Home Blog Pagina 1142

Clinton punta sulle donne, il suo testimonial (involontario) è Donald Trump

Oregon e Kentucky sono un pessimo posto per tenere delle primarie se ti chiami Hillary Clinton. Oggi (fino a stanotte fonda) si vota in altri due Stati che, per composizione dell’elettorato democratico, sono perfetti per Bernie Sanders: uno è liberal e bianco, l’altro solo bianco. Ancora una volta, come da un paio di mesi a questa parte, il voto dei due Stati non cambierà la dinamica delle primarie democratiche, destinate a concludersi il 7 giugno con il voto in California che al 99% incoronerà Hillary. Da qui ad allora e dopo le probabili vittorie di stanotte, Bernie continuerà a sostenere di potercela fare, a radunare folle ai suoi comizi e a mettere in seria difficoltà l’ex first lady con i suoi contenuti e la sua freschezza di figura politica disinteressata – contrapposta allo scarso appeal della rivale.

Nelle ultime settimane i toni di Sanders – soprattutto di alcuni suoi sostenitori – si sono fatti più aspri nei confronti di Hillary e si teme che la cosa possa danneggiare i democratici alle elezioni. La loro fortuna è avere Trump come avversario.

Per ovviare alle difficoltà nelle quali si è trovata, Hillary punta su due fattori: ribadire che sta vincendo lei e, soprattutto, puntare la campagna contro Donald Trump, come se si fosse già nella corsa al voto vero. L’idea, al momento, sembra quella di segnalare le crepe nel Grand Old Party: oggi un comunicato stampa della campagna segnala tutta una serie di figure del partito che fu di Reagan che prendono le distanze dal candidato. Secondo passo è quello di consolidare il consenso dei gruppi che di certo votano in maggioranza democratico. Se per mesi, quelli delle primarie, la corte è stata fatta alle minoranze, oggi è la volta delle donne.
Nel giorno in cui il New York Times pubblica una lunga inchiesta in cui almeno una trentina di donne raccontano del loro rapporto/incontro con TheDonald – niente violenze o simili, ma supponenza, battute, disprezzo, un’idea non proprio contemporanea e paritaria della donna – il SuperPac (o comitato di azione politica) Priorities Usa, che è una mano armata di Hillary, manda in onda due spot. L’anteprima è andata in onda durante lo show di Rachel Maddow, conduttrice liberal e molto schierata e ve li mostriamo qui sotto. Non sono male. L’obbiettivo è colpire Trump prima che questi, a forza di spin e tentativi di moderarlo/contenerlo da parte repubblicana, moderi la sua immagine, inchiodarlo alle sue battute e alle sue parole. E anche se una delle donne intervistate dal New York Times ha detto che il contenuto delle sue parole è stato distorto, le frasi che sentite negli spot Tv non hanno nulla a che vedere con soffiate o confessioni: la voce è quella del miliardario newyorchese. E a dire il vero, ci vuole poco a credere che uno così faccia avances non richieste.

Ma vediamo gli spot:
«Aveva sangue che le usciva dagli occhi e da …. ci siamo capiti», «Aveva un bel corpo? No, aveva un culo grasso, eccome!» «Se Ivanka non fosse mia figlia, beh, ci proverei». Tre frasi delle cinque che vedete mimate, con la voce di Trump in sottofondo. Alla fine, lo speaker si rivolge alle donne: Davvero Trump parla in vostro nome?

Il secondo è più politico, si apre con Trump che dice di se stesso: «Nessuno rispetta le donne più di Donald Trump» e segue con una serie di ritagli di interviste Tv in cui TheDonald promette di tagliare Planned Parenthood (la rete che fa pianificazione familiare), che spiega che le donne che abortiscono dovrebbero essere punite. «Trump per noi è sbagliato», dice una voce femminile.

Legge sui partiti, lotta di emendamenti tra Pd e 5 stelle

La legge sui partiti è in discussione in Commissione Affari Costituzionali. Il testo, in attuazione dell’articolo 49 della Costituzione, reca «disposizioni in materia di promozione e trasparenza dell’attività dei partiti, movimenti e gruppi politici organizzati e il rafforzamento dei loro requisiti di democraticità, al fine di favorire la più ampia partecipazione dei cittadini alla vita politica» e andrebbe a colmare la mancanza di una legge quadro che disciplini la democrazia e la trasparenza interne ai partiti.

La partita si gioca tra il Partito democratico e il Movimento 5 Stelle. La scorsa settimana il relatore della legge, Matteo Richetti (Pd), ha unificato le quattro diverse proposte di legge, tra cui quella del vicesegretario dem Lorenzo Guerini, fedelissimo del premier, contro cui si è scagliata la formazione guidata da Grillo e Casaleggio Jr. La proposta di Guerini prevedeva l’obbligo di dotarsi di uno statuto per quei partiti e movimenti che vogliano presentarsi alle scadenze elettorali, pena l’esclusione dalla competizione. Cosa che ha fatto infuriare il M5s, che – come è ben noto – è completamente sprovvisto di personalità giuridica.

Il relatore Richetti ha tentato di mediare tra le due posizioni, presentando un testo che contempli due possibilità, una per i partiti che vogliano usufruire del due per mille e dei benefici fiscali, per cui sono previsti obblighi più severi, l’altra per quei movimenti a cui non interessa godere dei vantaggi economici, per i quali i vincoli sono meno stringenti.

