Compie 30 anni Catartica dei Marlene Kuntz, fra i più significativi lavori della produzione artistica italiana, il primo del Consorzio produttori indipendenti, etichetta discografica che contribuì alla rinascita del rock in Italia.
Per festeggiare l’album con il concerto dello scorso 2 luglio a Milano ha preso il via un lungo tour in Italia e in Europa.
Con i suoi 15 brani, Catartica è un album attualissimo, soprattutto per il sentimento da cui è animato: la rabbia. Rabbia e desiderio di affrontare, e magari frenare, cercare di risolvere le tante emergenze che viviamo. A cominciare dalla crisi climatica, un problema che ai Marlene Kuntz interessa molto, visto che il loro nuovo album, Karma clima, (Al-Kemi records) ne sottolinea l’urgenza. Poi la democrazia, i giovani, il futuro, sono i temi che innervano il disco. Tornando a Catartica, con la passione bruciante che lo contraddistingue, spicca quella meraviglia di “Nuotando nell’aria”, colonna sonora degli amori finiti di chi era poco più che adolescente in quegli anni lì per arrivare ai giorni nostri. E non è un caso che il nuovo libro di Godano appena uscito per il Saggiatore si intitoli Il suono della rabbia. Pensieri sulla musica e il mondo.
Quanto al tour dei Marlene si protrae fino a tutto agosto, toccando l’intera penisola, poi da settembre la band farà tappa a Parigi, Bruxelles, Berlino e Londra. Al pubblico di lungo corso cresciuto con loro si è aggiunto quello dei giovani che forse negli anni di Catartica neanche erano nati. Da allora molte cose sono accadute. Su questi «anni andati», tanto per citare qualche strofa, ci sono: 11 album in studio, 4 dal vivo, 8 raccolte, 2 colonne sonore, un disco d’oro e un film documentario. Nati nel 1989, i Marlene cominciano subito un’ascesa che li vede tra i maggiori esponenti del rock italiano. Poetici, eleganti, sopraffini compositori, originali e fedeli ai loro ideali, coerenti con la loro musica. Per festeggiare Catartica, ma per sapere cosa fa oggi la band piemontese, ne parliamo con il cantante, chitarrista e autore dei testi Cristiano Godano, che insieme a Luca Lagash Saporiti, Riccardo Tesio (tra i fondatori della band, insieme a Luca Bergia, scomparso lo scorso anno), Davide Arneodo e Sergio Carnevale si sono ispirati, per il nome, alla mitica Dietrich.
A proposito di cambiamenti, Cristiano Godano, sono passati 30 anni da Catartica: il muro di Berlino era caduto, c’era Tangentopoli, erano gli anni delle stragi di mafia….Che cosa vi animava in quegli anni e di che cosa volete parlare oggi?
Io ho cominciato a scrivere i testi delle mie canzoni quando avevo circa 20 anni. E a proposito di rabbia, quella dei testi di Catartica forse si potrebbe dire che ancora non era una rabbia sociale, di stampo eminentemente etico o politico. Quanto al presente, ci rendiamo conto che questi sono tempi che dovrebbero essere di rabbia e di reazione anche sociale, perché intravedo una pericolosa deriva del mondo occidentale che sta attraversando una grave crisi dell’istituto della democrazia. È una deriva grave e preoccupante. Oggi, sarebbe più che giustificata una rabbia sociale, un’allerta, un voler essere parte attiva nella resilienza. Ma questa spinta manca abbastanza.
Cristiano Godano: Suonare solo per la bellezza
Caravaggio e la sindrome di Stendhal
Il fatto che di fronte alla bellezza di un’opera d’arte o di una architettura si possa rimanere storditi e senza fiato sembra impossibile, ma accade. A me è successo una volta all’oratorio di san Lorenzo di Palermo. Non è uno dei luoghi più noti della città, anzi a molti è ancora oggi sconosciuto. L’oratorio è un luogo consacrato, ma di dimensione più ridotte di una chiesa, in cui si svolgono attività come la catechesi, gli incontri della comunità, lo sviluppo delle opere di assistenza di confraternite e corporazioni. Questo di Palermo è uno scrigno di potente e incredibile bellezza: un sistema parietale omogeneo composto da sculture monocromatiche che paiono marmi romani lo avvolge integralmente. Sono raffigurati – con la fantasia e una creatività tipicamente tardo barocca – le attività e i miracoli di san Lorenzo e di san Francesco suo estimatore. Scopro che Vincenzo Consolo aveva scritto: «Mi parve d’entrare in paradiso. Torno alle pareti, in cielo, sull’altare, eran stucchi finemente modellati, fasce, riquadri, statue, cornici, d’un color bianchissimo di latte, e qua e là incastri d’oro zecchino stralucente, festoni, cartigli, fiori e fogliame, cornucopie, fiamme, conchiglie, croci, raggiere, pennacchi, nappe, cordoncini… e angeli gioiosi, infanti ignudi e tondi, che caracollavan su per nuvole, cortine e cascate, a volute, a torciglioni. Ma più grandi e più evidenti eran statue di donne che venivano innanti sopra mensolette, dame vaghissime, nobili signore, in positure di grazia o imperiose. Ero abbagliato, anche per un raggio di sole che, da una finestra, colpendo la gran ninfa di cristallo, venia ad investirmi sulla faccia».
