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Il falco Lieberman alla Difesa, Israele sempre più a destra

Erano più di tremila ieri – 30 maggio – i manifestanti scesi in piazza per protestare contro la nomina a ministro della Difesa israeliano del “falco” ultranazionalista Avigdor Lieberman, leader di Yisrael Beitenu (Israele è casa nostra). Nonostante i malumori nella compagine di governo, Benjamin Netanyahu ha spostato ancora più a destra la maggioranza che lo sostiene cedendo addirittura la carica più importante del Paese dopo la sua. Lieberman prende il posto di Moshe Yaalon, l’ex capo di Stato maggiore che si è dimesso proprio a seguito della decisione del premier di aprire all’ultradestra, parlando di «soggetti estremisti e pericolosi» che hanno preso il sopravvento sul Likud.

Nei giorni scorsi aveva lasciato il suo incarico anche il ministro dell’Ambiente Avi Gabai, della destra sociale, che si è detto preoccupato per la sicurezza nazionale e per il rischio che questo cambio al governo contribuisca ad accentuare le differenze tra le classi sociali. «Anziché presentare un governo più moderato in vista delle battaglie diplomatiche del prossimo autunno, Natanyahu dà vita al governo più estremista della storia d’Israele» ha scritto Nahum Barnea in un commento su Yediot Aharonot. Anche la stampa internazionale commenta con preoccupazione la deriva di Israele, «Stato binazionale controllato de facto da estremisti ebrei» (New York Times), criticando la scelta di defenestrare un ministro della Difesa che riscuote consensi sia tra i civili sia tra i militari, dalle cui fila proviene.

Eppure il suo successore, il “moldavo” Lieberman, non gode di altrettanti consensi, almeno non tra le fila dei moderati del Likud. Il suo massimo grado di vicinanza a una battaglia è quando ha schivato una pallina da tennis, ha ironizzato Haaretz, definendolo «un piccolo chiacchierone». “He is back” titola invece l’Economist, sottolineando come l’ex ministro degli Esteri sia tornato al governo più potente che mai. Ha prevalso l’esigenza del premier di ampliare la sua risicata maggioranza (61 seggi su 120) con i 5 membri della Knesset provenienti dalla formazione ultranazionalista e poco importa se proprio Lieberman, in uno dei tanti scontri con Bibi, lo abbia definito «un bugiardo e un truffatore».

Ma la merce di scambio pretesa da Lieberman non è soltanto il posto di governo: intanto all’elettorato di Yisrael Beitenu, pensionati a basso reddito immigrati dall’ex Urss, andranno circa 350 milioni di euro, poi proseguirà il sostegno alle scuole ultra-ortodosse che non insegnano materie “secolari” di base come l’inglese e la matematica.
Ora i destini militari del Paese sono nelle mani dello stesso uomo che in passato ha minacciato l’Egitto annunciando di voler bombardare la diga di Assuan e che ha chiesto di decapitare gli arabi israeliani definendoli traditori.

Il leader nazionalista ha anche elogiato un militare israeliano che ha colpito a morte il suo aggressore palestinese ferito e a terra in attesa di cure mediche. Ma l’annuncio che ora desta preoccupazione è un altro: Lieberman aveva assicurato che appena nominato ministro della Difesa, se Hamas non avesse restituito immediatamente i corpi di due soldati israeliani uccisi nel 2014, avrebbe ordinato l’uccisione del suo leader Ismail Haniyeh entro 48 ore. Comunque vada, per Israele è cominciato un nuovo conto alla rovescia.

Metti una sera una tizia che brucia, in giro per Roma

Sara Di Pietrantonio in una foto tratta dal suo profilo facebook

Ha confessato Vincenzo Paduano, la guardia giurata ventisettenne accusata di essere l’omicida della ex fidanzata Sara Di Pietrantonio, ritrovata semicarbonizzata in via della Magliana a Roma. L’ha bruciata perché era stato lasciato e «Sara aveva un altro» ha dichiarato l’omicida, con l’efferata semplicità di chi non ha il vocabolario del rifiuto ma rimane attaccato all’animalità di chi considera la donna una proprietà privata, mica una persona.

E lascia un grande dolore sapere che, ancora una volta, lei ha dovuto fare i conti nei suoi ultimi attimi di vita con un amore sbagliato che è diventato mostro affilandosi sulla fiducia immeritatamente ottenuta. Ogni femminicidio urla del fardello di un tempo che sembra non basti mai per cancellare i propri vizi peggiori.