Ma tra democratici e pentastellati è guerra a suon di emendamenti. Il testo di Richetti – pur modificando in parte la proposta di Guerini – prevede che la vita interna dei partiti politici sia «improntata al metodo democratico», come recita il secondo comma dell’articolo 2 del testo base. Proprio su questa proposta si sono scagliati i 5 stelle, che con un emendamento a firma di Danilo Toninelli, hanno tentato di escludere l’obbligo di democrazia interna per i partiti: «Il metodo democratico interno», dice il deputato, «è già previsto dall’articolo 18 della Costituzione». L’emendamento è stato bocciato dalla Commissione Affari Costituzionali.

Intanto continua lo scontro tra i vertici del M5S ed il Sindaco di Parma, Federico Pizzarotti. Il Primo Cittadino è stato sospeso nei giorni scorsi dal Movimento per non aver comunicato subito di aver ricevuto un avviso di garanzia per le nomine dei vertici del Teatro Regio. L’ex esponente del M5S ha poi pubblicato l’avviso di garanzia online, assieme a un parare legale che attesta che la pubblicazione avrebbe compromesso i diritti di altre persone coinvolte nell’indagine. Nonostante questo, si è visto rifiutare la richiesta di convocare una riunione con il «Direttorio», l’organo esecutivo della formazione politica, composto da 5 membri. E adesso, certo di esser espulso a seguito di «un processo sommario», su Facebook attacca duramente Roberto Fico, uno dei membri del direttorio: «Sarebbe stato bello poter controbatterlo a Piazza Pulita, per rispondere a tutte le balle che ha raccontato in Tv».

Tutta la vicenda Pizzarotti, ovviamente, per i Dem è ghiottissima. Anche per lo scambio di accuse sulla legge sui partiti. Che approderà in aula il prossimo 26 maggio, quando la commissione avrà finito di votare gli emendamenti e il testo sarà definitivo. Tra gli emendamenti approvati dalla Commissione Affari Costituzionali se ne segnalano due: il «salva Pizzarotti» del deputato e Presidente della Commissione Affari Costituzionali, Andrea Mazziotti Di Celso (Scelta Civica), che impone ai partiti l’applicazione del codice civile nell’organizzazione interna, prevedendo il ricorso al principio di maggioranza per l’adozione delle decisioni; il secondo, del deputato di Sinistra Italiana Stefano Quaranta, che rafforza il principio di collegialità interna, sostenendo come sia «diritto di tutti gli iscritti, partecipare, senza discriminazioni, alla determinazione delle scelte politiche che impegnano il partito».

Sgradito al Movimento è anche l’emendamento del deputato Mazziotti, approvato. Il simbolo del partito non potrà più appartenere ad una persona, dice l’emendamento, non potrà più appartenere ad un singolo ma apparterrà a tutti gli iscritti.

Ilva, processo a Strasburgo contro l’Italia

Lo stabilimento Ilva visto dai tetti del quartiere Tamburi, 19 settembre 2013. ANSA / CIRO FUSCO

L’Ilva è approdata a Strasburgo. La Corte europea dei diritti umani ha aperto ufficialmente un procedimento contro l’Italia. L’accusa è quella di non aver protetto la vita e la salute di 182 cittadini dagli effetti negativi delle emissioni del polo siderurgico di Taranto. La Cedu ha ritenuto che le prove addotte al ricorso fossero sufficienti per aprire il procedimento contro lo Stato italiano che così è formalmente sotto processo. A rivolgersi a Strasburgo sono stati, nel 2013 e nel 2015, 182 cittadini che vivono a Taranto e nei comuni vicini. Alcuni rappresentano parenti scomparsi o malati.

Un altro tassello si aggiunge quindi nella travagliata vicenda dello stabilimento al centro di polemiche decennali per la nocività delle emissioni. La decisione della Corte europea di Strasburgo è arrivata in seguito al ricorso presentato da un gruppo di abitanti di Taranto che ha denunciato la violazione di norme necessarie per proteggere la salute collettiva. Sotto accusa da parte dei residenti anche tutte le norme “Salva Ilva” che avrebbero permesso la continuità della produzione siderurgica.
La notizia è arrivata proprio nel giorno in cui nella città pugliese si è aperto il processo per presunto disastro ambientale. Un processo storico, con 44 persone rinviate a giudizio e tre società, sei anni di indagini, per far luce sull’inquinamento degli anni della gestione Riva (1996-2013).
Alla sbarra ci sono, come riporta l’Ansa, anche i fratelli Fabio e Nicola Riva, della proprietà Ilva (oggi in amministrazione straordinaria), l’ex governatore della Puglia, Nichi Vendola, il sindaco di Taranto, Ippazio Stefano, l’ex presidente della Provincia Gianni Florido, l’ex presidente dell’Ilva Bruno Ferrante, l’ex responsabile dei rapporti istituzionali dell’Ilva Girolamo Archinà, gli ex direttori di stabilimento Luigi Capogrosso e Adolfo Buffo, l’ex direttore di Arpa Puglia Giorgio Assennato, l’avvocato Francesco Perli (uno dei legali dell’Ilva), l’ex presidente della commissione ministeriale che rilasciò l’autorizzazione integrata ambientale all’Ilva, Dario Ticali e il deputato di Sel (ex assessore regionale) Nicola Fratoianni. Sono previste altre richieste di costituzione di parte civile da parte di famigliari di operai morti di tumore o di cittadini residenti nei quartieri a ridosso del Siderurgico.

