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17 maggio 2016 | Il caffè di Corradino Mineo

Le notizie del giorno commentate dal direttore di Left Corradino Mineo, da ascoltare calde al mattino mentre si beve il caffè.

Morire d’amore per il mestiere che fai

Si chiama Jane Little e ha vissuto abbracciata a un contrabbasso. Che poi il contrabbasso è anche uno strumento che devi amare in un modo tutto suo: pretende di essere cullato per essere suonato e non ha niente a che vedere con gli strumenti che ci stanno in un astuccio.

Se vi capita di osservare un suonatore di contrabbasso, voi seduti e lui sul palco, se vi capita di ascoltarli, vedete che è tutt’uno, strumenti e strumentista, con fuori solo la testa per respirare. Nelle orchestre i contrabbassi sono ballerini di legno a forma di contrabbasso e sopra avvitata la testa dell’orchestrale. Figure da mondo di Oz.

Lei, Jane, ci ha passato una vita intera. 71 anni nella stessa orchestra, con il mondo che cambiava e il metronomo a dare il tempo. Dicono che dovremo lavorare tutti tantissimo: ma 71 anni imbarcata nel lavoro che ami in un’orchestra a forma di famiglia è qualcosa che ha a che fare con la letteratura. 71 anni nella stessa orchestra sono un’orchestra che s’è fatta Paese.

Ed è normale che Jane si sia innamorata del futuro marito,  Warren , primo flautista. E probabilmente avrà raccontato i dolori almeno a un paio di violini, avrà pianto con i fiati e trascorso gioie con il pianoforte.

La magia della storia di Jane non è che sia morta abbracciata al suo contrabbasso in un concerto; la magia di Jane è che sembra utopia pensare ad una lavoratrice che trasforma l’arte in mestiere e i colleghi in compagni. È l’idea del lavoro che di colpo racconta quanto l’umanità, la soddisfazione e l’impegno fossero gli ingredienti di un modo d’intendere il mestiere che si è sgretolato sotto la frenesia nevrotica di un tempo che ci chiede di non affezionarci per poter sopravvivere alle regole del mercato. Jane e il suo violoncello ci dicono quanto addirittura anche la monotonia sia diventata un privilegio da elemosinare. È così che una storia normale profuma già di mito.

Buon martedì.

L’election day è salvo, il governo fa marcia indietro

Dopo gli annunci dei giorni scorsi, il Consiglio dei ministri di questa sera ha deciso di non prolungare al lunedì le giornate elettorali per le amministrative. Nessun decreto in tal senso, dunque: si voterà soltanto domenica 5 giugno e per il ballottaggio il 19. «Niente date aggiuntive per votare: si continuerà a farlo solo di domenica» ha detto il ministro dell’Interno Angelino Alfano. «Di fronte a tante polemiche pretestuose e strumentali – sia riguardo i costi sia riguardo a chissà quali strategie occulte che sarebbero state alla base di questa mia iniziativa – valuto opportuno lasciare le cose così come stanno» ha detto il titolare del Viminale. Il messaggio è rivolto in primis all’ex presidente del consiglio Enrico Letta, che aveva introdotto l’election day e che oggi ha contestato la scelta, annunciata nei giorni scorsi da Alfano, di estendere nuovamente il voto al lunedì, ricorrendo a diversi tweet con l’hashtag #Nontornareindietro.

«Tranne Egitto e India #votosoloinungiorno è regola» ha twittato Letta linkando a una mappa sulla durata delle tornate elettorali nel mondo e lamentando che la modifica sarebbe avvenuta a campagna elettorale in corso. E in un altro cinguettio ha parlato di un esborso aggiuntivo di 120 milioni nel caso avessimo rinnciato all’election day. Nall’annunciare il dietrofront, il ministro dell’Interno ha voluto previsare che «la spesa in più non sarebbe stata di 120 milioni di euro, ma l’incremento sarebbe stato di circa 5 milioni di euro per le amministrative e di circa 18 per il referendum». Alfano ha anche rivendicato che l’esigenza di votare anche il lunedì gli era stata segnalata da più parti, anche dalle opposizioni, ma ora conferma che non se ne farà nulla, né per le elezioni di giugno né per il referendum costituzionale di ottobre. «E alla fine ha prevalso il buon senso. E il rispetto delle regole. Meglio così», è il commento finale dell’ex premier.

