Home Blog Pagina 1297

Ungheria, rifugiati trattati come bestie

Uomini, donne e bambini ammassati in un campo e trattati come animali in gabbia. La scena è orribile, ma nei campi per richiedenti asilo d’Europa probabilmente si ripetono spesso. Questo è un filmato che sta facendo il giro della rete ed è stato girato da Michaela Spritzendorfer, moglie di un politico dei Verdi austriaci con il quale è andata a portare aiuti al campo di Roszke, in Ungheria, nei pressi del confine con l’Austria. Human Rights Watch ha protestato con il governo ungherese, che si difende sostenendo che «i poliziotti fanno il loro dovere in una situazione di emergenza e senza cooperazione da parte dei profughi».


Nel video qui sotto invece si nota il comportamento della polizia di frontiera macedone, che prende a manganellate i rifugiati come se si trattasse di manifestanti armati di bastoni o criminali pericolosi.

Non stupisce che il blocco europeo che si oppone in maniera più pervicace alla adozione di quote obbligatorie per l’accoglienza di rifugiati, torni a manifestare la propria posizione in maniera ufficiale. I ministri degli Esteri di quattro Paesi si sono incontrati a Praga per ribadire la contrarietà alle proposte del presidente della Commissione Juncker: «Siamo convinti che i Paesi debbano mantenere il controllo sul numero di rifugiati che sono in grado di accettare» ha detto il ministro degli Esteri ceco Lubomir Zaoralek giornalisti in una conferenza stampa congiunta con i colleghi ungherese, polacco e slovacco.

Scattone il professore e lo Stato di diritto

«Ora è tutto più chiaro. La canizza intorno alla vicenda dell’affidamento di una cattedra a Giovanni Scattone dimostra limpidamente quale sia la concezione della pena coltivata da forcaioli giustizialisti e manettari vari. La ‘rieducazione’ del condannato prevista dall’articolo 27 della Costituzione è, per costoro, carta straccia». Il senatore del partito democratico, Luigi Manconi, da sempre impegnato sulla questione carceraria, sulla giustizia, ha così commentato la decisione di Giovanni Scattone, condannato per l’omicidio della studentessa Marta Russo. «Si preferisce», continua Manconi, «che – a distanza di 18 anni – i condannati si ritrovino più incattiviti e criminali che mai, predisposti alla recidiva e alla devianza sociale». «Ci ripensi Scattone», è dunque l’invito: «non solo per lui e per il suo personale destino, ma per la buona salute dello stato di diritto e per la tutela dei principi sui quali si fonda il nostro ordinamento».

Ora è tutto più chiaro. La canizza intorno alla vicenda dell'affidamento di una cattedra a Giovanni Scattone dimostra…

Posted by Luigi Manconi on Venerdì 11 settembre 2015

È completamente diverso il commento di Manconi dalle reazioni registrate nel centrodestra. Maurizio Gasparri su twitter ha “urlato” di cacciare chi ce lo ha messo in cattedra, sorvolando sul fatto che Scattone insegnava già da dieci anni con supplenze annuali e che non è stato «messo» da nessuno ma stabilizzato dall’ultima riforma.


Sul Corriere della Sera, oggi, intervistato Scattone si interroga sul suo futuro: «Cosa farò adesso? Non so, potrei dire che ho appena finito di tinteggiare le pareti del corridoio di casa, non sono venute male, forse ho scoperto un mondo… Conosco tre lingue, potrei fare delle traduzuoni, correggere bozze, inventarmi ghostwriter, lavorare come storico in qualche istituto di ricerca privato… Ma ho quasi 50 anni e non sarà facile. Magari andrò via dall’Italia, cercherò qualcosa in Europa». Poi, Scattone ha concluso piccato: «In questo Paese, degli ex terroristi sono finiti addirittura in Parlamento. Altri, dopo aver espiato la loro pena, oggi tengono conferenze, scrivono libri. Eppure in tanti dicono adesso che io non posso fare l’educatore, che sono pericoloso per i miei studenti. Pazienza, la mia coscienza mi dice invece che potrei insegnare. Purtroppo, non c’è più la giusta serenità».

Il difficile incastro tra riforma del Senato e unioni civili

È il caro alleato di governo che sta bloccando la legge sulle unioni civili. I lavori in commissione giustizia di palazzo Madama sono ripresi, ma lentissimi. Nell’ultima riunione, per dire, si sono votati sei emendamenti in tre ore e mezzo. Per non andare troppo forte, poi, ci si aggiorna a martedì prossimo, ore 11,30. È Ncd a fare muro, con Carlo Giovanardi, Gaetano Quagliariello, Maurizio Sacconi e i loro emendamenti, i loro distinguo, le loro fisse sulla teoria gender. E però questo non impedisce a Maria Elena Boschi di dire che il destino delle unioni è legato a quanto ostruzionismo le opposizioni – e quindi anche la minoranza del Pd – faranno sulla riforma del Senato. Il punto è che le unioni civili sono, loro malgrado, un pezzo di un difficile puzzle che la maggioranza deve comporre.