«Ben poche cose sono assordanti quanto il silenzio». Sette anni senza Mario Benedetti

Il poeta forte, sopravvissuto a una vita di esilio e d’asma ostinata. Il poeta contro, la dittatura nel suo Paese e l’odio del suo tempo. Il poeta resistente, sempre «in difesa dell’allegria». Il 17 maggio del 2009, proprio sette anni fa, all’età di 88 anni ci ha lasciati Mario Benedetti. Nella sua terra, l’Uruguay, da desexiliado. Usa la poesia come arma di denuncia, Mario: scrive dell’Uruguay del carcere, della tortura, delle esecuzioni sommarie, dei desaparecidos. L’America Latina di Benedetti è fatta di paura e sudore, è un Paese di gente comune fatta di storie quotidiane e musica.

mario benedettiPoeta, saggista, scrittore, drammaturgo e rifugiato politico. Quasi sconosciuto in Italia, eppure ha origini umbre Mario Benedetti, nato in Uruguay da immigrati italiani, Brenno Benedetti e Matilde Farugia. Fino a due anni di età abita con la famiglia a Paso del los Toros, poi, per motivi di lavoro i suoi decidono di trasferirsi a Tacuarembó e, in seguito, a Montevideo, quando Mario ha appena 4 anni.

Cresce tra problemi economici, Mario. A 14 anni inizia a lavorare tra i ricambi per automobili e gli tocca aspettare il 1945 per entrare in una redazione e lavorare così con le sue compagne di vita: le parole. Nel settimanale Marcha, dove viene nominato direttore letterario nel 1954, rimane per 29 anni, fino al 1974, quando il giornale viene chiuso dal governo di Juan Maria Bordaberry. In questi anni collabora con numerose riviste latinoamericane, sposa il suo grande amore il 23 marzo 1946, Luz López Alegre. E scrive. Scrive tanto Benedetti: 10 racconti, 3 drammi, 7 romanzi, 31 poesie, 14 saggi.

La sua è la vita di un combattente, di un intellettuale attivo e controcorrente. La sua prima azione di militanza politica è nel movimento contro il trattato militare con gli Stati Uniti d’America. Poi, nel 1971, fonda il Movimento 26 marzo, il braccio politico della guerriglia dei Tupamaros. Due anni dopo, a seguito del colpo di Stato militare – e al regime militare imposto tra il 1973 e 1985 – è costretto a lasciare l’Uruguay per via delle sue opinioni marxiste e partire per l’esilio: Buenos Aires, Parigi, Cuba, Madrid. Attraversa la storia col passo del “guastafeste”, imprimendo la sua vita nella continua attività letteraria. Torna in Uruguay nel marzo ’83 dando inizio al periodo desexilio.

La riscoperta di Benedetti in Italia si deve a Francesco Luti che ha riunito tutte le opere del poeta uruguagio in Difesa dell’allegria. Perché Benedetti è stato soprattutto un poeta: «Strappiamo le sue poesie all’immobilità della pagina e facciamone una nuvola di parole, di suoni, di musica, che attraversi l’oceano atlantico (le parole, i suoni, la musica di Benedetti) e si fermi, come un’orchestra protettrice, davanti alla finestra che è proibito aprire, avvolgendogli il sonno e facendolo sorridere al suo risveglio», scrisse José Saramago il 4 maggio del 2009, pochi giorni prima della sua morte, sul suo Caderno. Scegliendo una poesia di Benedetti, tratta dalla raccolta Inventario, che oggi Left ripropone:

Non ti salvare

Non rimanere immobile
sull’orlo della strada
non freddare la gioia
non amare indolente
non ti salvare ora

né mai
non ti salvare
non riempirti di calma
non tenerti del mondo
solo un angolo quieto

non chiudere le palpebre
pese come sentenze
non restare senza labbra
non dormire senza sonno
non pensare senza sangue
non giudicare senza tempo

ma se
malgrado tutto
non lo puoi evitare
e raffreddi la gioia
e ami con indolenza
e ancora ti salvi
e ti riempi di calma
e ti tieni del mondo
solo un angolo quieto
e lasci cadere le palpebre
pese come sentenze
e ti asciughi senza labbra
e dormi senza sonno
e pensi senza sangue
e giudichi senza tempo
e immobile ti fermi
sull’orlo della strada
e ti salvi
allora
non restare con me.

La colonna sonora di Amore Tossico con 30 anni di ritardo

“Affannosa ricerca di un limone”. Ascoltate questa traccia su “Amore tossico”, la colonna sonora del film di Claudo Caligari e fatevi venire un po’ di angoscia. E poi, ascoltando tutte le tracce incise su vinile color rosso sangue, pagate tributo alla storia infinita dei compositori di colonne sonore e sigle di scuola italiana.

