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Chi è Enrico Rossi, l’uomo che (forse) sfida Renzi

Non è renziano ma nemmeno antirenziano. Chi è Enrico Rossi? Ora che il governatore toscano si dichiara «disponibile» a candidarsi alle primarie 2017 per la segreteria del Pd – l’ha detto alla festa de l’Unità di Firenze, luogo “sacro” per uno nato nel Pci – vi raccontiamo il personaggio.

 

Sindaco, assessore, governatore

È uno che non passa inosservato nell’agone politico italiano. Ha una sua identità, una formazione politica e culturale di tutto rispetto. Viene da Bientina, un paese vicino a Pontedera di cui diventa sindaco nel 1990, a 32 anni. Là, nella piana industriale nel cuore della Toscana, ancora lo ricordano perché si oppose a De Mita e al suo tentativo di delocalizzare la Piaggio in quel di Nusco – e chissà cosa avrà pensato quando lo stesso De Mita ha sponsorizzato De Luca alle ultime regionali… Comunque, il nostro giovane amministratore, laureato in Filosofia a Pisa con una tesi su Agnes Heller, dal 2000 al 2009 diventa assessore regionale alla Sanità e porta la Toscana ai vertici nazionali della sanità pubblica, come ha decretato anche di recente una classifica del Sole 24 ore. Nel 2009 è eletto governatore, carica che riconquista il 31 maggio, senza ricorrere alle primarie, ma su “investitura” dello stesso Renzi, segretario democratico e presidente del Consiglio.

 

Quando bacchettava Renzi

Però solo un paio di anni fa non si contavano le scaramucce tra Enrico Rossi presidente della Regione e Matteo Renzi sindaco di Firenze. Per esempio, sulla filosofia dell’uomo solo al comando e l’idea di partito democratico propugnata dall’allora candidato alla segreteria. Rossi ha sempre guardato al Pd come a un soggetto collettivo, un po’ lo stesso concetto ribadito più volte anche da Bersani, prima che finisse nel limbo.

 

Fedelissimo al governo

Enrico Rossi è l’uomo e l’amministratore che difende i diritti civili, che si fa fotografare con i vicini Rom e a tipi come Salvini non le manda certo a dire – specialmente quando il leghista è sbarcato in Toscana per la campagna elettorale. È quello che vuole gli Stati Uniti d’Europa e la cittadinanza per i bambini stranieri nati in Italia. Rossi è stato tra i primi ad appoggiare l’uso della Ru486, si è battuto per la gratuità del farmaco costosissimo contro l’epatite C. Ma è lo stesso amministratore che quest’anno ha sdoganato tagli alla Sanità per 250 milioni di euro, assecondando senza fiatare le forbici della legge di stabilità. È il sostenitore del Jobs act, anche se scrive che «bisogna mettere al centro il lavoro». Critica l’abolizione della tassa sulla prima casa, ultimo cavallo di battaglia di Renzi, e sostiene la “ridistribuzione della ricchezza». Approva a spada tratta le riforme istituzionali e il Toscanellum, dicono chi lo critica a sinistra, è un patto del Nazareno in versione toscana.

 

Enrico Rossi e la sinistra Pd

A proposito di sinistra il governatore lo ha detto chiaramente. La minoranza dem «ha posizioni troppo ferme e animate da spirito di rivincita». Lui preferisce una posizione più soft ma comunque netta, sia nei confronti del “divo” Massimo che del “rottamatore” Matteo. Scrive infatti il 30 agosto sul suo blog: «Quanto allo “spianare il passato per sembrare grandi”, secondo l’accusa di D’Alema alla nuova classe dirigente del Pd, è facile replicare che a cominciare con lo spianare la storia della sinistra è stata proprio quella classe dirigente a cui lui appartiene e che coloro che lui accusa stanno semmai completando l’opera da loro iniziata». Come fare allora a salvare la sinistra? Rifacendosi a Machiavelli, Enrico Rossi scrive che la sinistra oggi per rinnovarsi ha bisogno di «essere “ritirata” verso i suoi principi ispirandosi al pensiero e all’azione degli uomini che l’hanno resa grande». I nomi? Gramsci e Berlinguer, ma anche Giorgio La Pira e Alexander Langer.