I malumori degli alfaniani sulla riforma costituzionale e la loro battaglia sull’utero in affitto (sono conviti Quagliariello&co che la legge Cirinnà apra la strada a ciò che è invece impossibile, in Italia, proibito dalla legge40), il dissenso della minoranza del Pd sul sistema d’elezione dei nuovi senatori e il calendario d’aula, devono infatti trovare il giusto incastro. Se si supera il 15 ottobre – la data che, con l’ennesimo rinvio, ha indicato Matteo Renzi – l’arrivo della manovra e di altre scadenze d’aula, potrebbe far slittare tutto. E se si slitta, nel porto delle nebbie che è il parlamento italiano, non sai mai dove vai a finire. Per i cinque stelle quello tra Pd e centristi «è il solito gioco delle parti». Magari fosse, verrebbe da dire.

Per chiarire: la legge Cirinnà istituisce di fatto le unioni civili, specificando però che non sono matrimoni egualitari. Anzi, un emendamento approvato dalla commissione, frutto della trattativa con Ncd, si è inventato appositamente una nuova espressione, assai curiosa: la vostra relazione sarà una “formazione sociale specifica”. Contenti? Quello che di importante fa la legge, comunque, è che introduce la reversibilità della pensione e formalizza quello che è un diritto che molti tribunali stanno ormai da tempo riconoscendo, la possibilità cioè di adottare il figlio del partner, che può essere di una precedente relazione, evidentemente, oppure può essere il figlio biologico di uno solo dei due genitori. La legge però non colpisce, in generale, per modernità. Diciamo che il suo punto forte è: «Sempre meglio che niente». Lo scrittore e giornalista lgbt Claudio Rossi Marcelli l’ha scritto chiaramente in un commento pubblicato su il libraio: «In tutti i paesi dove si è arrivati al matrimonio egualitario, ci si è arrivati per tappe intermedie. E non si capisce perché ci si aspetti che proprio l’Italia, che non è certo mai stata all’avanguardia sui temi etici, possa essere la prima a farlo».

E allora perché si va così piano? Perché il partito democratico non forza subito la mano, salta il passaggio in commissione e va in aula a votare la legge con le opposizioni che – pur non entusiaste – difficilmente negherebbero un sì? Perché il Nuovo centro destra si gioca qui un pezzo della sua partita, che è più ampia. E se Monica Cirinnà dice onestamente «Io sto lavorando per rispettare l’impegno del 15 ottobre», lo dice sorvolando sul fatto che Ncd se alza lo scontro è perché può farlo, anche se i sondaggi lo danno ormai al 2 per cento: ogni voto di Ncd è per Renzi – che fatica a tenere unito il Pd – preziosissimo, per la riforma costituzionale, per la sopravvivenza del governo.

[social_link type=”twitter” url=”https://twitter.com/LeftAvvenimenti” target=”on” ][/social_link]@LeftAvvenimenti

Droghe: «Legalizzare la cannabis e rompere con il passato»

«Una campagna per la legalizzazione della cannabis. E il governo convochi al più presto una conferenza nazionale sulle droghe, visto che da tempi immemori non lo si fa più», dice Patrizio Gonnella presidente di Antigone. Il proibizionismo oltre ad aggravare il problema – come si è visto con l’affollamento delle carceri – significa anche spese esorbitanti. Gonnella prende come esempio la Relazione al Parlamento sulle droghe che quest’anno contiene per la prima volta dettagli sui costi della detenzione per reati legati allo spaccio di droghe. Oltre un miliardo di euro all’anno è stato speso per tenere in prigione o consumatori o piccoli spacciatori. Dieci miliardi negli ultimi dieci anni. I numeri, come segnala Antigone, parlano chiaro: nel 2014 su 29.474 segnalazioni all’autorità giudiziaria, 26.692 sono state per violazione dell’art. 73 DPR 309/90 (che colpisce consumatori e piccoli spacciatori), solo 2.776 quelle per violazione dell’art 74 (che colpisce l’associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti).

Perché è importante questa Relazione del 2015?

È importante perché fa iniziare a ragionare anche sui costi del sistema che in termini di prevenzione non funziona. Ed  è rilevante che per la prima volta i costi siano evidenziati così nei dettagli. Ritengo che questa operazione sia anche in controtendenza rispetto al passato e può servire a considerare politiche vessatorie – inefficienti dal punto di vista della risposta criminale – anche inefficienti dal punto di vista economico. Ecco, il fatto che dal Dipartimento antidroga sia arrivata questa indicazione speriamo che sia un inizio per riconsiderare politiche che hanno segnato dieci anni di penalizzazione. Anni in cui tutti gli altri Paesi la stavano mettendo in discussione.

Quindi occorre prendere la palla al balzo per che cosa? Qual è l’obiettivo immediato?

Ora speriamo che l’Italia, anche partendo dalla riflessione dei costi presente nella relazione, porti ad archiviare la posizione Ue in seno alla Conferenza delle Nazioni Unite che si terrà nel 2016 che dovrà rivedere le convenzioni con gli Stati. In questa operazione aiuta probabilmente anche il fatto che il primo firmatario di una proposta di legge sulla legalizzazione della cannabis firmato da 200 parlamentari, sia un esponente del governo, Benedetto Della Vedova. Il quale tra l’altro, non è mai stato smentito ufficialmente nel suo lavoro di lobby parlamentare.

La battaglia quindi è sulla legalizzazione della cannabis?

