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Matrimonio naturale? No, sacro contratto a tempo indetereminato

Pro-families demonstrators and associations take part in a rally, at Circus Maximus, in defense of marriage and the traditional family in the eve of a decisive parliamentary vote on the bill that legalizes same-sex civil unions in Rome, Italy. Around a million people from all over Italy attend a 'Family Day' rally, at Rome's Circus Maximus, to defend the traditional family at the same time as the Italian legislature prepares to vote on a bill legalising civil gay unions. The “Family Day” aim to defend the traditional family and to protest against the Cirinnà bill passing through the Italian Parliament. The legislation, which was introduced by Senator Monica Cirinnà, proposes giving same-sex couples many of the same rights as married couples.

Cos’è il matrimonio? Quello «unico, indissolubile e procreativo» che per la Chiesa di Roma farebbe “naturale” la famiglia? Per secoli, nell’antichità, si trattava di complicati accordi tra famiglie, spesso avversarie. Veri e propri “negoziati di nozze”, in tutto simili alla stipula di un contratto, nelle quali la donna, spesso bambina, era merce trasferita da un nucleo all’altro, una “derrata” trattata su un mercato matrimoniale. A questa consuetudo secolare la Chiesa cattolica applicò, come fosse un ricamo sovrapposto, l’idea di un rapporto “monogamico” creato da Dio e indissolubile, fondato su valori teologico-ecclesiastici neanche troppo sofisticati, del tipo: «Unitevi nel timore di Cristo, le mogli obbediscano ai mariti come al Signore» (Efesini 5, 31 ) o «Sarai sotto il potere del marito, ed egli ti dominerà» (Genesi III, 16 ). È poi col IV Concilio lateranense (a. 1215 ) che la Chiesa perfezionò il suo “piano regolatore”: impose l’uso delle pubblicazioni (per evitare i matrimoni clandestini); stabilì che il matrimonio è un sacramento; ratificò la sua indissolubilità anche agli effetti civili, salvo per morte di uno dei due coniugi; e richiese il consensus libero e pubblico degli sposi, da dichiarare a viva voce in un luogo aperto (ufficialmente per scongiurare ratti e unioni combinate).
Un matrimonio a vita quindi, basato sul consensus. Purtroppo “il ricamo” del matrimonio consensuale non cambiò mai i rapporti di forza sociali esistenti. E neanche tentò di farlo. La dottrina morale della Chiesa continuò a considerare buono il matrimonio in cui il marito “regnava” e la moglie “obbediva” incondizionatamente. Il matrimonio e la famiglia erano cornice obbligata dell’esistenza femminile. Le donne sposate venivano poste sotto la tutela dell’“amministrazione matrimoniale” del marito. E dietro al velo pesante di questa tutela esercitata da padri, mariti e poi confessori si nascondeva un controllo feroce e, a quel punto, indispensabile. Perché in realtà il matrimonio doveva arginare la libido per garantire la nascita di figli legittimi, che voleva dire “eredi” legittimi.
Per la Chiesa, il corpo femminile doveva essere controllato in modo particolare, doveva essere riservato esclusivamente alla fecondazione da parte del marito. Così la dottrina matrimoniale impose l’inseparabilità delle unioni matrimoniali, in nome di un amore coniugale (dilectio o caritas) dichiarato “ufficialmente” fondamento del matrimonio cristiano. Ma è tristemente evidente, anche dall’affannata ricerca di una definizione precisa di questo sentimento (che non trovano mai!), quanto fosse poco spontaneo il nesso tra amore e matrimonio.
La mancanza di amore infatti non era riconosciuta da chierici, confessori e giuristi, motivo sufficiente per mettere fine ad un matrimonio. E d’altra parte la presenza di amore non era riconosciuto dagli stessi, motivo sufficiente per celebrare un matrimonio. Non va mai dimenticato che per la Chiesa cattolica, sulle orme di Paolo di Tarso, il matrimonio era l’unica soluzione per quelli che non potevano raggiungere il “livello superiore” rappresentato dalla verginità o dalla continenza, uomini o donne che fossero! L’“amore coniugale” si fondò invece su quella strana idea di giustizia che non poteva che adeguarsi al diverso grado di virtù attribuita ai coniugi, «se il marito è amato di più è perché è dotato di una maggior razionalità, e quindi più virtuoso, mentre la moglie, naturalmente inferiore, deve ricevere una quantità d’amore inferiore, adeguata alla sua natura». Così recita ancora Tommaso d’Aquino: «Il marito ama più della moglie e ama di un amore più nobile, dal momento che il marito sta alla moglie come il superiore all’inferiore, come il perfetto all’imperfetto, come chi da e chi riceve, come il benefattore e il benefatto, il marito da alla moglie la prole e lei la riceve da lui» (Summa theologiae, a. 1265-1274). La donna deve essere oggetto dell’amore del marito, ma responsabile. Deve evitare che il marito si perda nella libidine e insieme non deve farsi amare troppo per non suscitare quella medesima libidine. E cosa rimaneva alle giovani donne, oziose e vagabonde “per loro stessa natura”(!), che volevano sottrarsi al pugno di ferro dei progetti matrimoniali? Nulla, per secoli. Se non se stesse e la fuga. Spesso senza lieto fine. Un esempio per tutte, forse il più noto, è Chiara d’Assisi fuggita di soppiatto, nella nebbia di una notte, per sottrarsi alle minacce e alle percosse del proprio genitore. E finita in convento. E così, quella che ancora oggi viene spacciata come la famiglia “naturale”, quella sancita dal sacro vincolo del matrimonio nata nel Medioevo e benedetta ancora oggi dal papa, è forse quanto di più innaturale esista: un contratto commerciale trasformato in un “sacro contratto” a vita, che prevede l’amministrazione matrimoniale maschile e la messa “in tutela” del genere femminile.