I robot al cinema e nella letteratura. Tra fantascienza e realtà

L’idea che un uomo-meccanico possa essere prodotto in laboratorio da un uomo vero (fatto di carne, ossa e sangue) ha un’origine più antica di quello che si immagina e se ne trova traccia addirittura nei miti della Grecia pre classica. Dalla leggenda di Cadmo e degli uomini-drago fino ai servi-meccanici del dio del fuoco Efesto: damigelle dorate dotate di intelligenza e tavoli a tre gambe che potevano spostarsi in maniera autonoma dove gli veniva ordinato di posizionarsi.

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robots dello spettacolo teatrale R.U.R.

Anche se formalmente la parola “robot” è stata inventata “solo” un centinaio di anni fa, il concetto in essa racchiuso non ha mai smesso di aprire scenari fantascientifici e animare pagine e pagine di libri, opere teatrali, film, fumetti e cartoons. La stessa origine del termine “robot”, che deriva del termine ceco robota (traducibile con una gamma di parole che va da schiavitù a lavoro pesante o lavoro forzato) è letteraria. A usarlo per la prima volta fu infatti lo scrittore ceco Karel Capek. Era il 1920 e ad ospitare il termine nuovo e scintillante di zecca fu il dramma teatrale di Capek: I robot universali di Rossum che in lingua ha il titolo ultrafuturistico di R.U.R. – Rossumovi univerzàlnì roboti. In realtà, nonostante sia finita per identificare, macchine simili agli esseri umani, la distopia immaginata da Capek descrive qualcosa di più simile a quella che oggi per noi è l’ingegneria genetica piuttosto che alla robotica.

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Un manifesto del dramma teatrale R.U.R.

Gli androidi che compaiono in R.U.R. Infatti sono costituiti interamente da materia organica e vengono assemblati in una fabbrica su un’isola sperduta in mezzo all’Oceano fondata dal dottor Rossum, scienziato con ambizioni da demiurgo, che ha inventato una sostanza chimica in grado di dar vita alla materia. È poi il nipote di Rossum, ingegnere, ad avere la trovata: creare delle macchine antropomorfe che lavorino al posto degli esseri umani.
I risultati sono catastrofici: la società privata del lavoro precipita nel vizio e nell’indolenza, con tanto di crollo delle nascite, mentre i robot, diventati per un errore di progettazione troppo simili agli uomini, si scocciano della schiavitù loro imposta e si ribellano sterminando i propri creatori.
Insomma c’è materiale sufficiente per dire che Capek non avrebbe visto di buon occhio la rivoluzione tecnologica che sta portando allo sviluppo di robot e intelligenze artificiali sempre più simili a noi.

Hel, il robot di Metropolis che viene costruito replicando le caratteristiche della protagonista Maria

Sette anni dopo R.U.R. anche il cinema ha il suo primo uomo-macchina con Hel (la versione meccanica della protagonista di Maria) di Metropolis, film cult del visionario Fritz Lang che anni e anni dopo ispirerà anche capolavori come Blade Runner e Guerre stellari.
Lang ambienta il film nel 2026, esattamente a cent’anni dall’anno di produzione del film, ma a soli 10 anni da oggi. E forse l’idea di prendere dei caratteri intellettivi di un essere umano, in questo caso Maria, e istruire sulla base di quelli una macchina, fra 10 anni non sarà poi così lontana dalla realtà grazie allo sviluppo delle intelligenze artificiali.

Una scena del film Metropolis di Fritz Lang
Una scena del film Metropolis di Fritz Lang

Altra pietra miliare per i fondamenti della robotica è la raccolta di racconti Io, Robot di Isaac Asimov vero e proprio padre della fantascienza moderna. È proprio all’interno di questo libro infatti che vengono descritte le Tre leggi della robotica.