Mentre si consuma il dolore (e la solita sete di sangue), mentre ci si augura tutti che il processo assicuri presto giustizia, a Roma due auto stamattina continuano a circolare indisturbate e dentro ci sono i “cittadini” che hanno pensato che non valesse la pena allarmare (e allarmarsi)  per una ragazza che chiedeva aiuto grondando alcool e fiamme in giro per Roma.

Ecco io, davvero, ho paura di quelle persone lì che oggi magari ci capita di incontrare al bar o in metropolitana: persone che sono aria, niente, senza materia e che non si sommano facendo gente. Gente che è diventata così federalista da preoccuparsi al massimo della sicurezza all’interno del proprio abitacolo, che pensa che sia un diritto non fare altro che chiudere le portiere dell’auto dall’interno e dare più gas per allontanarsi velocemente. Persone che hanno un senso di cittadinanza attiva che comincia nel proprio cesso per finire subito al cortile del proprio condominio. Egoismi che condonano i vigliacchi dichiarandoli impauriti. E vigliacchi i politici (Meloni in testa) che li giustificano: tutti eroi con il culo del Saviano di turno e poi in via della Magliana non hanno nemmeno il fegato di chiamare il 113.

Buon martedì.

Eadweard Muybridge il fotografo che “inventò” il movimento

Una grande mostra italiana su Eadweard Muybridge (1830 – 1904), il fotografo che “inventò” il movimento, influenzando con le sue immagini Degas e gli artisti del suo tempo e anticipando la nascita del cinema. A proporla a Milano (fino al 1 ottobre) è la Galleria Gruppo Credito Valtellinese.

Bufalo.  Eadweard Muybridge 1887 © Wellcome Library, Londra
Bufalo. Eadweard Muybridge 1887 © Wellcome Library, Londra

In tutto, l’esposizione raccoglie 80 scatti a cura di Leo Guerra e Cristina Quadrio Curzio, per raccontare l’avventura personale e professionale di Muybridge. Si parte dai suoi celebri nudi che volteggiano sugli attrezzi ginnici, passando poi anche i ruggiti nervosi di un leone, ai passi a quattro zampe di una scimmia, alla corsa di un uomo, fino all’abbraccio di un bimbo e sua madre.

Donna con mazzo di fiori. Eadweard Muybridge 1887 © Wellcome Library, Londra
Donna con mazzo di fiori. Eadweard Muybridge 1887 © Wellcome Library, Londra

Un cavallo che salta un ostacolo.  Eadweard Muybridge 1887 © Wellcome Library, Londra
Un cavallo che salta un ostacolo. Eadweard Muybridge 1887 © Wellcome Library, Londra

Muybridge, inglese emigrato negli States, ebbe si avvicinò per la prima volta alla fotografia quando documentò la potente bellezza del Parco Nazionale di Yosemite. In seguito spinto dalla curiosità cercò di verificare se, durante una corsa al galoppo, ci fosse un momento in cui tutte e quattro le zampe del cavallo fossero contemporaneamente alzate rispetto al suolo, come le aveva dipinte, per esempio, l’artista francese Théodore Géricault nel dipinto Il Derby a Epson (1821).

Donna con bambina. Eadweard Muybridge 1887 © Wellcome Library, Londra
Donna con bambina. Eadweard Muybridge 1887 © Wellcome Library, Londra

Ovviamente il mezzo perfetto per risolvere il dilemma era la macchina fotografica. Così, utilizzando 24 fotocamere collegate ad altrettanti fili lungo il percorso, Muybridge riuscì a ottenne una sequenza di immagini che documentavano con assoluta precisione il movimento dei cavalli. L’esperimentò confermò che per alcuni istanti effettivamente il corpo dell’animale rimaneva, sollevato dal suolo, come sospeso, ma, allo stesso tempo, mostrò anche che il movimento delle zampe era del tutto diversa o da quello che, fino ad allora, avevano immaginato gli artisti nei loro quadri.

Scimmia. Eadweard Muybridge 1887 © Wellcome Library, Londra
Scimmia. Eadweard Muybridge 1887 © Wellcome Library, Londra

«Le fotografie di Muybridge rivelano chiaramente gli errori in cui sono incorsi tutti gli scultori e i pittori quando hanno voluto rappresentare le diverse andature del cavallo» decretò entusiasta il poeta e scrittore Paul Valéry.

