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La difficoltà è capire cosa fare in un mondo in cui ogni giorno arrivano notizie sconvolgenti, da fare accapponare la pelle. Guerre condannate da tutti, anche da tutte le parti in conflitto che, malgrado ciò, continuano senza interruzioni. Uccisioni indiscriminate di persone, uomini, donne e bambini, persone che non stanno facendo nulla di ostile verso nessuno, bombardati senza pietà, in luoghi che dovrebbero essere esclusi dalla violenza. Poi si pensa alla storia e si sa che le guerre sono state una costante della storia umana. La storia, che abbiamo imparato a scuola esistere dal momento in cui esistono fonti scritte, dice che ci sono sempre state guerre tra i popoli.
Guerra, la lotta armata e violenta per la sottomissione degli altri che non sono come noi.
La coercizione della volontà altrui perché essa, così com’è, non va bene, non è quello che noi vogliamo per loro e anche per noi. Per giustificare la guerra viene detto e anche teorizzato che gli esseri umani sono aggressivi, fin dalla nascita. E che la “non-violenza” umana, tutto ciò che c’è di buono in esso, è solo una costruzione astratta, determinata da un dio invisibile che nella storia ha preso varie forme. Sappiamo di guerre da quando esiste la scrittura. Se esistessero guerre nell’epoca primitiva è questione dibattuta. Certamente si sa che in alcune popolazioni che vivono ancora oggi isolate dal mondo moderno, gli omicidi sono rarissimi e la conflittualità tra tribù non esiste. In altre popolazioni c’è una modalità di conflitto che in qualche modo è regolata e obbedisce a rituali che di fatto limitano la violenza tra gli uomini. La famosa scena iniziale di 2001 odissea nella spazio propone l’idea che è l’arma (il bastone) che permette di realizzare la violenza e che di fatto è quella violenza che “fa” diventare uomo la scimmia. Sarebbe questa idea alla base del ragionamento che le guerre inizino con lo sviluppo delle armi, ossia con l’età del bronzo e del ferro, perché le armi primitive erano troppo poco efficaci. Anche se si potrebbe osservare che tali armi primitive servivano per la caccia ed erano assolutamente efficaci per uccidere. Chissà quando e chissà come, deve essere cambiato qualcosa nel pensiero umano ed è iniziata l’aggressione organizzata di un gruppo di uomini su un altro. Forse iniziò con l’agricoltura, quando gli esseri umani decisero di rinunciare a spostarsi per cercare un nuovo altrove, quando presero una decisione razionale di fermarsi a coltivare. Quando da cicale innamorate del sole diventarono delle formiche industriose. Allora il controllo del territorio diventò fondamentale: si realizzò un concetto primitivo di proprietà? Il campo coltivato è il mio/nostro, non è il tuo/vostro.
Certamente l’inizio dell’agricoltura è un passaggio storico fondamentale. Perché è ciò che permise la nascita di villaggi e poi di città e quindi poi di civiltà, accomunate da una lingua comune. E poi da una scrittura, l’inizio della storia. Ma è vero che la scrittura nacque con i commerci? È vero che prima venne il contare e poi lo scrivere? È vero che la scrittura nacque per una necessità “razionale”? Uno studio superficiale della storia e della letteratura può far pensare che l’essere umano sia sempre lo stesso, non sia mai cambiato. Sempre guerre, sempre per gli stessi motivi: di dominio territoriale e quindi economici, religiosi e ideologici.
Ma nella storia si può vedere anche come l’evoluzione della scienza e della tecnologia sia stata impetuosa e abbia permesso di cambiare la vita di miliardi di persone. Di fatto la soddisfazione dei bisogni e le aspettative di vita di una buona parte della popolazione mondiale attuale è a livelli mai visti nella storia dell’umanità.
La medicina ha compreso e sconfitto gran parte delle malattie mortali, prima sconosciute e incurabili. Si è compreso che la malattia, qualunque malattia, ha una noxa esogena, ossia una causa esterna all’organismo, e una volta individuata e compreso il suo funzionamento, si può cercare una cura per la guarigione.
Si può ripristinare lo stato precedente alla malattia e recuperare l’equilibrio perduto. Ma un equilibrio sociale e psichico non sembra possibile, anzi viene detto costituzionalmente e fisiologicamente impossibile.
Saremmo, nel nostro pensiero, naturalmente perversi, violenti, ineluttabilmente assassini. Non lo saremmo quotidianamente solo perché ci sono la legge, la morale, la consuetudine, la cultura, la razionalità che ci impedirebbero di uccidere.
La storia sembra indicare che questa sia la verità umana. Le guerre sono l’argomento più studiato a scuola, fin dalle elementari. Sembra che l’umanità senza guerre non sappia stare, che non sia possibile stare insieme senza sopraffazione di qualcuno su qualcun altro. Come si fa a riporre ancora speranza in una possibile convivenza pacifica se ogni giorno riceviamo “conferme” che questa è la realtà umana? Sembra quasi che questa quotidianità di notizie terribili serva ad anestetizzarci, a farci pensare che appunto è questa l’unica realtà possibile. Io penso dobbiamo fare uno sforzo e vedere al di là e considerare che difficilmente la storia è una storia di donne e di bambini.
I protagonisti della storia come la conosciamo è fatta di uomini che vengono detti tali per dire di tutti ma in realtà si parla sempre di maschi. Ci sono re e papi, ci sono condottieri, ci sono soldati, ci sono poveri e ricchi, contadini, mercanti. Ma sono sempre maschi. Mai, o raramente, si parla di donne e bambini, relegati al margine della storia dal pensiero logico e razionale di origine greca, in quanto appunto “non razionali” e sono esattamente coloro che hanno una realtà che non è mai violenta.
Le donne e i bambini non fanno la guerra e non uccidono. Le donne e i bambini sanno avere rapporto con chi è diverso da sé stessi, riescono a vedere l’uguaglianza di un essere umano che ha un colore della pelle diverso, parla un’altra lingua, veste in altro modo, adora un altro dio ma, chissà come mai, sorride in modo identico ovunque sia nato nel mondo. Il maschio, il patriarca, non vede, non capisce l’uguaglianza e vede nel diverso solo il ladro e l’assassino e risponde allo stesso modo. Furto e omicidio sono il modo come nella storia si sono sempre risolte le controversie internazionali.
Ma gli esseri umani, anche i maschi, sono stati tutti bambini. Tutti sanno che la realtà della guerra è una bugia. Che non è vero che sia necessaria. D’altro canto, è vero che essa esiste ed è necessario contrastarla. Ma questo è difficile se non impossibile se non si esce da una logica di pensiero perfettamente razionale che non dice e non capisce che non esiste alcuna differenza etnica, religiosa, culturale, territoriale e in generale di pensiero, che superi il fatto che gli esseri umani sono uguali perché il loro pensiero è espressione della biologia del corpo alla nascita, tramite una dinamica fisica e biologica che si realizza come pensiero sul mondo e sull’altro.
Pensiero che è prima di tutto un’idea di non esistenza del mondo inanimato (pulsione di annullamento) e contemporaneamente ricerca di rapporto con un altro essere umano (memoria fantasia). È la dinamica della nascita scoperta da Massimo Fagioli nel 1971 e illustrata in Istinto di morte e conoscenza.
Questa differenza di rapporto con umano e non umano, e in particolare l’assoluto non rapporto con l’inanimato, è ciò che fa del neonato umano una realtà del tutto differente e totalmente inetta se confrontata con i nuovi nati animali, che hanno invece immediato rapporto con la realtà inanimata. Ma è proprio questo annullamento della realtà inanimata (fantasia di sparizione come la chiama Fagioli) e di simultanea idea di esistenza di un rapporto con l’altro essere umano e quindi ricerca di esso, che fa del pensiero umano un assoluto diverso da tutte le altre specie. Noi rifiutiamo la realtà inanimata.
E quindi possiamo inventare vestiti per proteggerci dal freddo o ombrelli per coprirci dalla pioggia o scarpe per camminare su terreni scomodi. Possiamo evolverci grazie alla nostra fantasia riuscendo a fare ciò che tutti gli altri animali sanno fare come specialità specie-specifica. Possiamo scoprire e vedere cosa c’è di nascosto, qual è il meccanismo invisibile. Vogliamo e possiamo cercare e vedere l’invisibile. E nella storia questa ricerca scientifica e tecnica ha avuto un successo straordinario.
Ora che abbiamo compreso e sappiamo cosa è la realtà inanimata, è ora di dedicarci a scoprire l’altro aspetto del pensiero, quello che cerca il rapporto con gli altri. Scoprire perché questo pensiero di rapporto che è naturalmente presente nei bambini poi, a volte, si perde. Scoprire perché la cultura propone modelli di società che dimenticano completamente questa realtà e parlano di realtà umana naturalmente perversa e violenta, quando è evidente che la realtà umana non è quella.
Nessun bambino vuole fare del male agli altri e la assoluta maggioranza delle persone non farebbe mai del male a nessuno. E sappiamo anche che se qualcuno si realizza violento ciò dipende da dinamiche di rapporto che sono andate male che sono state deludenti. In altre parole, nessuno nasce perverso e violento. Allora non si capisce perché la società in cui viviamo, la cultura in cui siamo immersi, debba dirci costantemente che la nostra realtà più intima è questa.
Quello che dobbiamo vedere è innanzitutto proprio questo: che viviamo in un mondo che quotidianamente vuole dirci che in realtà non siamo quello che siamo… che siamo in realtà violenti e perversi e che l’unico reale rapporto che possiamo avere con gli altri sarebbe quello violento, di sopraffazione, di furto e di omicidio.
È difficile liberarsi. Perché l’orrore quotidiano cui veniamo sottoposti è una continua proposta di chiudere gli occhi, di rassegnarsi a pensare che gli esseri umani sono così per costituzione, che l’unica soluzione sarebbe una morale o una religione che ci dica cosa è buono e cosa è cattivo. Invece bisogna resistere e continuare a cercare.
Perché è questa la libertà. La possibilità e capacità di pensare al di là di ogni condizionamento e di vedere al di là per cercare di comprendere l’altro, di comprendere la realtà dell’altro, di comprendere per fare sì che l’altro realizzi sé stesso e possa fare anch’egli ricerca, che possa essere libero. Va detto che la storia non è solo il racconto di tragedie. La storia comprende infinite storie di realizzazioni che rimangono scritte e possono essere la base per la realizzazione di chi viene dopo. La storia non sono solo le guerre. Perché dopo le guerre viene la pace e ogni volta si cerca di comprendere perché c’è stata una guerra, cosa e dove si è sbagliato. Con difficoltà, a tentoni, ma qualche volta viene fuori un’idea bella. Come quella scritta nella nostra Costituzione all’art 3, laddove la libertà e la realizzazione personale sta insieme al pieno sviluppo della persona umana, ovvero la libertà di fare la propria ricerca. Allora è giunto il tempo di fare una ricerca nuova, una ricerca che non è logico-razionale ma è quella di scoprire e comprendere una realtà umana più profonda.
Buttare via come stracci vecchi le brutte favole religiose e razionali dell’essere umano cattivo che ci coprono gli occhi da duemila anni per cercare il segreto delle donne e dei bambini che disegnavano il loro amore per gli altri e la gioia di vivere nelle caverne di Lascaux. «Essere senza imitare, avere senza rubare. Se voi riusciste a carpire il segreto, allora comprendereste. Il segreto di abbandonare senza annullare, di separarsi senza prendere. Il segreto di una resistenza continua, di una ricerca continua di quel mondo nascosto, sconosciuto a tutti, che domina i rapporti tra gli esseri umani. La resistenza e il rifiuto al pensiero divino che dice sempre: non c’è. La resistenza alla strega invidiosa che dice: non è possibile. Il segreto del ventre di donna immune all’istinto di morte.» (M. Fagioli, La marionetta e il burattino, L’Asino d’oro).