I punti fondamentali sono questi. Il primo: rivedere tutto l’impianto della Fini Giovanardi che si era innestata sulla precedente Iervolino Vassallo, dalle sanzioni amministrative al massimo delle pene per tutta la tipologia di reati che rientrano nell’ art. 73. Secondo: ragionare finalmente su come togliere quote di mercato al narcotraffico partendo dalla cannabis, considerando anche un fatto importante a livello internazionale.

Quale?

Quattro Stati americani hanno cominciato a muoversi nella direzione della legalizzazione senza che Obama li abbia strapazzati. Un fatto importante, perché Obama li poteva “sbugiardare” anche solo dicendo “non sono d’accordo”, e invece non è accaduto. Questo è un trend che noi dobbiamo cogliere e assecondare.

In Italia cosa si può fare?

La relazione deve essere letta nella speranza che per esempio porti a indire, prima della Conferenza delle Nazioni unite di New York, la Conferenza italiana sulle droghe che non si tiene da tempo immemore anche grazie alla politica di Giovanardi. Insomma, bisogna liberarsi del peso “simbolico” di Giovanardi. Certo, lui è una componente del governo essendo del Ncd, ma se non ci liberiamo di quel retaggio culturale, su queste e altre cose, non si va da nessuna parte. Bisogna fare una rottura culturale netta da quel tipo di passato.

Comunque dopo la sentenza della Corte Costituzionale sulla Fini-Giovanardi c’è stato un calo di detenuti per droga nelle carceri.

Ovviamente era inevitabile, anche se è avvenuto lentamente perché non tutta la magistratura si è mossa subito, c’è stata la riconsiderazione delle pene, certo, che è un fatto positivo. Ma non si è ancora aperta una discussione vera nonostante la proposta di legge di 200 parlamentari sulla cannabis e nonostante la sentenza della Corte Costituzionale. Non ci sono ancora sul tavolo delle proposte vere – e sappiamo che le riforme o partono dal governo oppure non partono perché il parlamento da solo non fa iniziative legislative. Da questo punto di vista c’è ancora il silenzio.

James Dean e la guerra dei sei giorni per i 20 anni del Milano Film Festival

Non solo Mostra internazionale di Venezia. A settembre il cinema, quello più impegnato sul versante politico e documentaristico, si trova al Milano Film Festival, che quest’anno compie vent’anni. Nell’arena del teatro Strehler al teatro studio Melato, al parco Sempione, alla Triennale, allo spazio Oberdan e in altre sale messe in rete da questa rassegna, dal 10 al 20 settembre, si possono vedere una serie di prime di taglio politico, a cominciare da Over the Years film dell’ austriaco Nikolaus Geyrhalter che documenta 10 anni della vita dei dipendenti di una fabbrica tessile dopo il fallimento. E poi classici restaurati come Metropolis di Friz Lang. Oppure ritratti d’autore come Sembene! di Samba Gadjigo e Jason Silverman, che racconta l’icona del cinema contemporaneo africano Ousmane Sembène e quello di James Dean messo a fuoco nel film Life, film da Anton Corbjin, attraverso i racconti del fotografo Dennis Stock.

Over the Years

(Un fotogramma tratto da Over the years)

Life Dean

 

(James Dean a New York, qui sotto nel trailer riconoscerete l’immagine)

Da non perdere è la sezione Colpe di Stato curata da Paola Piacenza. «La storia sembra non poterci dire più chi siamo, ma ci costringe a un’incessante ricerca. Questa è la direzione che Colpe di Stato ha scelto di prendere quest’anno», racconta la documentarista e giornalista culturale. «Indagare in modo nuovo spazi esplorati dal volatile racconto giornalistico, posizionare la bussola verso est e lasciarsi sedurre dall’urgenza del racconto presente andando in cerca delle radici profonde che quel racconto hanno prodotto e deformato».

[huge_it_gallery id=”25″]

Un esempio? La Guerra dei Sei Giorni è un nodo centrale della storia di Israele. E’ stata la più fulminea e vittoriosa delle campagne militari dell’era moderna e produsse un nuovo assetto geografico, creando nuovi equilibri, nuove alleanze e riaccendendo antiche rivalità. Il documentario Censored Voices dell’israeliana Mor Loushy torna a raccontare quella guerra del 1967. «Ritrovando una polifonia di voci, refrattarie alla dittatura dell’unanimità. Quelle dei soldati artefici di quella vittoria, registrate dallo scrittore Amos Oz raccogliendo, di kibbutz in kibbutz, verità intime e inammissibili: Gerusalemme non era una città liberata, era una città occupata», dice Piacenza.

 

Anche Russian Woodpecker di Fedor Alexandrovich volge lo sguardo al passato. «Con il coraggio del reporter e i modi dell’artista avant-garde, ripercorre ossessivamente la vicenda che ha segnato la sua infanzia, il disastro di Chernobyl, crea connessioni, ricostruisce scenari, smuove le acque stagnanti della politica finché si rende conto che i suoi fantasmi abitano territori realmente pericolosi». E ancora: i racconti non embedded dall’Afghanistan dei registi di Tell Spring not to come this year (nella foto qui sotto) e molto altro come si può vedere dal lungo programma.