(Questo articolo è comparso sul numero 49/2014 di Left)

Gli iraniani al Colosseo e le proteste a Il Cairo. La settimana per immagini

Municipal workers pause to refill the insecticide sprayer during an operation to combat the Aedes aegypti mosquitoes that transmits the Zika virus at the Imbiribeira neighborhood in Recife, Pernambuco state, Brazil, Tuesday, Jan. 26, 2016. Brazil's health minister Marcelo Castro said that nearly 220,000 members of Brazil's Armed Forces would go door-to-door to help in mosquito eradication efforts ahead of the country's Carnival celebrations. (AP Photo/Felipe Dana)

Nell’immagine in evidenza operai comunali durante un’operazione per combattere le zanzare Aedes aegypti che trasmette il virus Zika presso il quartiere Imbiribeira a Recife, Brasile. Il ministro della Salute Marcelo Castro ha detto che quasi 220.000 membri delle forze armate del Brasile stanno andando porta a porta per combattere l’invasione dle virus Zika.
(AP Photo / Felipe Dana)

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gallery a cura di Monica Di Brigida

Il mare di idee nuove che bagna Istanbul

La statua di cera di un poliziotto è il primo incontro che facciamo appena varcata la soglia della mostra Istanbul, passione, gioia, furore che porta al MAXXI, fino al 30 aprile le opere, le esperienze e le voci di artisti e architetti provenienti dalla capitale turca. Molti di loro hanno partecipato alla rivolta di piazza Taksim, in opposizione al progetto di costruzione di un centro commerciale in stile neo ottomano nel Gezi Park. Era il 2013 e, come ricorda la curatrice Ceren Erdem nell’intervento A rose garden? nel catalogo edito da Quodlibet, fu un movimento spontaneo in cui «gli abitanti si ritrovarono uniti da una comune idea di diritto alla cittadinanza». La protesta metteva insieme persone di differente provenienza. «Le donne erano in prima linea» e poi c’erano ambientalisti, intellettuali laici, musulmani anti capitalisti «che hanno dimostrato la differenza fra essere religiosi e usare la religione a fini politici». «I nazionalisti avrebbero potuto non schierarsi – nota Erdem – invece hanno messo le tende accanto a quelle dei Curdi».