Illustrazione di Valentina Stecchi

Basta dubbi, compagni: andiamo a votare in massa a sinistra. Sono elezioni decisive

Le elezioni dell’incertezza, del dubbio, dell’indecisione. Pochi giorni ancora e si terranno queste elezioni europee e finirà questa eterna e l’interminabile campagna elettorale. Eppure, nonostante i lunghi tempi gestatori di liste e schieramenti, la sensazione che si percepisce in molti ambienti democratici e di sinistra è quella dello scoramento se non della rinuncia.
Un vincitore comunque c’è già, certo e indiscutibile: il partito dell’astensione. Nessun partito o schieramento avrà altrettanto seguito rispetto a quello dell’astensione. Un dato che dovrebbe far riflettere, e su cui invece ci si sofferma poco o nulla se non con qualche fugace dichiarazione di ipocrita rammarico.
L’astensione in verità fa comodo a tutti gli schieramenti, perché il passaggio di pochi voti da una parte all’altra può determinare la vittoria e la sconfitta, che con alte affluenze non sarebbe possibile. Pochi voti, con un forte astensionismo, hanno un potere decisionale molto grande. E quindi non è interesse di alcuno, di fatto, che l’affluenza sia maggiore, basta riuscire ad attrarre quei pochi numeri sufficienti e si può cantare vittoria o piangere sconfitta. Le recenti elezioni sarde, e non solo, lo dimostrano.

Poco importa che la rappresentanza ne risenta. In nome di quale popolo si governa se il vincitore è scelto da meno di un ottavo degli elettori? La Meloni e FdI non governano forse sulla base di un 25% della metà degli elettori? Altro che far scegliere i cittadini, il popolo, chi li governerà, come promette la Riforma meloniana.
Ecco perché una vera campagna, ossessiva, intensa, decisa, convinta, continua per richiamare alla partecipazione non viene fatta da nessuno. Anzi, ci sono casi in cui si è auspicata una affluenza ancora più bassa come unica speranza di vittoria (come ad esempio, nelle elezioni per ricoprire il seggio vacante di Monza lasciato dal defunto Berlusconi, dove ha votato il 19,25% degli elettori).

In questo quadro desolante, l’elettore medio, l’elettore democratico e in specie il militante del centrosinistra e della sinistra in genere, si trova ancor più spaesato del solito. Si tratta pur sempre di elezioni di un Parlamento che dovrà operare grandi scelte che dovrebbero influire sui rapporti, le strategie, le influenze con il resto del mondo, molto al di là delle piccole beghe nazionali.
Eppure domina un senso di disorientamento, indecisione e disagio enorme: chi votare? Chi sentire vicino alla propria sensibilità, alla propria storia, ai propri ‘ideali’? Chi sentire rappresentante delle nostre aspirazioni?
Perché se da un lato è evidente quanta distanza esista rispetto alle destre, lo schieramento avverso, dall’altro può bastare, come unica motivazione forte, l’appello al voto per non far vincere la destra?

L’offerta, come sempre a sinistra, è variegata, multiforme, camaleontica. Quali le possibilità allora?
Votare Pd? Il partito più grande (ma nonostante tutto non egemone) che, teoricamente ha maggiori possibilità di influire sulle scelte future del Parlamento europeo che sarà?
E però, si può accettare un partito che rimane favorevole, ad esempio, al finanziamento di ulteriori armamenti in favore dell’Ucraina? Che ha votato l’equiparazione di fascismo e comunismo? Che appoggiò Draghi, che pare riaffacciarsi quale candidato a succedere alla Von Der Leyen? Che mette l’effigie di Berlinguer sulla propria tessera provocando il risentimento di metà partito? Che negli anni ha sposato tutte le politiche liberiste, europee e nazionali? Che è e rimane caratterizzato da correnti? Insomma si può votare un partito che, per ora, mantiene tutte le ambiguità che lo hanno caratterizzato fin dalla fondazione. Può tale voto soddisfare un elettore “di sinistra” non Pd?