E sino a qui tutto bene, ma questo oratorio è anche un luogo “drammatico” perché per quasi quarant’anni è stato mutilato da uno dei furti di opere d’arte più noti in Italia, la Natività di Caravaggio che magnificamente sedeva sull’altare. Per circa mezzo secolo la mutilazione sanguinò, ma quando vi andai alcuni anni fa, assistetti a una sorta di miracolo, il quadro era di nuovo lì, integro, perfetto, stupefacente. Si era completata infatti una accuratissima ricostruzione digitale realizzata a cura di Factum Arte di Madrid. Conoscere l’oratorio di san Lorenzo rappresentò quindi una doppia emozione: quella per l’ambiente in questa sorta di paradisiaca cava di panna montata descritta prima da Consolo e quella della resurrezione del quadro rubato.
Quanti colpi di scena nell’arte medica
Tra i tanti libri di storia della medicina Storia avventurosa della medicina, (Neri Pozza) è differente: piacerà non solo ai colleghi medici e chirurghi, ma anche a chi è sensibile alla umana aspirazione a vincere dolori e sofferenze. Qui l’uomo è oggetto e soggetto al tempo stesso; qui la storia delle vicende umane legate a quello che siamo e vorremmo essere, e al nostro desiderio di stare bene, è raccontata. E poi – per anticipar la calda raccomandazione del recensore – come non leggere un libro che parla anche di un organo che viene considerato alchemico perché crea coscienza trasformando materia in pensiero?
Paolo Mazzarello – ordinario di storia della medicina all’università di Pavia dove è anche presidente del sistema museale e direttore del museo Kosmos – scrive della salute e della malattia con una forza narrativa rara per un saggio: il registro pare quello del romanzo, sia di quello storico, perché di storia si parla e nella storia si è immersi, sia certamente di quello d’avventura, perché in ogni scoperta, in ogni accelerazione diagnostica e sperimentale, e per ogni vicenda epica vi sono rischio, pericolo, azzardo, imprevedibilità. Immersi, dunque, nella grande Storia, qui ci sono proprio tutti gli elementi dell’avventura, insieme al coraggio e alla vigliaccheria, ai trionfi e ai fallimenti dei suoi protagonisti. Nel libro sono narrate le vicende di grandi nomi che hanno segnato la storia della medicina, ma ci sono anche tante storie minori, solo apparentemente poco significative, che si insinuano improvvisamente in questo grande affresco, perché anche la casualità è evento caratteristico della storia della medicina. Non mancano, dunque, i colpi di scena, dal momento che «le vie della scienza sono infinite e si realizzano spesso per itinerari tortuosi» (p. 242). La scrittura di Mazzarello è quella che abbiamo imparato a conoscere nei suoi potenti libri di storia della scienza, dalle biografie scientifiche (si pensi a Il Nobel dimenticato, la vita e la scienza di Camillo Golgi, Bollati Boringhieri 2006) ai saggi narrativi (per esempio Il professore e la cantante. La grande storia d’amore di Alessandro Volta, Bompiani 2009): la sua identità stilistica è caratterizzata da una scrittura piana e coinvolgente, capace di improvvise accelerazioni e sorprese, di introspezioni brevi e precise, di pennellate descrittive e di focus personali e ravvicinati dove usa la sua mirabile lente.
Il neofascismo e la manipolazione del pensiero
Dalla stessa parte mi troverai (Sem edizioni), presentato dal compianto Franco Di Mare al Premio Strega 2024, è un libro coraggioso. Prima di tutto perché esplora la storia di una vittima a lungo dimenticata: Mario Scrocca, ex militante di sinistra che a quasi dieci anni di distanza fu ingiustamente accusato dell’aggressione alla sede del Msi di Acca Larentia a Roma del 1978 e trovato impiccato in una cella anti-impiccagione a Regina Coeli. Ma anche, se non soprattutto, perché l’emozionante voce narrante dell’autrice coglie aspetti profondi della crisi in cui si annidano i germi della violenza e della sopraffazione, e i rischi che rendono fragili le libertà, nella vita delle persone come in quella dei Paesi e dei popoli. Con un’attenzione speciale per le donne.