MAXXI_Istanbul_HalilAltindere_CarpetlandCosì pezzi di società, che di solito sono su opposte sponde, si ritrovavano fianco a fianco in questa battaglia. Forse anche per questo il governo Erdogan ingaggiò una repressione sproporzionata, sanguinosa, incurante del pacifismo della piazza. Della non violenza del movimento ci parla in mostra il grande arcobaleno che attraversa Two rainbows di Sarkis, l’artista più noto internazionalmente fra quelli selezionati dal direttore del MAXXI Hou Hanru, con Ceren Erdem, Elena Motisi e Donatella Saroli per questa occasione. I colori del neon evocano la memoria della scala colorata di Istanbul oggi scomparsa. La distruzione causata dalle forze dell’ordine invece è testimoniata da immagini forti, scioccanti, nella prima sezione dell’esposizione romana, con opere che assemblano crude fotografie di macerie. Più in là alcune poetiche installazioni di architetti turchi ricreano piccole oasi, basi mobili, tende che lasciano intravedere all’interno libri, appunti, progetti, riviste. Ci parlano di una nuova idea di città condivisa, di informazione, di una visione metropolitana capace di far dialogare identità diverse al di là delle forti tensioni che attraversano Istanbul, città «infinita», magica per le sue cupole, ville sul Bosforo e stradine intricate, città ponte fra Oriente e Occidente che nell’ultimo ventennio è cresciuta a dismisura toccando quota venti milioni di abitanti.

Con tutto ciò che questo significa in termini di urbanizzazione selvaggia. Intanto il governo Erdogan incoraggia la cosiddetta gentrification: ovvero l’abbattimento di vecchi quartieri per far spazio all’edilizia residenziale. Della resistenza degli abitanti dei quartieri più poveri ci parlano in mostra molte opere di videoarte e un fortissimo video, Wonderland (2013), del rapper Halil Altindere che mette in musica la rabbia e le speranze di un gruppo di ragazzi del quartiere Sulukule, che negli ultimi secoli ha ospitato comunità Rom. La tensione in città è cresciuta ancora in queste ultime settimane rivela la curatrice Cerem Erdem e particolarmente dopo l’attentato kamikaze di Sultanahmet, del 12 gennaio scorso, che ha causato la morte di dieci turisti, mentre altre 15 persone sono rimaste ferite. Il disagio è tornato palpabile oggi nel popolo di Gezi Park di cui la gran parte degli artisti di Istanbul,passione, gioia e furore sono parte attiva. La preoccupazione è cresciuta anche a causa delle retate fra intellettuali e docenti universitari estromessi dall’insegnamento solo per il fatto di aver firmato un appello internazionale per la pace nel Sudest della Turchia messo a ferro e fuoco dalla polizia nell’ambito di azioni anti terrorismo. Operazioni militari che hanno fatto definitavamente cadere la maschera europeista e moderna di Erdogan mostrandone il volto autoritario e conservatore. […]


 

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A caccia di sinistra sotto le due torri

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«Stavolta si va al ballottaggio». È questa la sensazione più diffusa a Bologna. Complice il vertiginoso astensionismo delle scorse Regionali (63%), torna a vacillare il predominio “rosso”, percepito come lontano e impantanato negli interessi di multi utilities e cooperative, anch’esse in difficoltà – tale da non poter più garantire l’antico benessere lavorativo (e portatore di voti). Successe già nel 1999, con il candidato civico Giorgio Guazzaloca. Dopo di lui, il centrosinistra ha tentato di riemergere con l’ex sindacalista Sergio Cofferati, e invece è iniziato il declino. Delbono ha fatto il resto e l’attuale sindaco Virginio Merola ha tentato di rimediare. Eppure la sua ricandidatura, Merola, se l’è dovuta sudare, non essendo annoverabile fra i renziani doc – al contrario del governatore Stefano Bonaccini, lui sì fra i convertiti della prima ora. Dopo un lungo tira e molla con la dirigenza nazionale, due sondaggi hanno scritto la parola fine segnando il gradimento di Merola leggermente sotto il 50%. Secondo il Sole24ore, poi, a gennaio il sindaco uscente ha portato a casa il 49,5 per cento: +5% rispetto all’anno scorso e -1% rispetto al 2011 (anno della sua elezione).
Nell’ultimo anno, con una serie di mosse, il primo cittadino felsineo ha tentato di avvicinarsi a quella sinistra “sempreverde” sotto le Due Torri, fatta di sindacati, lavoratori, centri sociali e movimenti civili. Ma a nulla gli sono valse l’istituzione del registro per unioni civili, o riallacciare l’acqua agli occupanti delle case sfitte, se non una denuncia da parte della Procura di Bologna. Tuttavia, «Merola può dormire fra due guanciali», rassicura il politologo Piero Ignazi. Il motivo? «La totale assenza di competitori». Senza infamia e senza lode. Ma, in fondo, fa notare il professore, Merola un merito lo ha: «È l’unico a non aver commesso errori: la sua è una amministrazione sana, non coinvolta in nessuno scandalo. Che in Italia, è abbastanza raro».
Attorno al sindaco, brulicano le liste civiche. C’è quella che prova a raccogliere il “sociale” per offrirlo in sostegno al sindaco e al suo assessore prodiano Amelia Frascaroli. E c’è la più organizzata e antagonista Coalizione civica per Bologna, che tiene insieme un arcobaleno di provenienze: cittadini, attivisti di movimenti e centri sociali, delusi di Sel, del M5s (a Bologna, sono una folta schiera) e naturalmente del Pd. […]


