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Carceri, l’originale idea di vendere il patrimonio pubblico

Che senso ha svendere le carceri storiche come Poggioreale, San Vittore e Regina Coeli? Stando alla dichiarazione del ministro della Giustizia Andrea Orlando l’intenzione del governo sarebbe nobilissima: «C’è bisogno urgente», dice il ministro, «di un modello di carcere diverso, che esca dall’attuale modello ‘passivizzante’, in cui stai in branda e non fai nulla in attesa che passi il tempo della pena». Bene, bravo.

Non si può non esser d’accordo con Orlando: le attuali carceri sono «il presupposto giusto per la futura recidiva, mentre nei Paesi dove il carcere è studio, lavoro, sport la recidiva cala». Esatto. Su Left abbiamo più volte raccontato esempi di carceri all’avanguardia, di Paesi dove far scontare la pena anche per il più odioso dei reati non ha nulla della vendetta. Ma perché la risposta dovrebbe esser vendere le enormi strutture di Poggioreale, San Vittore, Regina Coeli? In che modo vendere queste grandi e centrali strutture pubbliche, e vendere attraverso Cassa depositi e prestiti dovrebbe avvicinarci alla Svezia – per dire?

Anche il dem Luigi Manconi, certo non critico con il governo, dice che forse l’idea non è proprio così lineare, né giusta: «Le condizioni sturtturali di quelle strutture», dice il senatore che in memoria di Pannella ha presentato un ddl per modificare la procedura di richiesta dell’amnistia e dell’indulto, «sono pessime, ma penso che la soluzione debba essere una profonda opera di risanamento, ristrutturazione e manutenzione. Spostargli causerebbe gravi difficoltà per chi deve raggiungerli: familiari, avvocati, personale, associazioni…».

Non serve dunque andare a cercare tra gli oppositori al governo, né scomodare i Radicali veri e propri per ascoltare delle critiche. Ma è nelle parole di Marco Cappato (che per il Radicali è candidato sindaco a Milano, quindi coinvolto per San Vittore) che troviamo il giusto campanello d’allarme: «La proposta del ministro Orlando», dice Cappato, «sembra più rivolta alla speculazione immobiliare che non a rendere vivibili le carceri».

Dovremmo citare pure la forzista Renata Polverini che ricorda come su queste strutture spesso siano state comunque, recentemente, investite importanti risorse. Ma non è neanche quello il punto. Non solo. San Vittore è un carcere dal 1879. Regina Coeli è un convento del 1600 e carcere dal 1881. Poggioreale, il più affollato, è del 1914. Che siano strutture non più adeguate, è evidente. Ma i centri delle nostre città – pur volendo ignorare le ragioni di chi nota l’aggravio logistico per familiari e avvocati nel caso di nuove carceri lontane dall’abitato – siamo sicuri abbiano bisogno di altre “valorizzazioni immobiliari”? Il centro di Roma ha bisogno di allontanare altri ultimi – e altri lavoratori – per accogliere altri turisti e altri immobili di lusso, anche accompagnati da una biblioteca, magari un nido, un modernissimo coworking?

E il problema delle carceri, soprattutto, siamo proprio sicuri si risolva costruendone di nuove? Cosa ne è dei buoni propositi di affrontare l’urgenza di chi – e sono i più – è in carcere in attesa di giudizio? E dell’aumento delle pene alternative? Cosa ne è?

Biblioteche allo stremo. Contro il ministro si dimette il comitato scientifico del Mibact

Biblioteca Girolamini

Lo straordinario patrimonio di biblioteche pubbliche in Italia è ridotto al lumicino, per mancanza di personale e tagli ai finanziamenti. Ma oltre alla crisi ora si aggiunge la beffa. Dei 500 nuovi assunti promessi dal ministero dei Beni culturali ne sono stati reclutati solo 25. Di fronte all’assoluta insufficienza di queste nuove assunzioni (e alla grancassa della politica degli annunci, a cui non seguono i fatti) venerdì 27 maggio si sono dimessi quattro autorevoli componenti del Comitato tecnico scientifico nazionale per le biblioteche. Parliamo dell’ordinario di Biblioteconomia Mauro Guerrini, del direttore della Biblioteca nazionale di Firenze Luca Bellingeri, dell’archeologo e docente emerito Paolo Matthiae e di Gino Roncaglia, fra i maggiori esperti italiani di informatica e new media nel settore dell’editoria e dell’insegnamento universitario.

I quattro studiosi hanno rimesso il loro mandato in netto dissenso con l’operato del ministro Dario Franceschini dal momento che il provvedimento intrapreso è così debole da non cambiare di una virgola la grave situazione delle biblioteche italiane, di cui è compromessa la sopravvivenza stessa. Senza contare che – denunciano i professionisti dei beni culturali riuniti in Emergenza cultura – fu lo stesso Dario Franceschini a ridurre le piante organiche a 19.050 unità, per poi bandire un concorso per 500 posti, ora scemati a 25.