La colonna sonora di Amore tossico, composta da Detto Mariano, che fino a quel momento aveva composto principalmente musica per film leggeri e commedie, usando solo un Fairlight, sintetizzatore che all’epoca era di grande avanguardia, esce per la prima volta su disco. Con una bella operazione, Penny Records ha pensato di stampare questo disco accompagnandolo, stavolta anche in versione digitale, da Tossico Amore, ovvero la stessa colonna risuonata e reinterpretata da La Batteria, quartetto romano che ama ricreare, bene e in maniera originale, il sound tipico delle colonne sonore italiane (qui qualche esempio, sul loro sito). Che poi sono tante come i generi di culto di quegli anni, dall’horror, ai polizieschi fino alle commedie sexy.

Il risultato sono due bei dischi (bella la copertina di Emiliano Stand Cataldo), che ci rigettano nelle atmosfere di un film culto che raccontava, quasi in diretta, la catastrofe dell’eroina nelle periferie urbane dei primi anni 80. Un racconto nella stessa Ostia ripresa da Caligari nel suo”Non essere cattivo”, ahinoi ultimo film di questo regista poco prolifico e straordinario 30 anni dopo.

71xZfMRKeqL._SL1200_
Il risultato di questi due lavori, uno antico, l’altro vintage – come si dice oggi per qualsiasi cosa suoni o appaia di un’altra epoca – è un viaggio profondo e a tratti angosciante come la vicenda raccontata in “Amore Tossico”, musica tesa, asciutta e coinvolgente, elettrica nelle tracce originali e più rotonda, suonata, in quelle de La Batteria, che è composta da musicisti con una lunga storia e mille frequentazioni – e la cosa si vede, il disco è prefetto: suona antico, è fedele all’originale ma è proprio un’altra cosa.

Racconta Detto Mariano: «Caligari fu meticoloso nella scelta critica delle musiche per il suo primo film e anche se ribadisco il suo completo assenso ai temi principali, pure, in alcune scene fece intervenire un signore il cui ruolo non mi era mai capitato di incontrare prima né da allora ho mai più incontrato.

Fece venire in sala un esperto in droghe. Il suo compito era quello di appurare se le mie musiche corrispondevano all’effetto che le droghe facevano a chi le assumeva». Ci sono brani che che lasciano immaginare che l’esperto se ne intendesse, non solo degli effetti, ma dell’angoscia e dolore dell’astinenza.

E se non conoscete Amore Tossico, questo è il trailer

Chi plagia i giovani kamikaze. La denuncia dello scrittore Mahi Binebine

La mattina del 16 maggio 2003,  quattordici giovani uscirono da una baraccopoli vicino a Casablanca per fare una carneficina, uccidendo 45 persone e ferendone centinaia. «Sono rimasto scioccato di fronte a quella tragedia, come i miei concittadini. Fino ad allora avevamo pensato di essere immuni dal terrorismo» dice lo scrittore Mahi Binebine a Left . «Ma abbiamo dovuto affrontare l’amara realtà: i giovani responsabili di quella tragedia non venivano da fuori».

Da quello choc, molti anni dopo, è nato il romanzo Les étoiles de Sidi Moumen uscito in Francia nel 2010 e che ora, finalmente, arriva nelle librerie italiane con il titolo Il salto, pubblicato da Rizzoli. Romanzo bruciante, febbrile, visionario in cui lo scrittore marocchino immagina la storia di questi ragazzi cercando di capire che cosa li ha portati alla pazzia di quel gesto. Il libro e il film, I cavalli di Dio che ne è stato tratto, hanno aperto la discussione sulle radici del terrorismo islamico che continua oggi.

Binebine«Allora pagavamo il prezzo dell’analfabetismo, della povertà, dell’ingiustizia che dilaga negli slums come Sidi Noumen alle porte di Casablanca», racconta Binebine che il 17 maggio alle 18,30 incontra il pubblico nello  spazio di coworking Cowall, dove si trova la redazione del magazine Babelmed .
«Come scrittore potevo rimanere inerte? Ovviamente no. La letteratura può cambiare qualcosa? Ho qualche dubbio al riguardo.. Ma penso anche che nessun atto contro la barbarie sia mai vano».  Fuori da scenari apocalittici e alla Michel Houellebecq, Mahi Binebine indaga la realtà. Lo fa utilizzando un registro letterario alto e una narrazione cinematografica e incalzante.
Ne Il grande salto il fondamentalista Abou Zoubeir è tratteggiato come una personalità forte, carismatica. Ma né questo né le condizioni di indigenza in cui vivono Yashin, Hamid, Yashin, Nabil e gli altri ragazzi bastano a spiegare perché cadono nella trappola sposando la jihad.

La religione sembra offrire loro uno schema in cui incanalare il loro malessere interiore, sembra dargli l’illusione di un’identità, di una appartenenza.
«Ovviamente i poveri non diventano assassini. Non possiamo giustificare tutto con la disperazione e la miseria, di questi attentatori che si sentivano senza futuro» commenta lo scrittore marocchino. « Ma ho trascorso molto tempo a Sidi Moumen, fra le capanne roventi, le fogne a cielo aperto e la discarica di 100 ettari. Se non fossi mai andato a scuola, forse anche io sarei stato una facile preda di mercanti di illusioni.Lavorando con le associazioni in loco, ho scoperto che bastano due anni per addestrare un kamikaze. Spaventoso. Per prima cosa portano i giovani fuori dalla discarica, li ripuliscono facendogli fare le abluzioni cinque volte al giorno per la preghiera e poi gli trovano un lavoro con i “fratelli”. L’indottrinamento inizia con una lettura orientata Corano. Vengono gradualmente separati dalle loro famiglie. Il gruppo religioso diventa una famiglia surrogata che dà loro l’impressione di una dignità che non si sono mai sentiti addosso. Accusano gli ebrei e l’Occidente di tutti i mali dei musulmani. Gli mostrano video di “eroi”kamikaze…e in soli due anni, l’adolescente è piegato al loro volere».