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Asimov era convinto che se una macchina era progettata bene, non avrebbe mai arrecato dei danni agli esseri umani (a patto ovviamente di non essere utilizzata impropriamente). Sulla base di questa visione formulò quindi queste tre leggi della robotica, che ognuno dei robot da lui animati nei suoi racconti doveva rispettare:

• Un robot non può recar danno a un essere umano né può permettere che, a causa del proprio mancato intervento, un essere umano riceva danno.
• Un robot deve obbedire agli ordini impartiti dagli esseri umani, purché tali ordini non contravvengano alla Prima Legge.
• Un robot deve proteggere la propria esistenza, purché questa autodifesa non contrasti con la Prima o con la Seconda Legge.

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Nella carrellata di androidi, robot e intelligenze artificiali che hanno segnato il nostro immaginario maggiormente non possiamo inoltre scordare Hal 9000 in 2001: Odissea nello spazio, una sorta di enorme e saccente Siri ante-litteram che fa da super computer di bordo sulla nave Discovery 1 e che, ovviamente, pur di non essere disinserito farebbe fuori l’intero equipaggio della nave spaziale. Rachel di Blade Runner, l’adorabile C3PO di Star Wars o lo spietato agente Smith di The Matrix.

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Rachel replicante umano in una scena di Blade Runner

Sempre dal lavoro di Asimov era affascinato dal robot “positronico”, ovvero dotato di personalità e generalmente dalla macchina che risultava più servizievole e docile con l’essere umano come quella che compare nel racconto Io, Robot di Eando Binder che colpì Isaac al punto da titolare allo stesso modo la sua famosa raccolta di racconti fantascientifici.
Il tema della personalità della macchina e della sua libertà di pensiero è legato in maniera indissolubile a quello dell’intelligenza artificiale che in molti racconti diventa il vero e proprio elemento di conflitto o di intesa fra l’uomo e la macchina.

C3PO di Guerre Stellari è un esempio di robot
C3PO di Guerre Stellari è un esempio di robot positronico

La questione, come abbiamo detto all’inizio, è vecchia, o quasi, come il mondo e riguarda i robot, quanto gli umani. O meglio: il robot sarebbe lo specchio, il doppio per eccellenza dell’uomo. Nel racconto fantascientifico quindi la visione del mondo che si incarna nel robot corrisponde in qualche modo all’idea con la quale l’autore vuole descrivere la società: un posto dove il concetto di “umanità” è connotato come attenzione all’altro, sensibilità, affetto ecc oppure, viceversa, come un luogo in cui homo homini lupus. Insomma la domanda cardine che sottende tutti questi racconti è: se un androide potesse pensare e relazionarsi con un essere umano proverebbe il desiderio di condividere con lui pensieri e sentimenti o finirebbe per odiare la razza umana al punto di volerla distruggere? Più nella storia la macchina si avvicina all’uomo per capacità e intelligenza, più il dilemma si fa interessante.

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Una scena di Her di Spike Jonze

Due perfetti esempi agli antipodi potrebbero essere la Samantha di Her di Spike Jonze, che si innamora del suo “padrone” e lo spietato Terminator, progettato per eliminare la razza umana.

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Una scena di Terminator.

Sul numero di Left in edicola abbiamo cercato di raccontarvi entusiasmi e sospetti, scenari e prospettive della quarta rivoluzione industriale. Dal lavoro alle emozioni come cambiano la nostra vita i robot e le intelligenze artificiali?

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Migranti, donne, disabili: ecco le peggiori gaffe di Donald Trump

«Succederanno cose brutte, un sacco di cose brutte. Ci saranno attacchi inimmaginabili. Compiuti da quelle persone che stanno entrando adesso nel nostro Paese». È l’ultimo eccesso di Donald Trump, candidato repubblicano alla Presidenza degli Stati Uniti: in un’intervista a Buzzfeed News il miliardario ha pronosticato un nuovo attacco terroristico negli Usa, simile a quello dell’11 settembre del 2001. E a proposito dei profughi siriani ha aggiunto: «Non hanno soldi ma hanno i telefonini. E chi paga le ricariche? Hanno cellulari con la bandiera dell’Isis».

