Home Blog Pagina 1209

L’utero in affitto è anche questione di regole

Pregnant

Nel dibattito sulle unioni civili, attraverso la questione della adozione del figlio del partner, la gestazione per altri (maternità surrogata, sprezzantemente definita «utero in affitto») è utilizzata come spauracchio terrorizzante, come fantasma utile per spaventare e impedire di ragionare. Ma non c’è nulla di cui spaventarsi. Portare avanti una gestazione per conto di un’altra persona è certamente questione di massima delicatezza. Proprio per questo, servirebbero buone regole, capaci di distinguere nettamente tra azioni ispirate da solidarietà e consapevolezza e atti di sfruttamento criminale. Purtroppo, la legislazione italiana, che tutto sembra proibire con la minaccia del carcere fino a due anni di carcere, ha come risultato di condannare alla clandestinità persone che cercano soltanto di concepire con amore un figlio assieme. Sarebbe invece indispensabile determinare in modo preciso alcuni casi in cui la maternità/ gestazione per conto di un’altra persona è consentita, in particolare per coloro che per motivi di salute non possono portare avanti una gravidanza o come nel caso delle coppie dello stesso sesso per la natura specifica.

La determinazione di un rimborso economico, se stabilita, dovrà comunque essere mantenuta sotto la soglia oltre la quale la logica commerciale -pur sempre presente a vario titolo in tutte le pratiche mediche, anche le più intime e vitali, in modo ineliminabile all’interno di un’economia di mercato- non prevalga sulla logica solidale della compensazione tra chi è in grado di accogliere nel proprio grembo una nuova vita e di chi, per motivi di malattia o di conformazione, non lo è più. Nella convinzione che soltanto una limitata e controllata legalizzazione sia adeguata a governare un fenomeno tanto delicato quanto ineliminabile – anche attraverso un’adeguata opera di dialogo e informazione – chiediamo ai Parlamentari italiani di aprire al più presto un dibattito laico sul tema, partendo innanzitutto dai risultati ottenuti e dai limiti riscontrati nei Paesi nei quali la legalizzazione a vario titolo è stata realizzata. I principi che secondo l’associazione Luca Coscioni una buona legge dovrebbe fissare sul tema sono semplici….. (l’articolo continua sul numero in edicola)

 

Dagli Usa all’India alla Thailandia, i paesi che dicono sì

Ricorrere all’utero in affitto è possibile in vario modo in Europa e nel mondo, si va dalle modalità altruistiche a quelle a pagamento

Il fenomeno della maternità surrogata si pone all’interno della dibattuta e generale questione della procreazione medicalmente assistita, pur non costituendo di per sé alcuna tecnica procreativa: infatti, è l’utilizzo di tali procedure, e, in particolare della inseminazione artificiale eterologa, a rappresentare un mezzo per realizzare le diverse ipotesi di surrogazione materna» sostiene l’avvocato Ida Parisi, che ha studiato per l’associazione Luca Coscioni la normativa internazionale. «Oltre a rappresentare una evidente sfida al concetto di maternità intesa in senso naturale, la surrogazione di maternità – suggerisce Parisi – si può ritenere una sorta di “estensione scientifica” della naturale capacità umana di riprodursi, e si presenta come una forma di etero – integrazione dell’insufficienza biologica ovvero fisica della donna, consistente nell’intervento di una volontaria, la “madre su commissione”, estranea alla coppia, che collabora attivamente alla conclusione del suo progetto procreativo, quasi diventando un tramite meramente fisico, l’ “utero” attraverso il quale consentire alle parti committenti di realizzare il loro sogno di diventare genitori». A livello internazionale quali sono i Paesi che hanno legalizzato la pratica della gestazione per altri?

Nel Regno Unito la maternità surrogata è legale da oltre trent’anni. Nel 2017 o nel 2018 nascerà il primo bambino inglese grazie al trapianto di utero.

In Belgio, Olanda e Danimarca è consentita ma ci deve essere un “legame biologico” fra aspiranti genitori e il bambino. La gestante può cambiare idea e non è costretta a dare il neonato alla coppia.

In Grecia la materità surrogata è legale quando la donna che desidera essere madre è impossibilitata a portare avanti una gravidanza. La gestante può ricevere solo un rimborso spese. Gestante e aspiranti genitori devono essere entrambi residenti in Grecia.

In Russia, Ucraina e Bielorussia la gestazione per altri è consentita: le donne ricevono un compenso per la gravidanza. Dopo il parto rinunciano al bambino e gli aspiranti genitori vengono registrati come i legittimi genitori sul certificato di nascita. Possono accedervi solo le coppie eterosessuali sposate e le donne single.

Negli Stati Uniti la situazione cambia da Stato a Stato. In sette Stati è possibile sia nella forma altruistica sia in quella a pagamento, in altri è consentita solo l’altruistica, in altri è vietata. Negli Stati in cui è legale, anche per le coppie gay, ci sono agenzie specializzate che cercano la gestante e seguono tutte le procedure legali e mediche.

In Canada la maternità surrogata è consentita solo nella forma altruistica.

In India è legale, le gestanti sottoscrivono, prima della nascita, un contratto dove rinunciano ai bambini.

In Thailandia, che per anni è stata meta privilegiata per la maternità surrogata, ora questa pratica è consentita solo se la coppia è sposata e uno dei due è thailandese.