 

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Quegli strani crociati che affollano i Family Day

Family day: in arrivo manifestanti a Roma sotto la pioggia
Un momento della manifestazione 'Difendiamo i nostri figli' contro il ddl Cirinn‡, le unioni civili e quelle omosessuali a piazza San Giovanni, Roma, 20 giugno 2015. ANSA/ETTORE FERRARI

«A noi la battaglia, a Dio la vittoria»: il titolo del volantino che mi porge una gentile signora in piazza San Giovanni è un imperativo categorico e lei ha l’espressione di chi si è ficcata di gran carriera in qualcosa di epico. Divino. Comunque vicino a Dio. Al suo dio. Mi spiega che l’urlo di guerra, quella frase in testa al volantino è di Mario Adinolfi. Lo invocano in molti, durante i preparativi per il Family day, Mario Adinolfi, ex deputato del Pd salito alla ribalta come vero animatore del movimento in difesa della famiglia tradizionale: direttore de La Croce quotidiano (ora non più in edicola, solo web), autore di un libro dal significativo titolo Voglio la mamma e condottiero indiscusso di quest’esercito dedito al terrorismo paraclericale. Adinolfi è sposato, divorziato, con una figlia dal primo matrimonio e poi risposato nel luglio del 2013 con la seconda moglie Silvia, in gran cerimonia dentro una sala da poker a Las Vegas. «Ha anche una seconda figlia dal secondo matrimonio» provo a spiegare alla cordiale sentinella in missione per conto di Dio. Lei tace. Mi ispeziona torva. Lei è gay, mi chiede, le dico di no e conclude con un «comunque sta da quella parte lì». E si rimette a distribuire la chiamata alle armi ignorandomi.
Nel ventre molle dei preparativi della grande manifestazione organizzata a Roma al Circo Massimo questo sabato per «affermare e difendere il diritto di ogni bambino ad avere e crescere con una mamma/femmina e un papà/maschio» (come recita il materiale informativo) c’è un caravanserraglio di diverse umanità: si va dal tradizionalista mansueto, al fedele convinto, dagli spaventati da tutto ciò che è nuovo fino a quelli che vorrebbero più dibattito, ma i più truci sono gli odiatori. Ho provato a parlarci, con gli odiatori. Li riconosci perché non sono in difesa dello status quo, no, piuttosto si sono arruolati in una guerra contro i gay. Le “lobby gay”, mi precisano in uno dei tanti forum di discussione in cui si organizzano gruppi di preghiera perché non passi la legge «sono potentissime e stanno dappertutto, in Parlamento, nella Rai, nella sinistra, tutti radical chic». E loro quindi pregano: «Mostruoso!!! E il tutto per accontentare i capricci di adulti irresponsabili!! Preghiamo perché in Italia non passi la legge!!!» scrive Alessandro. Provo a spiegare che anche valenti giuristi hanno preso posizione in favore della legge Cirinnà, mi risponde Antonio: «La realtà delle cose è che i bambini hanno bisogno di un padre e di una madre così com’è da quando esiste l’uomo sulla terra! L’appello dei giuristi dei miei stivali di cui sopra fa solo vomitare!». E Fabrizio mi spiega che la marcia è simbolica perché l’impegno deve essere altro: «Se noi Chiesa non ci ritroviamo TUTTI UNITI – mi scrive – neppure in queste battaglie perché i pastori sono diventati cani muti, siamo persi e la storia potrà raccontare solo la nostra vergognosa viltà. Questa marcia è un vero tesoro per svegliare tanti cristiani assonnati e salvare la nostra Italia dalla peste di questa forsennata ideologia sostenuta fortemente da una stampa venduta e schiavizzante». Sì, perché gli odiatori ce l’hanno anche con la Chiesa, con questo Papa «che vuole fare il moderno e non si occupa del rispetto della dottrina» e anche contro i cattolici che si dicono a favore del riconoscimento dei diritti civili: «L’associazionismo cattolico oramai è schiavo della tragedia Bergoglio!» mi dice Marco. E anche se gli faccio notare che il Papa ha dichiarato pubblicamente che la famiglia è una sola, lui è convinto che «l’ha fatto troppo tardi. Non ce ne frega più di quello che pensa!». Discorso chiuso. Ah, gli odiatori li riconosci anche perché non ascoltano: arruolano i contrari e disdegnano tutti gli altri. Per loro quel disegno di legge è il Male. Maiuscolo. […]