Valentina Mira, che effetto ha fatto essere selezionata per lo Strega con un libro così diverso da quanto viene proposto dall’editoria mainstream?
Penso che mi avrebbe fatto effetto a prescindere dal tipo di libro, a essere sincera. Diciamo che la prima parte della mia vita è stata costellata di fallimenti e sfortune di vario genere, un precariato perenne e faticosissimo a fronte di un impegno gigante, in termini di studio e di lavoro: mi piace pensare che dovessi imparare delle lezioni importanti, e andare incontro con tutta l’umiltà e la gratitudine del mondo a questa nuova, insperata piccola gioia.
Mario Scrocca è stato una vittima “indiretta” ma non meno degna di essere ricordata. Eppure, di lui si sono dimenticati quasi tutti. Perché?
Credo che troppe poche persone si siano spese per ricordarlo, che troppo sia ricaduto sulle spalle di quella che all’epoca era una ragazza giovanissima (25 anni), con un bambino di 2 anni da crescere, all’improvviso, da sola. Dipende da tanti elementi: i tabù sul carcere e sulle persone che ci muoiono, il tabù sugli abusi in divisa, l’impianto martirologico che su Acca Larentia ha messo paura a chiunque non parlasse di fascisti ma di antifascisti. Contribuì anche un pessimo giornalismo, che accompagnò la vicenda cercando di metterla a tacere fin dall’inizio. E poi c’è il dato umano. È proprio grazie a quanto Rossella è tenace se oggi parliamo di Mario.
Kafka tra lettere reali e lettere immaginarie
“Kafka? Chi è Kafka?” Sarebbe stata una domanda possibile ai nostri giorni, a cent’anni dalla morte dello scrittore praghese, se non fosse esistita la sua amicizia con Max Brod il quale, contro la volontà dell’amico che vuole distrutti i suoi scritti dopo la morte, salva gran parte del lascito non pubblicato di Kafka raccogliendolo e portandolo con sé, quando nel 1939 fugge dalla Germania nazista. Un esecutore testamentario disubbidiente a cui la letteratura universale è debitrice. Due amici diversi, nel fisico, nel pensiero, nella vita privata e sociale. Così diversi che la loro amicizia è per Walter Benjamin «un punto interrogativo, che egli (Kafka) ha voluto dipingere al margine dei suoi giorni». E forse ha ragione se Kafka stesso afferma: «A Max non risulto chiaro, e dove gli risulto chiaro, si sbaglia» (un monito per tutti noi?). Fra le carte salvate c’è anche l’epistolario fra i due, che Neri Pozza editore con il titolo Un altro scrivere. Lettere 1904-1924 (traduzione. e introduzione di Marco Rispoli e Luca Zenobi) ripropone oggi, a 15 anni dalla prima pubblicazione, offrendo al lettore italiano l’occasione di tuffarsi nuovamente in pagine di assoluta singolarità. Con la voce di Kafka, «Caro Max… Il nostro carteggio può essere molto semplice; io scrivo le mie cose, tu le tue e questo è già risposta», potremmo aspettarci la spontaneità di un’andatura piana per la naturale commistione di vita quotidiana e arte che rallenta il ritmo narrativo rendendolo descrittivo e indiretto; potremmo aspettarci, non dico una rinuncia alla letterarietà quanto forse una sospensione, una pausa da essa. Invece, se questo è in parte vero per le lettere di Brod, pacate, lineari e ricche in particolari di vita mondana e sociale, non lo è affatto per quelle di Kafka il cui linguaggio essenziale e talvolta bruciante trasporta con forza nell’interiorità dello scrittore boemo.
Le lettere di Kafka sono, in alcune loro parti, letteratura pura. Conosciamo l’intensità al limite dell’esprimibile di quelle a Milena Jesenská, suo grande amore, che si snodano a volte nel soliloquio del contrasto insanabile fra vita e arte, fra amare e scrivere. Altrettanto vive, le lettere a Brod propongono lungo un ventennio la ricerca dell’identità di scrittore di Kafka sempre tinta dal paradosso. Si dice scrittore anche quando non scrive per poi piegarsi, nella celeberrima lettera del giugno 1921, alla duplice emarginazione dello scrittore ebreo-tedesco che, tedesco nei confronti degli slavi ed ebreo nei confronti dei tedeschi, vive le tre impossibilità: «l’impossibilità di non scrivere, l’impossibilità di scrivere in tedesco, l’impossibilità di scrivere in un’altra lingua».