Concorso scuola? Non sono rose e fiori

«Semplificare, adeguare, innovare». Così il ministro Giannini ha presentato il concorso che a settembre dovrebbe stabilizzare 63.712 professori, durante la conferenza stampa del 22 gennaio. Semplificare, adeguare, innovare, dunque. Ma “semplificare” quando si parla di scuola non è così semplice. Soprattutto quando, seguendo la scia della Buona scuola, si cerca solo di mettere una pezza ai numerosi vuoti creati dal diluvio di norme e provvedimenti che hanno segnato gli ultimi vent’anni di politiche scolastiche. E che hanno prodotto centinaia di migliaia di insegnanti precari. Oltre ad una sentenza di condanna da parte della Corte Europea perché l’Italia, ricordiamo, ha assunto per troppi anni insegnanti a tempo determinato. Tra poche ore, forse il 1 febbraio o al più venerdì 5 febbraio, sulla Gazzetta ufficiale verranno pubblicati i bandi relativi al concorso per scuola primaria e d’infanzia, medie e superiori e sostegno. E a proposito di semplificare e adeguare, le classi di concorso sono state ridotte, passando da 168 a 116 con l’introduzione di nuove come l’importante Lingua per alunni stranieri.
Al concorso, che si dovrebbe tenere in primavera, si calcola che dovrebbero partecipare circa 200mila candidati. Le 63.712 assunzioni nel triennio 2016/18 sono così suddivise: 52.828 su posti comuni, 5.766 per il sostegno e 5.118 per posti di potenziamento.
Ma le regole con le quali il Ministero ha pensato il nuovo Concorsone hanno suscitato non poche critiche.
Una prova per esempio è il documento del Cspi (qui), cioè il Consiglio superiore della pubblica istruzione, un organismo che si è insediato a metà gennaio e che è costituito da 36 membri, di cui 15 di nomina ministeriale (avvenuta appunto pochi giorni fa). Il Cspi deve dare un parere su tutto ciò che riguarda la politica scolastica di Viale Trastevere. Parere obbligatorio ma non vincolante, naturalmente. Il documento che il Cspi ha prodotto a proposito dei decreti ministeriali sulle regole e i contenuti del bando del futuro concorso è piuttosto critico.

Quali sono i punti che non piacciono al Cspi?
Alunni con Dsa. Il ministero non ha fatto riferimento a tutta quella normativa che riguarda gli alunni con disturbi dell’apprendimento (Dsa). «Affermazione troppo semplicistica e non al passo con la normativa nazionale e internazionale», scrivono gli esperti del Cspi, quella relativa alla didattica personalizzata.
Troppi aspetti nozionistici. Questo forse è l’aspetto più critico messo in evidenza e che riguarda la sostanza della didattica. Nelle prove, si legge nel documento del Cspi, prevale l’aspetto nozionistico rispetto a quello delle competenze didattiche, relazionali e metodologiche richieste a un docente. Cioè tu puoi sapere tutto, nei minimi particolari, ma se non sai insegnare, è davvero inutile. Il documento fa notare, poi, un fatto lapalalissiano: il concorso (che si divide per scuola primaria e d’infanzia, medie e superiori e sostegno) è riservato a insegnanti già abilitati (con Tfa o Pas) che insegnano già da anni. Quindi è inutile insistere sui contenuti delle discipline.
Le prove in lingua straniera. Qui il Cspi suggerisce di ridurre a una prova (delle due previste) in una lingua straniera di livello B2 e di puntare soprattutto sulla comprensione del testo. Questo punto naturalmente ha già fatto storcere il naso a quanti predicano la modernizzazione a tutti i costi anche attraverso la lingua, per carità, importantissima, ma non risolutiva di tutti i guai della scuola italiana. Eugenio Bruno su Il Sole 24 ore del 30 gennaio ha parlato infatti di “forte chiusura” da parte del mondo docente.
Un altro dei punti contestati è la valutazione del servizio che serve per i titoli con cui ci si presenta al concorso. Nel documento Cspi si definisce «sperequato il punteggio» per ogni anno di servizio (0,5) a fronte del punteggio molto più alto riservato ai titoli di abilitazione (cinque punti).

Il concorso è riservato a docenti tutti abilitati e qui sta la nota dolente.

Lo racconta bene Giuseppe Bagni, presidente nazionale del Cidi (Centro di iniziativa democratica degli insegnanti) e membro del Cspi. «A Firenze ho avuto un incontro con i docenti, tutti abilitati Tfa e Pas, vedevi in faccia la disperazione. Persone che hanno figli, che si sentono umiliate, di nuovo a essere reinterrogati su contenuti della propria laurea, quando già hai fatto l’abilitazione nel 2012». Per prepararsi ci sono insegnanti che andranno in aspettativa, lamentando il poco tempo a disposizione, anche per la presenza di materie nelle classi di concorso accorpate che non rientrano nella propria disciplina su cui uno si è laureato.
Infine, le regole per partecipare al Concorsone contengono contraddizioni, come sottolinea l’interrogazione con prima firmataria la senatrice Alessia Petraglia (Gruppo Misto Si) che chiede al ministro di «trovare prima una soluzione definitiva, come un concorso riservato per soli titoli che agisca in modo pluriennale per tutti coloro che sono abilitati e insegnano da anni nella scuola statale, in quanto lo svolgimento del concorso nei tempi previsti risulterebbe, infatti, discriminante per coloro che siano in possesso dei requisiti per la stabilizzazione, così come stabilito dalla sentenza della Corte di Giustizia Europea».

E, dulcis in fundo, forti critiche vengono dai sindacati. La Flc Cgil fa notare come questo concorso «verrebbe bandito nel caos più totale e in assenza di tutele per coloro in possesso di abilitazione e del servizio che possono vantare il diritto alla stabilizzazione, compresi i docenti delle scuole d’infanzia delle Gae, illegittimamente estromessi dal piano nazionale delle assunzioni». Insomma, anche questo concorso non sana il precariato.