Uomo che cammina. Eadweard Muybridge 1887 © Wellcome Library, Londra
Uomo che cammina. Eadweard Muybridge 1887 © Wellcome Library, Londra

Presto le sue foto divennero conosciute e molti artisti, tra i quali Degas, capirono che la fotografia poteva essere, più che un concorrente nella rappresentazione della realtà, una fonte attraverso la quale andare oltre la normale capacità visiva dell’uomo e imparare. Fu così che divenne comune trasporre dalle foto non solo il movimento invisibile all’occhio umano ma anche altri aspetti della realtà, arrivando addirittura talvolta anche a dipingere direttamente sull’immagine fotografica.

«Solo la fotografia ha saputo dividere la vita umana in una serie di attimi, ognuno dei quali ha il valore di una intera esistenza…»

Eadweard Muybridge

Un uomo cammina sulle mani. Eadweard Muybridge 1887 © Wellcome Library, Londra
Un uomo cammina sulle mani. Eadweard Muybridge 1887 © Wellcome Library, Londra

Dopo i cavalli, gli uccelli in volo e il movimento degli animali dello Zoo di Philadelphia, per Muybridge il soggetto principale da immortalare diventò l’essere umano. Famosissimi sono i suoi nudi in movimento, fotografati su uno sfondo con una griglia disegnata, mentre correvano, salivano le scale o portavano secchi d’acqua.
Con la collaborazione dell’Università di Pennsylvania, Muybridge mise a punto lo Zoopraxiscopio, uno strumento simile allo Zootropio, un dispositivo ottico per visualizzare immagini e disegni in movimento, proprio come al cinema.

Leone. Eadweard Muybridge 1887 © Wellcome Library, Londra
Leone. Eadweard Muybridge 1887 © Wellcome Library, Londra

Un volo di cacatua. Eadweard Muybridge 1887 © Wellcome Library, Londra
Un volo di cacatua. Eadweard Muybridge 1887 © Wellcome Library, Londra

Nella mostra oltre agli storici scatti di Muybridge, è stato ricostruito anche il set che egli usava per gli scatti in piano sequenza.

Cavallo al galoppo con cavaliere.  Eadweard Muybridge 1887 © Wellcome Library, Londra
Cavallo al galoppo con cavaliere. Eadweard Muybridge 1887 © Wellcome Library, Londra

Donna che sale le scale. Eadweard Muybridge 1887 © Wellcome Library, Londra
Donna che sale le scale. Eadweard Muybridge 1887 © Wellcome Library, Londra

La gallery è a cura di Monica Di Brigida

A Falluja si combatte Isis. Tutte le guerre che hanno colpito la città irachena (e che non ricordiamo)

Isis battaglia Falluja
EPA/MOHAMMED JALIL

Cannoni iracheni bombardano Fallujah, nell’Al-Anbar. Città orgogliosamente sunnita. E sunnita, nell’Iraq di Saddam Hussein voleva dire borghese, parte della classe dirigente del paese essenzialmente laica. Fallujah, dopo l’invasione “trionfale” iniziata da George W. Bush il 20 marzo del 2003 e le cui “principali operazioni militari” si conclusero, sempre secondo Bush, il primo maggio dello stesso anno, non si piegò al nuovo ordine, al licenziamento dei soldati e dei funzionari del regime, all’uso della maggioranza sciita in funzione anti sunnita, alla presenza ingombrante delle truppe d’occupazione americane. Fallujah divenne così protagonista della seconda guerra d’Iraq, la ribellione. Nel 2004 la feroce uccisione a Fallujah, con lo scempio dei cadaveri, di 4 contractors americani, dipendenti dell’agenzia militare privata Blackwater, scatenò la vendetta degli Stati Uniti. Un quinto delle case totalmente distrutte, i bombardamenti colpirono 60 abitazioni su 100, profanarono 60 moschee, L’esercito a stelle e strisce usò il fosforo bianco. Ecco come funziona: Il fosforo bianco a contatto con l’ossigeno presente nell’aria produce anidride fosforica generando calore. L’anidride fosforica reagisce violentemente con composti contenenti acqua e li disidrata producendo acido fosforico. Il calore sviluppato da questa reazione brucia la parte restante del tessuto molle. Il risultato è la distruzione completa del tessuto organico (Fonte: Wikipedia). L’uso di questa arma chimica, vero crimine di guerra, fu denunciato per la prima volta da un’inchiesta di Rainews24, direttore Roberto Morrione, autori Sigfrido Ranucci e Maurizio Torrealta. In seguito il Pentagono dovette ammetterne l’impiego. Così la ferita di Fallujah andò in cancrena. Militari e artificieri di Saddam si fecero reclutare dall’estremismo sunnita, ordirono attentati e stragi contro moschee e manifestazioni sciite, poi divennero protagonisti della guerriglia contro i governi corrotti che comandavano il paese dal riparo della zona verde di Bagdad. Infine si proposero come istruttori e capi militari del Daesh.
In queste ore Fallujah è di nuovo sotto attacco. L’esercito iracheno, con il supporto americano, entra in città, una città che ha perso i due terzi degli abitanti. Sono rimaste alcune decine di migliaia di disperati, assediati, umiliati dal terrore dell’Isis. Si scoprono i tunnel, un vero reticolo di buchi sotterranei, scavati dai terroristi  per poter salvare le proprie vite e portare la morte altrove. Sgozzando con un coltello, falciando innocenti come al Bataclan, taglieggiando le popolazioni a secondo della loro religione, o delle voglie sessuali degli aguzzini, o semplicemente in nome di quella follia che ricorre nel rantolo mortale di ogni terrorismo.
Falluja rinascerà. Mosul, sotto attacco dei Peshmerga curdi, tornerà un luogo di incontri, di pace e preghiera? Speriamo. Le prime vittime del terrorismo islamico sono sempre state le popolazioni islamiche di Siria, d’Iraq, dello Yemen. Noi occidentali, abbiamo usato gli assassini, o abbiamo girato la testa altrove fingendo di non vedere. Fallujah ha bisogno di pace, Mosul ha bisogno di pace. Di tolleranza religiosa, di aria fresca, e quindi di libertà.