Non passa un giorno in cui Donald Trump non faccia parlare di sé. Riviste, televisioni e quotidiani, statunitensi e non, non smettono di parlare degli eccessi del magnate newyorkese ed ex conduttore di The Apprentice, il quale, anche grazie alle sue «sparate», ha potuto contare su una visibilità mediatica che gli è valsa la nomination repubblicana. Riuscendo a sconfiggere facilmente candidati «forti» come Ted Cruz o Marco Rubio.

Le battute di Trump sono un mix di razzismo, maschilismo, sessismo e ignoranza. Più la spara grossa, più i media lo attaccano e più guadagna popolarità, cosa che rafforza la sua immagine di candidato populista, anti-establishment e anti-casta. Ciò che piace a buona parte dell’elettorato americano: secondo la società statunitense Gallup, solo un americano su 4 ha fiducia nei media. Il fatto di essere inviso alla maggior parte dell’informazione nazionale giova di molto all’imprenditore, permettendogli di pescare tra quei tre quarti di americani che non si fidano dei media mainstream.

Immigrati, donne, giornalisti, Obama. Nell’immaginario trumpiano i bersagli sono quelli classici del populismo di destra: le minoranze, le categorie svantaggiate, la sinistra – meglio ancora se al governo – e l’universo femminile. Ecco le gaffe più eclatanti di “The Donald”.

LE DONNE. In un recente articolo il New York Times ha intervistato oltre 50 donne che hanno avuto rapporti con l’imprenditore. Le intervistate hanno lamentato diversi episodi e comportamenti “scorretti”, tra cui «proposte romantiche poco gradite», «infinti commenti sul corpo femminile», «una condotta sul luogo di lavoro inquietante». Dopo l’articolo, Trump ha postato una serie di tweet aggressivi contro il New York Times, in cui definisce i giornalisti del quotidiano dei «falliti».
Uno degli insulti più gravi di Trump a una donna è stato quello rivolto alla giornalista di Fox News, Megyn Kelly, all’indomani di un dibattito televisivo tra candidati repubblicani della scorsa estate. La giornalista aveva attaccato Trump per i suoi insulti frequenti alle donne. Dopo aver espresso pareri negativi sulla giornalista – «non è brava» – il magnate ha twittato: «Si vedeva che le usciva il sangue dagli occhi. Le usciva il sangue da ogni dove». Dopo le polemiche, Trump ha specificato che per «in ogni dove» intendesse il naso, e che non vi fossero riferimenti sessuali all’espressione da lui usata. Ma i commenti imbarazzanti dell’aspirante presidente repubblicano non finiscono qui: molte battute risalgono a ben prima della discesa in campo per la corsa alla Casa Bianca. Nel 2012 definì la cantante Bette Midler «estremamente poco attraente», mentre nel 2006 apostrofò la conduttrice Rosie O’Donnell come «rozza, volgare, odiosa e stupida». Ma le sue battute sulle donne si sprecano: dalla definizione di «oggetti esteticamente piacevoli» al tweet in cui sosteneva che le molestie sessuali fossero la conseguenza della troppa vicinanza tra uomini e donne. Memorabile la frase contenuta in un’intervista ad Esquire nel 1991: «Sapete, non ha molta importanza cosa i media possano scrivere di voi finché avete con voi una giovane e splendida gnocca».

I MIGRANTI. Minoranze e immigrati sono uno dei bersagli preferiti di Trump. A cominciare dai messicani, definiti «criminali, trafficanti di droga e stupratori». La polemica ha imbarazzato perfino i vertici del Partito repubblicano, che ha prontamente condannato la sparata. Quando alcuni giornalisti, in occasione della presentazione del suo libro Crippled America, gli hanno chiesto cosa pensasse dei muri che si stanno erigendo nell’est Europa a causa dell’emergenza migranti, il tycoon ha risposto prontamente: «I muri funzionano. Andate a chiederlo a Israele. Ma costruiti bene, come quello che farò io al confine con il Messico». La costruzione di un muro al confine meridionale è contemplata anche nel programma elettorale di Trump.