Francisco Goya, il pittore che pensava attraverso le immagini. Al cinema

Goya, autoritratto

È una fiammeggiante e altera duchessa d’Alba ad accogliere gli spettatori. Ci fissa negli occhi con un’espressione attonita, mentre con la mano ingioiellata indica imperiosamente la scritta ai suoi piedi che dice: “solo Goya”. Come se volesse dirci che solo un maestro come lui poteva fare un ritratto così, capace di mettere a nudo l’animo umano. Quel quadro, datato 1797 e conservato alla Hispanic Society of America di New York,  era  l’immagine guida della mostra che la National Gallery di Londra dedica ai ritratti di Goya  che ha chiuso i battenti lo scorso 10 gennaio. E ora è al centro del docufilm Goya visioni di carne e sangue che Nexo Digital porta nelle sale italiane il 2 e 3 febbraio.

 Goya, duchessa d'Alba
Goya, duchessa d’Alba

La bella e capricciosa nobildonna si presenta avvolta nella mantiglia di pizzo tipica delle vedove aristocratiche e con la fascia rossa di “sindaco” che aveva ereditato. Se non fu amante, certamente fu musa e sodale del pittore spagnolo che ne ritrasse la snella figura e gli «occhi metallici», come ha raccontato Lion Feuchtwamger nell’affascinante romanzo storico Goya o l’amara via della conoscenza ora riproposto da Castelvecchi. Un libro che ci introduce direttamente in quella vita di intrighi e di rituali feudali in cui il pittore di corte Francisco Goya (1746-1828) fu immerso, cercando ogni giorno il modo per portare avanti la propria ricerca, nonostante gli obblighi verso il potere e i tribunali dell’inquisizione, fino al XIX secolo, ancora feroci in Spagna. Il risultato, oltre ai Capricci (1798), ai Disastri  della guerra (1820) e alle tele d’ispirazione storica e mitologica, è questa straordinaria serie di  settenta ritratti che si dipana nella mostra della National Gallery, raccontata con passione da critici e studiosi– fra cui il curatore della mostra Xavier Bray e il direttore della National  Gabriele Finardi – nel film diretto da David Bickerstaff.

E mentre sfilano come  marionette, aristocratici imparruccati e intellettuali illuministi, soldati blasonati e re che appaiono in tutta la loro brutale rozzezza nonostante l’eleganza delle vesti, lo sguardo si posa su alcuni ritratti più intimi, che trasmettono la presenza viva di timide fanciulle come Teresa Sureda e Francisca Sabasa, sposa appena sedicenne o di giovani donne velate di tristezza come Antonia Zarate. Analogamente ai ritratti degli amici più cari a Goya, sono rappresentate nella loro individualità e grazia, quasi con pudore.

Senora-Sabasa-Garcia-by-Francisco-Goya

Non troviamo traccia qui della fatuità che aleggia sul volto di don Luis, ritratto insieme alla sua famiglia nella tela prestata dalla Magnani Rocca, ma neanche di quell’aria eterea che ha la colta e illuminata duchessa di Osuna, figura ideale a tal punto da sembrare quasi astratta, evanescente. Quasi che attraverso queste immagini Goya esprimesse una sua acuta e sottile critica, non solo all’aristocrazia feudale, ma anche della nuova e fredda ragione illuminista.

Goya era entrato in contatto con le nuove idee francesi proprio grazie alcuni aristocrati illuminati come gli Osuna e fu profondamente influenzato dai nuovi ideali liberali, di secolarizzazione e apertura della società, ma ne vide anche i limiti di una ragione fredda, che rischia di diventare astratta.  Come nel film racconta Filardi Francisco goya può a buon diritto essere considerato l’iniziatore dell’arte moderna. Anche perché come scrisse Matheron nel 1858. “Insieme ai suoi colori macinava idee”. “La pittura non è mai stata un semplice gioco, pura distrazione, elemento decorativo, arbitrario. L’immagine è pensiero e rappresenta sempre una visione sul mondo e sugli uomini. Che ne sia consapevole o meno un grande artista è un pensatore di alto livello”, scrive Todorov nel saagio Goya (Garzanti).

 Goya autoritratti

Esprimendosi con il linguaggio universale delle immagini Goya racconta la buona società madrilena ma ci dice anche della suo intimo riufiuto del conformismo che la caratterizzava, ci parla della lotta degli ilustrados, gli illuminati spagnoli, contro l’oscurantismo ma anche della violenza gratuita della guerra, cominciata  con l’invasione napoleonica del 1808. Intrecciando il racconto delle opere di Goya alla sua biografia il film di David Bickerstaff offre anche un interessante affondo sull’ultimo drammatico periodo dell’esistenza del pittore spagnolo, segnato fin dai 43 anni da una grave sordità,  raccontando come l’artista riuscì, nonostante tutto, a trasformarla da ostacolo in opportunità per liberarsi dalle convenzioni pittoriche del tempo e lavorare maggiormente di immaginazione.

Autorretrato_en_el_taller

Seguendo solo la propria esigenza di libera espressione, emancipandosi  dalle imposizioni della committenza.

Del dolore, della lotta, che gli costò tuttavia l’isolamento causato dalla sordità e dalla malattia ci dicono oltre alle pitture nere, i drammatici autoritratti finali, uno in particolare in cui il pittore si rappresenta in tutta la propria fragilità di malato mentre il medico cerca di dargli da bere. Nel film questa immagine finale appare dopo una serie di autoritratti della maturità e un curioso ritratto giovanile –  che campeggia anche nella locandina del film – in cui Goya appare in pantaloni attillati e giubbino alla moda con un grande cappello sormontato di candele per poter dipingere anche di notte. Ci guarda in tralice, con aria complice come invitandoci ad entrare nel suo mondo di immagini che ci parlano ancora oggi.