E allora votiamo la lista “di sinistra” Avs, tanto più che candida Ilaria Salis, e poi, in fondo, è l’unico schieramento italiano “di sinistra” che pare potercela fare a superare lo sbarramento del 4%. Ma c’è un ma, perché un voto in tal senso può significare non eleggere la Salis (sia per effetto del collegio unico nazionale che perché non candidata in tutte le circoscrizioni) ma eleggere invece un rappresentante dei Verdi. Cioè un esponente che in Europa (sono elezioni europee in fondo) andrà nel gruppo dei Verdi Europei (S.I. e Verdi dichiaratamente si divideranno a Bruxelles) che nel programma dichiarano che appoggeranno tutte le iniziative a favore dell’Ucraina compreso il finanziamento delle armi. E quindi tutta la retorica pacifista della lista vale solo come propaganda elettorale nazionale, perché in Europa le scelte poi saranno diverse. Che noioso impaccio, ostacolo, ingombro, scoglio questa benedetta guerra.

Bene, allora votiamo la Lista di Santoro, Pace Terra e Dignità. In fondo è l’unico schieramento coerentemente pacifista. Ma non sarà un voto sprecato? Perché questa lista pare abbia scarsissime possibilità di superare lo sbarramento del 4% e rappresentare quindi l’ostacolo ulteriore per chi aveva più chance di farcela.
Insomma l’incertezza regna sovrana, i mal di pancia si rinnovano, i sensi di colpa si moltiplicano e quel che regna è il disorientamento.
La speranza è che, nonostante questo quadro triste alla fine non si cederà allo scoramento e si voterà, si sceglierà tra l’uno o l’altro e non si contribuirà alla crescita dell’astensione. Forza compagni, proviamo ostinatamente a mantenere viva la voce, andiamo a votare, scegliamo: “ha da passà ‘a nuttata”.

L’autore: Lionello Fittante è tra i promotori degli Autoconvocati di Leu, ex componente del Comitato Nazionale del movimento politico èViva

 

Eccola, l’Albania

Edi Rama e Giorgia Meloni in Albania

Ha ragione da vendere Riccardo Magi, deputato di +Europa strattonato e schernito dalla polizia albanese, quando prova a spiegare che se si finisce per prenderle di fronte alle telecamere e da deputato significa che la matrice diventerà ancora più violenta quando si tratterà di qualche disperato salvato in mare e versato in Albania. 

La presidente del Consiglio Giorgia Meloni del resto ha dismesso i panni della leader di governo per diventare leader di partito e tirare la volata a Fratelli d’Italia nelle ultime ore di campagna elettorale. Così la conferenza stampa per celebrare la deportazione è diventata un esercizio di ciò che a Meloni viene meglio: stare al governo opponendosi all’opposizione. La conferenza stampa con il premier albanese Edi Rama è una scenetta anni Ottanta, mancavano solo le Timberland e i paninari. Il primo ministro albanese ci tiene a dirci che «la mafia non esiste» e che la colpa è tutta dei giornalisti italiani, resuscitando un’iconografia del negazionismo che nel nostro Paese ci riporta agli anni bui. Meloni si inerpica in una inefficace giustificazione della deportazione albanese in nome del risparmio, con in tasca un assegno di un miliardo di euro (avrebbero dovuto essere 670) per pagare l’hotspot elettorale. Lei dice che sono tutte leggi dell’Ue. Falsissimo: qui in Albania siamo fuori dall’Ue. Il 15 novembre scorso, la commissaria per gli Affari interni Ue, Ylva Johansson, ha detto chiaro e tondo che l’accordo tra Italia e Albania, «non viola il diritto dell’Ue» perché «è al di fuori del diritto Ue».

E mentre in Albania la mafia non esiste qui da noi la presidente del Consiglio denuncia la mafia infiltrata nel decreto flussi (ben svegliata!) sbagliando il verso di lettura. La colpa sarebbe dei migranti, ovviamente, mica dello sfruttamento.

Buon giovedì. 

Giovanni Semerano e la linguistica come stella polare della storia

Viene presentato oggi, 5 giugno, a Firenze, al Gabinetto G.P. Vieusseux (ore 17.30 presso la Sala Ferri di Palazzo Strozzi) Le mille e una notte di Semerano. Origini mesopotamiche della cultura europea (L’Asino d’oro edizioni), il nuovo libro di Noemi Ghetti con un saggio di Gaia Ripepi. Saranno presenti le autrici, la direttrice di Left Simona Maggiorelli e l’editore Matteo Fago. Ecco un estratto del prologo dell’opera.

 