Luigi Ferrajoli esprime preoccupazione per la situazione brasiliana. Ecco il video

Sull’impeachment contro Dilma Rousseff e la delicata questione brasiliana, dall’Italia, interviene Luigi Ferrajoli. Con un video pubblicato su facebook dalla pagina creata e gestita dai suoi fan sudamericani, il professor Ferrajoli esprime preoccupazione per un processo che potrebbe «essere strumentalizzato a fini politici e di parte».

«Tutti noi abbiamo sempre ammirato l’enorme progresso che si è sviluppato in Brasile in questi anni: crescita economica ma soprattutto crescita democratica, culturale, politica», continua il giurista. «Il Brasile rappresenta per molti di noi un punto di riferimento per la sua Costituzione molto avanzata e non vorremmo, e temiamo, che questa strumentalizzazione possa interrompere questo processo».

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Sono trascorsi già 18 dei 180 giorni che Dilma ha a disposizione per difendersi. E, adesso, sulla graticola rischia di andarci il presidente ad interim Michel Temer. Il vice di Dilma, che ha preso il posto di Dilma, grazie all’impeachment.

Sara e le altre. Sono oltre 450 i femminicidi negli ultimi tre anni

Per terra, tra i cespugli, un corpo senza vita,  lungo via della Magliana, oltre lo svincolo per il Grande raccordo anulare. È morta così, semicarbonizzata, per mano del suo ex fidanzato Vincenzo Paduano, guardia giurata di 27 anni, che ha confessato. A 200 metri l’auto ancora avvolta dalle fiamme. La mattina seguente alla notte tra il 29 e il 30 maggio, la Capitale si sveglia così, con l’ennesimo caso di cronaca che supera la peggiore delle fantasie. Sara Di Pietrantonio, 22 anni, studentessa universitaria, è la 17esima vittima di femminicidio dall’inizio dell’anno, stando ai dati costantemente osservati dalla Casa delle donne. I dati che troviamo non sono mai ufficiali, né definitivi, ma se anche fossero “solo” 17 i femminicidi da inizio 2016, vorrebbe quasi uno alla settimana. E nel 2015 se ne sono contate 128 di donne uccise prevalentemente dal marito o dal compagno.

Che questi omicidi si consumino in ambienti criminali  o tra le pareti domestiche, resta il fatto che il “fattore donna” è in crescita nel totale degli omicidi: ancora secondo Eures, il 31,9% nel 2014, un netto aumento rispetto a 25 anni fa quando i delitti di donne erano l’11,1% del totale. Dal 2013, inoltre, 11.423 donne sono state violentate, 21.272 picchiate e 78.106 vittime di lesioni.