Per vedere tutte le sale in cui ilfilm è in programmzione basta andare sul sito di Nexo Digital. In particolare “Goya-Visioni di carne e sangue” arriva a Cinemazero  di Pordenone martedì 2 febbraio alle 21

 [social_link type=”twitter” url=”http://twitter.com/simonamaggiorell” target=”” ][/social_link]  @simonamaggiorel

Se alle frontiere il migrante è un minore. L’esercito dei senza nome e senza volto

A migrant child looks out of a window of a passenger train in Presevo, close to the Serbian border with Macedonia, 300 kilometers southeast of Belgrade, Serbia, Monday, Jan. 18, 2016. Bracing cold temperatures and snow storms hundreds of migrants continue to arrive daily into Serbia in order to register and continue their journey further north towards Western Europe. (AP Photo/Visar Kryeziu)

Un anno fa, era il 13 gennaio del 2015, il ministro dell’Interno Angelino Alfano lanciava l’allarme: 3.707 minori non accompagnati (dei 14.243 registrati) erano scomparsi dai centri di accoglienza del nostro Paese, solo nel 2014. Cosa è cambiato da allora? Il numero dei minori scomparsi nel 2015 è aumentato, quasi raddoppiato: se ne stimano più di 6mila (5.902 al 30 novembre 2015). Il Guardian in queste ore riaccende il dibattito sui piccoli scomparsi, pubblicando i dati Europol: in Europa, si contano almeno 26mila minori non accompagnati.
Proseguono gli sbarchi, i profughi si ammassano dietro le frontiere terrestri e traballano persino i confini interni all’Unione. L’Europa bacchetta i Paesi di frontiera – in primis Italia e Grecia – per non proteggere come si deve i confini comunitari, e minaccia la sospensione dello spazio di libera circolazione all’interno dell’Ue, Schengen. Il pericolo, per il momento sembra scampato. Si apre anche uno spiraglio per la cancellazione del Sistema Dublino, che “blocca” i richiedenti nel Paese d’ingresso. Quello che resta, invece, è la convinzione europea che per mantenere le frontiere aperte dentro, tocca rafforzare la chiusura delle frontiere fuori: polizia, selezione rigida degli ingressi, hot spot.
Così, le rotte dei migranti conducono a frontiere sempre più blindate. Tra loro si trovano migliaia di minori che ogni anno raggiungono le nostre coste, da soli. Arrivano, principalmente, da Egitto, Albania, Eritrea, Gambia e Somalia. Hanno dai sette ai diciassette anni, la metà di loro si trova tra Calabria e Sicilia, oltre il 95% è di sesso maschile. E, a dire il vero, qualcuno di loro, non ci arriva nemmeno sulle nostre coste. Ricordate Aylan? Il suo corpicino sulla spiaggia turca di Bodrum provocò lo sdegno del mondo intero. Dopo di lui, di minori morti in mare e alle frontiere: 700 sui 3.200 morti in mare nel 2015 sono bambini o anche neonati (dati della fondazione Migrantes). Khalid, 2 anni, siriano, è il primo migrante morto nel 2016, pochi giorni dopo è toccato a un piccolissimo profugo di quattro mesi appena, siriano anche lui, morto di freddo in una tenda in Turchia, dov’era rifugiato con la sua famiglia.
Sebbene la convenzione internazionale del 1989, quella per la tutela dei diritti del fanciullo, sia tra le più ratificate al mondo (l’hanno siglata ben 196 Stati). Il nodo dei minori non accompagnati resta ancora da sciogliere. Sul tavolo dell’Ue, il 15 gennaio, è arrivato l’Appello #PalermoCall, che prova a inquadrare in dieci punti le priorità: salvataggio e trasferimento, nessuna relegazione in centri di detenzione, diritto di richiedere protezione internazionale, conformità delle strutture d’accoglienza agli standard minimi. Intanto, Save the children, e altre organizzazioni umanitarie, collezionano denunce e dossier sui rischi di sfruttamento che questi minori corrono: prostituzione, traffico d’organi, matrimoni precoci, sfruttamento lavorativo. Il quadro è agghiacciante, e l’Italia è ancora priva di leggi che, condivise a livello europeo, disciplinino questa specifica categoria, i minori stranieri non accompagnati.
Poche ore fa, il 28 gennaio, da San Gimignano è partita la call per una Carta dei Diritti dei migranti minori non accompagnati. Per chiedere, all’Italia e all’Ue, un quadro normativo comune, un “visto automatico” che garantisca tutela e rintracciabilità nel momento stesso in cui arrivano nei nostri Paesi, un fondo europeo dedicato, lo snellimento delle pratiche di affidamento temporaneo per le famiglie disponibili. Organizzazioni e operatori del settore si sono dati appuntamento alla prossima primavera, per dare vita alla Carta San Gimignano. Left ci sarà.