Era il 28 luglio 2006 quando il settimanale Left, nato in quell’anno dalla trasformazione editoriale di Avvenimenti, pubblicava l’articolo «Siamo tutti babilonesi. Giovanni Semerano e l’invenzione dell’indoeuropeo». Il provocatorio titolo redazionale era di Simona Maggiorelli, storica redattrice e dal 2017 direttrice della testata, che aveva accolto con entusiasmo la proposta di presentare l’originale e discussa teoria del linguista, pugliese di origine e a lungo direttore delle storiche biblioteche fiorentine.
Laureata in Storia antica all’università di Padova, sulle tracce degli antichi viaggiatori ero da sempre un’appassionata esploratrice, oltre che della Grecia, anche dei Paesi che dalle coste del Mediterraneo, passando attraverso l’Egitto e il Vicino Oriente, si estendono fino alla Persia.
Con interesse nel 2001 avevo letto il primo dei tre libri che Giovanni Semerano dedicò alla divulgazione delle sue ricerche, L’infinito, un equivoco millenario. Le antiche civiltà del Vicino oriente e le origini del pensiero greco. Ne avevo apprezzato l’originalità e la consonanza con una convinzione, sempre più radicata nel corso degli anni, che non aveva trovato conferme adeguate da parte degli specialisti delle lingue antiche.
Il saggio di Semerano fu seguito nel 2003 da Il popolo che sconfisse la morte. Gli etruschi e la loro lingua, in cui era anche presentata la traduzione delle lamine auree di Pyrgi in etrusco e in punico, e nel 2005, anno della sua scomparsa, da La favola dell’indoeuropeo, editi da Bruno Mondadori.
Solo allora scoprii che, a partire dal 1984, il filologo e linguista aveva pubblicato con l’editore fiorentino Olschki i due monumentali volumi de Le origini della cultura europea. Alle Rivelazioni della linguistica storica. In appendice: Il messaggio etrusco, nel 1994 seguì il secondo, Dizionari etimologici. Basi semitiche delle lingue indoeuropee, articolato in Dizionario della lingua greca e Dizionario della lingua latina e di voci moderne. L’opera fondamentale, che subito mi procurai, fu ristampata nel 2002, quasi a salutare l’apertura del millennio all’insegna della nuova scoperta, facendola uscire dai circoli degli specialisti. E poiché la conoscenza della storia delle parole è per lo storico un’autentica bussola di navigazione, da allora essa costituisce per me, accanto ai vocabolari delle lingue greca e latina consacrati dalla tradizione, uno strumento di lavoro prezioso, e non solo nell’ambito dell’antichistica.
Quantunque la ricerca di Semerano avesse dunque riscontrato negli ambiti accademici un’accoglienza per lo più fredda, quando non apertamente ostile, lo studioso non cessò mai il suo lavoro di ricerca. Indomito, continuò a svolgerlo fino alla fine con una tenacia pari a quella di Shahrazad, la coraggiosa fanciulla persiana che nelle Mille e una notte intrattiene con una novella diversa il sovrano che, inferocito per il tradimento, ha ucciso la moglie. E ad ogni successiva alba uccide la schiava ancora vergine con cui ha trascorso la notte.
Divenuta sua sposa, la bella Shahrazad ad ogni nuovo sorgere del sole interrompe la narrazione, con la promessa di riprenderla al calare delle tenebre. E sono mille storie che si svolgono sotto il vasto cielo d’Oriente, dall’India alla Persia, attraverso la Mesopotamia e la Mezzaluna fertile, fino alle coste del Mediterraneo. Finché, ammaliando lo sposo con il potere delle parole, l’indomita giovane donna ne vince la violenza, insegnandogli che mentre l’odio acceca e uccide, l’amore per la vita che lei esprime nel narrare, intrecciando rischiosamente storie di fedeltà e tradimento, di povertà e agiatezza, di odi e passioni, cura la mente che si è ammalata e incanta il cuore. Un messaggio quanto mai prezioso in questi nostri tristi giorni.
La complessa storia della trasgressiva raccolta, da cui Boccaccio trasse ispirazione per il Decameron, e che ancora nel 1985 fu fatta oggetto della censura egiziana, si presta a suggestive analogie con l’instancabile e contestata ricerca di Semerano. E come in arabo il numero 1000 delle novelle di Shahrazad significa “innumerevoli”, e 1001 vale per un numero infinito, nell’inesausta vena narrativa del linguista ostinato e gentile esso ben rappresenta l’infinita quantità di etimologie e di storie addotte a sostegno della propria teoria, contro la tradizionale interpretazione aristotelica dell’ápeiron anassimandreo come astratto e metafisico “infinito”.
La ricerca linguistica di Semerano veniva da lontano, aveva radici estese e dava risposte alle suggestioni suscitate da tante testimonianze archeologiche che, da Creta all’Anatolia fino alla Persia, nelle altre isole del Mediterraneo e nei paesi che si affacciano alle sue coste meridionali, avevo visitato nel corso degli anni. Offriva a larghe mani un fondamento prima inimmaginabile e risposte concrete alle tante domande sulle incongruenze, emerse rispetto a quanto avevo appreso negli anni di studio all’ateneo patavino. Dove tuttavia avevo avuto la fortuna di poter cogliere le aperture del corso di glottologia di Carlo Tagliavini, linguista apprezzato da Semerano, e delle straordinarie lezioni di letteratura greca di Carlo Diano. Ma soprattutto la curiositas sincera con cui Franco Sartori, stimato commentatore di Platone, accolse l’inusuale tema che proposi per la mia tesi di laurea, La società etrusca nella storiografia greca.
A lui devo l’incontro del 1967 a Torino con lo storico siciliano Santo Mazzarino, che quando l’Italia con la Costituzione repubblicana lasciò finalmente alle spalle anche le nefaste leggi razziali, appena trentenne era stato autore dell’illuminante opera Fra Oriente e Occidente. Ricerche di storia greca arcaica. Il volume allargava l’indagine nel campo fino ad allora meno indagato della grecità «micrasiatica», ovvero alla storia arcaica delle città greche delle coste dell’Asia Minore tra il decimo e il sesto secolo, prima della nascita e dello sviluppo dell’impero persiano.
Attraverso una minuziosa rassegna delle fonti letterarie, a partire dalla lirica greca arcaica e dall’epopea omerica fino ad Erodoto, il giovane storico siciliano aveva ricostruito lo sviluppo dei due termini Asia ed Europa nel valore semantico e dal punto di vista territoriale. Da quando essi apparvero nei miti, attraverso la storia delle colonie greche comunemente dette ioniche, fino alla nascita dell’impero persiano, fondato nel 540 a. C. I rapporti dei Greci con i popoli micrasiatici, inventori della civiltà urbana e della scrittura, erano stati prima di allora pacifici, di integrazione e di scambio, tanto da poter parlare di una koinè linguistico-culturale, come prova con evidenza la diffusione dell’arte detta «orientalizzante» anche nella Grecia continentale e nel Mediterraneo.
Ne è testimonianza la diffusa presenza in Etruria dei rilievi policromi in terracotta che decoravano i templi, e della fastosa pittura funeraria. Ma anche il fatto che la Troia descritta nell’Iliade di Omero non sia dissimile dalle città greche, che Ettore sia un eroe non diverso da quelli greci, che l’asiatico Enea, in esilio dopo la caduta della città, diventi addirittura il proto-fondatore della potenza romana.
L’opposizione si radicalizza dopo la caduta di Babilonia, nel 499 a.C. con la rivolta antipersiana delle città greche della costa asiatica, Efeso e Mileto, e con le successive invasioni persiane. Le battaglie di Maratona e Salamina, avvenute rispettivamente nel 490 e nel 480 a. C., segnano il passaggio dell’egemonia culturale greca dalle coste anatoliche, dove essa era nata con i poeti e i filosofi naturalisti ionici, alla Grecia continentale, e ad Atene in particolare. Da allora le diadi Asia-Europa e Greci-barbari, ovvero popoli definiti con disprezzo balbettanti, feroci e dalle donne lussuriose, indicano entità opposte, se non addirittura irriducibili.
Nuovi stimoli e conferme trovai più avanti nell’ateneo fiorentino, nel corso di Filosofia greca di Francesco Adorno, autore di una innovativa Storia della filosofia antica. Ma solo all’inizio del nuovo millennio venni a conoscenza dell’appartata ricerca di Giovanni Semerano. Altri anni sono trascorsi da allora. Da una prospettiva anche politica di storica dell’antichità questo lavoro, rispondente a una sollecitazione della casa editrice L’Asino d’oro, intende proporre una ricostruzione dell’originale ricerca del glottologo di Ostuni al quale, in successive occasioni, ho dedicato altri interventi su Left. Negli anni il lavoro di Semerano è stato considerato con favore da accreditati archeologi, storici e filosofi, e ha mostrato la sua validità e la sua fertilità, intrecciandosi con il mio modo di concepire e anche di mettere in scena la storia.
Il lettore perdonerà l’andamento sinuoso, rapsodico e a tratti labirintico dell’esposizione, che procede tra mitologia, archeologia, filosofia e filologia, con riprese da una prospettiva diversa di temi già toccati, come la materia, tanto estesa nello spazio e nel tempo, e lo stesso lavoro di Semerano richiedono.
Avendo dedicato questo ultimo decennio allo studio di Antonio Gramsci, il rivoluzionario che giunto a Torino dalla Sardegna ebbe una formazione universitaria di promettente linguista e fu anche un grande scrittore, fin dalla prima lettura delle Lettere dal carcere riscontrai con sorpresa che il lavoro di Semerano costituiva lo sviluppo, certo inconsapevole, di un progetto che il leader comunista aveva formulato nel 1927, all’inizio della sua carcerazione, e che in cella non ebbe poi modo di sviluppare. Da qui partiremo.

In apertura: disegno di Francesco Del Casino, autore anche della copertina del libro

Santanchè, Sinner e la giornata di sole

È dura la vita dei politici al governo caduti in disgrazia. Devono immergersi abbastanza perché si parli poco di loro, evitando di prestare il fianco a chi legittimamente gli chiede chiarimenti dovuti o spiegazioni mai date. Eppure devono farsi vedere, ancora di più se nell’aria c’è qualche elezione, perché non possano essere accusati di essere scomparsi. È un filo sottile che dalle parti di Palazzo Chigi chiamano furbizia o moderazione. Non c’entra nulla il senso della misura: è un atavico senso di sopravvivenza applicato al mantenimento del potere che spesso è considerato protezione dal tracollo giudiziario. 

La ministra al Turismo Daniela Santanchè si porta sulle spalle una nomea di imprenditrice appannata da storie di società malgestite nonostante il probabile abuso degli aiuti di Stato. È associata al pasticciaccio brutto delle spiagge che non vengono messe al bando ingrassando imprenditori balneari che si fregiano di bagni riservati ai ricchi mentre pagano concessioni da poverissimi (il Twiga del suo socio Flavio Briatore secondo Nicola Fratoianni paga 21 mila euro all’anno e fattura otto milioni). La ministra ha quel non trascurabile problema di avere mentito al Parlamento sulla gestione della sua società editoriale, sbugiardata dalle indagini in corso. 