Su questo scottante tema è intervenuto, lo scorso 18 maggio, il ministro Alfano: «Tra il 2013 e il 2016 in Italia le vittime di femminicidio sono state 452, l’8,5% in meno del triennio precedente», ha detto. Eppure le associazioni femminili si dicono preoccupate per i dati che ritengono «allarmanti e sottostimati». Secondo il rapporto Il costo di essere donna-indagine sul femminicidio in Italia, elaborato dalle volontarie della Casa delle donne a uccidere sono i mariti nel 22% dei casi, ex nel 23%, compagni o conviventi nel 9%, infine i figli nell’11% dei casi.

Ancora, secondo l’Osservatorio nazionale dello stalking (attivo dal 2007) un’alta percentuale di omicidi è preceduta da atti persecutori e molestie.

Alla Camera, depositata l’11 maggio, giace una proposta di legge su “Femminicidio e crimini domestici”, per tutelare gli orfani e i familiari della vittima. Perché, ad oggi, la legge italiana prevede che un uomo che ha ucciso la moglie, o viceversa, non viene automaticamente escluso dall’eredità della vittima. E per escludere il genitore omicida dalla successione, i figli sono costretti a intentare una costosa causa civile nei suoi confronti e vincerla.

Per molti mesi, inoltre, il Dipartimento Pari Opportunità è rimasto senza un responsabile – fatto di cui si sono lamentate spesso le associazioni e gli operatori dei centri antiviolenza -. Soltanto il 10 maggio scorso il presidente del Consiglio ha affidato a Maria Elena Boschi la guida del Dipartimento.

Stampe, libri e manifesti. I capolavori della British Library online

La British Library ha messo a disposizione su Flickr, quindi in forma completamente gratuita, più di un milione di immagini contenute in oltre 65mila volumi, pubblicati dal 1600 a oggi.
Mappe, disegni, illustrazioni, lettere scritte a mano, diagrammi, cartoni, poster. Chiunque può scegliere da questo sterminato catalogo e utilizzare a proprio piacimento il materiale raccolto.

David Hume, "The history of England...", R. Scholey, London, 1818, pp.81
David Hume, “The history of England…”, R. Scholey, London, 1818, pp.81

Il progetto è partito nel 2013. La libreria ha creato una sorta di “curatore elettronico” che seleziona le immagini dal catalogo digitale e le pubblica, una ogni ora, sul proprio profilo twitter. «La risposta degli utenti è stata straordinaria – ha detto Ben O’Steen, a capo della sezione tecnica della British Library e ideatore del sistema di pubblicazione automatica attraverso i social network. Al momento la collezione di immagini è stata visitata da qualcosa come 267 milioni di utenti, con 400mila tag aggiunti su Flickr.

Nils Adolf Erik - Baron Nordenskiold, "Vegas färd kring Asien och Europa...", Stocholm, 1880, pp.262
Nils Adolf Erik – Baron Nordenskiold, “Vegas färd kring Asien och Europa…”, Stocholm, 1880, pp.262

L’opera, dal nome Crossroads of Curiosity, è stata esposta al Burning Man Festival ed è attualmente nella piazza fuori della libreria. Inevitabilmente, c’è anche chi ha pensato di “ritoccare” alcune di queste immagini in maniera divertente con Photoshop. Ha ammesso di averlo fatto anche lo stesso Ben O’Steen.

James Captain Low, "A dissertation on the soil & agriculture of the British Settlement of Penang", Singapore, 1836, pp.32
James Captain Low, “A dissertation on the soil & agriculture of the British Settlement of Penang”, Singapore, 1836, pp.32

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Il ministro di Renzi difende il Ttip. E il governo spinge le famiglie in Borsa

Che il ministro Carlo Calenda, fresco di nomina, fosse un sostenitore del Ttip non è cosa che non si sapesse. Anzi. Non stupisce quindi che negli ultimi giorni, prima sull’Espresso e poi sul Corriere abbia difeso il trattato: «L’Italia», dice, «è uno dei Paesi che beneficerebbe in misura maggiore dell’accordo di libero scambio tra Europa e Stati Uniti». Per il ministro contano le ragioni delle multinazionali e del mercato, più che le questioni di sicurezza alimentare o di concorrenza a ribasso, soprattutto sui prezzi e quindi sui salari, sollevate dai critici: «Il trattato», continua, «ha l’obiettivo di ridurre i dazi e le barriere non tariffarie che gravano sulle esportazioni sia americane sia europee. È facile immaginare cosa significhi per un’economia come quella italiana che poggia, per esempio, sull’export agroalimentare e tessile. L’accordo eliminerebbe quei picchi tariffari e non tariffari che arrivano a pesare fino al 40% sul costo di un bene».