LA TORTURA. E con l’emergenza terrorismo? C’è un piano anche per quello: Trump ha dichiarato che, se dovesse vincere le elezioni, da un lato reintrodurrebbe il waterboarding, una forma di tortura usata durante l’amministrazione Bush contro i sospetti terroristi («La tortura, amici, funziona, credetemi, funziona» ha detto), dall’altro impedirebbe l’ingresso nel Paese ai musulmani non americani, almeno fino a quando «i nostri rappresentanti non avranno capito che sta succedendo».

OBAMA. Il presidente Obama è uno dei bersagli più ricorrenti dei comizi di The Donald. «Barack Obama? Con tutti i problemi che abbiamo se ne va in una moschea. Forse in una moschea si sente a proprio agio», aveva detto l’ex conduttore lo scorso febbraio in occasione della visita di Obama in una moschea di Baltimora. E lo scorso giugno, dopo l’annuncio della discesa in campo, dato dalla sua Trump Tower a New York, sosteneva come all’America servisse «un vero leader», non un «cheerleader» (letteralmente, un leader coreografico) come Obama.

I DISABILI. C’è poi l’episodio del giornalista disabile. Durante un comizio in South Carolina il candidato repubblicano prese in giro, imitandolo, un giornalista del Nyt, Serge Kovalesky, affetto dall’artrogiprosi, una condizione clinica caratterizzata da una grave rigidità degli arti. Il video dell’imitazione di Trump è diventato virale e ha fatto il giro del web.

Mezzo secolo dalla rivoluzione culturale, Pechino se ne dimentica

Una giovane grida incoraggiamento alle guardie rosse (AP Photo, File)

Uno scontro di potere interno, una rivolta studentesca iconoclasta e un terremoto sociale seguito al disastro economico del Grande balzo in avanti, tentativo di modernizzare e industrializzare l’economia cinese, prevalentemente agricola, a tappe forzate. Quello che spesso viene nominato come il decennio perduto è un momento che molti ricordano ma che raramente si nomina nella vita pubblica cinese contemporanea. Oggi sono passati 50 anni dall’avvio della Grande rivoluzione culturale proletaria che si protrasse per dieci anni – con strascichi fino al processo alla Banda di quattro nel 1976.

Una giovane grida incoraggiamento alle guardie rosse (AP Photo, File)
Una giovane grida incoraggiamento alle guardie rosse (AP Photo, File)

In quegli anni, dopo una direttiva (del 16 maggio 1966) da parte del segretario e leader della rivoluzione a “distruggere il vecchio” e ripulire la cultura cinese dal pensiero borghese dal governo, dagli insegnamenti e dalla cultura, la rivoluzione culturale comincia. Praticamente la rivoluzione implica la distruzione di una parte consistente dell’eredità culturale cinese (i templi, ad esempio), la purga di migliaia di quadri del partito e la rieducazione di milioni. La Guardia rossa e gli studenti, con una furia iconoclasta e un rinnovato culto della personalità nei confronti di Mao, sono il braccio armato dello scontro interno al partito, nel quale il Grande timoniere a diversi alleati, mettono all’angolo figure come Deng Xiaoping e il presidente Liu Shaoqui, sollevati da ogni incarico. Milioni di studenti vengono mandati nei campi a lavorare.

Marx e libretto rosso di Mao (AP Photo, File)
Marx e libretto rosso di Mao (AP Photo, File)

La rivoluzione culturale si chiude di fatto con la morte di Mao e il ritorno al potere di una parte del gruppo dirigente “di destra” eliminato nel furore di quegli anni. Proprio Den Xiaping sarà la figura che apre la Cina al mercato e avvia le riforme economiche – non politiche – che hanno prodotto il prodigioso sviluppo economico di questi anni. Oggi i media cinesi non danno notizia dell’anniversario. Siamo in una fase difficile e discutere delle violenze del decennio perduto sarebbe scivoloso: come affrontare una discussione su un periodo controverso, che ha spaccato la società, generato violenze e fatto perdere dieci anni al Paese?