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Ungheria, Danimarca e il fronte del no ai rifugiati

La giornata dei rifugiati è come sempre fatta di notizie che arrivano da angoli remoti del continente come l’isola di Lesbos o il confine greco-macedone e dalle capitali europee importanti, dove si discute di come, quanto e in che forma accogliere l’ondata di persone in fuga dalla guerra.

Merkel: rivedere Dublino

Cominciamo da Angela Merkel, che ha detto alcune cose importanti. Le premier tedesca ha detto che le quote proposte nell’ambito del piano europeo da 160mila ingressi del regime, che prevede l’assegnazione alla Germania di 31.000 rifugiati, è il minimo che si possa fare. Merkel ha anche parlato di rivedere la convenzione di Dublino che regola la modalità di richiesta di asilo sul suolo europeo. E questa è una novità importante. «Il sistema di asilo comune non può solo esistere sulla carta. Lo dico perché essa stabilisce norme minime per l’accoglienza dei rifugiati e la loro registrazione», ha detto al termine di un incontro con il premier svedese Stefan Löfven a Berlino. Il vice cancelliere Sigmar Gabriel detto che la Germania potrebbe far entrare 500.000 rifugiati per diversi anni a venire.

Il tema sollevato da Merkel – riscrivere e rivedere Dublino – è serio. L’Italia lo ha chiesto nel periodo in cui l’emergenza era quella degli sbarchi. Più in generale – è un rilievo fatto dall’incaricato speciale dell’Onu per le migrazioni Sutherland – il rischio è quello che a saltare sia il sistema di Schengen, con sempre più Paesi, quelli che non vogliono nuovi arrivi, che potrebbero ritirarsi dalla politica delle frontiere interne aperte. Il paradosso è che quei Paesi che oggi rifiutano l’accoglienza sono gli stessi che hanno più beneficiato, in termini di possibilità di emigrare, dell’apertura delle frontiere. Domani al parlamento di Strasburgo il presidente delal commissione Juncker terrà il primo discorso sullo Stato dell’Unione europa del suo mandato. Sarà interessante verificare se userà toni aspri contro i governi che adottano comportamenti disumani o se le parole grosse volano solo quando in ballo c’è il debito greco.

L’est fa quadrato contro l’accoglienza 

A fronte delle parole di buon senso della premier tedesca vanno registrate le dichiarazioni del suo omologo ungherese Viktor Orban, che ha annunciato l’accelerazione della costruzione del muro al confine con la Serbia durante un’ispezione ai lavori, spiegando che occorrerà mettere più operai all’opera. L’Europa dell’est, o meglio, i governi della regione, si stanno distinguendo in una gara di dichiarazioni sbagliate. Il vice premier polacco Tomasz Siemoniak ha attaccato i tedeschi spiegando che: a) la strada intrapresa incoraggia altre persone a venire in Europa; b) che al suo Paese non si può insegnare nulla di solidarietà perché è li che è nata Solidarnosc. Un punto di vista improbabile, ma in alcune capitali dell’est la gara a chi mostra più il petto in fuori è in pieno svolgimento. La chiusura e relativa omogeneità dei Paesi oltre cortina di ferro ha probabilmente prodotto una cultura poco propensa all’accoglienza di persone diverse e i governanti di destra lo sanno.


 

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Fortezza Europa, quando i muri non bastano. La mappa interattiva di Left sui muri anti immigrazione nel continente e non solo 

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Non solo est, anche Danimarca e Cipro

A proposito di propaganda interna, vano registrata la presa di posizione del ministro cipriota Socrates Hasikos che lunedì ha spiegato che il suo governo è disposto ad accogliere 300 persone, ma che queste devono essere greco-ortodosse e la pubblicità pagata dal governo danese e pubblicata su quattro giornali libanesi. Pensata per scoraggiare gli ingressi, spiega che da oggi entrano in vigore norme restrittive per i richiedenti asilo: verrà tagliata l’assistenza del 50%, si richiederà la conoscenza del danese per ottenere un permesso di residenza e si renderà più difficile il ricongiungimento familiare. Qui sotto la foto della circolare in inglese e arabo.

Rözske tra Ungheria e Austria

Un altro punto di frizione-tensione è il confine austro-ungarico. La notte scorsa nel grande campo allestito nelle campagne ha fatto molto freddo, oggi molti rifugiati hanno deciso di mettersi in cammino verso il confine aistriaco nonostante il divieto della polizia. Altri sono rimasti fermi al campo. La vicenda delle persone in marcia è ben descritta dai tweet di alcuni inviati sul posto. Prima si parte, poi si viene fermati dalla polizia ungherese che circonda un gruppo e lo blocca. Notate lo spray urticante in dotazione ai poliziotti. Sono scene molto gravi che niente hanno a che fare con la civiltà europea.