Perché c’è stata una forte ripresa  del fondamentalismo religioso e della repressione politica dopo le “primavere arabe”?
Sento  dire spesso  che i fondamentalisti sono i figli della primavera araba. È una falsità. Sono figli di dittatori che hanno imperversato  nel mondo arabo durante il colonialismo e la decolonizzazione. Al momento della caduta di alcuni di lor , le sole forze organizzate erano i salafiti, supportati dalle monarchie petrolifere. E in alcuni Paesi, come l’Egitto, hanno vinto le elezioni democraticamente. Ci fu un colpo di Stato che il mondo occidentale ha applaudito… tutto questo dà foraggio ai fondamentalisti. La democrazia diventa geometria variabile. Gli viene detto: Hai vinto, vai!
In Marocco e in  molti altri Paesi arabi c’è sempre stata una tradizione laica. Gli intellettuali che ne fanno parte riescono a fare sentire la propria voce?
Il punto è che l’occidente ci dovrebbe pensare due volte prima di impegnarsi in guerre. Lancia a tamburi battenti  proclami sulla democrazia e sui  diritti umani e intanto per interesse fa affari  con i regimi che negano la libertà e diritti.   Proclamano azioni umanitarie e cmmerciano con i mercanti di armi,  nelle aree di conflitto. Certo anche  i democratici  africani, arabi e musulmani, amare la libertà. E anche noi oggi piangiamo le vittime innocenti degli attentati di Parigi e Bruxelles, come abbiamo pianto ieri quelli di Madrid e Casablanca e  soffriamo  per difendere questa libertà.
I giovani terroristi che hanno fatto l’attentato al Bataclan non  sono nati in uno slum. Non hanno alle spalle situzioni di miseria assoluta e ignoranza. Come legge le loro storie?
Quando c’è stato bisogno di ricostruire l’Europa dopo la guerra, serviva forza lavoro, che arrivò in massa  dal Maghreb. Sono stati parcheggiati in sobborghi dormitorio intorno alle principali città e dimenticati lì. Quando si sono svegliati mezzo secolo dopo, hanno trovato una popolazione europea, ma non facevano parte del tutto. Si sono sentiti cittadini di  seconda classe, una parte di loro è caduta nel piccolo traffico di droga, furti. I musulmani  hanno investito i luoghi di culto (a volte illegali), alcuni radicalizzandosi sempre più. Il nemico è chiaramente lo Stato coloniale.  I fondamentalisti hanno offerto loro qualcosa più grande di piccoli reati… E che, secondo loro, non porta in prigione, ma in paradiso con 70 vergini.
 Le responsabilità europee sono sotto gli occhi di tutti. Cosa ne pensa di ciò che sta accadendo con i migranti e ai rifugiati, troppo spesso guardati con sospetto, come fossero tutti terroristi?
La storia è lunga. L’nvasione dell’Afghanistan, anche se può  essere sembrata legittima ad alcuni dopo l’11 settembre, può giustificare gli eventi che hanno portato allo smantellamento dell’Iraq, ora in condizioni esplosive, alla distruzione della Libia, ad installare in il caos e l’anarchia. Oggi è la Siria lacerata dalla guerra civile che accende l’odio millennario tra sunniti e sciiti. Come risposta a queste aggressioni abbiamo assistito alla comparsa dell’Islam fondamentalista, alla nascita di frange jihadiste e nichiliste. Così  a chiunque sia disposto ad ascoltare continuano a ripetere il solito sermone: che i leader di questi gruppi hanno tutto il diritto di agire per risvegliare la”Umma” e denunciare la vera natura demoniaca dell’ Occidente. Gli Stati Uniti e la Francia sembrano confermare le loro speranze. Sappiamo tutti, naturalmente, che tutto questo è solo delirio e speculazione gratuita. Certo i traffici per il petrolio, il controllo geostrategico dell’area medio orientale, ala salvaguardia della sicurezza di Israele costi quel costi non aiutano. A Parigi, come altrove, facciamo finta di non capire. Con cinismo  sono stati dirottati milioni  senza dare unosguardo ai  morti dopo l’invasione dell’Iraq, milioni di morti. Migranti e rifugiati sono il risultato di queste guerre scriteriate.  Una vera tragedia. Anche perché  molti europei sono stati rifugiati e migranti nel secolo passato, ma a quanto pare non se lo ricordano.