[social_link type=”twitter” url=”https://twitter.com/TizianaBarilla” target=”on” ][/social_link] @TizianaBarilla

Ai Wei Wei come Aylan Kurdi e la ragazza che inventò lo stupro. Notizie dalla crisi dei rifugiati

Dopo essere stato a Lesbos per fotografare e portare un po’ di solidarietà ai rifugiati che sbarcano ed aver chiuso la sua mostra a Copenhagen in anticipo per protestare contro la legge sulla confisca dei beni ai rifugiati, Ai Wei Wei ha diffuso ieri lo scatto qui sopra per ricordare Aylan Kurdi. L’artista cinese continua a fare notizia sui rifugiati. Un bene, in un Europa che sembra aver dimenticato la sua storia.Questo quanto detto dall’artista a The Guardian

«I miei momenti con i profughi negli ultimi mesi sono stati intensi. Ho visto migliaia di bambini, donne incinte, vecchie signore, un ragazzo con un braccio solo. Non hanno niente, a piedi nudi, nel freddo, devono attraversare la spiaggia rocciosa. Allora quando è venuta la notizia dalla Danimarca mi ha fatto infuriare. Il modo in cui posso protestare è prelevare i miei lavori da quel paese. È molto semplice e simbolico – non posso coesistere, non riesco a stare di fronte a queste persone, e vedere queste politiche. Si tratta di un atto personale, molto semplice; un artista non cerca solo di guardare gli eventi, ma di agire, e ho preso questa decisione spontaneamente».

Il ministro del lavoro tedesco ha dichiarato alla Frankfurter Allgemeine Zeitung” che i rifugiati che non si integrano dovrebbero vedersi ridotte le prestazioni di welfare. Il ministro, che è anche responsabile degli affari sociali, ha detto che i pagamenti dovrebbero dipendere dall’apprendimento della lingua tedesca. «Chi viene qui per cercare rifugio e cominciare una nuova vita deve rispettare le nostre regole e valori», ha scritto la rappresentante socialdemocratica. Non è un concetto sbagliato in assoluto, fatta salva la minaccia: se uno è un anziano di un villaggio remoto della Siria quanto tempo ha per imparare il tedesco? È sbagliato il momento per dirlo.Sempre dalla Germania arriva la notizia che una ragazza di 13 anni russo-tedesca che lo scorso 11 gennaio aveva denunciato uno stupro da parte di una banda di mediorientali aveva mentito. Nel frattempo erano andate in scena proteste del Cremlino e proteste di piazza della comunità russofona in Germania. E l’estrema destra aveva minacciato sfaceli. La denuncia è indicativa di un clima: hai un problema a scuola? Denuncia un migrante.

Venerdì a Stoccolma un centinaio di persone sono scese in strada mascherate a diffondere volantini che invitano la gente ad attaccare gli immigrati e i richiedenti asilo. Alcuni tra questi  indossavano abiti neri e maschere. Un uomo è stato arrestato per aver dato un pugno a un agente di polizia in borghese. La polizia sapeva della manifestazione ed era accorsa in massa. Ieri c’è stata una manifestazione di protesta contro questi xenofobi.

Le tensioni di venerdì sono l’ultimo episodio di una serie di incidenti che coinvolgono gli immigrati in Svezia. La settimana scorsa un richiedente asilo ha accoltellato a morte un’operatrice di un centro di accoglienza e la cosa ha provocato l’irrigidimento delle autorità svedesi, fino ad annunciare la possibilità dell’espulsione per decine di migliaia di persone.

Sempre sabato a Dover, porto da cui partono i traghetti per la Francia e nei pressi del tunnel sottomarino che collega il Regno Unito con l’Europa continentale, sono scoppiati violenti scontri tra gruppi di estrema destra e anti-razzisti.La polizia Kent ha detto che una persona ha subito un braccio rotto e altri cinque riportato ferite lievi, e tre persone sono state arrestate.
Più di 20 armi sono state sequestrate, tra cui un coltello, pugni di ferro, bastoni e pezzi di legno, martelli e mattoni, ha detto la polizia.

L’Iowa vota: Sanders all’arrembaggio di Clinton e Trump contro tutti. Quel che c’è da sapere sui caucus

Finalmente si vota in Iowa. Dopo mesi di dibattiti Tv, milioni di sondaggi, bombardamento di spot su internet, audizioni di Clinton in Congresso sugli attacchi a Bengazi e previsioni sbagliate che dicevano che l’effetto Donald Trump non avrebbe passato l’inverno, da domani avremo dei numeri. I partecipanti ai caucus dell’Iowa – le decine di assemblee grandi e piccole che eleggono delegati alla convention – decideranno chi sono i loro nominati. E contribuiranno a indirizzare il corso delle primarie repubblicana e democratica per la presidenza degli Stati Uniti. Hillary Clinton e il socialdemocratico senatore del Vermont Bernie Sanders (il terzo, Martin O’Malley è lontano chilometri) corrono per il campo democratico. La storia recente del partito, una donna, l’esperienza e la passione per il potere, contro un outsider di sinistra, esperto e corretto, e capace di generare entusiasmi che Hillary non riesce proprio a suscitare. Hillary ha incassato il sostegno del New York Times e Sanders quello di MoveOn, che mobilita, manda mail e raccoglie fondi, contribuendo ad alimentare la campagna dal basso (stamane nella casella di posta la mail firmata Susan Sarandon).

Una gamma piuttosto ampia di concorrenti per i repubblicani. Tutti piuttosto di destra e tutti alla disperata ricerca di una formula per fermare Donald Trump. Per ora nessuno ci è riuscito, il voto dell’Iowa – e quello del New Hampshire tra una settimana – ci diranno chi rimarrà in piedi. Quasi certamente occorrerà aspettare almeno un mese per vedere rimanere solo due, tre candidati: Trump, Cruz, Rubio, Kasich, Christie e Jeb Bush non molleranno la presa facilmente.

Veniamo ai numeri:

In campo democratico i punti percentuali di distacco tra Clinton (47%) e Sanders (44%) sono 3. Mai così pochi da quando la corsa è cominciata un anno fa. Se Sanders vincesse sarebbe un guaio per Clinton, il resto non sarebbe una sorpresa. Più margine per Clinton, più serenità di andare a perdere in New Hampshire tra otto giorni.