Ieri Santanchè ha deciso di fare capolino spiegandoci che è una brava ministra perché c’è un “record di turisti” (qualsiasi cosa significhi detto così) e perché “Sinner numero uno”. Che c’entra il tennista con il ministero? Niente. Tutto fumus. Non è facile scrivere qualcosa senza scoprirsi, quindi Santanchè si è buttata sul tennis. Il risultato è piuttosto ridicolo, da imbucata rediviva. Immaginate un lavoratore qualunque che al proprio capo che gli chiede cos’ha combinato oggi risponda che fuori c’era un bel sole. Una roba così. 

Buon mercoledì. 

Ccnl metalmeccanici, perché è una trattativa cruciale

La questione dei salari è uno dei temi più critici per il Paese, tra lavoro povero – a fronte dell’evidente crescita dell’occupazione – e una situazione economica complessa come non mai e ancora segnata dall’inflazione.
Il 30 maggio ha preso formalmente avvio la trattativa per il rinnovo del Contratto collettivo nazionale di lavoro dei metalmeccanici. È un appuntamento sempre di rilievo per le relazioni industriali in Italia. Insieme a quello della chimica, quello metalmeccanico è, di fatto, il settore guida dell’industria e, perciò, del lavoro privato di questo Paese.
Quello metalmeccanico è stato, storicamente, il faro del processo delle relazioni industriali in un arco storico che va dall’accesa conflittualità degli anni 70 alla forma più concertativa delle ultime stagioni.
Dunque, in quest’epoca, segnata da grandi crisi di scala globale che riguardano i processi economici quanto quelli democratici, il confronto in fase di avvio tra le associazioni delle due parti (per le imprese Federmeccanica e Assistal, per i lavoratori Fim-Cisl, Fiom-Cgil e Uilm-Uil), è da tenere d’occhio perché molto ci dirà sul futuro del tessuto industriale italiano e delle relazioni sindacali.

Le comunicazioni fatte dalle organizzazioni delle imprese e dei lavoratori, contestualmente al primo incontro, individuano il perimetro di una trattativa che muove da toni positivamente interlocutori, ma molto distanti nei contenuti, e che segnala il tema dei salari come il nodo più insidioso di questo percorso. Tutte le parti ricordano i passi avanti fatti in precedenza in uno dei contratti più moderni del nostro panorama industriale: la contrattazione di secondo livello, i temi Esg (Environmental, social e governance) strettamente legati a quello della sostenibilità, il welfare aziendale, le economie di scala, le riforme per la competitività. Tema, quest’ultimo, che lo stesso Mario Draghi ha indicato come centrale per il futuro del Paese, collocandolo nel contesto europeo come pilastro per reggere il confronto globale con Cina e Usa, che sono i veri antagonisti politici ed economici che si contendono la supremazia economico-politica del mondo intero. Per fronteggiare i quali l’Europa si deve organizzare se non vuole soccombere nella contesa globale. Uno scenario gigantesco nel quale perfino il ragionamento su questo contratto di categoria si deve inserire. L’industria italiana è in crisi in tutti suoi settori principali, lo dimostrano tutti gli indicatori, inclusa l’elaborazione dei dati sulla Cassa integrazione nel mese di aprile appena diffusa dal nostro Centro Studi di Lavoro&Welfare.

Dove si impernia, dunque, l’aspetto più critico nell’avvio di questo percorso contrattuale? Spiega Federmeccanica, in quello che dialetticamente indica come il “confronto con la realtà”, che il vasto e articolato settore metalmeccanico «da diversi trimestri è in difficoltà con una produzione industriale praticamente ferma o in calo considerando gli stessi periodi dell’anno precedente. La seconda dimensione della realtà riguarda gli effetti e i risultati del modello in essere, considerando sia il livello nazionale che quello aziendale. Gli adeguamenti retributivi dei minimi di garanzia riconosciuti nella vigenza del Contratto non hanno precedenti e non hanno eguali. Solo nella metalmeccanica ci sono state risposte così sostanziose nel periodo di alta inflazione, che è il momento più difficile per le persone». Ancora, «non esiste nessun contratto nazionale in nessun settore, eccetto il nostro, che ha determinato, in un anno solare e in un’unica soluzione, un incremento analogo a quello riconosciuto a giugno 2023 ai dipendenti metalmeccanici e della installazione di impianti, pari a 123,4 euro lordi mensili (livello C3), praticamente più del valore di un intero rinnovo. Con molta probabilità a giugno 2024 verrà riconosciuto un incremento sempre molto sostanzioso. Difatti l’esatta determinazione degli incrementi di ciascun anno è possibile soltanto quando viene reso noto dall’Istat il dato aggiornato dell’Ipca». L’Ipca è l’Indice dei prezzi al consumo armonizzato per i Paesi dell’Unione Europea, adottato per assicurare una misura dell’inflazione comparabile tra le economie dei Paesi membri dell’Unione Europea.
Ora, affermano gli industriali, «è doveroso evidenziare quali sono i margini di profitto delle aziende metalmeccaniche per comprendere bene gli effetti che la contrazione della marginalità può determinare, sia dal punto di vista della capacità di innovare, sia dal punto di vista della possibilità di redistribuire ricchezza. Anche produrre diventa un’operazione a forte rischio perdita se non si esce da quella spirale di incremento dei costi a cui stiamo assistendo ormai da troppo tempo. […] In sostanza l’inflazione in tantissimi casi è stata pagata due volte, adeguando gli stipendi dei dipendenti e pagando di più nelle maglie della catena del valore, senza poter trasferire a valle i relativi incrementi dei costi. Si può ben comprendere cosa abbia significato questo scenario per chi già si trovava in una situazione di marginalità molto difficile. È ben noto che la contrazione dei profitti incide anche sulla capacità delle Imprese di fare investimenti, ed è sempre necessario mantenere una quota di ricchezza da destinare all’innovazione per dare un futuro alle aziende e ai loro collaboratori».

Di diverso parere sono state le dichiarazioni delle organizzazioni sindacali che hanno parlato di «distanza siderale con Federmeccanica». Le richieste dei sindacati sono di un aumento mensile lordo di 280 euro (valore medio).
A giugno si svolgerà il primo di una serie di incontri programmati dalle parti. Incontro che sarà imperniato proprio sulla questione dei salari. Lì sarà messa effettivamente sul tavolo la questione delle retribuzioni e si comprenderà l’impatto che essa avrà sul percorso di rinnovo di un Contratto centrale per il tessuto produttivo del Paese. E se un modello contrattuale estremamente avanzato potrà reggere l’impatto della dura realtà contemporanea.

IL FERMAGLIO di Cesare Damiano, già sindacalista e parlamentare in tre legislature, è stato ministro del Lavoro ed è presidente dell’associazione Lavoro & Welfare

Dimitrij Palagi: «Salviamo Firenze dalle destre e dalla speculazione neoliberista»

Dimitrij Palagi è il candidato della sinistra fiorentina, un’agglomerazione di forze politiche che, sotto il nome ormai noto Sinistra Progetto Comune, dopo la defezione di Sinistra Italiana che è entrata nel ticket della candidata del Pd Sara Funaro, consta di Rifondazione, Possibile, Potere al Popolo. Consigliere comunale uscente, Palagi ha all’attivo 19 anni di politica in città oltre ai cinque anni in consiglio comunale.

I temi più caldi della campagna elettorale si dipanano fra sicurezza, occupazione, stato di salute della città e del suo tessuto sociale. Tema antico, che viene da lontano, quello dell’emergenza abitativa, accentuata dall’overtourism che alza i canoni in maniera vertiginosa e spazza via le stesse case che invece di andare alla residenza diventano oggetto di affitti brevi turistici. Problematiche che innescano domande che abbiamo girato al candidato di Sinistra Progetto Comune e di Firenze Ambientalista e Solidale, Dmitrij Palagi.

Sicurezza e criminalità di strada, una particolare recrudescenza si è verificata negli ultimi giorni in città. Con cosche ben innestate anche a un livello alto, come sembrerebbe provare il duo italo-albanese al centro delle indagini della DDA per riciclaggio, indagine che rischia di coinvolgere una parte significativa del sistema ristoratore fiorentino. Qual è la sua analisi e la sua proposta?