Francesca Santolini: Non solo negazionisti, pure ecofascisti
Accanto ad un ecologismo progressista e movimentista che fa della lotta ai cambiamenti climatici la propria bandiera, si sta delineando anche un’ideologia ambientalista ultra-conservatrice promossa dall’estrema destra. Dopo anni di negazionismo tout court, i nazionalisti di tutta l’Unione europea, usciti rafforzati dalle elezioni europee di inizio giugno, hanno mutato strategia: la natura va tutelata, ma guai a toccare i combustibili fossili. I veri colpevoli della devastazione ambientale sono i migranti, i popoli del Sud del mondo, il femminismo, i diritti. Chi sono gli “ecofascisti”? Lo spiega la giornalista Francesca Santolini autrice del saggio Ecofascisti. Estrema destra e ambiente pubblicato da Einaudi.

Lei nel suo libro illustra come il germe dell’ecologismo nasca in Germania tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento con lo zoologo Ernst Haeckel, in contemporanea all’affermazione della teoria del darwinismo sociale e in ambienti nazionalisti e reazionari – cito la Società Thule e il movimento Volkish. Ma questo non è un controsenso avendo l’ecologismo una base scientifica?
L’operazione che portò avanti Haeckel, ossia applicare le categorie scientifiche alle società umane, non fece altro che mutuare in modo distorto il concetto di selezione naturale. Questa lettura così “originale” del concetto di natura contribuì fortemente al rafforzamento delle teorie sull’igiene razziale e alla nascita dell’eugenetica. Manipolando le dottrine evoluzionistiche, Haeckel diventò poi uno dei maggiori ideologi del razzismo e del nazionalismo, e con le sue teorie ispirò anche il movimento Volkish, un’ideologia apertamente populista e reazionaria che si opponeva fortemente al liberalismo, all’industrializzazione e che vedeva come fumo negli occhi le rivoluzioni borghesi dell’Ottocento. Il nemico ideale di questa formazione erano proprio gli ebrei, considerati troppo “cosmopoliti” e razionali, incompatibili con la comunità e con il suo “antico legame” con il territorio d’origine. Nell’ultima parte della sua vita Haeckel si unì ad un’organizzazione di estrema destra e antisemita, la Società Thule, che viene considerata dagli storici il primo nucleo del movimento nazista, che non nasce dal nulla, ma i cui germi cominciano a proliferare proprio in questo humus culturale.
Ora, opposizione unita contro il premierato
Nel nostro Paese la forma di governo parlamentare è consustanziale all’unità nazionale e alla proclamazione del Regno d’Italia, spezzata solo dalla dittatura fascista nel ventennio e prontamente ripristinata dal voto popolare subito dopo la Liberazione. Quando, nel 2022, Fratelli d’Italia si presentò alle elezioni, la volontà di modificare l’assetto costituzionale nato dalla Resistenza introducendo un populismo tecnico fondato molto più sulla “governabilità” che sulla giustizia sociale era dichiarata. Il presidenzialismo, si leggeva al punto 24 del programma elettorale di FdI, è «la più potente misura economica di cui necessita l’Italia», indispensabile per assicurare «stabilità governativa e un rapporto diretto tra cittadini e chi guida il governo».
Dopo venti mesi di governo Meloni, caratterizzati dalla sistematica occupazione di ogni possibile spazio di potere, sembra più attuale che mai la domanda se sia lecito – a un partito che non ha mai reciso i legami che da Alleanza nazionale risalgono al Movimento sociale italiano, e da lì alla Repubblica sociale italiana – parlare di rapporto diretto «tra cittadini e chi guida il governo» senza evocare lo spettro di un governo autoritario. «Antifascismo e democrazia coincidono, e questa coincidenza ha la sua tavola fondativa nella Costituzione. È un caso che chi non vuole dichiararsi antifascista sia lo stesso che, la Costituzione, vuole cambiarla?» chiede il presidente emerito della Corte costituzionale Gustavo Zagrebelsky.
L’attuale governo conta su una maggioranza composta da un numero di seggi schiacciante, risultato di elezioni disertate da 17 milioni di italiani, e di una legge elettorale sbilanciata al punto da aver costretto l’opposizione a un ruolo quasi testimoniale. È con un Parlamento ridotto di numero e leso nella propria credibilità grazie al sistematico ricorso alla decretazione d’urgenza, che oggi ci avviamo sulla strada delle riforme volute da un governo che, dopo aver fatto bottino degli spazi mediatici e istituzionali, ha preso per sé più di mille nomine tra enti, ministeri, consigli di amministrazione delle società partecipate, e ha attaccato e messo limiti agli organi di controllo autonomi, dalla Corte dei conti all’Autorità nazionale anticorruzione, da Bankitalia alla Ragioneria dello Stato.