 

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Squarciare il velo

LEFT-EDITORIALE-FAMILY-DAY

Oltre 70 anni fa, confinati in un’isola del Mediterraneo, Altiero Spinelli, Ernesto Rossi e Ursula Hirschmann scrissero un manifesto contro i nazionalismi, per un’Europa libera e unita. Quell’Europa oggi è ferita, dubita di sé, ripiega sotto i colpi del flusso migratorio che la minaccia dall’esterno e di movimenti identitari e fondamentalisti che riprendono vigore al suo interno. Gravissima la sospensione della libera circolazione delle persone, più grave ancora che tornino progetti per escludere la Grecia, o che gli Stati fondatori si intendano per combattere deflazione e disoccupazione e rilanciare lo stato sociale.
Manca la schiettezza di allora, manca ai governanti di oggi la visione di Spinelli, Rossi, Hirschmann, mentre intorno a Ventotene impazzava la guerra. Eppure di Europa c’è bisogno più di allora. Per fermare la guerra mondiale a pezzi, per combattere la barbarie e far prevalere la tolleranza, per dire forte che l’umanità dell’uomo – se volete, il divino dell’uomo – si afferma garantendo sicurezza, tutele e diritti.
Come Dylan Dog, Left si è impegnata a indagare fra gli incubi del 2016. Il bisogno d’identità di chi si lascia crescere incolta la barba o si imprigiona in un burqa. La paura e l’ignoranza – ne parla Mancuso a proposito del Family day – che generano aggressività e spingono a negare libertà e diritti. Perché questa è la realtà che viviamo: crescita e innovazione – il nostro Greco presenta SESAME, centro di ricerca che riunisce, coordinati da un italiano, cristiani, ebrei e musulmani -, ma dal lato opposto ansie, insicurezze e paranoie. Ho sentito Formigoni equiparare amore omosessuale e poligamia, il leghista Centinaio, il rapporto fra due donne a un incesto. Tutto serve a far crescere la paura.
Eppure la questione che si dibatte in Parlamento è chiara. Si possono negare a un uomo che ne ama un altro, a una donna che vive con una compagna, gli stessi diritti che prevediamo per una coppia unita in matrimonio? Si può rifiutare al figlio accudito, protetto e amato da una coppia omosessuale il diritto di riconoscere come tali entrambi i genitori?
La Suprema Corte degli Stati Uniti non ha detto che cosa sia giusto davanti a Dio, cosa sia da considerare progresso e cosa no. Ha stabilito che se un amore esiste nei fatti, se una famiglia funziona e si sostiene, questa realtà non possa essere discriminata, né ignorata, o segregata in una condizione di semi-diritto.
Monsignor Bagnasco obietta però che essere madre o padre non è un diritto. Un figlio, per lui credente, è un dono di Dio. La legge Cirinnà chiede però di non discriminare il figlio che già c’è, né i genitori che già lo amano e sostentano. Il cardinale è andato fuori tema, ed è entrato, come un incubo nero, nel sogno di Spinelli.
L’Europa è diversa ed è unica nel mondo proprio perché è patria dei diritti. Diritti che nascono da un contratto, che convivono con la tolleranza, che l’uomo europeo ha difeso per 250 anni. La paura che li nega genera odio e uccide l’Europa e il nostro futuro.