Tell Spring Not to Come This Year

[social_link type=”twitter” url=”https://twitter.com/simonamaggiorel” target=”on” ][/social_link] @simonamaggiorel

McEataly, un Paese in vetrina. Cosa si nasconde dietro al supermarketing di Farinetti

Il lato oscuro di Eataly

Mangiare è un atto politico, recitava il titolo di un convegno a Expo. E allora cosa c’è dietro l’impero del cibo messo in piedi da Oscar Farinetti? Questa settimana Left indaga sul “supermarketing” di Eataly: l’ossessione per la comunicazione, l’idea di un Paese vetrina, il cibo “tipico” ma riservato a pochi e i piccoli produttori schiacciati dalla grande distribuzione, come racconta lo scrittore Wolf Bukowski.

Ma chi è Oscar Farinetti? Stefano Santachiara racconta il personaggio: il padre partigiano, il craxismo, l’invenzione di Unieuro e Eataly nel 2004. E poi le amicizie: da Renzi a Marchionne fino ai sindaci che gli aprono le porte per i suoi store e progetti. Come quello che sta nascendo a Bologna, il cui nome è F.I.CO (Fabbrica italiana contadina): un gigantesco parco agroalimentare – 80mila metri quadrati – costruito e finanziato insieme alle cooperative rosse. C’è, infine, chi si ribella al “pensiero unico” sul cibo, e sono quelle migliaia di contadini e di agricoltori di cui parla Paolo Cacciari: coltivazioni biologiche o biodinamiche, distretti, fattorie didattiche e gruppi di consumatori.

In Società Left affronta la questione esplosiva dell’accoglienza dei migranti e lo fa con una lunga intervista al prefetto Mario Morcone, capo del dipartimento Immigrazione che assicura: «non useremo mai la violenza». Del caos nel centrosinistra ne parla Giulio Cavalli, che analizza il dopo Pisapia a Milano. E ancora: i retroscena della scoperta del giacimento Eni, il racconto di un’insegnante alle prese con la “cartolina precetto” del Miur e il caso “strano” della morte di monsignor Wesolowski, famoso per i suoi ripetuti atti di pedofilia. Negli Esteri un focus sul conflitto in Siria, la situazione curda e le violenze turche, il profilo del rivale più quotato di Alexis Tsipras, il leader di Nea Demokratia. «Una società che ha paura non potrà evolvere mai», dice l’attrice Isabella Ragonese nell’intervista che apre la Cultura. E ancora: l’ultimo libro di Carlo Ginzburg, la scienza dei bambini spiegata da Pietro Greco, opere d’arte mignon in mostra a Venezia grazie a Benetton e il jazz secondo la trombettista Lucia Ianniello.
[social_link type=”twitter” url=”http://twitter.com/leftavvenimenti” target=”on” ][/social_link] @LeftAvvenimenti

Oxfam: «L’austerity accresce povertà e disuguaglianze»

I dati non sono nuovi ma sono elaborati e raccolti tutti assieme e gettano una luce sinistra sulle politiche attuate dall’Europa in risposta alla crisi. Un’Europa per tutti, non per pochi, il rapporto Oxfam presentato in questi giorni chiarisce in maniera incontrovertibile come la crisi e la scelta successiva di imporre l’austerità a molti Paesi abbiano prodotto più povertà e più disuguaglianze.

I numeri raccolti da Oxfam segnalano come tra i Paesi peggio messi ci siano tutti quelli a cui l’Europa ha imposto pacchetti di taglio della spesa e consentono di stilare classifiche sulla base di una serie di indicatori di sviluppo (numero di occupati a rischio povertà, disuguaglianze salariali, diseguaglianze di reddito in base al genere, ecc.). In pochi Paesi i parametri presi in considerazione sono migliorati nel periodo della crisi (Polonia e Paesi Baltici), mentre quasi ovunque le cose rimangono ferme o peggiorano.

 

infografica left - disuguaglianza e povertà in europa

Oxfam punta il dito contro le politiche di austerità europee:

Il rapporto mette in evidenza come i due fattori chiave che esasperano le disuguaglianze in Europa siano l’austerity e un sistema fiscale iniquo e non sufficientemente progressivo. Le misure di austerity introdotte dopo la crisi finanziaria del 2008 – tagli alla spesa pubblica, privatizzazione dei servizi, deregolamentazione del mercato del lavoro – hanno colpito duramente i più poveri. Allo stesso tempo, le multinazionali hanno potuto sfruttare la differenza tra i sistemi fiscali degli stati membri dell’Unione europea eludendo tasse per milioni di euro e privando quindi i governi di risorse significative per offrire servizi ai propri cittadini.

L’Italia non va affatto bene: da noi aumentano le diseguaglianze, i poveri, ma anche i miliardari.  Tra 2005 e 2013 le persone a rischio deprivazione materiale sono quasi raddoppiate, passando dal 6,4% della popolazione all’11,5% (ovvero quasi 7 milioni). I miliardari, invece, sono passati da 10 a 39. Se prima della crisi le diseguaglianze diminuivano, oggi (dati del 2013) sono di nuovo in crescita. E’ un pessimo segnale: in un Paese in crisi economica per diversi anni è normale che la povertà cresca, più grave è che aumenti il divario tra ricchi e poveri. E’ un indicazione di assenza di politiche o di implementazione di politiche sbagliate.