Scienza e Politica
Ogni epoca ha celebrato sé stessa come la vetta del pensiero e della realizzazione umana.
Alcuni popoli e i loro re hanno celebrato sé stessi come coloro che hanno realizzato le società ideali. Tanti pensatori hanno osservato e pensato e teorizzato la verità dell’essere umano e conseguentemente sulla società in cui esso deve vivere. Tanti esseri umani, persone comuni, sono state influenzate da queste idee. Tanti si sono incontrati e amati tra loro, tanti altri si sono scontrati e uccisi tra loro, nella maggioranza dei casi perché qualcun altro diceva loro di farlo.
Per millenni le possibilità umane di modificare il reale sono state limitate all’espressione della forza umana e animale, ponendo dei limiti alle possibilità di trasformazione della realtà. Il pensiero umano ha la caratteristica di poter vedere l’invisibile: può realizzare un’immagine di un oggetto quando l’oggetto non c’è più e poi far sparire quell’immagine senza perdere rapporto con l’oggetto che quell’immagine rappresenta. Cioè il pensiero umano può vedere l’essenziale, ciò che è dentro, nascosto dall’apparenza, ciò che accomuna cosa diverse, ciò che separa gli oggetti gli uni dagli altri, può immaginare di allontanare da sé ciò che è negativo. E con ciò inventa e crea ciò che non esiste nel mondo.
Questa possibilità di pensiero sulla realtà, di vedere al di là del visibile, ciò che è nascosto, ha definito nel corso di migliaia di anni una possibilità di costruire un linguaggio che può parlare e rappresentare la realtà materiale in maniera precisissima. La scienza vede la verità della realtà, sempre più in profondità ed ha elaborato un metodo di lavoro preciso, il metodo scientifico, per approfondire sempre di più questa conoscenza esatta della verità del mondo. La scienza non è altro che trovare una corrispondenza tra verità e realtà. Questo sviluppo, che è accelerato sempre più nel corso degli ultimi 4 secoli, ha portato a conoscere ogni aspetto della realtà, dall’infinitamente piccolo all’infinitamente grande. Ha permesso di conoscere e curare malattie mortali e di sviluppare tecnologie che ci hanno liberato da ogni fatica fisica che ha sempre caratterizzato la vita umana. L’essere umano ha eliminato il problema della sopravvivenza materiale e l’attività umana si è spostata per la massima parte in attività intellettuale, caratteristica peculiare e specificatamente umana.
Nel mondo moderno, in tutte le società avanzate, la gran parte della ricchezza è prodotta dal settore terziario, quello dei servizi. Il dominio e le conoscenze scientifiche e tecnologiche sono ciò che dà il potere del dominio su chi non controlla e gestisce tali tecnologie e conoscenze. Questo è certamente chiaro dalle prime fondamentali invenzioni che, tutte, hanno cambiato il corso della storia perché hanno dato a chi le possedeva un vantaggio competitivo inarrivabile. La storia recente non fa eccezione ma anzi semmai accelera e amplifica tale processo. È ovvio come la tecnologia legata alla conoscenza della struttura atomica della materia dell’inizio del XX secolo abbia dato alle potenze che la gestivano (e la gestiscono tuttora) il dominio pressoché totale del mondo con la bomba atomica. Ed è anche ovvio come la competizione internazionale tra potenze si sia sempre più spostata sull’avere il controllo sempre più profondo di scienza e tecnologia. Perché quella potenza, scientifica e tecnologica, significa potenza economica e potenza militare e quindi controllo sugli altri. Qual è allora la prospettiva attuale e futura per quello che riguarda il dominio scientifico e tecnologico? La domanda non ha una risposta ma credo si possano mettere in evidenza alcuni fenomeni molto interessanti.
In particolare, io penso che due tecnologie saranno assolutamente dirompenti nel prossimo futuro, molto più di quanto già non lo siano: la rete internet e l’intelligenza artificiale. La rete esiste ormai da almeno 40 anni. Oggi permette a chiunque, anche a chi ha minori possibilità economiche, di avere accesso ad informazioni da ovunque nel mondo nei formati più diversi. Se da una parte è evidente una possibilità di manipolazione delle informazioni, d’altra parte vediamo quante possibilità ci sono per ognuno di noi di sapere di altre persone che sono lontane e che vivono in modo diverso da noi. Ma che sono anch’essi esseri umani come noi. Chiunque può seguire lezioni e corsi o accedere a testi ed enciclopedie che racchiudono la conoscenza di migliaia di anni storia, per lo più gratis. È qualcosa di mai visto prima nella storia. Una biblioteca universale che permette a chiunque di accedere alla gran parte della conoscenza umana di migliaia di anni.