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Le finte suore che coltivano marijuana in guerra contro la municipalità che vuole farle chiudere

«A causa della copertura mediatica abbiamo finito quasi tutti i nostri prodotti e siamo indietro con gli ordini. È una buona notizia per le sorelle, un po’ meno per i nostri clienti, con i quali ci scusiamo». Le Sisters of the Valley sono due “suore” della California e i loro affari vanno bene. Se non fosse per quelle maledette autorità comunali che vogliono impedire loro di coltivare marijuana.

Già, le Sorelle – che sono un improbabile ibrido religioso femminista non affiliato a nessuna congregazione religiosa –  coltivano marijuana a scopo terapeutico e con quella producono anche cosmetici. La California è uno degli Stati dove la coltivazione a scopo terapeutico è consentita e le suore hanno deciso di lanciarsi sul mercato. Ottenendo un discreto successo e attirando l’attenzione dei media. Bel guaio: il municipio e la contea hanno infatti deciso che, nonostante le leggi statali e una certa rilassatezza da parte dell’FBI nel perseguire quello che è un reato in alcuni luoghi ma resta reato federale, sul suo suolo l’erba non si può coltivare. Nemmeno se a farlo non sono gang di latinos ma un due specie di religiose piuttosto sui generis.

Attenzione, l’erba delle Sisters of the Valley non contiene grandi quantità di THC, la sostanza attiva e proibita, e contiene molto cannabidiolo, che è invece la sostanza ritenuta terapeutica. Ma la città di Merced sta cercando lo stesso di fermarle. All’inizio di gennaio, l’assemblea legislativa comunale ha introdotto un’ordinanza che vieta la vendita e la coltivazione di marijuana medica utilizzando un errore nella scrittura della legge della California sulla marijuana terapeutica. Una legge fatta apposta per colpire le sorelle. O almeno così sostiene sorella Kate, fondatrice dell’attività.  «Qui portiamo ricavi, esportiamo dalla contea e facciamo economia, paghiamo tasse e diamo lavoro fornendo ai figli della Terra prodotti della Terra». Sono diventate famose in rete e oggi protestano contro l’idea che la loro attività venga sospesa con una petizione su Change.org.

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Leggi anche: Guerra alla droga: tutti i numeri di un fallimento

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Una fiera quarantenne. A Bologna il nuovo Mattew Barney e talenti emergenti

Galleria Continua Pistoletto

La mostra mercato dell’arte di Bologna, una delle più longeve in Europa, festeggia quarant’anni e punta sui giovani, con la sezione Nuove proposte, che presenta artisti under 35, ma non solo. Su invito dei due curatori Claudio Spadoni e Giorgio Verzotti molti dei 221 espositori selezionati per questa edizione 2016 – aperta fino al prossimo primo febbraio – accanto ad opere di maestri riconosciuti propongono talenti emergenti. Complessivamente gli artisti presenti in fiera quest’anno sono oltre mille e oltre 2mila sono le opere esposte. Ma Arte Fiera Bologna non guarda solo ai numeri. È vero particolarmente per questa edizione ricca di presentazioni, a cominciare dalla prima italiana della nuova video opera, ispirata ad Ancient Evenings di Normal Mailer, River of Fundament di Matthew Barney, l’autore di  Cremaster, ciclo di cinque film, nonché sodale ed ex compagno di Bjork

L’interesse per la ricerca, la curiosità verso le nuove tendenze e soprattutto l’attenzione ai contenuti è un aspetto che attraversa, in maniera più o meno carsica, tutta la storia di questa rassegna organizzata da Bolognafiere. Fin dai suoi avventurosi inizi nel 1974 quando dieci gallerie si auto tassarono per poter avere uno spazio all’interno della Fiera Campionaria, accanto a stand di mobili. «Ed era il momento peggiore – dice Spadoni a Collezione da Tiffany – perché si parlava di morte dell’arte, le neo avanguardie erano contro la mercificazione dell’opera e, come se non bastasse, c’era la crisi petrolifera. Una situazione, insomma, tra le più infelici per aprire una fiera d’arte. Eppure, l’anno successivo gli espositori erano più di duecento e la Fiera si era già data una struttura organizzativa consona, con un comitato consultivo composto da critici e galleristi di rilievo».

