Oregon e Kentucky sono un pessimo posto per tenere delle primarie se ti chiami Hillary Clinton. Oggi (fino a stanotte fonda) si vota in altri due Stati che, per composizione dell’elettorato democratico, sono perfetti per Bernie Sanders: uno è liberal e bianco, l’altro solo bianco. Ancora una volta, come da un paio di mesi a questa parte, il voto dei due Stati non cambierà la dinamica delle primarie democratiche, destinate a concludersi il 7 giugno con il voto in California che al 99% incoronerà Hillary. Da qui ad allora e dopo le probabili vittorie di stanotte, Bernie continuerà a sostenere di potercela fare, a radunare folle ai suoi comizi e a mettere in seria difficoltà l’ex first lady con i suoi contenuti e la sua freschezza di figura politica disinteressata – contrapposta allo scarso appeal della rivale.
Nelle ultime settimane i toni di Sanders – soprattutto di alcuni suoi sostenitori – si sono fatti più aspri nei confronti di Hillary e si teme che la cosa possa danneggiare i democratici alle elezioni. La loro fortuna è avere Trump come avversario.
Per ovviare alle difficoltà nelle quali si è trovata, Hillary punta su due fattori: ribadire che sta vincendo lei e, soprattutto, puntare la campagna contro Donald Trump, come se si fosse già nella corsa al voto vero. L’idea, al momento, sembra quella di segnalare le crepe nel Grand Old Party: oggi un comunicato stampa della campagna segnala tutta una serie di figure del partito che fu di Reagan che prendono le distanze dal candidato. Secondo passo è quello di consolidare il consenso dei gruppi che di certo votano in maggioranza democratico. Se per mesi, quelli delle primarie, la corte è stata fatta alle minoranze, oggi è la volta delle donne.
Nel giorno in cui il New York Times pubblica una lunga inchiesta in cui almeno una trentina di donne raccontano del loro rapporto/incontro con TheDonald – niente violenze o simili, ma supponenza, battute, disprezzo, un’idea non proprio contemporanea e paritaria della donna – il SuperPac (o comitato di azione politica) Priorities Usa, che è una mano armata di Hillary, manda in onda due spot. L’anteprima è andata in onda durante lo show di Rachel Maddow, conduttrice liberal e molto schierata e ve li mostriamo qui sotto. Non sono male. L’obbiettivo è colpire Trump prima che questi, a forza di spin e tentativi di moderarlo/contenerlo da parte repubblicana, moderi la sua immagine, inchiodarlo alle sue battute e alle sue parole. E anche se una delle donne intervistate dal New York Times ha detto che il contenuto delle sue parole è stato distorto, le frasi che sentite negli spot Tv non hanno nulla a che vedere con soffiate o confessioni: la voce è quella del miliardario newyorchese. E a dire il vero, ci vuole poco a credere che uno così faccia avances non richieste.
Ma vediamo gli spot:
«Aveva sangue che le usciva dagli occhi e da …. ci siamo capiti», «Aveva un bel corpo? No, aveva un culo grasso, eccome!» «Se Ivanka non fosse mia figlia, beh, ci proverei». Tre frasi delle cinque che vedete mimate, con la voce di Trump in sottofondo. Alla fine, lo speaker si rivolge alle donne: Davvero Trump parla in vostro nome?
Missed @Maddow tonight? We previewed some of our first anti-Trump TV spots. Check it out + RT:https://t.co/I8WltC9Uax
— Priorities USA (@prioritiesUSA) 17 maggio 2016
Il secondo è più politico, si apre con Trump che dice di se stesso: «Nessuno rispetta le donne più di Donald Trump» e segue con una serie di ritagli di interviste Tv in cui TheDonald promette di tagliare Planned Parenthood (la rete che fa pianificazione familiare), che spiega che le donne che abortiscono dovrebbero essere punite. «Trump per noi è sbagliato», dice una voce femminile.
Donald Trump’s priorities? They’re dangerous. And we’re ready to take him on with our latest ads. →https://t.co/R6x4ztmm1j
— Priorities USA (@prioritiesUSA) 17 maggio 2016




Poeta, saggista, scrittore, drammaturgo e rifugiato politico. Quasi sconosciuto in Italia, eppure ha origini umbre Mario Benedetti, nato in Uruguay da immigrati italiani, Brenno Benedetti e Matilde Farugia. Fino a due anni di età abita con la famiglia a Paso del los Toros, poi, per motivi di lavoro i suoi decidono di trasferirsi a Tacuarembó e, in seguito, a Montevideo, quando Mario ha appena 4 anni.



«Allora pagavamo il prezzo dell’analfabetismo, della povertà, dell’ingiustizia che dilaga negli slums come Sidi Noumen alle porte di Casablanca», racconta Binebine che il 17 maggio alle 18,30 incontra il pubblico nello spazio di coworking 