Tra i repubblicani Trump (30-32%) è avanti di 6-8 punti sul texano Cruz, il campione dei conservatori religiosi, che sopravanza a sua volta Marco Rubio al 13,9%. Poi Ben Carson, il chirurgo afroamericano e religioso. Spiccioli per i moderati.

«Non c’è da stupirsi, tendenzialmente in Iowa l’elettorato repubblicano esprime candidati conservatori, alla destra del partito, i democratici votano più spesso per candidati di centro – ci racconta John Norris, che ha diretto la campagna di John Kerry nello Stato nel 2004 e, più lontano nel tempo, quella di Jesse Jackson – Più religiosi e provenienti da territori agricoli, i repubblicani, molti studenti, più nelle zone dell’est i democratici. Il fatto che in questo ciclo elettorale Sanders sia così forte, segnala però che anche in campo democratico c’è una certa insoddisfazione su come vanno le cose a Washington. Nel 2008 questo sentimento si era già espresso con il voto a Obama».

Dal 1976 a oggi in Iowa hano vinto tre candidati repubblicani che poi sono stati nominati dal partito e uno che è diventato presidente. Per i democratici i nominati sono sei e i presidenti due. In New Hampshire cinque repubblicani nominati e due presidenti, mentre per i repubblicani lo stesso rapporto è 5 a 1. Su dieci primarie, insomma, i due Stati hanno dato la linea in metà delle tornate – meno in realtà, che il presidente uscente non è mai stato sfidato e quindi in alcuni anni un partito o l’altro non hanno tenuto primarie. I primi due Stati non sono determinanti, quindi, ma molto importanti. Specie se li paragoniamo al loro perso reale, alla corrispondenza tra il loro tessuto sociale e demografico con il resto del Paese – e degli elettorati.

L’Iowa e il New Hampshire contano troppo

Nel 2008 e nel 2012 le primarie repubblicane sono state vinte da candidati deboli e improbabili (Huckabee e Santorum), allungando il processo di scelta del nominato di mesi. Nel 1976 Carter arrivò secondo, al primo posto c’era “nessuno dei candidati in corsa”, e così il futuro presidente balzò all’attenzione nazionale grazie al fatto di essere finito sul podio. Il fatto che a segnare il cammino delle primarie siano due Stati con caratteristiche peculiari è una falla del sistema democratico Usa.

Prendiamo l’Iowa: secondo l’ultimo censimento la popolazione bianca è pari al 92%, gli appartenenti alle minoranze sono l’11,2% (una parte degli ispanici è anche bianca) contro circa il 35% della media nazionale. L’Hawkeye State (il soprannome dell’Iowa) anche il quarto più vecchio dell’Unione. Il New Hampshire è ancora più bianco e forse più vecchio.

Assieme fanno poco più dell’1% della popolazione totale americana. Ma i democratici, quando vincono, lo fanno grazie al voto delle minoranze e dei giovani, le assemblee in Iowa e le primarie nel Granite State, non sono uno specchio dell’elettorato che voterà per Clinton o Sanders.

Un discorso simile vale per i repubblicani: quasi il 60% di chi partecipa ai caucus in Iowa è evangelico, mentre nel 2012 il totale degli elettori americani era evangelico al 23%. Infine, chi partecipa alle assemblee dell’Iowa è un sesto degli aventi diritto. Che vuol dire? Che qualche migliaio di elettori di uno Stato coperto di campi di ghiaccio conta molto più dei californiani, dei texani o dei newyorchesi nel determinare chi sarà la persona più potente del mondo.

Comunque vada domani si comincia e con lui avremo ancora a che fare per qualche tempo

via GIPHY

[social_link type=”twitter” url=”https://twitter.com/minomazz” target=”on” ][/social_link] @minomazz

“L’Isis sbarca a Lampedusa”: la merda finisce in prima pagina

Deve essere una vita ostica quella del titolista di un quotidiano qualsiasi nella schiera dei mistificatori e seminatori di paura. Deve costare litri di bile e un concentratissimo impegno mantenere il ruolo di suggeritore continuo di xenofobia, rabbia ignorante e allarme quotidiano per garantirsi la sopravvivenza.

Cosa fa l’ISIS (o DAESH o uno dei soprannomi qualsiasi con cui chiamiamo l’uomo nero)? Ribatte notizie false, ingigantisce fatti mai accaduti, mordicchia regolarmente il nervo della paura: un petting perseverante addosso a tutti gli organi della preoccupazione. Il terrore (ancora più del terrorismo) ha bisogno di restare certosina nelle paludi della mistificazione. È un lavoro usurante quello del seminatore d’odio e di paure: ambiente malsano, una filiera commerciale di arrivisti e puttanieri e una clientela da mantenere abbastanza affamata per essere fidelizzata.

L’Europa disegnata dai terroristi islamici è quasi sempre un Paese che non esiste, è la nazionalizzazione dei nostri anfrattio più pelosi, magazzini del nostro obbrobrio più recondito e loro, i comunicatori al servizio del terrore, passano tutta una vita a scendere nelle cantine della propria coscienza a recuperare gli scatoloni pieni di bava.