ArteFiera40_cover[5]Per rendersi  conto della storia di questa kermesse, seconda per longevità solo a Basilea, basta tornare nel centro di Bologna e andare  al MAMBo, dove è allestita una mostra che ripercorre tutta la storia passata di Arte Fiera 40. Oppure tuffarsi nelle pagine del volume Corraini che la racconta. Fin dal nome la mostra mercato bolognese ha cercato di rappresentare due mondi, “Arte” e “Fiera” «uniti da quella & commerciale, che non significa la riduzione di arte a mercato, ma tratteggia l’esperienza originale che Arte Fiera ha messo in moto», annotano i due curatori. «Senza rendersene conto del tutto quando nacque fra i padiglioni della Fiera Campionaria, ma divenendo subito, in quella Bologna degli anni Settanta-Ottanta, la prima esperienza italiana di fiera di successo per l’arte».

Così è nata l’idea di realizzare innanzitutto la mostra Arte Fiera 40. Lo sguardo delle gallerie sulla grande arte italiana, curata dai due direttori artistici: «una esposizione né tematica né sistematica, ma emblematica, come accade in Fiera, delle opere e dei maestri che sono stati protagonisti di anno in anno delle diverse edizioni, offerte una dietro l’altra allo sguardo immediato, colto o emozionale, attento o fugace, dei tanti visitatori. Allora è diventato facile riparlare di Arte Fiera. Senza omaggi di maniera». Nel libro edito da Corraini la storia di Arte Fiera è in parte ricostruita attraverso i cataloghi che ne hanno accompagnato la storia, ma tante sono anche le testimonianze degli artisti e dei galleristi che quella storia l’hanno fatta. Molti di loro sono presenti anche quest’anno nella Main Section realizzata in collaborazione con le gallerie Continua, Milano, Lia Rumma, Studio La Città e Tega. Poi ecco le sezioni Solo Show – con monografiche dedicate ai grandi interpreti dell’arte moderna e contemporanea – e quella dedicata alla Fotografia, organizzata in collaborazione con MIA- Milan Image Art Photo Fair. Grande spazio quest’anno anche per la fotografia nel nuovo padiglione che quest’anno si è aggiunto agli storici n. 25 e n. 26.

@simonamaggiorel

Primarie in Iowa, ecco un bel cartone con Bernie Sanders protagonista

Lunedì finalmente si vota in Iowa e tutto, nelle primarie democratiche, come in quelle repubblicane, è più incerto che mai. Donald Trump è stato il convitato di pietra all’ultimo dibattito Tv, quello di FoxNews al quale si è rifiutato di partecipare per come era stato trattato dai conduttori in quello precedente. Il fatto che il candidato in testa ai sondaggi sia in guerra con la televisione che è la voce del conservatorismo più becero è interessante e ci dice come e quanto le primarie repubblicane siano fuori dalla norma. L’assenza di Trump lo ha reso comunque il centro del dibattito: durante la trasmissione il suo nome è stato il più cercato, mentre su Twitter il suo account è stato il più cercato. E poi i concorrenti hanno fatto di tutto per imitarlo, prendendolo in giro e attaccandolo. L’assenza di Trump ha anche determinato la scelta di quasi tutti gli altri candidati di attaccare pesantemente Ted Cruz, che insegue il miliardario nei sondaggi e che è l’ostacolo principale per coloro che sperano di diventare l’alternativa credibile a Donald Trump. A forza di attacchi, Cruz è sceso nei sondaggi. Ad approfittarne però è stato Trump. C’è da tenere poi conto che in Iowa i sondaggi non contano troppo: conta chi sceglie di andare a partecipare alle assemblee dove si discute e vota. Cruz ha dalla sua il vantaggio di avere come alleate le chiese evangeliche, che sono molto ben organizzate nello Stato.