Giovani distribuiscono il libretto rosso di Mao all'uscita di una fabbrica (AP Photo, File)
Giovani distribuiscono il libretto rosso di Mao all’uscita di una fabbrica (AP Photo, File)

La gogna per due anti-maoisti (AP Photo, File)
La gogna per due anti-maoisti (AP Photo, File)

Manifestazione della guardia rossa davanti all'ambasciata dell'Unione Sovietica (AP Photo, File)
Manifestazione della guardia rossa davanti all’ambasciata dell’Unione Sovietica (AP Photo, File)

Un bambino sotto a un manifesto contro "l'anti-maoista", l'allora presidente Liu Shaoqi (AP Photo, File )
Un bambino sotto a un manifesto contro “l’anti-maoista”, l’allora presidente Liu Shaoqi (AP Photo, File )

Lettura di slogan affissi ai muri (AP Photo, File)
Lettura di slogan affissi ai muri (AP Photo, File)

La gogna per due anti-maoisti (AP Photo, File)
La gogna per due anti-maoisti (AP Photo, File)

Marx e libretto rosso di Mao (AP Photo, File)
Marx e libretto rosso di Mao (AP Photo, File)

 

Jiang Qing, vedova di Mao, al processo contro la banda dei quattro, che chiuse la rivoluzione culturale e avviò, politicamente, la stagione della aperture al mondo
Jiang Qing, vedova di Mao, al processo contro la banda dei quattro, che chiuse la rivoluzione culturale e avviò, politicamente, la stagione della aperture al mondo

Qui la pagina di China Files (i cui redattori sono spesso ospiti di Left in edicola) dedicata alla #RivCult

Magari l’1%. In Europa i ricchi sono lo 0,3%

È tempo di dichiarazione dei redditi, e il Sole 24 ore pubblica i dati – elaborati dalla Scuola europea di alti studi tributari di Bologna – relativi ai contribuenti in Italia, Francia, Germania, Spagna, Regno Unito e Olanda. I cosiddetti sei big d’Europa.

Cosa emerge? Che in quest’area i “ricconi” sono un milione (su 336 milioni di abitanti) e vivono soprattutto in Germania e nel Regno Unito. Quindi, sono lo 0,3% appena. Tra i paperoni, i soliti noti: la regina Elisabetta, il magnate russo Lev Blavatnik, ormai cittadino londinese, il fondatore della Lidl, Dieter Schwarz. Di contro, sono oltre 50 milioni – il 15% degli abitanti – i poveri, intesi come coloro che hanno un reddito fino a 10mila euro lordi annui.

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infografica de Il Sole 24 ore

I super-ricchi in Gran Bretagna sono 217mila (lo 0,7% dei contribuenti) e in 5mila “ammettono” un reddito oltre i due milioni di sterline (circa 2,6 milioni di euro). Le cifre più basse si registrano in Spagna: 10mila contribuenti pari allo 0,05% del totale, e solo in 5mila certificano un reddito oltre 600mila euro. Mentre in Italia la quota oltre i 200mila euro scende allo 0,2% del totale (poco più di 78mila contribuenti), e solo 32mila persone dichiarano oltre i 300mila euro. L’Italia, poi, vanta il record dei contribuenti con i redditi più bassi, tra 0 e 10mila euro: quasi 13 milioni, un terzo del totale.

Intanto, in Germania la ricchezza cresce, come annunciato dal bollettino della Bundesbank di marzo 2016: fra il 2010 e il 2014 si è assistito all’aumento del reddito medio, all’aumento della quota di ricchezza detenuta dal 10% più ricco, e all’aumento della disuguaglianza: nel 2014, il 10% più ricco della popolazione deteneva il 59,8% della ricchezza totale netta a fronte del 59,2% del 2010.