A confermare questa valutazione c’è il lavoro di Oxfam sul coefficiente Gini. «Il tasso di riduzione percentuale del coefficiente di Gini 70,0 (relativo alla distribuzione del reddito disponibile delle famiglie) prima e dopo tasse e trasferimenti sociali è indice di una maggiore o minore portata redistributiva delle politiche fiscali ed economiche dei governi. Nel 2013 l’Italia presenta una riduzione percentuale del coefficiente di Gini (33,5%) al di sotto della media europea (39,8%) classificandosi 22° posto su 28. Un campanello d’allarme sull’efficacia delle politiche governative nel contrasto alla disuguaglianza nel Coefficiente Gini 40,0 dopo tasse e reddito disponibile delle famiglie italiane».

[social_link type=”twitter” url=”https://twitter.com/LeftAvvenimenti” target=”on” ][/social_link] @LeftAvvenimenti 

 

 

 

Turchia, media sotto attacco e «rischio guerra civile»

Gli uffici di Ankara presi d’assalto dalla folla e altre centinaia di sedi attaccate da gruppi di nazionalisti. Spesso con le autorità che stanno a guardare, anche quando si tratta di semplici negozi di proprietà di curdi. L’HDP, il partito pro-curdo che ha saputo aggregare anche parti della sinistra turca ed ha raccolto il 14% alle ultime elezioni, è sotto tiro. E il suo leader, Selhattin Demirtas, accusa il governo di soffiare sul fuoco con il rischio di portare il Paese alla guerra civile. L’AK, il Partito per la Giustizia e lo sviluppo di Erdogan e del premier Davutoglu continua a ripetere che il partito di Demirtas sia il braccio politico del PKK, con il quale Ankara ha ripreso a fare la guerra – anche penetrando oltre il confine iracheno per attaccare i suoi campi.

Demirtas nega questo legame diretto e accusa il governo di aver preso deliberatamente «la decisione di avviare questa guerra e poi aggravarla».L’accusa della sinistra a Erdogan è quella di aver scelto questa strada per strappare consensi ai nazionalisti (o cercare un’alleanza con loro) in vista delle elezioni che si terranno il 1 novembre. Si tratta di un’analisi difficile da confutare: dopo aver perso le elezioni, Erdogan e il suo partito hanno cercato alleanze e non avendole trovate hanno dovuto riconvocare i comizi elettorali. Oggi la guerra in Kurdistan aiuta a coalizzare il Paese contro un nemico interno e, tra l’altro, rischia di rendere quasi impossibili le operazioni di voto nelle zone curde del Paese, colpendo così una parte imponente della base dell’HDP.

Nelle zone di confine la situazione è molto tesa: il PKK ha ucciso almeno 30 tra poliziotti e soldati negli ultimi due giorni, mentre jet turchi volano con regolarità sui cieli dell’Iraq per colpire le basi del gruppo militante. Allo stesso modo le truppe di Ankara sconfinano anche via terra. I villaggi e le città del Kurdistan sono sottoposti a coprifuoco e retate e ai parlamentari dell’HDP viene impedito di visitarli.

Kurdistan Workers Party (PKK) clash with Turkish soldiers PKK attacks Turkish soldiers in Turkey

(Guerriglieri del PKK e un posto di blocco dell’esercito turco – Ansa)

Gli attacchi dei nazionalisti non hanno risparmiato la stampa: le sedi di importanti giornali turchi, l’Hürriyet e il Daily Saba sono anche queste state attaccate. Per dare un’idea del clima vale la pena di leggere qualche riga di un editoriale comparso su un quotidiano filo AKP che minaccia un giornalista di Hürriyet:

«Come un paziente schizofrenico pensi di vivere ancora nei giorni in cui Hürriyet comandava. Potremmo schiacciarti come una mosca, se vogliamo. Ma siamo stati misericordiosi fino ad oggi e sei ancora vivo», ha scritto sul quotidiano Star Cem Küçük nel suo articolo 9 settembre, rivolgendosi all’editorialista Ahmet Hakan, accusato di essere un amico del Pkk.

Un editoriale del Daily Saba accusa la destra dell’MHP per gli attacchi: il partito, costola fuoriuscita dell’AKP sa che perderà voti il 1 novembre e cerca di rendere il clima teso per far rinviare le elezioni.

Il portavoce del Segretario di Stato Usa, John Kerry, rispondendo a diverse domande sulla Turchia ha detto che gli Stati Uniti sono preoccupati per lo stato della democrazia nel Paese: “I media sono elementi fondamentali in ogni democrazia sana. Siamo preoccupati dalle notizie che le proteste contro il quotidiano Hurriyet siano state incoraggiate da membri del Partito della Giustizia e dello Sviluppo. Gli eletti devono stare attenti a non incoraggiare la violenza contro i media». Gli Usa, ha detto il protavoce, hanno reso note queste preoccupazioni ad Ankara. Anche i giornali e media stranieri sono sotto attacco: due giornalisti di Vice Jake Hanrahan ePhilip Pendlebury  sono stati arrestati e poi rilasciati dopo diversi giorni. Il loro accompagnatore, l’iracheno Mohammed Rasool, rimane naturalmente in prigione. E ieri è stata arrestata una giornalista olandese Frederike Geerdink, accusata di attività filo-curde e di aver violato una zona chiusa per ragioni militari.