Al momento Trump sembra destinato a vincere sia In Iowa che in New Hampshire. Molto più incerto il destino del partito democratico. Vincerà Clinton in Iowa? E di quanto? In queste settimane lo Stato viene battuto da personaggi famosi (ex marito compreso), ma ad avere il vento in poppa e l’attenzione dei media è Bernie Sanders, che sia Hillary che l’establishment democratico hanno pesantemente sottostimato. Per poi trovarsi nei guai. Un’idea di quanto sia efficace e partecipata la campagna del candidato di sinistra? Il video qui sotto, che non è prodotto ufficiale, ma uno dei tanti video, canzoni, disegni, T-shirt prodotte da creativi che autonomamente scelgono di lavorare per Sanders. Un fenomeno simile lo avevamo visto nel 2008 con Obama. Un modello di campagna che Hillary Clinton ha tentato di copiare in laboratorio. E che a Sanders, grazie alle sue posizioni e ai grandi cambiamenti avvenuti in questi anni nella società americana, è venuto naturale.
Nel cartone Sanders ha un tipico fienile rosso dell’Iowa sullo sfondo, prende a schiaffi i miliardari fratelli Koch, che finanziano i repubblicani e spiega le sue posizioni.

 

Carrai all’intelligence? Gli sviluppi della scottante questione “servizi”

Nessuna struttura nuova di servizi di sicurezza informatica e cibernetica. Lo ha chiarito nell’audizione di mercoledì al Copasir il direttore del Dis (Dipartimento delle informazioni per la sicurezza) Giampiero Massolo. Il funzionario era stato chiamato a dare spiegazioni dopo che era uscita la notizia a metà gennaio di una struttura ad hoc per la cyber security che il presidente del Consiglio avrebbe voluto affidare a Marco Carrai, suo amico e imprenditore che si occupa proprio di sicurezza informatica.

La struttura in pratica esiste già, questo ha chiarito Massolo, che non si è pronunciato sul nome di Carrai. Il Dpcm del 24 gennaio 2013 “Indirizzi per la protezione cibernetica e la sicurezza informatica nazionale”, alla fine del governo Monti, aveva previsto la figura del consigliere militare del Presidente del Consiglio alla guida del Nucleo per la sicurezza cibernetica. Una figura adesso vacante, ma che esiste dal punto di vista istituzionale e che era stata prevista all’epoca all’interno di una architettura istituzionale che facesse da coordinamento tra i servizi e la pubblica amministrazione proprio per prevenire e contrastare gli attacchi informatici e cibernetici. Non si tratta dunque di creare qualcosa ex novo. Se mai, spiega Francesco Ferrara (Sinistra italiana) membro del Copasir, «loro stanno valutando la possibilità di creare al posto del consigliere militare un ufficio ad hoc». Ma si tratterebbe comunque di una struttura la cui attività viene ricondotta nell’alveo del Parlamento e non fuori. E sulla base di decreti che già esistono. Quindi una delle obiezioni oggetto dell’interrogazione del deputato di Sinistra italiana del 20 gennaio verrebbe a cadere.

«Rimane però in piedi il problema del conflitto d’interessi», aggiunge Ferrara. «Se allo stato attuale non si modifica l’assetto sul terreno dei servizi, qualora si nominasse Carrai alla guida dell’ufficio, io pongo due questioni: il conflitto di interessi dovuto alla sua attività privata e la scelta inopportuna in quanto amico del presidente del Consiglio».

I dubbi non sono solo dell’opposizione. Anche il nuovo direttore di Repubblica Mario Calabresi intervistato da Massimo Giannini a Ballarò del 26 gennaio aveva detto: «Partiamo dal fatto che è sicuramente competente, e anche che sia una persona seria e perbene, ma io penso che in situazioni così delicate il fatto che siano amici possa essere un problema e un vulnus che ti porti dietro in ogni scelta che uno fa successivamente. Da questo punto di vista se Renzi si aprisse di più alle competenze esterne alla sua cerchia storica di persone sarebbe meglio».