L’altra grande rivoluzione è quella dell’intelligenza artificiale, una tecnologia che esiste da molti anni ma che solo recentemente è diventata di dominio pubblico grazie ai modelli di linguaggio artificiale.
In questo caso io penso che la grande rivoluzione sarà non tanto nelle possibilità che l’intelligenza artificiale dà a chi la usa, ma del fatto che la IA dimostrerà che tutta una serie di idee sul pensiero umano, sono del tutto sbagliate. Un esempio semplice e lampante è il fatto che le IA generative come Chat Gpt, visto il modo come hanno “appreso” il linguaggio e anche la loro capacità di tradurre da una lingua ad un’altra senza che questa capacità sia stata loro insegnata tramite regole di grammatica o con la codificazione di una sintassi, rende chiaro come l’idea del linguaggio come realtà preesistente, pre-codificata nel cervello umano, idea sostenuta tra gli altri da Noam Chomsky, sia completamente sbagliata.
Non esistono idee innate negli esseri umani e il linguaggio si sviluppa evidentemente in altro modo.
Così come è altrettanto evidente che queste macchine, per quanto intelligenti, non hanno volontà. Sono dei sistemi che rispondono a stimoli, anche molto complessi come una domanda testuale, e rispondono in modo più o meno complicato. Ma questo non vuol dire affatto che abbiano un pensiero autonomo e una volontà. Di fatto possono essere paragonati all’arco riflesso della rana. A strutture che reagiscono ad uno stimolo esterno ad esse. Anche questa è una caratteristica che mette in evidenza come il pensiero umano sia del tutto diverso, perché noi invece abbiamo una volontà e abbiamo la possibilità di pensare e creare, per esempio un disegno o un testo scritto, senza la necessità di uno stimolo esterno.
Finché il sistema politico sociale si baserà solo su un pensiero di esistenza esclusivamente con fini materiali, di sopravvivenza e di accumulazione, anche a scapito degli altri, la conoscenza scientifica e tecnologica verrà sfruttata per finalità di dominio sugli altri. Ma io credo che siamo arrivati ad un livello di possibilità tali per cui saremo costretti a realizzare che c’è altro e che dobbiamo vedere l’invisibile nascosto dentro noi stessi, senza preconcetti religiosi o paure dello sconosciuto.
La paura dell’intelligenza artificiale è la paura di Olimpia, l’automa de l’Uomo della sabbia di Hoffmann. Ma non può esistere e non potrà mai esistere un automa come Olimpia: esso è la rappresentazione di una mente umana che ha perso gli affetti e non ha nulla a che fare con le intelligenze artificiali o i computer. Sono convinto che sarà una rivoluzione dal basso, una conoscenza e una consapevolezza diffusa che gli esseri umani sono uguali in tutto il mondo e di una diversità totale rispetto agli animali e alle mirabolanti tecnologie che verranno sviluppate. È necessaria una consapevolezza, una conoscenza che sia sapienza di sé stessi e degli altri. La realizzazione di un pensiero naturale con cui nasciamo tutti, lo si vede bene nei bambini: e cioè che gli esseri umani sono gli stessi in ogni parte del mondo.
Verrà poi il tempo di scoprire che da tanti anni c’è una scoperta e una scienza che spiega questa uguaglianza che è nella nascita, che spiega che per tutti alla nascita si è realizzato un pensiero come reazione della realtà biologica allo stimolo della luce, mai visto prima. La specificità umana è proprio in questa reazione che si realizza come fantasia di sparizione verso il mondo non umano, il che significa un pensiero di rapporto con ciò che non è non umano, ovvero l’altro essere umano.
Noi siamo per il rapporto con gli altri, non per il dominio sugli altri. È questa la Politica e la Sinistra che dobbiamo cercare di realizzare.
CinAmerica, dove va il mondo
Cinacrazia versus Americatura, la sfida è aperta. Abbiamo scelto questi due neologismi, perché in estrema sintesi ben raccontano della complessità e delle contraddizioni che percorrono il nuovo ordine mondiale che si sta prospettando (fra grandi cambiamenti in economia e deficit di democrazia).