Giornata contro l’omofobia. Le storie e i ritratti di Where Love Is Illegal

Negli Stati Uniti è il 1974 quando l’omosessualità viene cancellata dall’elenco dei disturbi psichiatrici. L’Organizzazione mondiale della sanità compie però lo stesso passo solo il 17 maggio 1990. Per questo quella data è diventata il giorno in cui si celebra la giornata mondiale contro l’omofobia.
In molti Paesi del mondo le discriminazioni permangono e i membri della comunità LGBT sono spesso vittime di violenze, per celebrare la lotta contro l’omofobia vi riproponiamo le storie e i ritratti fotografici del progetto web Where Love is Illegal (dove l’amore è illegale) una raccolta di testimonianze per denunciare discriminazioni e persecuzioni sulla base di preferenze sessuali e identità di genere. «Crediamo che le storie abbiano il potere di unire le persone, di aprire la mente, trasformare le opinioni e cambiare le politiche» spiegano dallo staff di whereloveisillegal.com. Il progetto nasce su iniziativa di Robin Hammond, fotografo e attivista per i diritti umani. Per un decennio Robin ha viaggiato attraverso l’Africa sub-Sahariana per raccontare storie che avevano a che fare con lo sviluppo sociale e civile di quei paesi, spesso afflitti da depressione economica e da regimi dittatoriali intolleranti e violenti.

Schermata 2016-02-17 alle 09.26.55

Anno dopo anno Robin è rimasto sempre più scioccato di fronte all’intolleranza che in alcuni paesi si sviluppava contro le varie comunità Lgbt.

«Crediamo che le storie abbiano il potere di unire le persone, di aprire la mente, trasformare le opinioni e cambiare le politiche»


Nel 2014 mentre sta lavorando in Nigeria a un reportage per il National Geographic si imbatte nella storia di cinque ragazzi arrestati e trascinati di fronte a un tribunale perchè omosessuali. Pochi giorni dopo Robin si ritrova seduto faccia a faccia con quei giovani che lo guardano con gli occhi colmi di terrore perché non hanno più una casa, sono costretti a nascondersi e non sanno che ne sarà di loro. Torna a trovarli più volte, scatta loro delle foto, raccoglie le loro testimonianze. Con quelle immagini partecipa al “Getty Grant for Good”, un fondo per progetti a scopo benefico che gli permette di realizzare Where Love Is Illegal. Robin conosce altri attivisti, fra i quali Harold Smith Franzen, comincia a viaggiare in tutto il mondo dall’Uganda al Cameroon, passando per il Sud Africa, per spostarsi poi in Malesia, Russia, Libano raccogliere storie e conoscere nuove persone che vogliono aiutarlo in questo progetto. Nel giro di due anni Where Love Is Illegal diventa una piattaforma per sensibilizzare il grande pubblico sulle violazioni dei diritti umani nei confronti delle persone omosessuali e per raccogliere finanziamenti per tutte quelle associazioni locali che lottano per la difesa dei diritti civili. Diventa anche una sorta di diario globale in cui raccogliere singole storie personali che si intrecciano da un capo all’altro del mondo con un unico fil rouge: l’amore (e il diritto di amare) negato, ferito, calpestato solo perché considerato diverso.
Ecco alcune delle storie raccontate su whereloveisillegal.com

Sud Africa

Olwetu & Ntombozuko

 

 

 

 

«Ecco queste puttane che cercano di rubarci le nostre ragazze» questo è quello che un gruppo di uomini urla prima di attacare Ntombozuko. Ntombozuko è sopravvissuta due volte a questo genere di attacchi omofobici, la seconda volta è stato accoltellato e ancora porta i segni di quella bestiale aggressione. «È stato il giorno peggiore della mia vita, anche oggi ho paura quando cammino per strada».

 

Uganda

Rihana & Kim

 

 

 

«Siamo stati portati in prigione, abbiamo avuto una vita difficile, siamo stati picchiati e costretti ai lavori forzati»

 

Raymond

 

 


«Chi è sospettato di essere gay e viene arrestato dalla polizia viene frustato con una cinghia di cuoio. Miiro & Imran sono stati trascinati fuori dalla loro casa e picchiati in strada. Raymond è stato pestato a sangue fuori da un bar e lo stesso è successo ad Apollo e a molti dei loro amici»

 

Siria

 

La storia di M.

 

«Cosa c’è di speciale nel Paradiso? Le persone lì non ti giudicano». M. in Siria era un medico. È stato rapito dalle milizie di Jabhat al-Nusra, un gruppo affiliato a al-Queda, perché è gay. «All’inizio mi hanno minacciato, volevano tagliarmi la testa, mi hanno piazzato un coltello sotto la gola e mi hanno detto: sei pronto a morire?». M. è stato rilasciato dopo che la sua famiglia ha pagato un riscatto. Più tardi, quando Daesh ha preso il controllo della zona, anche le milizie del sedicente Stato Islamico, sono venute a cercarlo, affermando che per la loro legge doveva essere condannato alla pena di morte per la sua omossessualità. M. è riuscito a scappare nel vicino Libano, dove oggi vive da rifugiato.

 

 

Venezuela
 

 

La storia di Alex

 

 

 

«Ogni giorno era carico di tensione, paura e tristezza ma facevo del mio meglio perché quella spirale depressiva non si impossessasse di me, soprattutto cercando di essere di sostegno per altri che avevano avuto i miei stessi problemi e cercando di focalizzare l’attenzione su cose positive» a parlare è Alex, una ragazza lesbica originaria di Caracas in Venezuela. Quando i suoi genitori scoprirono la sua sessualità, la spedirono in un centro di “riabilitazione” per curare l’omosessualità in Virginia e successivamente in un altro centro nello Utah. «Ho trascorso molti anni della mia vita in quel tipo di centri di riabilitazione. E lì ho perso molte cose: il senso di protezione che dovrebbe darti un genitore, il senso della mia intimità e della mia privacy, la mia capacità di relazionarmi con le persone, l’innocenza che mi era rimasta e la fiducia negli altri. Quei posti mi hanno fatto dubitare di me stessa, della mia sanità mentale, hanno messo in discussione la mia stabilità emotiva. Non mi hanno “aggiustata”, mi hanno ridotta in pezzi».