Per questo in fondo oggi, che siamo all’inizio della settimana, mi si muove quasi un conato di solidarietà per i titolisti di Libero che ancora titolano che “l’ISIS sbarca in Italia”, precisamente a Lampedusa, riportando (anzi, strumentalizzando) un virgolettato francese per farne la paura del giorno. Certamente per ritornare alla solfa dei terroristi e dei barconi devono avere passato una brutta domenica tutta intenta a reperire un allarme, un falso mito, preoccupati di rimanere sguarniti per la propria quotidiana razione di terrore. Me li immagino mentre chiedono ad un Salvini o una Santanché un buon titolo d’apertura come si usa chiedere una barzelletta dopo cena, anelando ad un colpo di teatro che dia un senso alla giornata.“L’ISIS sbarca a Lampedusa” deve essere stato nell’armadio delle conserve di allarmi da usare in mancanza d’idee, all’ultima spiaggia e chissà come incroceranno le dita che oggi succeda qualcosa che possa tornare utile: un negro ubriaco, un siriano che passi con il semaforo rosso o peggio un parcheggiatore abusivo con un braccialetto di Allah.

Avanti così, facciamoci del male. Buon lunedì.

I momenti “memorabili” del Family day

Nel numero di Left in edicola abbiamo cercato di indagare – e smontare, anche grazie all’analisi di Chiara Saraceno – le ragioni della piazza del Family day, prova di forza del fronte del no al dl Cirinnà, la legge sulle unioni civili che questa settimana arriva al voto del Senato (con le pregudiziali, per gli emendamenti bisognerà attendere un’altra settimana ancora).

Le reazione politiche, che vi racconteremo, per ora lasciano pensare che la legge possa ottenere il primo via libera dal ramo alto del parlamento. Sono infatti gli stessi organizzatori del Family day a pensare già al referendum. Più incerto è invece il destino dell’articolo con cui si introduce la stepchild adoption, l’adozione del figlio del partner che secondo Adinolfi&co è una legalizzazione di fatto della maternità surrogata. Lo stesso capogruppo dem al Senato, Luigi Zanda, ha aperto a possibili modifiche. E il senatore Lumia ha detto che potrebbe esser stabilito che a decidere sarà un tribunale, caso per caso.

Vedremo.

Per il momento, sorvolando sulle polemiche sui numeri della piazza, ma registrati i toni molto critici del palco e dei manifestanti verso Matteo Renzi, vero destinatario dell’evento («Ci ricorderemo»), ecco una breve rassegna dei momenti più memorabili della manifestazione di sabato.

Avrete sicuramente visto Massimo Gandolfini, portavoce del comitato organizzatore della manifestazione che dal palco a un certo punto ha urlato: «Dobbiamo dirlo con forza: il sesso non è il piacere sessuale. È la procreazione, la trasmissione della vita, una creatura nuova, un dono di Dio».

Allo stesso modo avrete letto della gravidanza di Giorgia Meloni.

Sono qui al Family Day in veste di esponente politico e di donna e, se Dio vorrà, la prossima volta starò qui anche in…

Pubblicato da Giorgia Meloni su Sabato 30 gennaio 2016

Forse vi siete però persi Maurizio Gasparri che invita a boicottare Ikea, colpevole di sostenere i matrimoni egualitari. Su di giri per la manifestazione Gasparri, ripreso da un cellulare, ha anche detto: «Invito tutti a non comprare niente da Ikea. Siccome ho dei fazzoletti in casa, mi ci pulisco il sedere e li rimando usati ai capi di Ikea, così forse li mangeranno». Elegantissimo.

Maurizio Gasparri, Vicepresidente del Senato della Repubblica italiana che si esprime sulla campagna di Ikea a favore delle Unioni Civili. COMPLIMENTONI

Pubblicato da I Gentlemen Di Grindr su Sabato 30 gennaio 2016

Alto è stato anche il momento in cui si è sostenuto dal palco che dietro le rivendicazioni lgbt ci sarebbero l’industria del cambio di sesso e le aziende farmaceutiche (testuale!). Bellissimo è il cartello con cui uno spaventato manifestate cerca di avvisare il premier. Attento: «Le unioni tra omosessuali faranno scivolare l’Europa nell’inferno del califfato».

L’ex presidente del circolo di cultura omosessuale Mario Mieli, Andrea Maccarone ha poi avuto un incontro ravvicinato con Renato Brunetta. Vale la pena vederlo. E se vi piace il genere il nostro eroe ha avvicinato anche Roberto Formigoni e Paola Binetti.

Ogni volta che mi vede Brunetta mi dice che sono ignorante. Secondo me però neanche lui sa cosa contiene il suo ddl sulle unioni civili. Ma davvero paghiamo questo per stare in Parlamento?

Pubblicato da Andrea Maccarrone su Sabato 30 gennaio 2016

E se l’intervento più politico dal palco l’ha fatto Mario Adinolfi (che si è rivolto a Renzi ricordando i bei tempi del 2007, quando condividevano la piazza contro le unioni civili, allora chiamate Dico), ai piedi del palco i volti noti erano molti. Alcuni del governo (come il ministro Galletti), i più di Area popolare, tra alfaniani e udc. C’era poi Roberto Maroni e per i forzisti, oltre a Brunetta, c’erano Toti e Gasparri. E proprio Gasparri con Quagliariello e Giovanardi (in piazza insieme al fratello gemello, medico) si è esibito in una prova di canto lirico. Notevole.