La rimozione delle questioni sociali ci ha portato all’attuale situazione. Il sistema politico ha smesso di garantire una presenza quotidiana sul territorio. Dove non c’è lo Stato si possono generare due tipi di risposte: lo sfruttamento da parte della criminalità organizzata, o l’autorganizzazione delle persone. Spesso chi è in condizione di bisogno si esprime in maniera conflittuale, suscitando risposte meramente repressive, che non risolvono i problemi, semmai li aggravano spostandoli. Come gruppo consiliare di opposizione abbiamo sperimentato direttamente l’importanza di un rapporto con chi vive in situazioni di marginalità, serve ascolto e partecipazione attiva. Proponiamo di costituire un Comitato di sicurezza e solidarietà in ogni quartiere, recuperando spazi oggi senza destinazione (come l’ex Fulgor, o il Meccanotessile). Lì si possono riunire polizia municipale, operatrici e operatori di strada, centri di formazione e accoglienza, botteghe, artigiani, circoli ricreativi e tutte le altre persone presenti in Città. Insieme si possono costruire servizi, risposte, garantendo prevenzione e riducendo sempre più le questioni di ordine pubblico.

Veniamo al tema dell’ambiente,  alle proposte di bosco urbano, sostenibilità, politiche green. La città è sempre più calda, il cambiamento climatico la colpisce in modo sempre più pesante. Come pensate di agire sotto questo profilo?

Qualcosa si sta facendo, ma non abbastanza. L’urgenza richiede azioni radicali. La giustizia climatica è anche questione di giustizia sociale. Le comunità energetiche devono fornire risposte a chi fa fatica a pagare le bollette (cittadinanza o piccole imprese che siano). Istituiremo un tasso di deimpermeabilizzazione proporzionale al numero di residenti, in modo da poter liberare il terreno dal cemento. La gestione diretta della manutenzione del verde può aprire prospettive di azioni importanti e rapide, per contrastare le zone di calore.

Quanto alla mobilità?

C’è molto da fare su questo versante. Dobbiamo arrivare a ridurre i mezzi privati, garantendo un un trasporto pubblico gratuito, con la rimozione delle barriere architettoniche (rendendo tutta la Città realmente accessibile). L’altro ramo, su cui agire in fretta è la logistica. In questo senso c’è un progetto molto interessante per il futuro della Mercafir, in grado di coniugare diritti, logistica, trasporto e sostenibilità ambientale. Lo si potrebbe sviluppare in dialogo e cooperazione anche con il Collettivo ex GKN, rispetto al ruolo del fotovoltaicolo e delle cargo bike. Il nostro sforzo maggiore nei primi giorni di governo riguarderà il coinvolgimento diretto della cittadinanza e delle associazioni. I dati e le informazioni non sono oggi sufficienti, in termini di quantità, qualità e fruibilità. Realizzeremo quanto ci è stato bocciato in questi anni: una Commissione dedicata ai cambiamenti climatici e una Consulta in cui offrire uno spazio auto-organizzato alle realtà impegnate sul tema della giustizia climatica, senza reprimere la conflittualità espressa dalle nuove generazioni.

Parlare di ambiente e economia, significa parlare anche di energia, e energia chiama sostenibilità. Ma anche multiutility, come sistema di gestione delle risorse. La vostra contrarietà è nota. Qual è la contro-proposta?

Società partecipate di interesse pubblico, senza finalità di profitto. Tutti i soldi devono essere investite per garantire un servizio di qualità, non per creare dividendi. Il servizio va organizzato sulla base dei bacini di utenza omogenei, anche con un coordinamento regionale, ma lasciando agli Enti Locali ampi margini di azione, programmazione e controllo. La verità è che mancano politiche industriali. Il dibattito sulla quotazione in borsa è parziale. Non è sufficiente evitare la finanziarizzazione dell’acqua pubblica. Già oggi, per quanto riguarda i servizi ambientali, abbiamo dovuto fare ricorso al Tar per avere gli atti richiesti ad Alia: siamo in attesa di un pronunciamento, che arriverà l’11 luglio, a elezioni passate. La Tari continua ad aumentare anche perché gli impianti sono inadeguati. Per anni si è inseguita la logica dell’incenerimento, ancora oggi chi governa non è stato in grado di fornire sufficienti alternative. La nostra firma sul protocollo Rifiuti Zero conferma la direzione a cui guardiamo noi. Per procedere in questa direzione il modello aziendale non è secondario.

Torniamo sul tema sicurezza, ma questa volta dal punto di vista dell’urbanistica,  e della casa. Un punto di vista complesso, ma che tuttavia rivela la natura complessa delle nostre città, in particolare città d’arte delicate e fragili. Serve una visione diversa della città, alternativa?

Assolutamente sì, che parta da dati e informazioni puntuali. Un censimento degli immobili sfitti e non utilizzati. Una banca dati accessibile sul turismo, che faccia emergere quanto oggi è camuffato e non visibile. Una trasformazione della Città che accompagni i processi con sempre maggiore ruolo e potere dei Consigli di Quartiere. Un’attenzione agli spazi pubblici, rendendoli vissuti e a disposizione di chi ricerca forme di cittadinanza e socialità fuori dalle logiche del profitto. Tutto questo è possibile se mettiamo al centro le persone e con loro costruiamo le risposte. Le trasformazioni anagrafiche richiedono anche visioni innovative sul piano delle politiche sociosanitarie. Durante la pandemia ci avevano promesso che tutto sarebbe cambiato. Ma chi governa non è in grado di amministrare in favore del cambiamento, per questo è importante arrivare al ballottaggio e poi vincerlo.

In foto i consiglieri Dimitrij Palagi e Antonella Bundu, foto di Carlo Galletti

Liberazione di Roma. La Pensione Oltremare da luogo di tortura fascista a luogo di libera informazione

Pensione Oltremare, banda Koch

Ottanta  anni fa, tra il febbraio e l’aprile 1944 a Roma operava la famigerata “banda Koch”, un reparto speciale fascista che aveva l’obiettivo di reprimere gli oppositori della Repubblica sociale e gli ebrei. Sul processo che si svolse nel 1946, Andrea Maori ha scritto il libro Pensione Oltremare. Testimonianze dal processo alla banda Koch (Tralerighe libri), dal nome del quartier generale del gruppo di feroci torturatori rimasto finora nell’ombra e che nel 1978 divenne la sede di Radio Radicale.

Il 4 giugno in occasione dell’anniversario della Liberazione di Roma – il Partito Radicale e Radio Radicale scoprono una targa al quinto piano di Via Principe Amedeo 2, in ricordo dei partigiani che in quelle sale furono torturati

Una pensione, un esercizio commerciale, trasformato in luogo di sevizie e di torture della banda Koch, uno dei centri di polizia della Repubblica Sociale italiana più feroci della repressione dell’antifascismo durante l’occupazione nazista a Roma. Questo è stata la pensione Oltremare di Roma, situata al quinto piano di un palazzo in via Principe Amedeo, 2 in un quartiere residenziale nei pressi della stazione Termini tra febbraio e aprile 1944.
Attraverso lo studio degli atti processuali ho voluto dare voce alle dichiarazioni di coloro che salirono le scale di quel palazzo ed hanno poi avuto la sorte e la forza di raccontare i giorni di sofferenze passati nella pensione, con dichiarazioni, denunce, testimonianze rese di fronte a magistrati, cancellieri, avvocati e altri testimoni,
Un lungo iter giudiziario che si aprì subito dopo la liberazione della città, avvenuta il 4 giugno 1944, con l’istituzione dell’Alto Commissariato per punizione dei delitti fascisti, e che si protrasse fino al grande processo di Milano del 1946, apertosi con una novantina di imputati, che racchiuse i vari procedimenti contro i componenti del reparto di polizia a Roma e a Milano. Furono invece pochi i procedimenti giudiziari promossi da parenti delle vittime, successivi al processo di Milano, che finirono con assoluzioni.