COYqS5JWUAA_jHd

(I due giornalisti britannici arrestati chiedono la liberazione del loro fixer, Mohammed Rasool, Vice News)

Bestiario razzista della destra sui rifugiati (prima e dopo il discorso di Juncker)

Oggi il presidente della Commissione Juncker ha parlato della crisi dei rifugiati al Parlamento europeo. Uniformare e accelerare le pratiche per il diritto d’asilo, creare un sistema di quote e comminare sanzioni a chi non lo rispetta sono alcune delle proposte di buon senso avanzate dal lussemburghese in materia di rifugiati. Il fronte delle destre si è immediatamente fatto sentire. Su twitter e non solo i leader delle destre populiste si scatenano, queste alcune reazioni di Marie Le Pen, Nigel Farage e Matteo Salvini, alla proposta di redistribuzione degli immigrati tra i Paesi dell’Ue (altre frasi sono più vecchie ma servono a chiarire quale sia la visione di questi partiti). Nel frattempo, oggi, la Gran Bretagna del conservatore Cameron ha annunciato che non intende far parte del sistema di quote e la Danimarca, anch’essa governata dalla destra), ha chiuso le strade e le vie ferroviarie con la Germania.

 

nigel farage

Nigel Farage, Ukip

«La politica comune di asilo europeo definisce termini così ampi che è come dire che chi mette un piede sul suolo UE può rimanere ed ha prodotto un esodo biblico…La maggioranza di chi arriva oggi si dichiara siriano ma è un migrante economico che ha gettato in mare il passaporto e l’ISIS riempie i barconi di jihadisti».

 

marine le pen

Marine Le Pen, Front National

«Rifiutiamo il diktat moralista e ultra-immigrazionista di Juncker. In Francia, malgrado l’offensiva mediatica senza precedenti, il 55% dei francesi sostengono le nostre posizioni sui migranti. La Germania vuole imporre un modello tedesco sull’immigrazione».

 

matteo salvini

Matteo Salvini, Lega Nord

«Juncker, Schulz, Merkel, Renzi…Riempiono i nostri Paesi di milioni di immigrati e delinquenti. Politici europei che ODIANO I CITTADINI».

 

Florian Philippot, Front National

«L’idea delle quote è un’idea dettata dal modello capitalistico tedesco basato sui bassi salari, i tedeschi hanno bisogno di schiavi, ieri erano i lavoratori dell’est. I responsabili della morte del piccolo Ayad sono quelli che hanno portato avanti la destabilizzazione del Medio Oriente».

Jobbik, neonazisti ungheresi

«Non toccate gli oggetti lasciati dai migranti: vestiti, abiti, scatole di conserve e anche bottigliette d’acqua. I migranti portano malattie e rischiate di essere contagiati».

Manifesto affisso in un comune ungherese governato dai neonazisti di Jobbik.

 

Gianluca Buonanno, Lega Nord

«Li lascerei senza mangiare, solo acqua. Uno che scappa dalla guerra pretende di mangiare come al ristorante? Gli italiani non sono scappati quando c’era la guerra da noi, sono rimasti e hanno cobattuto per la loro patria. Questi qua che arrivano, a parte donne e bambini, sono solo dei codardi».

– dichiarazione rilasciata il 26 agosto

 
Un vero e proprio “bestiario razzista” che tenta di colpire la pancia degli elettori senza considerare quello che realmente si sta verificando alle porte dell’Europa. Qui sotto una mappa e qualche numero per capire meglio i fatti che questi signori si ostinano a non considerare e soprattutto la reale portata del fenomeno che per inarrestabilità e imponenza travolge proprio quelle logiche di chiusura che da sempre la Destra ha applicato nelle sue politiche migratorie.

mappa
 

 [social_link type=”twitter” url=”http://twitter.com/GioGolightly” target=”on” ][/social_link]  @GioGolightly

Una terra dei fuochi sulle Alpi Apuane. Giulio Milani racconta “La Terra Bianca”

In Toscana sono attive 35 organizzazioni mafiose secondo dati della Fondazione Caponnetto e del Consiglio regionale toscano. Una buona parte di queste imprese malavitose sono nel business dei rifiuti tossici e operano nella zona delle Apuane. Il tratto di Toscana che si estende dal mare alle vicine montagne rischia così di perdere il suo straordinario volto a causa dello sfruttamento intensivo delle cave di marmo, dell’inquinamento prodotto da industrie chimiche e del malaffare. Mentre l’incidenza di malattie tumorali è pari a quella della terra dei fuochi.

Questo quadro impressionante emerge dalla lunga, documentata, inchiesta che ha svolto Giulio Milani e che nei mesi scorsi è stata pubblicata da Laterza con il titolo La terra bianca. Il libro dello scrittore toscano è nato come reportage e indagine sul campo prendendo a poco a poco la forma di un romanzo-inchiesta, per esigenza narrativa, ma anche per proteggere fronti ed evitare pressioni su chi ha avuto il coraggio di denunciare.