Con analogo dissenso verso l’operato del Mibact anche l’ordinario di biblioteconomia Giovanni Solimine, autore di numerosi saggi sul drammatico stato dell’arte della lettura in Italia, si è dimesso dal Consiglio superiore dei beni culturali e paesaggistici. Nella lettera inviata al ministro Dario Franceschini motiva così la sua scelta: «Per una questione così rilevante come l’attribuzione di risorse umane ad un settore ormai giunto al collasso – riduzione degli orari di apertura, scarsa accessibilità del patrimonio, invecchiamento delle collezioni, costante abbassamento del livello dei servizi erogati, contrazione dell’utenza e, come conseguenza di tutto ciò, una sostanziale marginalità delle biblioteche statali nel panorama bibliotecario nazionale – non si è ritenuto di usare altri parametri se non quelli aritmetici».

Non solo, insomma, il ministero ha applicato un mero criterio economicistico, pensando che i soldi investiti nei beni culturali siano una spesa e non un investimento, ma, come denuncia lo storico dell’arte Tomaso Montanari, non sembra tener in nessun conto lo scenario futuro: «Nell’arco dei prossimi 5 anni, circa il 60 per cento dei bibliotecari attualmente in organico lascerà il servizio e solo nel corso del 2016 sono previsti 37 pensionamenti».  Posti che, stando al quadro attuale, resteranno vacanti.

Intanto quanto sia profonda la crisi lo dice,  per fare un esempio, il caso della biblioteca dell’Inasa, l’Istituto nazionale di archeologia e storia dell’arte, fondato nel 1922 da Corrado Ricci e da Benedetto Croce, che ha sede a Palazzo Venezia. A causa dei tagli dei finanziamenti da parte del Mibact, il prestigioso istituto si vede costretto alla vendita straordinaria di libri. L’elenco può essere richiesto via email all’indirizzo [email protected]. Il ricavato delle vendite andrà a sostegno di attività di studio, di ricerca e per lavori di restauro. Grazie alle borse di studio dell’Inasa, va ricordato, si sono formati alcuni dei più importanti storici dell’arte e archeologi del Novecento.

In foto la Biblioteca Girolamini di Napoli  che fu saccheggiata dal suo direttore, De Caro: sottrasse circa duemila libri antichi poi rivenduti, come ha stabilito una sentenza passata in giudicato

Biennale L’architettura raccontata con la graphic novel e la street art

Sono noti al grande pubblico per gli ospedali di Emergency, strutture con standard europei, realizzate in zone di guerra e di crisi. Funzionalità, uso di materiali della tradizione e impiego di mano d’opera locale hanno fatto di questi ospedali strutture che si sono inserite bene nei territori. Ma Tam associati – ovvero Massimo Lepore, Raul Pantaleo e Simone Sfriso – sono anche autori di tanti interventi di architettura sociale in Italia e di esperienze di cohousing, che oltre ad abbattere gli sprechi, guardano alla qualità e alla vivibilità, rimettendo al centro la persona. Un aspetto etico e civile che si ritrova nella loro mostra Taking care realizzata come curatori del Padiglione Italia alla Biennale. Con esempi di architettura partecipata e creativa, sviluppati con Aib (l’associazione delle biblioteche), Legambiente e altre realtà.

Tor Marancia
Tor Marancia

«L’architettura, quando si prende cura degli individui, dei luoghi, delle risorse, fa la differenza» recita lo slogan di questa collettiva che presenta 5 dispositivi mobili per le aree di marginalità e 20 progetti realizzati da studi italiani in Italia e all’estero. Privilegiando gli emergenti, più che grandi nomi. C’è, per esempio, il progetto di Restart per il museo di Casal di Principe ma anche Big City Life, che ha dato un nuovo volto al quartiere romano di Tor Marancia con la street art.

E poi il recupero del teatro Gualtieri a Bologna, la riqualificazione del lungomare di Balestrate a Palermo e molto altro. «L’architettura è stata a lungo una disciplina emarginata, non si insegna nelle scuole, e alle persone mancano gli strumenti per leggerla, così come per interpretare i territori», denuncia Raul Pantaleo di Tam associati. «Anche per questo con Taking care vogliamo provare a comunicare l’architettura come bene comune, guardando al futuro, con esempi positivi». Complice il linguaggio giovane del Graphic Novel. «Abbiamo dato un’impronta pop con questo genere di racconto per immagini che ha una sua raffinatezza».

Tamassociati taking care
Tamassociati taking care

Così anche il consueto catalogo diventa una prodotto artistico originale. (Come i precedenti libri di Tam associati il volume è pubblicato da BeccoGiallo edizioni).Un altro elemento nuovo del Padiglione Italia 2016 è la forte presenza dell’associazionismo. «Sono impegnato da tempo in questo settore.

Nelle realtà che frequento di più, quella di Marghera, ho notato un cambiamento importante. Grazie all’iniziativa dal basso, all’energia che viene dalla società civile, sta cambiando il modo di procedere politico: una volta era fatto solo di provvedimenti calati dall’alto. Dall’associazionismo emergono soggetti protagonisti del cambiamento, che non si limitano a chiedere fondi. La cittadinanza attiva è diventata un prezioso supporto per gli enti pubblici», sottolinea Pantaleo. E proprio dalle associazioni negli ultimi anni è partita una importante e diffusa azione popolare, in difesa del patrimonio d’arte e del paesaggio, per la piena attuazione dell’articolo 9 della Costituzione.