I testimoni furono messi a confronto durante le udienze del processo. Emerse subito un quadro di accuse molto coerente e omogeneo contro i picchiatori e i delatori al servizio di Pietro Koch, il capo del reparto che prese il suo nome. Furono in particolare gli informatori e l’uso sistematico di sevizie che gli permisero di vantare successi nelle operazioni di polizia contro i partiti antifascisti e il fronte militare dinanzi al capo della polizia, al Ministro dell’interno e agli alleati tedeschi. Koch e i suoi crearono una rete di spionaggio molto efficace, grazie alla spregiudicatezza dei suoi uomini e all’uso indiscriminato della violenza. L’ampia autonomia di poteri polizieschi cui godette il reparto segnò però la sua fine. Infatti divenne una minaccia per lo stesso regime al punto che Mussolini ne decise lo smantellamento ad opera della rivale legione Muti.

Le testimonianze, anche se filtrate da vincoli processuali, come la risposta a domande dei magistrati, o ricordi arricchiti di informazioni successive ai fatti, fotografano un microcosmo fatto di relazioni umane, che a volte sfiorano il grottesco. I ruoli tra dominatori e dominati sono ben separati; questi ultimi potevano interagire con i primi solo su loro richiesta, non c’era possibilità di mediazione. Non c’erano soggetti esterni che avrebbero potuto prendere le loro difese: il dominio è totale.

L’impatto mediatico del processo milanese fu ampio. I giornali seguirono con grande attenzione le udienze con notizie di cronaca arricchite da note di costume, soprattutto per la presenza di donne nel banco degli imputati, un fatto che incuriosì non poco; fu però l’applicazione dell’amnistia Togliatti e il confronto drammatico tra testimoni e imputati a tenere viva l’attenzione per tutto il periodo di tenuta delle udienze.
Tra i luoghi di detenzione della banda Koch a Roma, la pensione Oltremare è stata quella meno citata nel dopoguerra. L’attenzione si è concentrata sulla pensione Iaccarino di Roma e su Villa Triste a Milano. Eppure lì passarono, per quasi tre mesi, dirigenti del Partito d’Azione, comunisti, membri del fronte militare, aderenti alla rete di O’ Flaherty e semplici cittadini sospettati. Inoltre la pensione servì come luogo di detenzione per un gruppo di vittime che trasportate nel carcere di Regina Coeli poi furono martirizzate alle cave ardeatine il 24 marzo 1944, a seguito della terribile rappresaglia nazista all’attentato dei Gruppi di Azione Patriottica di via Rasella del 23 marzo.

Anche negli atti processuali la pensione è poco citata, se non nelle testimonianze, molte delle quali riportate nella seconda parte del volume, a fronte di una ampia informazione sugli altri luoghi di detenzione.
Nei resoconti del processo di Milano, molti cronisti, usando una semplificazione insopportabile, citarono quasi esclusivamente la pensione Iaccarino, facendo passare lì fatti ed avvenimenti consumati nella pensione Oltremare. Quello che avvenne alla pensione Iaccarino fu poi amplificato dalla notorietà di alcuni sopravvissuti alle torture come il regista Luchino Visconti di Modrone e lo storico della letteratura italiana Carlo Salinari.
Il microcosmo repressivo seguiva regole comportamentali precise e monotone nella loro spietatezza. Koch e i suoi agenti procedevano con la parte investigativa e comandavano le operazioni di cattura; aguzzini ben addestrati provvedevano alle punizioni per le risposte deludenti con strumenti contundenti o con minacce di fucilazione. A margine agivano complici come le dattilografe e la cuoca, che avevano un ruolo marginale, ma che furono imputate nel processo di Milano e amnistiate. Le testimonianze rilevano un diverso grado di responsabilità degli imputati, che la Corte prese in considerazione quando emise la sua sentenza il 10 agosto 1946.

Nel dopoguerra nell’edificio, per un periodo, si installò la Delasem, la Delegazione per l’Assistenza degli emigranti ebrei, l’ente che aveva per scopo di assistere concretamente gli ebrei sopravvissuti alla deportazione che, per i suoi scopi, si appoggiò all’American Joint Distribution Committee e all’Unrra, l’organizzazione internazionale di assistenza ai paesi usciti gravemente danneggiati dalla guerra. La pensione Oltremare ritornò alla sua attività e prese anche un nuovo nome, Domus. Poi l’oblio.

Nel 1978 i locali si trasformarono nella sede di Radio Radicale, l’emittente del Partito Radicale. Venne inaugurata una stagione di democrazia e di libertà di informazione per tutto il Paese, ma l’amnesia collettiva verso quello che successe nel 1944 tra quelle mura rimase fino al 25 aprile 2012, anniversario della Liberazione. Quel giorno infatti fu inaugurata, con una piccola cerimonia all’ingresso dello stabile, una targa commemorativa a cura del municipio Roma centro storico, dell’Anpi Esquilino Monti Celio “don Pappagallo” e dell’associazione La Lotta Continua.
La mia ricerca è la continuazione di questo percorso di conoscenza su una delle pagine più buie della Repubblica Sociale Italiana e dell’occupazione nazista di Roma.

L’appuntamento: Il 4 giugno 2024 alle 15.00 – in occasione dell’anniversario della Liberazione di Roma – il Partito Radicale e Radio Radicale scopriranno una targa al quinto piano di Via Principe Amedeo 2, a Roma. I locali, oggi sede della redazione della radio di Marco Pannella, hanno ospitato la tristemente nota “Pensione Oltremare”.
Luogo di torture e sevizie, fu occupato dalla Banda Koch, squadra della polizia fascista denominata “Reparto Speciale di Polizia Repubblicana”, attiva a Roma fra il dicembre 1943 e il giugno del 1944. Famigerata per la violenza e la crudeltà durante gli interrogatori, la Banda prendeva il nome dal caposquadra Pietro Koch e la sua attività anti partigiana, in stretta collaborazione con le SS, provocò gravissime perdite alla Resistenza romana.
Dal 1978 questi locali ospitano Radio Radicale, donando una nuova stagione a queste tristi mura, nel segno del motto di Luigi Einaudi “conoscere per deliberare”.
Saranno presenti tra gli altri, il Comune di Roma, l’Ambasciata Americana, la presidente dell’UCEI Noemi Di Segni, la Comunità Ebraica di Roma, il Presidente dell’Anica Francesco Rutelli e i discendenti di Pilo Albertelli e Tomaso Carini antifascisti che qui furono torturati

L’autore: Andrea Maori, saggista, collaboratore del’Archivio audio-video di Radio Radicale, si occupa da anni di storia politica del Novecento

La “Decima” e il governo

Qualcuno molto ingenuamente ha pensato che tollerare le vannacciate del generale Vannacci fosse la strategia migliore. Qualche giorno fa Dino Amenduni, analista politico di professione, faceva notare come nel 2016 Huffington Post Usa inserì le dichiarazioni di Trump all’interno della sezione ‘intrattenimento’, considerando le sue uscite insulse e ridicole. “Così facendo ne aumentò molto la visibilità, – spiega Amenduni – perché chi va nella sezione ‘intrattenimento’ ha le barriere difensive molto più basse rispetto a chi legge contenuti della sezione ‘politica’. Fu un tragico errore, di cui poi si scusarono (però) troppo tardi, quando Trump era già diventato presidente”. 

Scrollarsi di dosso Vannacci quasi con un sorriso, così come dare poco conto alle braccia tese dei neofascisti durante le loro celebrazioni, così come irridere chi denunciava il pericolo del ritorno della cultura fascista osata impunemente ci ha condotti a una sottosegretaria ai Rapporti con il Parlamento, Pina Castiello, che compare in un video mentre viene disegnata “una Decima” su una torta di panna montata con le risate dei presenti che ridono urlacciando «Fai una decima, una Decima Mas». 