A Cagliari Zedda vuole il bis

massimo-zedda cagliari

Per i supporter è il sindaco del fare, per gli avversari quello dei giardinetti. In effetti, questi ultimi mesi di mandato di Massimo Zedda sono costellati di lavori in corso e opere di riqualificazione. Per irridere alle numerose inaugurazioni del sindaco ex arancione – ormai senza partito dopo lo scioglimento di Sel – nei giorni scorsi un gruppo legato a una lista civica di opposizione ha messo in scena una finta inaugurazione. Polemiche a parte, il sindaco uscente non ci sta a veder “ridotto” il suo mandato alle sole opere urbanistiche: «Cagliari è capitale italiana della cultura e si candida a diventare Capitale europea dello Sport nel 2017», ha spiegato. Lo slogan scelto per la candidatura è “Una palestra a cielo aperto”: l’obiettivo è quello di proporre gli spazi urbani – dalle piazze ai parchi e al lungomare – come luogo della pratica sportiva, con impianti messi a nuovo e fondi per manifestazioni ed eventi. E poi cultura, solidarietà, mense verdi, bike sharing e la decima posizione nella classifica di Euromobility sulla mobilità sostenibile.
Alla vigilia del voto, Zedda porta diverse frecce all’arco della sua rielezione, compreso l’appoggio del presidente del Consiglio («È bravo, sono con lui», ha detto Renzi). Ma a riportarlo sulla poltrona di primo cittadino sarà con molta probabilità la decisione del centrodestra cagliaritano di correre diviso. L’ex senatore forzista Piergiorgio Massidda, alla guida di un polo civico, ha rifiutato la proposta di candidatura unica lanciata dal deputato di Scelta civica Pierpaolo Vargiu, in corsa per la coalizione Cambia Cagliari. Prove di coalizione a sinistra di Zedda sono in corso tra Alessandro Spano di Sardegna Possibile, movimento fondato dalla scrittrice Michela Murgia, Paolo Matta (La Quinta A) ed Enrico Lobina, che guida la lista Cagliari Città Capitale. Intanto i 5 stelle non hanno ancora ufficializzato la scelta, ma in tanti sono pronti a scommettere che sarà il loro candidato a sfidare al ballottaggio il sindaco uscente.

Trovi l’articolo completo sul n. 5 di Left in edicola dal 30 gennaio 2016

 

SOMMARIO ACQUISTA

 

Un uomo e una donna, due donne, due uomini. Che fastidio vi dà che abbiano un figlio?

genitori gay adozione

«Che fastidio ti dà che due donne vivano insieme e abbiano un bambino? Non riesco a capire!», dice Melita Cavallo giudice dei minori .
Forse vivono quella famiglia come una minaccia…
Una minaccia a cosa? Penso che queste persone abbiano pregiudizi e condizionamenti così fortemente radicati che non riescono a vedere quanto il mondo stia cambiando.
Al Tribunale per i minorenni arrivano domande di donne che hanno deciso di uscire allo scoperto, di dire che vivono insieme e che la compagna vuole adottare il figlio dell’altra. Ma non penso che il fenomeno dell’adozione a opera di una coppia omosessuale non esistesse anche negli anni passati. Ricordo un caso tanti anni fa. Un medico curava un bambino in ospedale e passava molto tempo con lui. Il piccolo gli si era affezionato. Spesso il medico si presentava con un altro medico: la situazione insomma era chiara, Un giorno la mamma ha dato il consenso all’adozione. Sapeva e ha dato il consenso.
Come mai il Tribunale ha concesso l’adozione?
Per l’interesse del bambino. Era legato a quell’uomo e lo chiamava papà, aveva 9-10 anni e diceva che voleva stare con papà e anche con l’amico di papà.
Quasi una maternità surrogata, oggi pietra dello scandalo?
Non mi sconvolge l’idea. Sono cattolica, mi sforzo di essere osservante, però, mi chiedo, per quale ragione, se posso dare il mio rene ad un’amica che ne ha bisogno, non posso invece usare il mio utero per mettere al mondo un bambino di un’amica o di un amico? Non capisco perché ci si possa privare di una parte del corpo ma non se ne possa utilizzarne un’altra. Se una donna si offre di portare un bambino in grembo sa bene che non è suo, si tratta solo di chiarire tutto prima.
Lei ha scritto la sentenza dell’agosto 2014 con la quale il Tribunale di Roma ha concesso la possibilità di adottare a una coppia di donne omosessuali.
Sì, in base alla legge 184 del 1983 art. 44 lettera d, “casi particolari”. È passato un anno e mezzo ma la Corte d’appello ha confermato la sentenza del Tribunale. Adesso andrà in Cassazione perché il procuratore generale la impugnerà, ma credo che la Cassazione confermerà. Quindi oggi è già possibile adottare, la norma c’è. A Roma abbiamo già chiuso quindici casi. Ma ci sono tribunali che non lo fanno e quindi è giusto che arrivi una legge.
Il Tribunale per i minorenni più avanti del Parlamento?
Non è utile generalizzare, però in genere sì… Il giudice minorile è in rapporto diretto con le famiglie, ascolta i bambini e parla continuamente con loro. Ci si rende conto dei diritti che premono ma che non sono ancora riconosciuti. Il giudice minorile, proprio perché è a contatto con la realtà che cambia, vede spesso prima del legislatore. […]


 

Trovi l’articolo completo sul n. 5 di Left in edicola dal 30 gennaio 2016

 

SOMMARIO ACQUISTA

 

CHI È

Melita Cavallo è stata presidente del Tribunale per i minorenni di Roma fino a dicembre 2015. In precedenza ha lavorato come magistrato nel settore famiglia a Napoli e a Milano. È stata presidente della Commissione per le adozioni internazionali e capo del Dipartimento per la giustizia minorile. Ha appena pubblicato per Laterza il libro Si fa presto a dire famiglia in cui racconta quidici storie vere di minori e delle loro famiglie. Tutte molto diverse: tradizionali, ricomposte, omosessuali, monogenitoriali. Dai racconti traspare una grande sensibilità verso quello che Melita definisce l’«interesse superiore del bambino». Il magistrato indica anche proposte, come quella di puntare sull’affido familiare.

[social_link type=”twitter” url=”http://twitter.com/dona_Coccoli” target=”” ][/social_link]  @dona_Coccoli