Lesbos

Ventimila rifugiati su un’isola da 90mila abitanti e giorni di attesa in una situazione difficile per poter essere registrati e imbarcati sui traghetti – da qui continua il viaggio verso il nord dell’Europa. Frontex ha offerto di inviare sull’isola dei funzionari per assistere le autorità greche e accelerare le pratiche di registrazione. Qui sotto due foto che danno un’idea della situazione sull’isola. E in fondo una foto che racconta bene cosa significhi attraversare un Paese a piedi: rifugiati si aiutano a vicenda a fare una salita al confine tra Macedonia e Grecia.

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Greece Migrants

(foto AP)

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Elisabetta II, da Winston Churchill a Games of Thrones

Truman, Stalin, Churchill. E poi Castro, Reagan, Thatcher, Fanfani. Da domani Elisabetta II diventa la regnante più longeva della storia del Regno Unito, superando la piccola e severa Vittoria, regina della rivoluzione industriale e dell’Impero, avendo regnato per 63 anni, sette mesi e due giorni. Dal 1952, anno della sua incoronazione, ad oggi, Elisabetta II ha visto passare 13 premier britannici, 12 presidenti degli Stati Uniti e decine di governi italiani (che nella prima repubblica duravano pochino). Più longevo di lei, in circolazione c’è solo il re di Thailandia, Bhumibol, che è salito al trono nel 1946.

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Generazioni di cittadini britannici le sono passate davanti e si sono abituate a quella che è diventata un’icona dei nostri tempi e di quelli passati. La abbiamo vista fotografata in ogni momento e luogo, con cappellini di tutti i colori e tutte le fogge, incontrarsi con re di tribù africane e premier indiani, in quanto regina e capo del Commonwealth. E poi il 1992, l’annus horribilis della monarchia britannica, quando Carlo e Diana divorziarono, Sarah finì sui tabloid e il castello di Windsor andò in fiamme. Ancora, i funerali di Diana e la profonda crisi di immagine della monarchia britannica: un disastro che tolse in maniera definitiva l’aura divina alla corona. Se quando Elisabetta ascese al trono c’era ancora qualcuno che credeva che il regnante fosse scelto da dio, gli scandali a ripetizione (e il fatto che ci fossero la Tv e i tabloid a diffondere immagini) chiusero quell’era in maniera plastica.
Oggi la regina è un capo di Stato, che non conta granché, ma è pur sempre una degli elementi che formano l’identità britannica, persino nel 2015. E poi, come cantavano i Sex Pistols nel 1977 (qui sotto, assieme alle immagini cinegiornale sul viaggio in Italia nel 1963), porta turisti e i turisti sono soldi. Ma anche loro, oggi, sono poco più che vecchie icone britanniche. Proprio come la regina che sulla copertina del loro singolo, li aiutò a diventare ricchi.


 

Sostanze tossiche in alta montagna, la denuncia di Greenpeace

L’estate volge al termine e presto le montagne torneranno a essere coperte di neve. L’alta montagna è il luogo del pianeta incontaminato per eccellenza: le tracce umane sono rare e non ci sono insediamenti produttivi. Eppure anche in alta quota gli inquinanti non mancano. Questo almeno è quanto hanno verificato le missioni di Greenpeace spedite ai quattro angoli del pianeta a prelevare campioni di neve i cui risultati sono pubblicati in un rapporto diffuso oggi (qui la sintesi in italiano).

Expedition to Pilato Lake in Italy to Detox the Great Outdoors

Tracce dei PFC, composti poli e per-florurati impiegati in numerosi processi industriali tra cui la produzione di capi di abbigliamento hi-tech da montagna (quelle giacche anti tutto che ci si mette d’inverno, le tende e così via) sono state trovate un po’ ovunque. I PFC possono causare danni al sistema riproduttivo e ormonale, favorire la crescita di cellule tumorali e sono sospetti agenti mutageni.