«I padri costituenti sono stati lungimiranti. Anche per quel che riguarda la salvaguardia del paesaggio e più in generale i beni comuni. Il referendum acqua bene comune ha mostrato una sensibilità crescente fra i cittadini. Una brutta urbanizzazione lede i diritti di tutti. Anche il privato ha ricadute sul pubblico e bisogna aver attenzione al territorio», ribadisce Raul Pantaleo. Il rispetto delle persone, la globalizzazione dei diritti, l’accoglienza dei migranti sono temi centrali per Tam associati.

Tamassociati Taking care
Tamassociati Taking care

«Costruire luoghi di accoglienza accettabili, oltreché funzionali, fa la differenza. Queste persone scappano dalle guerre e dalla fame; vengono qua nella speranza di farsi una vita diversa, dobbiamo trattarli in modo umano. La gente di Lampedusa e di altre zone di sbarco si comporta così». Ma non altrettanto la politica. «Dare qualità e bellezza è il primo elemento di cura. I fondi, si possono trovare. I milioni di persone che premono alle frontiere sono frutto di questo tempo. Non possiamo costruire muri. Con la fine dell’ideologia del mercato e della crescita infinita in tanti cominciano ad aprire gli occhi. Occorre un mutamento di rotta». Anche questa Biennale offre un piccolo segnale? «La scelta di Aravena come direttore mi è sembrata illuminata, fuori dal coro, ci vedo- conclude Pantaleo – una nuova sensibilità verso il sociale».

Azzù scintille Ponticelli
Azzù scintille Ponticelli

Della Biennale architettura parliamo anche su Left 22 in edicola dal 28 maggio

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Il Plaza di Atene hotel per migranti

L'entrata del Plaza

I confini tra Afghanistan, Iran, Turchia e quella manciata di miglia di Mar Egeo tra le coste turche e quelle greche, Umid li ha percorsi nel grembo materno. La madre Nurie avrebbe voluto che il piccolo nascesse in Svizzera, ma è arrivata alla frontiera di Idomeni troppo tardi, quando il confine greco-macedone era stato già definitivamente chiuso. E Umid ha visto la luce due mesi fa all’ospedale Alexandria di Atene ed è ora uno dei più giovani inquilini dell’hotel City Plaza, un edificio occupato da un gruppo di attivisti greci e internazionali il 22 Aprile scorso.

L'entrata del Plaza
L’entrata del Plaza

Situato a due passi da piazza Viktoria, punto d’incontro per i migranti in viaggio verso l’Europa, il City Plaza rappresenta una singolare convergenza tra la recente travagliata storia economica del Paese ellenico e il dramma degli oltre 54.000 migranti, bloccati nella capitale dopo la chiusura delle frontiere balcaniche. La struttura alberghiera, costruita nel periodo delle Olimpiadi del 2004, quando un’ingente quantità di soldi pubblici veniva sperperata in mazzette e progetti senza futuro, è rimasta per sei e anni e mezzo in stato di abbandono, dopo la definitiva bancarotta, prima di risorgere a nuova vita con l’occupazione. «Abbiamo subito disinfettato l’hotel, portato estintori, riconnesso acqua ed elettricità e offerto queste stanze alle persone che ne avevano bisogno», racconta a Left Loukia Kotronaki, una degli attivisti che è entrata nell’hotel il primo giorno.

A refugee entering City Plaza hotel carrying his son on a stroller
Gli ospiti nella hall

All’interno dell’hotel vivono oggi 385 persone, 385 migranti, 180 dei quali bambini, che fino a qualche settimana prima erano costretto a dormire per le strade del porto del Pireo o nei campi affollati di Elliniko e Eleonas. «Nelle settimane successive molte altre persone sono venute a chiederci una stanza all’hotel. Abbiamo cercato di fare il possibile per accontentare chi ne aveva bisogno, ma è stata dura non poter offrire un posto a tutte loro», racconta ancora Loukia. La denuncia della precedente gestione dell’hotel non è si è fatta attendere, ma è dagli ex impiegati della struttura che è arrivata un’inaspettata manifestazione di solidarietà. Sul tetto dell'albergo

Questo articolo continua sul numero 22 di Left in edicola dal 28 maggio

 

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Così i capi possono rendere la folla beota o servile

