Sposarsi nell’anfiteatro romano di Fiesole costerà 4mila euro. Si aggiunge così un altro bene culturale che andrebbe ben tutelato alla lunga lista delle location per cerimonie di lusso. Anche la Toscana che vanta una delle tradizioni più illustri e secolari nella tutela cede al noleggio di beni pubblici da parte dei privati. Per fare cassa. Nonostante nel Codice dei Beni culturali e del paesaggio si legga: «I beni culturali non possono essere adibiti ad usi non compatibili con il loro carattere storico o artistico oppure tali da recare pregiudizio alla loro conservazione». E in barba all’articolo 9 della Costituzione che lega la tutela del paesaggio e del patrimonio artistico alla ricerca e alla conoscenza.
Così dopo Roma (Il circo Massimo location per matrimoni e comunioni) e molte altre città storiche anche Fiesole si mette su piazza affrendosi a chi voglia andare a nozze davanti al sindaco, o a un suo delegato, e anche organizzare il ricevimento da 500 invitati dentro l’area del Teatro Romano di Fiesole e più invitati, o da 150 se ci si accontenta dell’area antistante il Museo archeologico. Poco importa se questo terrà fuori il turismo internazionale. Lo ha deciso all’unanimità il consiglio comunale stabilendo anche la tariffe: 4 mila euro per tutti, fiesolani e non. A tramutare la tradizione toscana della tutela che risale all’età dei Comuni e al civilissimo Costituto di Siena, come è noto, fu Matteo Renzi quando era sindaco di Firenze, noleggiò il ponte Vecchio alla Ferrari, facendone un ring per una festa vip e privatissima, impedendo così a turisti e cittadini di godere di un bene pubblico considerato patrimonio universale. Poi grazie alla sciagurata legge Ronchey che apriva i musei ai privati, la soprintendenza del polo museale fiorentino allora guidata da Cristina Acidini arrivò anche a varare un tariffario ufficiale dedicato all’affitto di sale ed aree dei musei di Firenze, dalla galleria degli Uffizi a quella dell’Accademia, da Palazzo Pitti a tutti gli altri spazi del Polo fiorentino.
Fu stilato nel 2013 in una riunione tecnica dedicata alla realizzazione del “prezzario” che si tenne in prossimità delle ferie a fine luglio, quando la città si stava svuotando e l’attenzione scemamava. I costi? Anadavano da una ‘base’ di 3mila euro fino a 130mila per gli Uffizi, aperti anche ad improbabili sfilate di moda.










La trama è questa: Giulia De Martino, una ragazza di 17 anni – interpretata dalla rivelazione Matilda De Angelis – pilota talentuosa, perde all’improvviso il padre che aveva scommesso la casa e tutto ciò che possedeva su di lei sperano vincesse il campionato gran turismo. Al funerale, dopo anni passati lontani da casa fa la sua comparsa il fratello Loris, tossicodipendente ex campione prodigio interpretato da Stefano Accorsi. La storia raccontata in Veloce come il vento inizia, fra i rombi dei motori di Porsche, Ferrari e Lamborghini messe in fila per il corteo funebre, e il dolore per una perdita che rimette in gioco le vite di due fratelli, mescolando in maniera magistrale il film d’azione al dramma familiare.
Un limite che però come nel caso di Loris – e di Carlo Capone nelle cronache sportive – cede all’improvviso, una sorta di ingranaggio emotivo che in un attimo, e d’improvviso, si rompe. È così che quella forza, quella capacità di mantenere l’equilibrio sfrecciando sul crinale, diventa all’improvviso una debolezza. Un vero e proprio tallone d’Achille pronto a trasformare il protagonista nel suo opposto. Il pilota, che per definizione è un atleta dai riflessi velocissimi, a causa della droga si addormenta, perde quello smalto indispensabile per un campione e si riduce ad essere meno di un uomo come tanti. Loris De Martino però non è semplicemente un omaggio a Carlo Capone è anche il pretesto per raccontare un altro pezzo della storia che conosciamo, cosa accade dopo aver subito questa disfatta personale.