Le concentrazioni maggiori sono state trovate nel lago di Pilato, sui Monti Sibillini, tra Umbria e Marche, ma anche negli Alti Tatra, in Slovacchia, e sulle Alpi, nel parco nazionale svizzero. Le altre spedizioni sono state portate a termine nella Patagonia cilena, in Cina, Russia, Turchia e nei Paesi scandinavi.
«Abbiamo trovato tracce di PFC nei campioni di neve raccolti in tutte le località oggetto d’indagine», afferma Giuseppe Ungherese, responsabile campagna inquinamento di Greenpeace Italia. «Preoccupa che questi inquinanti pericolosi e persistenti si trovino persino nei luoghi più remoti del pianeta. Dei diciassette composti riscontrati in tutti i campioni di neve analizzati, ben quattro hanno mostrato le concentrazioni maggiori nei campioni di neve raccolti presso il lago di Pilato, tra cui il PFOS (Perfluorottano sulfonato) già soggetto a restrizioni nell’ambito della Convenzione di Stoccolma».

 RAE_WEB_GAL_-1(La mappa delle spedizioni)

Greenpeace denuncia come molti marchi, che tendono ad usare le immagini della natura incontaminata per promuovere se stessi, siano proprio quelli che tendono a non voler adottare codici di condotta in materia di inquinamento con queste sostanze.

Marchi che producono anche abbigliamento outdoor, come Puma e Adidas, hanno già adottato obiettivi ambiziosi per l’eliminazione dei PFC. Alcune aziende più piccole ma specializzate nella produzione per l’outdoor, come Fjällräven, Paramo, Pyua, Rotauf e R’ADYS, producono già intere collezioni di abbigliamento idrorepellente PFC-free. Ma sono proprio i marchi leader del settore, come The North Face, Columbia, Patagonia, Salewa e Mammut, a mostrare scarso senso di responsabilità quando si tratta di eliminare i PFC.

Qui un video prodotto da Greenpeace che descrive le spedizioni e spiega la pericolosità dei PFC

Mirafiori Lunapark. Via al tour solidale con Left, si parte da Milano

Mirafiori Lunapark è il piccolo caso cinematografico di fine estate: opera prima di Stefano Di Polito, uscito nelle sale il 27 agosto, il film si è piazzato subito al quarto posto in Italia per incassi in rapporto al numero di copie.

Dopo l’anteprima di Left e l’intervista al regista sullo scorso numero dell’1 agosto, è giunta l’ora di avviare il “tour solidale”.  Se ogni fabbrica potesse vivere questo momento quasi liturgico della propria vita operaia.

Mercoledì 9 settembre alle 21.30 Mirafiori Lunapark sarà proiettato al Cinema Beltrade, in via Nino Oxilia 10 a Milano, alla presenza della giornalista Tiziana Barillà di Left, Carolina Pacchi del Politecnico di Milano e Avanzi, del regista Stefano Di Polito e dell’attore Carlo Marrapodi, da anni impegnato a portare in scena il teatro sociale. Ospiti della serata saranno gli operai della RiMaflow – “la fabbrica recuperata” – che hanno rimesso in funzione il loro stabilimento in fallimento ricevendo in cambio una denuncia per abuso edilizio.

Prodotto da Mimmo Calopresti per Alien Films, in collaborazione con Rai Cinema, Film Commission Torino Piemonte e Ministero dei Beni Culturali, Mirafiori Lunapark racconta in modo poetico il sogno di tre ex pensionati Fiat – interpretati da Alessandro Haber, Antonio Catania e Giorgio Colangeli – di trasformare la loro vecchia fabbrica abbandonata in un lunapark per trasferire ai loro nipoti il ricordo di un’epoca di lotte sociali e sogni conquistati.

«La fabbrica RiMaflow è un esempio di resistenza, sono felice di presentare il mio film accanto a questi operai così coraggiosi, che hanno fatto nella realtà quello che ho immaginato per il cinema», commenta il regista Stefano Di Polito: «Spero che questo tour in collaborazione con Left sia un modo per coinvolgere i media, le associazioni del terzo settore, il mondo dell’impegno civico e della politica nel progetto di ricostituire una comunità che sogna un futuro migliore per il nostro Paese».

per seguire il tour #vogliovederemirafiorilunapark

Se una notte di settembre un viaggiatore: tutti i festival letterari di settembre

Quando quasi vent’anni fa nasceva il Festivaletteratura si pensò che il successo della rassegna di Mantova che invitava il pubblico a conoscere più da vicino gli autori fosse un fenomeno passeggero, una moda, come tante altre. Negli anni però il pubblico è continuato ad aumentare. L’edizione 2014 si è chiusa con 120mila presenze, settemila in più dell’anno precedente. Mentre il Festivalfilosofia di Modena Carpi e Sassuolo l’anno scorso ha superato quota 200mila. Solo per fare qualche esempio.