Si parla di democrazia recitativa quando «la politica diventa l’arte di governo del capo, che in nome del popolo muta i cittadini in una folla apatica, beota o servile». Scrive così Emilio Gentile nel libro Il capo e la folla (Laterza) un viaggio nella storia sul rapporto tumultuoso tra i governati e i governanti a partire dalla repubblica di Atene per finire al ventesimo secolo. Tra i massimi studiosi internazionali di fascismo e delle religioni della politica, Gentile nel suo libro non tocca l’oggi. «Mi fermo a Kennedy. Per mia natura e per il lavoro che faccio non insegno agli altri come giudicare il tempo contemporaneo. Cerco però di fornire gli strumenti per capire come si è giunti al tempo contemporaneo», dice. Ecco quindi la repulsione di Platone per la democrazia “dei molti”, il concetto di democrazia come stile di vita di Pericle, la res publica romana che prima dell’avvento di Cesare aveva garantito un sistema di controllo dei poteri dello Stato, la codificazione del panem et circenses per tenere buoni gli ex cittadini ormai sudditi imperiali, i “sacri recinti” degli Stati guidati da capi “unti” dal Signore, fino ad arrivare alle rivoluzioni americana e francese e ai movimenti rivoluzionari dell’Ottocento. È del 1895 Psicologia delle folle di Gustave Le Bon, psicologo, antropologo e sociologo. «Mi dicono che nella classifica di Amazon è al secondo posto. Un po’ ho contribuito anch’io perché ne avevo parlato in una trasmissione televisiva», dice sorridendo Gentile. Con Le Bon la democrazia recitativa – che secondo Gentile inizia con Napoleone – trova il suo massimo teorico, perché lo studioso francese nel suo libro diventato ben presto cult, spiega tra l’altro anche “come governare le folle” con la suggestione e l’uso delle parole.
Professor Gentile, lei scrive che «conoscere il comportamento dei capi e delle folle del passato può aiutare a comprendere i capi e le folle della politica di massa che stiamo vivendo». Come trova oggi la democrazia intesa come la migliore forma di rapporto tra governati e governanti?
Mi sembra avviata – se non ci saranno dei correttivi – sempre più verso una forma di democrazia recitativa. Nel senso che i governati potranno scegliere e revocare sempre meno i propri governanti. Lo dimostra anche il fatto generalizzato dell’astensione. Un fenomeno che deriva non dalla fiducia nella democrazia – come accade nel mondo anglosassone – ma dalla profonda sfiducia nella classe politica e nella classe dirigente. Oggi in Italia ricorrono i 70 anni del referendum che ha istituito la Repubblica. Tutti nel 1946 rimasero colpiti dal fatto che una popolazione uscita da un ventennio di dittatura, nonostante i timori di un salto nel buio, partecipasse così in massa, circa il 90 per cento. Calamandrei addirittura gridò al miracolo. Ecco, oggi questa astensione crescente mi sembra una forma di protesta che purtroppo non si concretizza in una vera e propria alternativa.
La democrazia recitativa che avanza può portare alle derive della democrazia di cui lei parla nel suo libro?
È imprevedibile quello che può accadere. Questo è un fenomeno in gran parte nuovo, dovuto a tre fattori che sono stati riscontrati in tutte le democrazie occidentali. Il primo dipende dalla complessità sempre crescente dei problemi sui quali i cittadini vengono chiamati a decidere, poi bisogna considerare l’elevato costo della competizione politica, per cui soprattutto persone facoltose possono partecipare effettivamente, con speranza di vittoria. Infine il terzo fattore è, appunto, la minore partecipazione al processo democratico di cittadini consapevoli.
Sempre a proposito del presente, che cosa pensa della democrazia diretta, quella dei referendum dei radicali di Marco Pannella o della Rete del Movimento Cinque stelle?
Come sostenevano Rousseau e i padri fondatori degli Stati Uniti d’America, io penso che la democrazia diretta sia possibile solo in piccole repubbliche. Quando queste assumono vaste dimensioni territoriali, con milioni di cittadini, è inevitabile la democrazia rappresentativa. La democrazia diretta poi non è di per sé sana e buona, perché una democrazia diretta può scegliere capi non democratici. Vede, la democrazia è soltanto un metodo. Noi possiamo anche definirla come un valore attribuendole significati etici, perché attraverso la democrazia si può emancipare un individuo e la collettività, rendendoli sempre più padroni del proprio destino. Ma questo è un ideale, di fatto la democrazia è un metodo che può servire sia a favorire l’emancipazione che a impedirla. Se democraticamente vincono i reazionari, i conformisti, i fanatici, gli intolleranti, i razzisti o gli xenofobi, come possiamo negare che il loro governo sia una genuina democrazia?
Ma per rendere effettivo il metodo della democrazia nel senso dell’emancipazione, che cosa occorre?
La democrazia non può prescindere dalla divisione dei poteri che si limitano e si controllano reciprocamente, così come non può prescindere dalla libertà dell’informazione. E occorrono anche dei limiti all’uso del potere della maggioranza nei confronti della minoranza. Inoltre, se si perde l’idea originaria di democrazia che deve favorire l’emancipazione di ogni cittadino attraverso l’informazione, l’istruzione, la conoscenza, accadrà che si lascerà sempre agli esperti, ai tecnici, scelte decisive ignorando gli altri.
Ci parli quindi della folla, definita da filosofi o da uomini di Chiesa ora “gregge” ora “bestia feroce e selvaggia”, come sosteneva Lutero.
Il concetto di fondo è quello più comune, e cioè che la folla sia manipolabile. Ma non è sempre così, la folla deve essere riscattata dalla cattiva nomea che l’accompagna dalla democrazia greca. La folla infatti è quella stessa che compie atti di eroismi. Lo sosteneva anche Gustave Le Bon: non c’è solo la “folla bestia” c’è anche la “folla eroe”, diceva. La rivoluzione francese, come opera più importante per la libertà e l’uguaglianza, fu opera della folla che spinse a prendere l’iniziativa. Così come la rivoluzione in Russia nel febbraio del 1917: non fu guidata da un partito o da uomini politici, fu una rivoluzione spontanea delle folle di S.Pietroburgo che fecero crollare il sistema zarista dando vita a una democrazia che fu poi stroncata dal partito bolscevico con un regime che pretendeva di essere più democratico perché imposto come dittatura del proletariato. Questo fenomeno delle folle che si muovono spontaneamente si è ripetuto, sia pure con esiti diversi, in altre situazioni, come in Ungheria nel 1956, in Polonia nel 1981, e nelle “primavere arabe” del 2011.
Nel libro parla di folle a proposito della nascita degli Stati Uniti d’America. Nel senso che all’inizio fu una rivolta collettiva conclusa poi dai capi. Qual è la caratteristica di quella democrazia che secondo Abraham Lincoln era il “governo del popolo, dal popolo e per il popolo”?
Nella storia umana gli Stati Uniti d’America furono il primo stato democratico moderno, dopo la democrazia greca. La democrazia greca era oligarchica, e la scelta dei governanti era riservata solo ai cittadini maschi di nascita ateniese, invece la democrazia americana almeno idealmente e teoricamente si proclama per l’uguaglianza di tutti gli esseri umani sulla base di diritti dati dal creatore, pur essendo una società razzista e fortemente condizionata da pregiudizi religiosi protestanti. È una democrazia che in oltre duecento anni si è modificata superando sia i monopoli religiosi sia, ai giorni nostri, superando il monopolio bianco alla Casa bianca, con Obama al potere. E forse con le prossime elezioni presidenziali sarà superato anche il monopolio maschile se verrà eletta Hillary Clinton. Ma ancora non è finita perché rimane una minoranza che sembra ancora esclusa, almeno nel prossimo futuro.
Quale minoranza è esclusa dalla presidenza Usa?
I sondaggi dicono che gli americani sono disposti ad avere un presidente nero, in prospettiva una donna e un omosessuale, ma non ad avere un presidente ateo. Gli atei sono una minoranza del 20 per cento discriminati dal punto di vista politico, nonostante la Costituzione vieti qualsiasi presupposto religioso per le candidature. L’80 per cento degli americani non accetterebbe un presidente che non professi una fede in Dio, qualunque essa sia. Gli Stati Uniti sono il primo stato democratico nella storia dell’umanità che ha separato con la Costituzione lo Stato dalla Chiesa, ma rimane profondamente ispirato dalla religione. Non ci dimentichiamo che “In God we trust”, noi confidiamo in Dio, è il motto nazionale.