Il 12 settembre proprio a Carrara, Giulio Milani (scrittore e fondatore della casa editrice Transeuropa) presenterà questo suo lavoro, nell’ambito del festival Con-Vivere  insieme al giornalista Marzio Fatucchi poi il 25 settembre a Pontremoli con la Fondazione Caponnetto e il 30 settembre aurl Firenze con l’ex assessore Anna Marson promotrice del piano paesaggistico regionale e allo storico dell’arte Tomaso Montanari.

 «La situazione nelle Apuane è davvero grave. In parte stiamo ancora pagando per i danni prodotti dalla presenza dell’industria chimica negli anni 80, con fabbriche come la  Montedison e la  Rumianca che hanno decimato i lavoratori (700 morti solo alla Rumianca) e prodotto un danno ambientale irreversibile. Basti dire che nel gennaio scorso sono state mappate circa 60 discariche abusive solo nella pianura massese» racconta Milani a Left. «Hanno sversato agenti patogeni ovunque: nelle fabbriche stesse, nelle campagne, nei fiumi, sui monti e in mare, oltre a disperderli nell’aria con l’inceneritore Lurgi della Farmoplant a Massa Carrara e il Falascaia di Pietrasanta che bruciavano i rifiuti di mezza Europa». Incidenti gravi, come la fuga di diossina dalla Rumianca nel 1984 e l’esplosione del serbatoio di pesticida Rogor alla Farmoplant nel 1988 ne imposero la chiusura, «ma intanto si delineavano le rotte toscane dei rifiuti verso la terra dei fuochi campana e si assisteva a un’escalation dell’attività estrattiva nelle cave di marmo apuoversiliesi per inseguire il business dei rifiuti», aggiunge lo scrittore.

Milani, lo sfruttamento intensivo delle Apuane oggi non è tanto legato all’arte o all’architettura quanto all’industria?

All’estrazione di blocchi di marmo per scopi ornamentali, si è sostituito l’affare del carbonato di calcio, che deriva dalla macinazione delle scaglie, dei detriti, in una proporzione che ha raggiunto i ¾ del totale estratto. Si estraggono ormai dalle Alpi Apuane circa 9 milioni di tonnellate l’anno di marmo per farne casi polvere abrasiva per la pasta dentifricia, per sbiancare la carta dei libri, per la desolforazione delle centrali elettriche a carbone, per elasticizzare la gomma, per l’industria alimentare e per il resto dei 279 diversi usi industriali del carbonato di calcio.

Con quali effetti?

Il danno causato a sorgenti, fiumi, sistema carsico, in termini di inquinamento da marmettola e da idrocarburi e metalli pesanti è ingentissimo, come pure aumenta ogni anno l’asportazione di vette, crinali, picchi, in un ambiente dove sopravvivono le oltre tremila specie florofaunistiche del parco delle Apuane, insieme agli abitanti, naturalmente, a causa del degrado del territorio e del dissesto idrogeologico che ha prodotto 4 alluvioni in 9 anni e centinaia di milioni di danni. Qui le malattie polmonari hanno tassi superiori alla media nazionale. Sono provocate dalle polveri sottili disperse nell’aria dai mezzi pesanti per l’estrazione e la frantumazione della pietra e dal traffico: 1500 passaggi di camion al giorno solo a Carrara, un’esposizione a cui si è cercato di porre rimedio con la strada dei marmi, una delle grandi opere dell’ultimo decennio, infiltrate senza eccezioni da camorra e ‘ndrangheta, che è costata ai contribuenti 120 milioni di euro, non ha risolto il problema del ristagno delle polveri, ma ha reso Carrara uno dei Comuni più indebitati d’Italia. Michelangelo, purtroppo, è un nome evocato dai signori del marmo solo per coprire con la propaganda lo scempio in atto.

Quali sono le ricadute economiche sul territorio?

Non solo il territorio non si avvantaggia in nessun modo, economicamente parlando. Ma i tassi di disoccupazione sono i più alti della Toscana e tra i più alti in Italia. La provincia si colloca al 76° posto della classifica nazionale per la qualità della vita. Questo scempio strangola le Apuane rendendole ostaggio di una monocoltura che non vuole nient’altro intorno : i turisti si tengono alla larga dalle montagne, l’imprenditorialità degli abitanti resta al palo; così si potrà sostenere che il distretto minerario è la sola realtà da difendere e finanziare, con soldi pubblici e opere di ausilio, naturalmente. Questo è l’obiettivo lucido ,”scientifico” perseguito da un grumo di potere politico-economico, massonico e mafioso, che lavora nell’interesse di pochi ai danni della collettività. E di cui nessuno parla.

Come agiscono le 35 organizzazioni criminali rilevate dal Consiglio regionale e perché non se ne parla?