In un Paese come l’Italia che si colloca al trentesimo posto in Europa per spesa in cultura, (lo 0,9 % del Pil) dove, come è ben noto, si legge pochissimo, la costante crescita numerica e qualitativa dei festival letterari è un dato incoraggiante, sul quale varrebbe la pena di riflettere. Nel 1997 quando debuttò il Festivaletteratura si pensò a una sana reazione al berlusconismo mediatico, si notò che, finita la stagione delle feste dell’Unità e della vita di sezione, tanti militanti, pensionati ma anche studenti, insegnantiecc. si erano tuffati in questa nuova attività di piazza partecipando a conferenze, dibattiti, presentazioni di libri, rimboccandosi le maniche anche nell’organizzazione. Va detto anche che ai festival letterari italiano capita di vedere anche tanto pubblico che di solito non frequenta le librerie. Per il vuoto lasciato dalla politica, forse. Per un’esigenza di socialità certamente. Chissà, forse anche per un ritorno all’oralità, per quel gusto di ascoltare e raccontare storie a veglia che è  tradizione popolare e antica in tante regioni italiane. Di fatto notiamo che le kermesse che invitano ad incontrare dal vivo scrittori, storici e filosofi non sono quasi mai delle mere vetrine, offrono occasioni di dibattito, promuovono l’ editoria di qualità, invitano a mettere a confronto scritti e biografia degli autori, ma anche a riscoprire centri storici, piazze, angoli di storia collettiva rimasti a lungo disabitati. L’effetto più sbalorditivo e macroscopico, a Mantova, a Modena come a Pordenon,e è il coinvolgimento dell’intera città, grazie alla larghissima partecipazione dei cittadini, disposti in questo strano fenomeno glocal a farsi in quattro per ospitare e incontrare autori da ogni parte del mondo. Non senza qualche rivalità come all’epoca dei Comuni  visto che la più alta concentrazione di festival letterari si registra a settembre nel centro Italia. E se la crisi economica si è tradotta da noi in feroci tagli anche dei trasferimenti alle amministrazioni locali c’è chi si ingegna affidandosi al crowdfinding. Come I dialoghi di Trani che offrono i testi delle conferenze dell’ultima edizione a 10 euro, a 20 quelli di tutte le passate edizioni, con 100 euro invece un caffè con l’autore preferito, restando a chiaccherare.
Pronti zaini, copie da autografare, matite e taccuini? La carovana letteraria parte il 9 settembre dalla lombarda Mantova per approdare a Trani, in Puglia, solo a fine mese. Ecco una rapida mappa per scegliere la propria rotta. @simonamaggiorel

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Festivaletteratura di Mantova. Dal 9 al 13 settembre. A dare il via alla kermesse è l’incontro fra Carlo Ginzburg e Salvatore Settis sul tema le immagini e il potere il 9 settembre, ore 18, in occasione dell’uscita del volume dello storico Ginzburg Paura reverenza terrore (Adelphi). Anche quest’anno sono oltre 250 gli eventi con autori popolari con Tracy Chevalier e outsider come Gino Strada, che in Zona rossa (Feltrinelli) racconta la propria esperienza di medico nei territori di guerra. Da non perdere l’incontro con il premio Nobel, il nigeriano Wole Soyinka e con Noo Saro-Wiwa, figlia dell’’attivista nigeriano Ken Saro-Wiwa, che fu assassinato nel 1995. Nel libro Transwonderland (66thand2nd.com ) Noo evoca la memoria delle vacanze in Nigeria da bambina quando il paese di origine della famiglia le sembrava un paradiso traboccante di Twix, cartoni animati e alberi rigogliosi e il villaggio d’origine era una sorta di «gulag tropicale». Per raccontare poi i conflitti e le contraddizioni che ancora oggi lacerano il Paese. E ancora, fra i molti incontri da segnalare, raccomandiamo quello con Kazuo Ishiguro, una delle voci più interessanti della letteratura britannica e quella con il giornalista e scrittore Martin Caparros che traccia nel suo ultimo libro una impressionante mappa della fame nel mondo denunciando le responsabilità della Chiesa e del neoliberismo occidentale. E ancora, fra i grandi protagonisti della letteratura internazionale ecco il Nobel Mario Vargas Llosa e dal latino america Marcelo Figueras (Aquarium, L’asino d’oro), spazio al giallo con Petro Markaris che in Titoli di coda (Bompiani) racconta la crisi greca e con Massimo Carlotto con il ritorno dell’Alligatore per le  Edizioni e/o. La stessa casa editrice che fu di Christa Wolf a cui sarà dedicata una serata con letture dell’attrice Anna Bonaiuto. www.festivaletteratura.it