Questo articolo continua sul numero 22 di Left in edicola dal 28 maggio

 

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Sarà perché sono vecchio. Un Cattivo Vecchio. W Franti siempre!

Vauro Senesi

vignetta Vauro

Bravi Ragazzi con la faccia pulita… mmh… scusate ma non mi convincete. Sono un ammiratore di Franti. «Uno solo poteva ridere mentre Derossi diceva dei funerali del re, e Franti rise», cito dal libro Cuore di De Amicis. Ecco, mi piacciono di più i cattivi ragazzi perché sanno ridere ai funerali dei potenti. E vi garantisco che a quei funerali (metaforici, si intende) vorrei tanto partecipare. Anche senza sentirmi obbligato a mettermi a urlare «Onestà, Onestà». Già onestà, certo. Ma rivendicarne il monopolio assoluto non mi pare onesto. Onestà è anche disobbedire, quando lo si ritiene giusto, agli ordini, da qualsiasi parte giungano e da chiunque vengano impartiti. I bravi ragazzi invece sono obbedienti. Quelli che disobbediscono non sono più bravi ragazzi e vengono buttati fuori dalla classe o sospesi, dietro la lavagna. «Uno vale uno», ma solo se si è bravi e obbedienti, appunto. Ma se quell’uno, quel «Bravo Ragazzo», è un emerito imbecille? «I social media danno diritto di parola a legioni di imbecilli», diceva Umberto Eco, buonanima. Bene, fare della rete lo strumento-feticcio della “Democrazia Diretta” significa non solo dar loro la parola ma pure potere decisionale. E un imbecille può essere onestissimo ma rimane pur sempre un imbecille. Qualche giorno fa a Roma, al colle Oppio, di imbecilli ce n’era una intera adunata. Bravi ragazzi anche loro. Tutti con il braccio teso nel saluto romano. «E questo che c’entra?» obietterete. Avete ragione, voi non c’entrate nulla. «L’antifascismo non mi compete», Grillo dixit. Perciò non compete neanche a voi. E poi destra e sinistra sono «Categorie Superate», non è vero? Siete «Oltre!». Io invece resto «Qui», perché vedo che il «Superamento» della sinistra sta significando soltanto la vittoria della destra, che sia quella politica, quella finanziaria o quella fascista. L’antifascismo mi compete. Boh? Forse sarà perché sono vecchio. Un Cattivo Vecchio. W Franti siempre!

Con affetto. Vauro

Ziggy, il Duca Bianco e i mille volti di David Bowie. In tre mostre e un libro

Bowie, Lennox, concerto-tributo a Freddie Mercury 1992

Alcune foto  scattate ad Haddon Hall, dove viveva David Bowie, raccontano da vicino, in modo intimo,  uno storico giorno del  1972,  quando il cantante inglese stava preparando The Rise and Fall of Ziggy Stardust and the Spiders from Mars. Poco più in là altre spettacolari immagini raccontano l’evoluzione imprevista del più famoso alter ego di Bowie,  Ziggy Stardust. Sono alcune delle opere di Hall selezionate da ONO arte contemporanea per una restrospettiva sul Duca Bianco che ha aperto i battenti il 29 maggio a Mantova.  Dopo la mostra David Bowie e Masayoshi Sukita alla Fondazione CariSpezia di La Spezia, che fino al 19 giugno presenta qaranta fotografie tratte dall’archivio di Sukita su Bowie, ecco un’altra occasione per ricordare il grande, camaleontico, talento del cantante, attore, polistrumentista e compositore inglese.