Il rapporto di Oxfam sulla disuguaglianza in Europa

Già lo scorso settembre 2015, un rapporto di Oxfam – Un’Europa per tutti, non per pochi – segnalava la crescita delle disuguaglianze in Europa: 342 miliardari (con un patrimonio totale di circa 1.340 miliardi di euro) e 123 milioni di persone – quasi un quarto della popolazione – a rischio povertà o esclusione sociale. Tra il 2009 ed il 2013 il numero di persone che viveva in una condizione di grave deprivazione materiale è aumentato di 7,5 milioni in 19 paesi dell’Unione europea (inclusi Spagna, Irlanda, Italia e Grecia), arrivando a un totale di 50 milioni. In Italia dal 2005 al 2014 la percentuale di persone in stato di grave deprivazione materiale è aumentata di 5 punti (dal 6,4% all’11,5%), quasi 7 milioni di persone. Di contro, nel nostro paese il 20% degli italiani più ricchi detiene il 61,6% della ricchezza nazionale netta, mentre il 20% degli italiani più poveri ne detiene appena lo 0,4%.

Elezioni, ordini e contrordini. Il balletto del governo sugli appuntamenti alle urne

ll ministro degli Interni Angelino Alfano durante il vertice sulla sicurezza svoltosi alla Prefettura di Napoli, 5 maggio 2016. ANSA / CIRO FUSCO

Cari italiani voterete quando e come decidiamo noi. E che importa se si spende di più. È la sintesi del balletto attorno ai prossimi appuntamenti alle urne: per le elezioni amministrative di giugno e per il referendum costituzionale di ottobre. Sulle amministrative a tre settimane dal voto, in piena campagna elettorale, si è verificato il contrordine del governo. Ricordiamo: il 30 marzo era stata decisa la data del 5 giugno, tra l’altro in una esilarante conferenza stampa del ministro Alfano il quale, dopo aver sbagliato a indicare il giorno della settimana a proposito del 2 giugno (aveva detto che era mercoledì) aveva dimostrato che cinque notti fuori gli italiani proprio non se le potevano permettere, «il ponte insomma era una roba da ricchi» e quindi nessun problema nel decidere la data del 5 giugno. Adesso, invece, si cambia: votiamo anche lunedì 6 giugno, e oggi un decreto del governo dovrebbe uscire dal Consiglio dei ministri. Cancellato così d’un colpo l’election day introdotto dal presidente del consiglio Letta il quale oggi si chiede il motivo di questa scelta visto che il prolungamento costa. La sua decisione, in tempi di Spending review aveva fatto risparmiare 100 milioni (questa la spesa per il doppio giorno).

Ma Alfano ha fatto sapere anche che l’estensione al secondo giorno, prevista anche per il ballottaggio (19 e 20 giugno), forse verrà estesa anche all’appuntamento dell’anno, anzi a quell’evento storico che cambierà la Costituzione: il referendum che dovrà approvare o meno la riforma Boschi sul nuovo assetto dello Stato, dal nuovo Senato al ridimensionamento delle autonomie locali eliminando le competenze delle regioni sulle “materie concorrenti”. Dietro a questa “generosità” del doppio giorno di voto – che rappresenta un’anomalìa in Europa – è evidente il timore dell’astensionismo. Anche se, dicono i sondaggisti come Roberto Weber oggi su Repubblica, «non serve prolungare, la quota motivata è sempre quella: attorno al 50%». Pesa come un macigno infatti il ricordo del crollo alle amministrative del 2014 in Emilia Romagna dove votò solo il 37,7% degli elettori. Visto poi che il presidente del Consiglio ha trasformato il referendum di ottobre in un plebiscito nei confronti del suo governo (dicendo che se perde se ne va), è probabile che gli oppositori del no si rafforzino e che il voto vada al di là del contenuto stesso del referendum. A radicalizzare gli schieramenti ci aveva pensato anche il ministro Boschi che aveva paragonato quelli del no a Casa Pound. Ma così è inevitabile uno scontro diretto che è politico. A considerare «una sciagura questa scelta calcolata di spaccare il Paese» è anche Alfredo Reichlin, storico personaggio della sinistra, il quale mette in guardia dal dividere l’Italia in due blocchi contrapposti: «Da una parte quelli del Sì, cioè chi vuole bene all’Italia e disprezza tutti i governi della Repubblica che si sono succeduti prima di questo, dall’altro il partito del No dei conservatori, dei professori, dei gufi, dei nemici. Questo tipo di atteggiamento – secondo Reichlin – prepara catastrofi e rende più difficile la governabilità del Paese».
Il 2016 era iniziato con la polemica sul referendum trivelle: allora Renzi aveva lanciato «l’astensione legittima». Adesso invece, è un invito pressante di andare al voto. Come se gli elettori avessero sempre più bisogno di qualcuno che dall’alto decide per loro.