 

Iraq

 

Khalid

 

 

Russia

D&O

 

 

Una foto pubblicata da Where Love Is Illegal (@whereloveisillegal) in data:

 

«Tienimi la mano, questa è la mia ricompensa per il tuo coraggio». D. e O. sono una coppia di ragazze russe, sono state aggredite per strada solo perché passeggiavano mano nella mano.

 

Sulle storie del progetto Where Love Is Illegal è stato anche organizzata una conferenza Ted Talk che potete rivedere qui:

Enti pubblici di ricerca, il declino è dietro l’angolo

Immagine diffusa dal Cern in relazione all'esperimento Cngs (Cern Neutrino to Gran Sasso), nel quale un fascio di neutrini viene lanciato dal Cern verso i Laboratori del Gran Sasso dell'Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (Infn). ANSA / UFFICIO STAMPA CERN-INFN

Una primavera agitata per la ricerca italiana, sempre alle prese con poche risorse finanziarie e con la scarsità di personale. Non è servito a tranquillizzare gli animi degli scienziati il Programma nazionale della ricerca presentato alcuni giorni fa dal ministro Giannini. Né fa ben sperare la bozza di decreto applicativo della delega Madia sulla semplificazione degli Enti pubblici di ricerca. Per tutti questi motivi, per fare il punto sullo stato di salute della ricerca italiana e per presentare proposte e mobilitazioni future, oggi e domani si svolge un’assemblea nazionale degli enti pubblici di ricerca (Epr) promossa dalla Flc Cgil presso i laboratori dell’Istituto nazionale di fisica nucleare di Frascati (Roma). Intanto il 20 maggio è previsto lo sciopero nazionale che riguarda oltre la scuola anche l’università, gli enti pubblici di ricerca, i conservatori e le accademie.

Ormai è giunto il momento, sostiene il sindacato, di invertire il declino. Una certezza questa che ormai viene condivisa sempre di più dal mondo degli scienziati e dei ricercatori. Mai come in questi ultimi mesi si è assistito ad una mobilitazione da parte di chi in passato si era speso soprattutto all’interno dei propri laboratori e delle aule di lezione. Come è accaduto per la petizione Salviamo la ricerca italiana  promossa su Chang.org dal fisico Giorgio Parisi, uno studioso noto a livello internazionale, che in poco tempo ha raggiunto oltre le 70mila firme, portando i ritardi della ricerca pubblica italiana oltre i confini del Paese attraverso riviste come Nature.

Un’altra forte e inedita reazione si è verificata dopo la scelta del governo Renzi di affidare il polo scientifico Human Technopole all’Istituto italiano tecnologico di Genova. Documentata e determinata la critica della scienziata Elena Cattaneo (intervistata sull’ultimo numero di Left), così come quella dell’astrofisico Giovanni Bignami e critiche sulle modalità dell’intervento del governo sono arrivate addirittura dall’ex presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. «È evidente che Human Technopole segna uno scarto rispetto al passato, ora non si può più dire che non ci sono soldi in assoluto», sottolinea Francesco Sinopoli, segretario nazionale Flc Cgil e responsabile per l’Università e la ricerca che oggi introdurrà i lavori dell’assemblea. Un miliardo e mezzo per 10 anni a una fondazione di diritto privato quando i laboratori delle università e degli Epr stentano ad andare avanti, risulta un’asimmetria troppo marcata.

Ma in questo momento cosa stanno rischiando gli enti pubblici di ricerca? «Da una parte c’è la concentrazione delle risorse con una politica unidirezionale e dall’altra c’è la mancanza della costruzione della politica di ricerca che consente di riprodursi. In ballo ci sono ancora assenza di risorse aggiuntive ai fondi ordinari e per il reclutamento. Non è cambiato niente», continua Sinopoli. Il governo Renzi si pone quindi, sulla scia dei governi che l’hanno preceduto. Come scrive Pietro Greco sempre nel numero in edicola di Left «Gli 800 milioni all’anno previsti dal Pnr rappresentano il 3,8% della spesa totale e meno del 10 % della spesa pubblica in ricerca. Poco, appunto». Quindi dov’è l’innovazione tanto sbandierata?
Ad aggravare la situazione degli Epr arriva poi il decreto Madia che peggiora le cose perché contribuisce, sostiene la Cgil, a creare uno stato di «penalizzazione e di confusione, in particolare sull’ordinamento del personale, sul riconoscimento delle professionalità e sulla possibilità di dare risposte per il superamento del precariato». Secondo Sinopoli la delega Madia «introduce lo stesso modello dell’università, con la paralisi totale del reclutamento, è incredibile che lo ripropongano», conclude il segretario Flc. Tra i temi sul tappeto oggi e domani non solo gli aspetti legati all’organizzazione del lavoro e ai contratti ma anche l’impatto economico e sociale che può avere la ricerca nei processi di sviluppo e il fondamentale tema dell’innovazione e della sostenibilità. Da segnalare oggi pomeriggio a partire dalle 15 la tavola rotonda a cui partecipano tra gli altri, Francesco Sylos Labini, Giorgio Parisi, Pietro Greco, Antonio Bonatesta (Adi), Cesare Pozzi (Luiss). Domani è la volta dei politici: i senatori Walter Tocci, Fabrizio Bocchino, Rosa Maria De Giorgi, ma anche Giorgio Alleva, presidente dell’Istat e  Paola Nicastro, direttore generale dell’Isfol.