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Con- vivere Carrara. Dall’11 al 13 settembre. Con il titolo terra uno sguardo al mondo globale, il festival ideato e diretto dal filosofo Remo Bodei esplora tematiche come il futuro del pianeta, la convivenza fra i popoli, il dialogo interculturale. Offre uno sguardo lungo, a ritroso, lungo la storia dell’uomo la lectio magistralis del filosofo della scienza Telmo Pievani che il 12 settembre ripercorre le tappe della diaspora fuori dall’Africa di Homo sapiens, avvenuta in più ondate a partire da 120mila anni fa. Come mai siamo rimasti gli unici umani? Abbiamo estinto noi gli altri? E con quali mezzi? Probabilmente con il più potente di tutti: il linguaggio, verbale e fatto di immagini, ovvero con quella capacità di immaginare che ci distingue dagli altri esseri umani. Affronta poi più specificamente il tema della mente e del cervello umano, il filosofo Remo Bodei nella serata del 12 settembre, raccontando come in noi la natura si fonde con la cultura e come la nostra realtà non sia fatta solo di razionalità cosciente, ma anche di realtà inconscia e creativa. Al festival tante le personalità della scienza e della divulgazione, come il geologo Mario Tozzi e scrittori come Giulio Milani che in Terra bianca (Laterza) denuncia la speculazione e il malaffare che stanno distruggendo le Apuane. www.con-vivere.it

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Letteratura di viaggio dall’11 al 13 settembre. L’ottava edizione della rassegna ideata da Stefano Malatesta si svolge a Roma, a Villa Celimontana e in altri luoghi. (E avrà un Post Festival dal 14- 26 settembre).La kermesse è dedicata al racconto del mondo, di luoghi e culture (vicini e lontani), attraverso diverse forme di narrazione del viaggio: dalla letteratura alla geografia, dalla fotografia al cinema, dalla musica al cibo,dall’antropologia al disegno, dal giornalismo alla storia. L’edizione 2015 si articola in oltre trenta eventi tra incontri con autori, mostre, premi, laboratori,visite guidate, passeggiate letterarie, tour interculturali, letture e performance. Nel carnet di incontri con autori, viaggiatori e narratori si segnalano gli scrittori William Dalrymple (Adelphi) e Björn Larsson ( Iperborea) campioni internazionali della letteratura di viaggio e avventura. Torna anche il Premio intitolato a Ryszard Kapuściński per il reportage, che giunge alla quarta edizione, in collaborazione con la Famiglia Kapuściński, Feltrinelli e l’Istituto Polacco di Roma, che ha visto nelle scorse edizioni assegnare il riconoscimento ad autori come Paolo Rumiz, Ferdinando Scianna, David Van Reybrouck, Ettore Mo. La conduzione di quest’anno è affidata a Tommaso Giartosio, scrittore e autore radiofonico. Anche quest’anno il FestBook, il libro-catalogo del Festival, è prodotto da Exòrma Edizioni. www.festivaletteraturadiviaggio.it