La mostra al Mantova outlet village  (aperta dal 29 maggio al 17 luglio) s’intitola  Il mito da Ziggy Stardust a Let’s Dance. offre un’occasione per ricordare, a pochi mesi dalla sua scomparsa avvenuta il gennaio scorso, l’artista che ha saputo innovare, non solo il mondo della musica, ma anche quello delle arti performative. Come mise bene in luce nel 2013, il Victoria & Albert Museum di Londra, con la mostra David Bowie is una retrospettiva spettacolare che approderà al Mambo di Bologna il 14  luglio 2016. Bowie, infatti, ha mescolato linguaggi, dal mimo, al teatro, al musical, alla moda per dare una rappresentazione anche visiva alla sua musica. Una grande ambizione ha guidato i suoi primi anni sulla scena, facendo la gavetta, in una scena musicale inglese effervescente negli anni Settanta. Poi le droghe, l’alcool, una vita fisicamente spericolata, da cui è uscito – come ha raccontato lui stesso con coraggio e auto ironia  – quando ha capito che non aveva bisogno di essere strafatto per comporre. E da lì è stata una ricerca e una sperimentazione continua, sul piano della musica e dell’arte, maturando uno stile originale, aiutato da una voce profonda e capace di toccare corde intime.

© Terry Pastor, ziggy front cover
© Terry Pastor, ziggy front cover

Nella mostra di  Mantova  si possono rivedere molti di questi momenti attraverso  le fotografie di Michael Putland e il lavoro grafico di Terry Pastor ( che realizzò le cover degli album di The Rise and Fall of Ziggy Stardust and the Spiders from Mars e di Hunky Dory). ripercorrendo anche le fasi più stranianti, quando un giovanissimo Bowie si calava nei panni immaginari di un adrogino, di un alieno, un angelo senza fede caduto sulla terra. Con molta eleganza e humour, caratteristiche innate che lo  hanno accompagnato fino alla fine, anche quella trasformata in un momento che è passato attraverso la sua “regia”, quando ha capito che non gli restava molto da vivere.

1976 The Thin White Duke
1976 The Thin White Duke

Delle quattro sezioni della mostra mantovana presentata il 29 maggio in Palazzo Tè la seconda, in particolare , è dedicata al “Sottile Duca Bianco”, nato nel gennaio del 1976 quando esce Station to Station, disco che anticipa le sonorità della cosiddetta Trilogia di Berlino. Il disco fu seguito da una tournée in Europa e negli Stati Uniti, nella quale Bowie prese le sembianze del cosiddetto Thin White Duke. E’ l’invenzione della New Wave, che caratterizzerà tutto il ventennio successivo. David Bowie è stato uno straordinario innovatore e creatore di stili che poi generazioni di musicisti hanno cercato di emulare. Imprendibile David Bowie, uno , nessuno e centomila, fino all’ultima, drammatica, auto rappresentazione in Black star, opera musicale matura che l’artista, mentre lottava contro il cancro, è riuscito a trasformare in un musical.

Bowie, 1976 The Thin White DukeGli occhi dal colore diverso, l’eleganza innata,  ma anche la capacità di essere se stesso, senza arie da rock star quando si spegnevano i riflettori. Estremamente attento agli altri e capace di collaborare, così lo hanno descritto i numerosissimi artisti che hanno lavorato con lui, specialmente negli ultimi  anni.  David Bowie dunque non come una contro figura di se stesso, tutt’altro che un manichini, ma un artista e un uomo a tutto tondo che in scena amava giocare con le maschere, quelle dell’amato teatro orientale, del Teatro No, che aveva sembre ammirato. David Bowie cantastorie, capace di raccontare se stesso con icastica bonomia, come raccontano i video dello show Story Teller.

David Bowie non solo estetica, ma anche ricerca musicale, come dimostra l’onda lunga della sua influenza su successive generazioni di musicisti, fino ai più giovani. Giocare con una galassia di eteronomi era  la sua specialità.

ziggySbarazzarsi del nome di battesimo fu non a caso il suo primo gesto entrando nel mondo dell’arte , come ricorda Luca Scarlini nel libro Ziggy stardust, la vera natura dei sogni (ADD editore) nel mondo del rock contava il nome, sequenza magica per arrivare al successo, abbandonando prima possibile  quello anagrafici. Così David o Davy Jones  divenne David Bowie il 16 settembre deel 1965, dopo aver in primo momento pensato di chiamarsi Tom Jones, nome poi adottato dal cantante di “sex bomb”. Bowie, ricostruisce Scarlini era il nome di una marca di coltelli americana, il smbolo di un sogno lucente quanto pericoloso, di cui David Bowie esplora tutte le facce, fino a This is not America   con Pat Metheny. In una sua epoca, in ogni sua nuova creazione, c’è sempre stato un rock glam, che inseriva una forte dose di novità in un’epoca caratterizzata dalla musica progressive. E che poi avrebbe alimentato tanto rock pop  di oggi.