Non ci sono solo organizzazioni criminali italiane, ma anche cinesi, albanesi, rumene, russe, sinti, africane… Agiscono sotto traccia, senza destare allarmi di ordine pubblico, e svolgere in tranquillità i propri traffici. Perciò perlopiù non si vedono e non si sentono. E per l’opinione pubblica è come se non esistessero. Quanto alle istituzioni ne parlano il meno possibile per non rovinare il buon nome della Toscana (e la reputazione di chi l’amministra). La fondazione Caponnetto di Firenze ha più volte denunciato come questo atteggiamento corra il rischio di far arrivare in massa le organizzazioni criminali, perché «non parlare di mafia, aiuta la mafia». D’altra parte non sono mafie con la coppola e la lupara, ma holding economico-finanziarie con una ricchezza sommersa quasi pari a quella prodotta dall’intero Paese, con la quale vincono appalti al ribasso, assorbono la concorrenza puntando a posizion
i di monopolio nella filiera, riciclano e auto-riciclano i proventi illeciti derivanti dal traffico di droga, di rifiuti, di merce contraffatta ma anche dalla tratta di esseri umani e dallo sfruttamento della prostituzione, del gioco d’azzardo e dell’usura, attraverso complesse operazioni societarie, bancarie e immobiliari. Arezzo, è la terza città in Italia per il riciclaggio di denaro di provenienza illecita, mentre la Toscana è al quinto posto nella classifica nazionale dei crimini ambientali guidata dalla Lombardia Sicilia e Campania.

La terra bianca è un viaggio nella realtà, ma anche nella storia, nella memoria. La zona delle Apuane è terra di anarchia e di epos popolare, di “fole”. Questo ha contato questa tradizione orale nella composizione del libro?

Nel libro ho scritto che la capacità di raccontare favole, “fole” è tipica di questa terra di autentici narratori. Attraverso il racconto dei cavatori, degli anarchici, dei soldati apuani in Russia e dei partigiani, dei lavoratori del polo chimico e degli ambientalisti, ho raccolto in un certo senso le voci di un “coro” di narratori istintivi, che ci “canta” e ci “conta” in maniera epica e struggente un ampio compendio di soverchierie e di ferite. Così profonde da averci traumatizzati, colonizzandoci perfino l’inconscio, facendoci “amare” le cattive abitudini. Non è un caso che a ogni inizio di capitolo compaiano le frasi di un libro di fiabe dove tutti gli abitanti sono rimasti “pietrificati” per l’influsso di un qualche maleficio e che i personaggi vengano descritti sistematicamente coi caratteri “geologici” dell’ambiente che li circonda.

Che reazioni ci sono state all’uscita de La terra bianca?

A tre mesi dall’uscita, non c’è stata una sola presa di posizione pubblica né da parte delle istituzioni né da parte degli industriali del marmo, che pure presidiano i quotidiani locali a ogni pie’ sospinto. Li ho perfino chiamati in causa dalle pagine de La Nazione, in un articolo dello scorso 9 luglio, in cui sostenevo che la terra bianca non è la terra dei fuochi, è peggio: là le indagini delle procure vanno a segno, mafiosi e corrotti vengono arrestati, i Comuni commissariati, le notizie perforano il muro di omertà e offrono ai cittadini la possibilità di aprire un contraddittorio, di farsi un’opinione informata dei fatti. Succede a Caserta, succede a Napoli, succede a Palermo, ma non succede a Massa Carrara.

Alla fine cosa ne è del lungimirante paesaggistico toscano avversato da industriali del marmo ma anche dal governo Renzi?

La prima versione del piano paesaggistico toscano, nella parte che riguardava la presenza di cave nel Parco regionale delle Apuane, non faceva altro che recepire la legge Galasso e prevedere una chiusura graduale, con ricollocamento della manodopera, per una trentina delle cave più dannose all’interno del Parco. L’immediata avversione degli industriali del marmo, oltre a quella – paradossale, per chi non conosce la situazione politica del territorio -, dello stesso presidente del Parco e a seguire dei sindaci dei Comuni del Parco, attraverso una attività di pressione sui consiglieri regionali e sullo stesso Rossi ha prodotto nel giro di pochi mesi un dietrofront tanto pesante da spingere l’assessore Anna Marson, madrina del Piano, a dichiarare: «Nel caso del piano paesaggistico le “imboscate” non sono derivate da un conflitto fra ambiente e sviluppo, come molti hanno sostenuto, ma tra interessi collettivi e interessi privati». Così il Piano paesaggistico realmente adottato non solo non ha cambiato la situazione, ma l’ha peggiorata prevedendo l’apertura di cave dismesse da vent’anni e ampliamenti fino al 30 per cento dei punti estrattivi già autorizzati, e per sovrammercato ha legittimato quanto prima avveniva nelle more di una legislazione sempre di là da venire: l’escavazione sopra i 1200 metri.

Il governo Renzi ha impugnato legge regionale per un presunto difetto di legittimità costituzionale?

Sì, due giorni dalle elezioni regionali, il governo Renzi l’ ha impugnata, come aveva fatto Berlusconi nel 1994 con la prima legge regionale che riguardava le cave. Mandando così un preciso segnale ai signori del marmo e alla loro catena clientelare sul territorio: senza la legge regionale sulle cave, i sindaci della provincia hanno già annunciato che non porranno mano al regolamento degli agri marmiferi prima della decisione della Consulta. Quindi si continuerà con le leggi estensi e preunitarie, queste sì incostituzionali, che governano il regime concessorio in maniera opaca e vischiosa da sempre – terreno ideale per l’esercizio dell’arbitrio e la pratica dell’illecito.

 [social_link type=”twitter” url=”https://twitter.com/simonamaggiorel” target=”on” ][/social_link] @simonamaggiorel