Un ordine mondiale sempre più spostato su un ordine pacifico, parola riferita all’oceano, ma che di pacifico non ha niente. Le elezioni di novembre negli Stati Uniti saranno uno spartiacque, ma è anche vero che la differenza fra democratici e repubblicani, specie per quanto riguarda la politica estera e quella dell’immigrazione, si stanno assottigliando. Intanto la democrazia Usa attraversa una profonda crisi come spiegano su questo numero David Natali e Alessandro Scassellati Sforzolini con approfondimenti che documentano le profonde faglie che attraversano l’America, divisa fra le grandi città cosmopolite e regioni della rust belt (un tempo cuore dell’industria pesante) e delle vaste aree rurali sempre più arretrate, arrabbiate, isolate, dove mancano servizi, scuole, ospedali e la vita è in media più breve. Sono regioni – dall’Alabama al New Mexico e oltre – arretrate anche sul piano culturale, chiuse in una bolla di disinformazione e terreno di “cultura” dei complottisti di QAnon e dei fondamentalisti evangelici. Snobbate dai dem, queste regioni potrebbero essere l’asso nella manica di Trump, capace di soffiare sul fuoco della rabbia sociale. Per quanto sia paradossale che agricoltori impoveriti siano disposti a dare il proprio voto a un miliardario, affarista, golpista e illiberale come Trump che certo non farebbe il loro interesse.
Intanto, come accennavamo, la differenza di opinioni fra Biden e Trump, pur da opposte sponde, si assottiglia (non solo perché entrambi anziani con vuoti di memoria), ma soprattutto riguardo al ruolo degli Usa sugli scenari di guerra. In particolare in Medio Oriente. Trump è da sempre al fianco del guerrafondaio Netanyahu e della sua missione per annientare Gaza. E Biden, nonostante i moniti, ha continuato a rifornirlo di armi. Attraverso un’intervista ad un alto funzionario Usa, la Cnn per prima ha parlato dell’appoggio di Biden alla scellerata operazione pianificata dal primo ministro israeliano contro Hezbollah, milizia armata, sostenuta dall’Iran che opera come uno Stato nello Stato in Libano e ben diversamente attrezzata militarmente rispetto ai miliziani di Hamas. L’escalation si tradurrebbe in una guerra fra Israele e Libano, che potrebbe deflagrare in una guerra totale.
Rispetto a questi nuovi inquietanti scenari l’Europa tace, continuando intanto nella folle corsa per armare l’Ucraina. Alle prese con la designazione dei top Jobs, (con la riconferma di Von der Leyen, ma con l’asse franco tedesco decisamente indebolito e con una preoccupante avanzata delle destre) l’Unione europea appare distratta, incapace di cogliere la gravità del momento, dopo oltre due anni di guerra in Ucraina e con il peggiorare di giorno in giorno della catastrofe umanitaria a Gaza, ridotta dal gabinetto di guerra israeliano ad una terra desolata e inabitabile, mentre le vittime sono ormai più di 35mila mila secondo l’Ufficio per il coordinamento degli affari umanitari delle Nazioni Unite fra cui si contano 14.500 bambini. Ma aumentano anche i morti in Cisgiordania, di cui ancora meno si parla, con l’avanzamento dei coloni israeliani spalleggiati e legittimati dal governo religioso e di ultra destra guidato da Netanyahu. Non dimentichiamo che è stato accusato dalla Corte penale internazionale guidata da Karim Khan, di essere un criminale di guerra (al pari dei capi di Hamas) e che la Corte di giustizia internazionale, su denuncia di una schiera di Stati capeggiati dal Sudafrica, ha accertato l’esistenza di sufficienti indizi per approfondire l’istruttoria sul reato di genocidio a carico di Israele.
Ma si sa, i tempi della giustizia internazionale sono lunghi e urge una soluzione politica. Chi potrebbe farsene promotore nello scenario globale?
Del piano di Biden in tre fasi per fermare la guerra a Gaza si sono perse le tracce. Intanto nessuno pensa a imporre il cessate il fuoco. E le cancellerie europee, compresa quella italiana, ripetono stancamente il mantra “due popoli due Stati” senza fare concretamente nulla per rendere realizzabile questa soluzione o per trovarne altre, come l’ipotesi lanciata già vent’anni fa dall’intellettuale palestinese Edward Said: uno Stato laico binazionale con capitale Gerusalemme Est.