Non si cura neanche delle polemiche sulla scarsa trasparenza delle trattative, come dimostrato dalla fuga di notizie avuta grazie a Greenpeace qualche settimana fa. Né gli interessa replicare a chi dice che la tardiva informazione immaginata per i nostri parlamentari, almeno, oltre che tardiva, appunto, sia quasi offensiva, oltraggiosa con gli eletti del popolo che potranno leggere le carte solo in inglese, solo per un’ora a testa, senza poter fotocopiare, fotografare né trascrive alcuna parola. Potranno solo ricordare e prendere schematici appunti su informazioni che comunque non potranno divulgare per un patto di riservatezza: «Se le trattative falliranno», dice l’incurante Calenda, «perderemo un’occasione di crescita straordinaria, ma soprattutto la possibilità di definire regole e standard avanzati e globali da fare valere verso quei Paesi che non accettano regole uguali per tutti gli attori della globalizzazione. Inoltre significa accumulare da parte europea un ritardo».

La difesa del Ttip arriva così insieme all’annunciato decreto sulla competitività che i tecnici di palazzo Chigi stanno limando in queste ore. È chiara l’impostazione che potremmo definire americana, anche qui. È un segno del governo, dunque. Il provvedimento dovrebbe uscire dal Consiglio dei ministri di domani, presieduto da Matteo Renzi, insieme alle già pronte norme per limitare gli abusi nell’utilizzo dei voucher (gli abusi, non la diffusione – si noti bene). Tra le misure della competitività ci sarebbe una detassazione sul risparmio privato spostato dai conti e dai materassi verso piani di investimento a medio-lungo periodo in imprese con un fatturato fino a 300 milioni. Il governo insomma, come titola giustamente il Secolo XIX, vuole così spingere le famiglie in Borsa.

Dove è finito il ceto medio? Caffè del 30 Maggio

Rassegna stampa di lunedì 30 maggio. Si parla degli sbarchi, dei 700 morti e fra loro 40 bambini, delle persone salvate dalla marina, dell’intenzione del Viminale di spalmare gli arrivi in tutte le province. Diamanti e Repubblica spiegano che un quarto degli italiani si sente impoverito e declassato per via della crisi. Il Corriere propone il dubbio di Gianni Cuperlo: che ci sto a fare nel Pd?

Povera Italietta attaccata ai marò

Non si può non essere d’accordo con Renzi quando dice che sulla vicenda dei marò e del loro ritorno in Italia forse sarebbe il caso di tenere un basso profilo. Non solo perché mentre qualcuno li ha trasformati in nuovi santini destrorsi ci sono due pescatori uccisi che meriterebbero un processo (e che però sono indiani, con la pelle scura e quindi poco interessanti) ma anche perché il compito italiano è garantire un processo giusto e non un’assoluzione per superiorità di razza.

Per questo la proposta che sfilino alla parata del 2 giugno è un’idea balorda che disegna perfettamente il momento storico di un veteronazionalismo che non ha nemmeno più esempi spendibili: credere che i marò siano portatori sani dell’onore di essere semplicemente italiani forse è un’offesa per i militari italiani (moltissimi, anzi quasi tutti) che non sono accusati di omicidio. Questa destra passita e salvinistica non è nemmeno più in grado di parteggiare per il diritto e scivola continuamente nel patetico protezionismo.

Volere un processo giusto per Massimiliano Latorre e Salvatore Girone significa volere giustizia anche per Ajeesh Pink e  Valentine che sono rimasti uccisi perché scambiati per pirati. E forse converrebbe ricordare a tutti che è stata proprio l’Italia a proporre un accordo extragiudiziale di circa 142.000 euro per chiudere la vicenda. Non è in discussione che i due indiani siano morti ma piuttosto resta da stabilire se davvero gli spari dei militari fossero legittimati da una reale situazione di pericolo. I marò, insomma, sono i protagonisti di una vicenda che va chiarita in tutte le sue responsabilità al di là delle vicende formali e procedurali dell’India.

Trasformare Latorre e Girone in coccarde, forse, non conviene nemmeno a loro vista la delicatezza della posizione ma l’italietta che si attacca ai marò è la rappresentazione di una politica che a forza di dovere inventare simboli alla fine si è attorcigliata su se stessa. Il prossimo eroe forse sarà Argo, il cane rimasto in India. Anche perché Donald Trump se l’è ingoiato giusto ieri il solito Salvini.

Buon lunedì.