David Bowie
David Bowie, black star

Meglio parlar d’altro. 29 maggio 2016|Il Caffè di Corradino Mineo

Rassegna stampa di domenica 29 maggio. Arrivano più migranti in Italia, Renzi promette il ponte sullo stretto di Messina, i giornali parlano di Nibali, del Real Madrid, della morte di Albertazzi. Il ministro Franceschini chiede alla minoranza Pd di non usare il referendum ma il congresso contro Renzi.

È Primavera, svegliatevi italiani. C+C=Maxigross, l’unica band italiana sul palco di Barcellona

È andata così: Francesco Ambrosini, Filippo Brugnoli, Niccolò Cruciani e Tobia Poltronieri sul palco del Primavera sound ci erano stati nel 2014, da emergenti. Quest’anno, dopo l’uscita del loro ultimo album, Fluttuarn (Vaggimal, 2015), gli organizzatori li hanno voluti in line up. Insieme a Brian Wilson, Pj Harvey, Radiohead, Tame Impala, Sigur Rós e altre centinaia di artisti che si esibiranno al Parc del Fòrum di Barcellona, in quello che ormai, giunto alla sua 15esima edizione, è un appuntamento immancabile per gli amanti della musica d’avanguardia.

Italy. Lessinia - Vaggimal. 2015. C+C=Maxigross.
C+C=Maxigross.

Con un nome ispirato a una catena di supermercati, C+C=Maxigross è l’unica band italiana nel cartellone principale catalano. Con loro l’Italia, ormai del tutto devota ai talent show, porta una fresca psichedelia, con code tropicaliste, cori ancestrali, richiami Sixties. E un tocco di etnica originalità nella lingua: i titoli delle tracce, infatti, sono in cimbro, lingua morta della Lessonia, terra persa tra le montagne del Veronese. È nel 2009 che il gioco tra amici si è fatto band, anzi collettivo. I membri? «A lot. Da 3 a 22 quando va tutto bene», scrivono sui social. Incidono l’ep Singar (cantare, in cimbro) e, poi, nel 2013 il primo album Ruvain, che in cimbro significa rumoreggiare. E di rumore ne hanno fatto eccome: da allora hanno collezionato più di 200 live, con tanto di minitour negli Stati Uniti, inclusa una tappa nel prestigioso Cmj Music Festival di New York. Infine Fluttuarn, dove le dimensioni acustica ed elettrica si fondono, scombinando i piani.
Ma in tempi di talent non ci sarà da sentirsi soli a fare musica sperimentale? Lo abbiamo chiesto a Tobia Poltronieri, che dei C+C è fondatore insieme ad Ambrosini e Brugnoli. «Abbiamo sempre concepito il nostro progetto in termini collaborativi, aperti a qualsiasi tipo di ispirazione», risponde Tobia. «Ed è forse per questo che ci sentiamo limitati nel contesto della scena italiana, che spesso si autoconfina. Mentre la musica di qualità non dovrebbe avere confini, né geografici né di genere». Ironia del mercato. Mentre la scena italiana ha paura di osare e si autoconfina nel nazionalpopolare, i C+C fanno psichedelia, scrivono in cimbro, registrano in una baita sui monti della Lessinia, fra le province di Verona e Trento. A Vaggimal, 114 anime. E tutto sono fuorché confinati.

Questo articolo continua sul numero 22 di Left in edicola dal 28 maggio

 

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In Cile si fumano spinelli giganti, a Falluja si lotta contro Is. La settimana in foto

(Foto AP / Esteban Felix)

20 Maggio, 2016. Wellampitiya, periferia di Colombo, Sri Lanka. L’ ufficiale della guardia costiera, a destra, aiuta un uomo a mettersi in salvo da una zona colpite dalle inondazioni che hanno allagato migliaia di case. (Foto AP / Eranga Jayawardena)
20 Maggio, 2016. Wellampitiya, periferia di Colombo, Sri Lanka. L’ ufficiale della guardia costiera, a destra, aiuta un uomo a mettersi in salvo da una zona colpite dalle inondazioni che hanno allagato migliaia di case. (Foto AP / Eranga Jayawardena)

22 maggio 2016. Santiago, Cile. Un uomo fuma da uno spinello gigante durante una manifestazione a favore della legalizzazione della marijuana. Decine di migliaia di persone si sono radunate nelle strade del centro di Santiago per chiedere che il governo cambi la sua politica in materia di marijuana e dei suoi usi terapeutici, nonché il diritto di auto-coltivazione. (Foto AP / Esteban Felix)
22 maggio 2016. Santiago, Cile. Un uomo fuma da uno spinello gigante durante una manifestazione a favore della legalizzazione della marijuana. Decine di migliaia di persone si sono radunate nelle strade del centro di Santiago per chiedere che il governo cambi la sua politica in materia di marijuana e dei suoi usi terapeutici, nonché il diritto di auto-coltivazione. (Foto AP / Esteban Felix)