L’approvazione da parte del Consiglio di sicurezza dell’Onu (lo scorso 10 giugno) del piano Usa per la tregua, con l’ok della Cina e l’astensione della Russia ha rappresentato un passo importante ma neanche quella prospettiva si è ancora concretizzata. In questo scenario la Cina potrebbe voler assumere un ruolo di mediatore di pace? Era ciò che sembrava trapelare a fine maggio quando il presidente Xi Jinping durante il Forum di cooperazione Cina- Stati Arabi ha ribadito: «Pechino sostiene fermamente la creazione di uno Stato palestinese, indipendente che goda di piena sovranità sulla base dei confini del 1967 e con Gerusalemme Est come capitale. E sostiene la piena adesione della Palestina all’Onu». Annunciando altri 500 milioni di yuan per la crisi umanitaria a Gaza e 3 milioni di dollari all’Agenzia delle Nazioni unite Unrwa, per sostenere le operazioni di assistenza umanitaria d’emergenza, Xi aveva anche prospettato una conferenza di pace internazionale «ampia, autorevole ed efficace».
Nel frattempo un conferenza di pace si è tenuta a Lucerna in Svizzera per l’Ucraina ma si è conclusa il 21 giugno con un nulla di fatto anche perché mancavano i principali attori, a cominciare dall’aggressore, la Russia, e da mediatori che avrebbero potuto avere un peso come la Cina, di cui Mosca è ormai junior partner. Ma anche Biden si era sfilato, inviando pro forma la sua vice Kamala Harris.
Le elezioni americane incombono, ma anche le questioni economiche a cominciare dal braccio di ferro che gli Usa hanno ingaggiato con la Cina attraverso una nuova guerra dei dazi. Anche di questo ci parla il sinologo Federico Masini tracciando un approfondito quadro dei grandi cambiamenti che stanno avvenendo nel Paese anche dal punto di vista economico: da grande produttore di merci a basso costo, la Cina è diventata in poco tempo protagonista nell’ambito dell’high tech e nel settore dell’auto elettrica.
E gli Usa ne subiscono la corsa come dimostrano le reiterate uscite di Biden che stigmatizzano la overcapacity cinese, ovvero la sua sovraccapacità produttiva in settori strategici. Da qui la rischiosa scelta di imporre dazi a Pechino, una strategia che Washington ha già adottato facendo pressione perché Bruxelles faccia altrettanto. Per aggirarli Xi Jinping sta già pianificando di delocalizzare l’assemblaggio di auto elettriche in Europa. Così va il mondo globalizzato in cui si rovescia il gioco delle parti.
L’autonomia sarà un boomerang per Meloni
La Camera dei deputati ha approvato e reso definitivo il decreto legge Calderoli già licenziato in gennaio dal Senato. Così la presidente del Consiglio ha offerto all’indispensabile alleato leghista lo scalpo dell’autonomia differenziata, al prezzo di contraddire sé stessa e l’obiettivo dichiarato in precedenza di voler abolire le istituzioni regionali in quanto moltiplicatrici delle occasioni di malaffare, di poltrone e di spesa pubblica (opinione peraltro largamente condivisibile). La coerenza non è la principale delle sue virtù ma per Giorgia Meloni, con questo dietro-front, si tratta soprattutto di avventurarsi in un doppio azzardo.
Nessuno ignora che l’appoggio al decreto leghista sia stato dato in cambio della condivisione del vecchio progetto della destra post-fascista e missina di trasformare la Repubblica italiana da parlamentare a presidenziale, per avvicinarla quanto più possibile, pur nel mutato quadro internazionale, al modello della Repubblica sociale di cui Giorgio Almirante, padre spirituale di Giorgia Meloni, è stato “degno” rappresentante. Tuttavia, mentre l’autonomia differenziata è già legge e potrebbe essere abrogata soltanto da un referendum o da una maggioranza parlamentare diversa da quella attuale, la riforma cosiddetta del premierato dovrà obbligatoriamente passare attraverso il vaglio referendario, giacché si tratta di una revisione costituzionale che non ha ottenuto il voto favorevole dei due terzi del Parlamento. Potrebbe, dunque, darsi che il premierato venga respinto dagli italiani quando l’autonomia differenziata ha già prodotto parte dei suoi perversi effetti con le intese frattanto raggiunte fra Stato e Regioni. Verrebbe anche a liquefarsi l’argomento esibito dalle destre che una maggiore autonomia delle Regioni troverebbe contrappeso, a preservazione dell’unità nazionale, nella maggiore forza di un esecutivo guidato da un(a) leader eletto(a) direttamente dal popolo. Un argomento del tutto inconsistente sul piano costituzionale ma che potrebbe aver fatto presa su parte dell’elettorato. Il secondo azzardo è probabilmente più rischioso e riguarda la tenuta dell’elettorato di Giorgia Meloni nel Mezzogiorno, come mostra l’accorta mossa del presidente della Calabria, il forzista Roberto Occhiuto, di smarcarsi insieme agli altri deputati corregionali dalla responsabilità di un voto che non può piacere a gran parte degli italiani che vivono al Sud.










