarono a fianco dei resti di Emmett Till, ma fu con la pubblicazione sulla rivista Jet di alcune foto dei funerali che ritraevano la madre accanto al corpo del figlio che l’America si trovò faccia a faccia con l’orrore del razzismo che ancora imperversava e mieteva vittime nelle comunità nere e soprattutto con l’impunità dei bianchi.

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1965, Lennart Nilsson fotografa un feto di 18 mesi

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Quando Life dedicò nell’aprile del 1965 la copertina al “Drama of Life Before Birth” (Il dramma della vita prima della nascita), la rivista americana vendette in pochissimi giorni una quantità enorme di copie, andando addirittura esaurita. L’immagine di Nilsson era dirompente, faceva breccia nella testa delle persone e soprattutto mostrava per la prima volta come appariva un feto durante lo sviluppo, aprendo una serie di questioni e interrogativi che avrebbero fatto storia.

1989, l’uomo con la busta della spesa che fermò i carri armati

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Lo scatto storico dopo il massacro di Piazza Tienanmen fu realizzato da Jeff Widener dal balcone del sesto piano del Beijing Hotel. L’uomo diventato un simbolo di resistenza contro i regimi e un eroe non è mai stato identificato.

2001, l’uomo che cade dalle Torri Gemelle

Un uomo si getta dalle torri gemelle colpite da due aerei di Al-Qaeda. La foto scatta da Richard Drew è l’unica in circolazione che invece di concentrare l’attenzione sugli aerei, la pone sulle persone. Su quel salto disperato incontro alla morte nel tentativo di fuggirla.

2011, la Situation Room durante la cattura ed uccisione di Bin Laden

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Lo scatto realizzato da Pete Souza ha fatto storia.

2015, Alan Kurdi

La foto della morte in un naufragio del piccolo Alan Kurdi, bambino siriano di 3 anni, è diventata il simbolo della tragedia dei migranti e ha portato all’attenzione del mondo la guerra civile che si sta combattendo in Siria. La foto scattata da Nilüfer Demir nel giro di poche ore fece il giro dei social media diventando estremamente virale in tutto il mondo. Media e giornali travolti dalla forza di quest’immagine hanno aperto anche un dibattito sul fatto che fosse giornalisticamente o meno opportuno pubblicare la foto.

Qui tutte le foto selezionate da Time, i video e le storie che si nascondo dietro gli scatti.