Tap, a Melendugno l’avvio “beffa” del cantiere

A poche ore dalla scadenza del termine per avviare i lavori, fissato per oggi, il cantiere del gasdotto Tap è stato aperto alle 19 di ieri da un ingegnere, un responsabile della sicurezza e un operaio, che hanno installato una recinzione in contrada Fanfula a Melendugno (Lecce). Un telo rosso legato agli alberi dopo mezz’ora di lavoro: una struttura a dir poco precaria avrebbe così consentito alla Tap di evitare la decadenza dell’Autorizzazione unica ministeriale per l’impianto che dovrebbe portare sulle coste salentine il gas partito dall’Azerbaijan.

Polizia municipale e tecnici del Comune di Melendugno, giunti sul posto, non sono riusciti a identificare tecnici e operai, che intanto avevano lasciato l’area. Il sindaco di Melendugno, Marco Potì (qui una sua intervista a Left), ha espresso preoccupazione per le modalità con cui si è avviato il cantiere di un’opera definita strategica e di pubblica utilità, «di domenica, mentre sono in corso i festeggiamenti della Madonna di Roca, a poche ore dalla decadenza dell’autorizzazione unica, recintando in modo alquanto approssimato un’area poco più grande di un’aia». Tap avrebbe inviato comunicazione al Comune a uffici chiusi, la sera di venerdì 13 maggio, e questo – spiega il primo cittadino salentino – è un altro segnale della mancanza di trasparenza e della scarsa affidabilità dei promotori del progetto.

È proprio sulla tipologia dei lavori che dovrebbero definire l’avvio nei termini del cantiere, che da settimane c’è un braccio di ferro tra Comune di Melendugno e Tap. Nella loro nota di inizio lavori datata 13 aprile 2016, i vertici italiani della multinazionale ritengono che la bonifica da eventuali ordigni bellici e i sondaggi archeologici (interventi che dovrebbero partire a breve) siano sufficienti a scongiurare la decadenza dell’autorizzazione, mentre per i legali del Comune queste attività erano contemplate tra quelle “ante operam” dalla Valutazione di impatto ambientale (Via) e non possono, quindi, configurare opere di apertura del cantiere.
«Tap voleva farsi il selfie con la recinzione e dimostrare l’inizio lavori per non far cadere la Via» recita una nota del Comitato No Tap, chiarendo che il precario recinto di 20 metri per 20 in zona Mascenziu, è stato installato a 500 metri di distanza «dalle coordinate Gps assegnate al loro pseudo cantiere».

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Il Comitato aveva già previsto quello che definisce «un falso avvio lavori» e «qualche foto da dare alla stampa amica» da parte di Tap, approfittando della festa patronale. «I signori di Tap volevano la mobilitazione violenta per poter far cadere sulla popolazione la colpa del mancato avvio – spiegano gli attivisti contrari all’opera -; pensiamo che le ditte incaricate da Tap abbiano, a buona ragione, paura di iniziare qualsiasi cosa senza le autorizzazioni mancanti; crediamo che Tap sia morta e che cerchi di prendere i nostri soldi tramite i finanziamenti europei e fuggire» Quello che è certo è che ora, dopo il “blitz” domenicale, la vertenza proseguirà nelle aule di tribunale e i No Tap assicurano che continueranno a vigilare e a protestare nella legalità in vista del vertice convocato per giovedì 19 maggio al ministero dello Sviluppo economico.

16 maggio 2016 | Il caffè di Corradino Mineo

Le notizie del giorno commentate dal direttore di Left Corradino Mineo, da ascoltare calde al mattino mentre si beve il caffè.