23 maggio 2016. Periferia di Kibera, Nairobi, Kenya. Carica della polizia keniana, contro i manifestanti che protestano per chiedere che la commissione elettorale sia sciolta in seguito alle accuse di parzialità e di corruzione. (Foto AP / Ben Curtis)
23 maggio 2016. Periferia di Kibera, Nairobi, Kenya. Carica della polizia keniana, contro i manifestanti che protestano per chiedere che la commissione elettorale sia sciolta in seguito alle accuse di parzialità e di corruzione. (Foto AP / Ben Curtis)

23 maggio 2016. Kangding, Ganzi, Sichuan, Cina. Monache tibetane. Nella zona di Ganzi vive una popolazione di 1,14 milioni di persone, di cui l'80 per cento sono tibetani. © EPA / COME Hwee YOUNG
23 maggio 2016. Kangding, Ganzi, Sichuan, Cina. Monache tibetane. Nella zona di Ganzi vive una popolazione di 1,14 milioni di persone, di cui l’80 per cento sono tibetani. © EPA / COME Hwee YOUNG

23 maggio 2016. baraccopoli di Kibera, a Nairobi, in Kenia. Agenti anti-sommossa disperdono i manifestanti durante una manifestazione contro il corpo elettorale del Paese, nel tentativo di spingere per le riforme in vista delle elezioni generali del prossimo anno. © EPA / DANIEL Irungu
23 maggio 2016. baraccopoli di Kibera, a Nairobi, in Keny. Agenti anti-sommossa disperdono i manifestanti durante una manifestazione contro il corpo elettorale del Paese, nel tentativo di spingere per le riforme in vista delle elezioni generali del prossimo anno. © EPA / DANIEL Irungu

24 maggio 2016. Foresta in Machinga, Malawi. Donne e bambini separano il grano dal suolo, dopo che il conducente di un camion ha perso il controllo del veicolo e il grano che trasportava si è versato. (AP Photo / Tsvangirayi Mukwazhi)
24 maggio 2016. Foresta in Machinga, Malawi. Donne e bambini separano il grano dal suolo, dopo che il conducente di un camion ha perso il controllo del veicolo e il grano che trasportava si è versato. (AP Photo / Tsvangirayi Mukwazhi)

25 maggio 2016. Un ragazzo ebreo guarda un falò durante una festa ebraica che ricorda la fine di una pestilenza che decimò gli ebrei durante l'epoca romana. (Foto AP / Oded Balilty)
25 maggio 2016. Un ragazzo ebreo guarda un falò durante una festa ebraica che ricorda la fine di una pestilenza che decimò gli ebrei durante l’epoca romana. (Foto AP / Oded Balilty)

25 maggio 2016. Anaheim, California. Membri dell’Orange County Sheriff fermano un manifestante nei pressi del Convention Center dove il candidato presidenziale repubblicano Donald Trump ha tenuto una manifestazione. (AP Photo / Jae C. Hong)
25 maggio 2016. Anaheim, California. Membri dell’Orange County Sheriff fermano un manifestante nei pressi del Convention Center dove il candidato presidenziale repubblicano Donald Trump ha tenuto una manifestazione. (AP Photo / Jae C. Hong)

26 maggio 2016. Parigi, Francia. Poliziotti antiterrorismo prendono posizioni davanti ad un edificio dove un uomo sospettato di avere collegamenti con estremisti si è asserragliato all'interno di una casa nei pressi di Parigi. (Foto AP / Thibault Camus)
26 maggio 2016. Parigi, Francia. Poliziotti antiterrorismo assumere posizioni davanti ad un edificio dove un uomo sospettato di avere collegamenti con estremisti si è asserragliato all’interno di una casa nei pressi di Parigi. (Foto AP / Thibault Camus)

26 maggio 2016. Le Havre, Francia. Due attivisti sindacalisti in giubbotti fluorescenti a piedi verso il ponte Normandie al di fuori di Le Havre, nel corso di una azione di protesta, La nuvola di fumo nero è da pneumatici in fiamme. (Foto AP / Raphael Satter)
26 maggio 2016. Le Havre, Francia. Due attivisti sindacalisti in giubbotti fluorescenti a piedi verso il ponte Normandie al di fuori di Le Havre, nel corso di una azione di protesta, La nuvola di fumo nero è da pneumatici in fiamme. (Foto AP / Raphael Satter)

26 maggio 2016. Idomeni, Grecia. Resti di tende e altri oggetti utilizzati dai migranti vengono rimossi da un camion. (Foto AP / Darko Bandic)
26 maggio 2016. Idomeni, Grecia. Resti di tende e altri oggetti utilizzati dai migranti vengono rimossi da un camion. (Foto AP / Darko Bandic)

26 maggio 2016. Falluja, Baghdad, in Iraq. Un uomo tra le macerie di una casa distrutta dopo un bombardamento. Il gruppo Stato islamico sta impedendo alla gente di allontanarsi dalla città al centro di una operazione militare per riconquistare la città ad ovest di Baghdad. (AP Photo)
26 maggio 2016. Falluja, Baghdad, in Iraq. Un uomo tra le macerie di una casa distrutta dopo un bombardamento. Il gruppo Stato islamico sta impedendo alla gente di allontanarsi dalla città al centro di una operazione militare per riconquistare la città ad ovest di Baghdad. (AP Photo)