Francia, scioperi per la riforma del lavoro. Hollande: «Io non cederò»

«Io non cederò, questa legge che si sta discutendo passerà». Francois Hollande così questa mattina ai microfoni di Europe 1 ha risposto a proposito del futuro della legge El Khomri, che sta infiammando l’intera Francia. Non solo le manifestazioni dei giovani e dei disoccupati di Nuit Debout. Oggi la Francia sarà teatro di numerose proteste, come gli scioperi degli autotrasportatori indetto dai sindacati FO e CGT. Problemi anche nei trasporti pubblici, oggi e domani sciopero nelle ferrovie, ma si stanno mobilitando anche i portuali e i lavoratori degli aeroporti. Gli autotrasportatori, secondo i sindacati, in virtù della nuova legge, subiranno un taglio dei supplementi per gli straordinari dall’attuale 25% al 10%. Ma Hollande questa mattina era determinato: «Non cederò. Troppi governi hanno ceduto ed è la causa delle condizioni in cui ho trovato il paese nel 2012». La legge, il Jobs act alla francese, ha spiegato ancora Hollande, «È stata discussa, concertata, corretta, emendata: i sindacati riformisti appoggiano il testo e la maggioranza dei socialisti lo vota», ha aggiunto.

Ma è vietato allora manifestare – visto che nel fine settimana c’erano state delle polemiche – è stato chiesto a Hollande? «No, sono state date consegne affinché si possa manifestare pacificamente, soltanto i violenti verranno puniti. Io rispetto quelli che sono sinceri e vigliono far sentire la propria voce». Nel corso dell’intervista il presidente francese ha poi spiegato che «ci saranno nuovi tagli alle tasse», ma per renderlo possibile «bisognerà avere dei margini di manovra». Sempre a proposito di tassazioni, «ci sarà un ulteriore calo per le imprese poiché il patto di responsabilità non è stato concluso fino in fondo. Mi sembra logico, giusto, che le famiglie possano avere la loro parte di redistribuzione. Se i conti migliorano, se la crescita si conferma, ci sarà un gesto in favore delle famiglie». E sulla disoccupazione ha detto: «La battaglia non è vinta, combatto ogni giorno».

Fassina riammesso a Roma. La sinistra torna in campo e (forse) archivia le polemiche

Foto Fabio Cimaglia / LaPresse 09-05-2016 Roma Politica Conferenza stampa di Stefano Fassina Nella foto Stefano Fassina Photo Fabio Cimaglia / LaPresse 09-05-2016 Rome (Italy) Politic Press conference by Stefano Fassina In the pic Stefano Fassina

La decisione ha del clamoroso. Il Consiglio di Stato ha messo nuovamente in corsa Stefano Fassina per le amministrative del 5 giugno. A Roma si troverà sulla scheda elettorale il simbolo di “Sinistra per Roma – Fassina Sindaco” e forse anche la lista civica collegata all’ex dem, su cui il Consiglio di Stato si esprimerà giovedì 19.

Ribaltato dunque il verdetto del Tar, Sinistra Italiana tira un doppio respiro di sollievo. Primo: ha di nuovo il suo candidato – peraltro unitario, come a Napoli, Torino e Bologna, e a differenza di Milano; secondo: può mettere da parte, almeno fino al 19 giugno, data del ballottaggio, le polemiche interne che già rinfocolavano in attesa della pronuncia di secondo grado del giudice amministrativo.

L’origine delle polemiche Left l’ha sviscerata più volte, e al tema sarà dedicato ampio spazio sul numero in edicola da sabato 21. Al di là della scadenza elettorale, è necessario infatti mantenere i riflettori accesi sul progetto unitario di Sinistra Italiana, che ha due gruppi parlamentari ma che in queste ore ha visto mettere in forse il suo stesso congresso fondativo, previsto per dicembre. Tra diverse visioni sull’Europa, diversi gradi di fede nella moneta unica e diversi modelli di sviluppo preferiti, il tema più divisivo rimane sempre il rapporto con il Pd.

Anche questa volta non è stato diverso. E se fino a 5 giugno saranno tutti impegnati nella caccia delle preferenze, è probabile che la ferita si riaprirà già per il 19, quando ci sarà da fare una scelta per il ballottaggio. Roberto Giachetti, per la prima volta in maniera così esplicita, già immagina un centrosinistra unito al secondo turno, anche se ha detto di non voler prendere in considerazione apparentamenti. Per molti dentro Sinistra Italiana – Fassina compreso – non è così scontato. Anzi. «Roma torna Roma», dice Fassina, «per Giachetti vuol dire tornare al Modello Roma di Veltroni. Per noi però è quel modello, e non solo Alemanno, ad aver aperto tante ferite nella città, a cominciare dall’urbanistica».