La candidata leghista alle elezioni europee Angela Russo ha fieramente condiviso il video sui suoi social, evidentemente convinta che fosse una scenetta simpatica e utile a raccattare voti. La sottosegretaria parla di «un episodio goliardico» e accusa di volerlo elevare «a prova regina di nostalgie pericolose». Ma noi qui fuori non abbiamo bisogno di altre prove. Abbiamo bisogno di reazioni significative per rispettare il sangue da cui nasce la Costituzione che avrebbe dovuto spazzare via per sempre la “Decima” e i suoi sostenitori. 

Buon martedì. 

Foto dalla pagina Fb di Sandro Rutolo

Rischi per i minori e influenza nelle elezioni: così Meta è finita nel mirino dell’Ue

Meta ancora sotto controllo da parte dell’Ue. Giovedì 16 maggio è partita, infatti, un’indagine sulla conformità delle piattaforme social della società di Zuckerberg – Facebook e Instagram – con il Digital service Act, il nuovo regolamento europeo sui servizi digitali. L’indagine agisce sui rischi che riguardano i dati dei giovani e arriva un mese dopo quella commissionata per gestire eventuali rischi di disinformazione in occasione delle elezioni europee.
«Non siamo convinti – scrive il Commissario europeo per il mercato interno Thierry Breton su X – che Meta abbia fatto abbastanza per mitigare i rischi di effetti negativi sulla salute fisica e mentale dei giovani europei su Facebook e Instagram. Non risparmieremo alcuno sforzo per proteggere i nostri figl».
Saranno tempi duri per Meta, che ha vita facile negli Usa dove la tutela dell’assoluta libertà di espressione, con uno scarso bilanciamento rispetto al diritto passivo a un’informazione corretta, hanno limitato le regolamentazioni sui grandi della tecnologia. L’Ue si sta invece dotando di strumenti per la trasparenza che colpiranno soprattutto le grandi piattaforme (VLOPs – very large online platforms nel gergo del regolamento).

Con l’indagine del 16 maggio la Commissione teme che i sistemi di Facebook e Instagram, con i loro algoritmi, possano stimolare dipendenze nei bambini, nonché creare i cosiddetti “effetti tana del coniglio” in cui i giovani vengono spinti a rimbalzare da un contenuto all’altro, portandoli a volte a elementi molto lontani dalla motivazione del loro accesso al web o della loro ricerca, che non consentono vie di fuga dalle app. Per ragioni simili qualche settimana fa l’Antitrust italiano ha multato TikTok, sempre a tutela dei giovanissimi.
La Commissione teme anche per i metodi di assicurazione e di verifica dell’età messi in atto da Meta che considera «non ragionevoli, proporzionati ed efficaci».
Attraverso le indagini si vuole garantire un elevato livello di privacy, sicurezza e protezione per i minori. I funzionari dell’Ue, a seguito della richiesta di informazioni a Meta e della conseguente relazione sulla valutazione del rischio presentata dall’azienda, temono che Facebook e Instagram «possano sfruttare i punti deboli e l’inesperienza dei minori e provocare comportamenti di dipendenza». Comportamento non più consentito in Europa.

Elezioni europee 2024: una seconda Cambridge Analytica?
L’indagine ne segue un’altra iniziata alla fine di aprile per quel che riguarda i rischi di disinformazione in occasione delle elezioni europee.
La procedura di moderazione di Meta sui contenuti politici è risultata “insufficiente” e “mancante di trasparenza”, secondo la Vicepresidente esecutiva della Commissione Ue con delega alla Concorrenza Margrethe Vestager. Inoltre i verificatori dell’Ue hanno dichiarato di fare molta fatica ad ottenere i dati dalle piattaforme, in particolare per quel che riguarda la pubblicità di contenuti politici i cui archivi non sono facilmente accessibili.
Un report di CheckFirst, commissionato da Mozilla Foundation (la società creatrice del motore di ricerca Firefox) rileva i risultati di alcuni stress test effettuati sui contenuti pubblicitari delle principali big company: tra i social media compaiono LinkedIn, Meta (Facebook and Instagram), Pinterest, Snapchat, TikTok, X.
Gli scopi dei ricercatori erano di scovare account falsi e comportamenti non autentici sui social media, pratiche di micro-targeting e di testare l’efficacia delle misure di autoregolamentazione per contrastare la disinformazione. Nelle loro linee guida, pubblicate da Mozilla, viene richiesta maggiore trasparenza sui criteri di targeting degli utenti, sulle informazioni geografiche, sui dati Api (interfacce che consentono agli esperti di conoscere il funzionamento delle applicazioni), anche risalenti a 10 anni prima, che devono rimanere consultabili e aperti, infine sul costo degli annunci pubblicitari politici che Meta è obbligato a dichiarare.
Proprio lo scorso 8 novembre era stato raggiunto un accordo dal Parlamento europeo, dal Consiglio Europeo e dalla Commissione, sulla trasparenza della pubblicità politica sul web, una definizione da cui sono escluse opinioni o contenuti editoriali di natura politica. L’accordo mira a tutelare i dati personali e il targeting mirato affinché a ricevere i contenuti di questo genere tramite newsletter siano solo gli utenti che lo consentono. È stata inoltre introdotta una limitazione per i soggetti di Paesi terzi: nei tre mesi precedenti un’elezione o un referendum dell’Ue, gli sponsor extra-Ue non possono «fornire finanziamenti nel contesto delle elezioni».
È stato inoltre istituito un archivio pubblico dell’Ue per la pubblicità online.

Carenza di informazioni e di trasparenza
Quello che i ricercatori di Mozilla hanno riscontrato su Facebook sono informazioni carenti sul 13% degli annunci pubblicitari. Sebbene l’archivio di pubblicità online sia stato giudicato “abbastanza completo” dai ricercatori, non si può dire lo stesso del meccanismo di feedback da parte dell’utente, ritenuto insufficiente. L’opzione “Segnala come illegale”, l’unica disponibile, secondo i verificatori potrebbe essere fuorviante e dissuasiva per l’utente, ma non esiste un modo diretto con cui fornire un feedback più accurato. «I dati di Meta sono accessibili esclusivamente agli utenti con un account Facebook, un account sviluppatore e, per accedere agli annunci politici, anche un’identità verificata. Questo limita di molto l’accessibilità. Solo una volta effettuato l’accesso, il set di dati è ricco e comprensivo di informazioni sui costi, sugli enti e associazioni che hanno promosso le pubblicità, su parametri di targeting tra cui età sesso e geografia. È possibile accedere ai dati per un periodo massimo di un anno» sostengono i controllori.
Non è l’unico tentativo di Meta di eludere il controllo. La società di Zuckerberg ha in programma di chiudere CrowdTangle, uno strumento di indagine pubblica che consente a ricercatori, giornalisti e altri soggetti che si occupano di disinformazione di monitorare la diffusione di notizie false. Con un tempismo perfetto, CrowdTangle chiuderà ad agosto, pochi mesi prima delle elezioni Usa.
Diverse altre società che hanno fatto parte dell’indagine, pur con risultati peggiori rispetto a quelli di Facebook Meta, destano meno preoccupazione: il motivo? L’influenza russa sulle elezioni europee.
Un recente rapporto di AI Forensics (società no-profit che si occupa di monitoraggio e trasparenza degli algoritmi) ha rivelato una rete di informazione russa che acquistava pubblicità attraverso account falsi e altri metodi: si tratta di una rete di 3.826 pagine che diffondevano “propaganda filo-russa”, per una campagna aveva raggiunto in totale 38 milioni di utenti tra agosto 2023 e marzo 2024.
Oltre il 65% degli annunci collegati a questioni politiche e sociali non etichettati come tali sono stati diffusi da Facebook in oltre 16 Paesi dell’Unione Europea e Meta ne ha rimosso meno del 5%.
Se i rischi per i minori sono particolarmente gravi, una disinformazione imperante che può influenzare il voto di miliardi di cittadini europei ci riporta alla memoria lo scandalo Cambridge Analytica. Si spera solo che la nuova regolamentazione Ue racchiusa nel Digital service act sia sufficiente ad arginare lo strapotere sui dati sensibili quali sono le opinioni politiche dei cittadini europei.

Nella foto: la sede di Facebook a Dublino