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Festivalfilosofia dal 18 al 20 settembre A Modena, Carpi e Sassuolo il tema quest’anno è la sfida della trasmissione culturale, dipanato attraverso 200 appuntamenti fra lezioni magistrali, mostre, concerti, spettacoli e cene filosofiche. Tra i protagonisti Gianrico Carofiglio, Roberto Esposito,Tullio Gregory, Salvatore Natoli, Federico Rampini, Stefano Rodotà, Chiara Saraceno, Carlo Sini, Gustavo Zagrebelsky e Remo Bodei, Presidente del Comitato scientifico del Consorzio. Nutrita la componente di filosofi stranieri: tra loro i francesi Jean-Luc Nancy, François Hartog, François Jullien e Marc Augé, che fa parte del comitato scientifico del Consorzio, i tedeschi Aleida Assmann, Jan Assmann e Christoph Wulf, i britannici Zygmunt Bauman e Richard Sennett, l’americano Robert Darnton, l’indiana Vandana Shiva.In 40 luoghi diversi delle tre città, la longeva e fortunata manifestazione indaga la diffusa percezione che si sia interrotta una continuità culturale, tanto nei rapporti tra le generazioni, quanto nella trasmissione dei saperi e dei valori. La quindicesima edizione del festival è promossa dal Consorzio per il festivalfilosofia, di cui sono soci i Comuni di Modena, Carpi e Sassuolo, la Provincia di Modena, la Fondazione Collegio San Carlo di Modena, la Fondazione Cassa di Risparmio di Carpi e la Fondazione Cassa di Risparmio di Modena. Piazze e cortili ospiteranno oltre 50 lezioni magistrali in cui maestri del pensiero filosofico si confronteranno sugli attuali cambiamenti nelle forme della trasmissione culturale, ai mutati rapporti fra le generazioni; dal ruolo del patrimonio storico-artistico per la memoria all’urgenza educativa, nella scuola e non solo; dallo statuto – anche economico – del debito, alle frontiere dell’ereditarietà genetica, fino alla responsabilità verso le generazioni future che erediteranno il pianeta. Tra le iniziative collaterali una personale di Carlo Mattioli e una di Franco Guerzoni (con il sostegno del Gruppo Hera), una sulle recenti acquisizioni nelle collezioni fotografiche di Fondazione Fotografia, senza dimenticare la recente riapertura della Galleria estense. www.festivalfilosofia.it

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Pordenonelegge dal 16 al 20 settembre La questione dei migranti, i territori di crisi del Medioriente , la violenza fondamentalista dell’Isis sono alcuni dei temi di attualità che irrompono quest’anno nel festival di Pordenone.  «Succede quando la letteratura diventa sguardo sul mondo, specchio degli eventi che viviamo e che, mentre ci attraversano, “fanno” e diventano la storia”», sottolinea la direzione artistica. Fra gli ospiti più attesi non a caso ci sono la filosofa ungherese Agnes Heller, il britannico Tariq Ramadan e la tunisina, Azza Filali: il suo romanzo Ouatann. Ombre sul mare ( Fazi editore) sarà presentato in anteprima a Pordenonelegge il 18 settembre. Racconta la gioventù tunisina della primavera araba. Ma sarà interessante anche ascoltare l’attivista nordcoreana Hyeonseo Lee che è riuscita a fuggire in Cina. Oggi vive in Corea del Sud e lavora come attivista per i rifugiati nordcoreani. Il suo discorso alla TED conference del 2013 è uno dei più popolari della rete, con oltre 4 milioni di visualizzazioni. A Pordenonelegge presenta il suo nuovo libro La ragazza dai sette nomi (Mondadori) il 19 settembre in dialogo con Federico Rampini ( che porta anche il suo libro L’età del caos, Mondadori, in cui mette a fuoco scenari drammatici e incontrollabili del mondo, dall’Isis all’Ucraina) . E ancora: l’iraniana Azar Nafisi presenta al festival La repubblica dell’immaginazione (Adelphi), un saggio sul valore della letteratura, mentre Emmanuel Carrère riceverà il Premio Friuladria “La Storia in un Romanzo” 2015 tenendo il 19 settembre terrà un incontro sui legami fra il romanzo e la storia.
www.pordenonelegge.it

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Dialoghi di Trani dal 22 al 27 settembre . In tempi di vacche magre, come accennavamo, la maggiore kermesse libraria del Sud si è affidata al crowdfinding, E la qualità del cartellone non ne risente. Basta dire che al Castello Svevo di Trani, si avvicendano scrittori, filosofi e saggisti di primo piano a cominciare dal novantenne Boris Pahor e dall’autrice di Leggere Lolita a Teheran, Azar Nafisi che ha appena pubblicato per Adelphi u nuovo libro sull’importanza dell’immaginazione. E ancora Nicola Lagioia, Margareth Von Trotta, Domenico Mogavero, Piergiorgio Odifreddi, Elisa Fuksas, Giorgio Vallortigara, Giovanni De Luna, Roberto Scarpinato, Marino Niola e tanti altri. Il tema della XIV edizione dei Dialoghi di Trani è “Generare”, e in cinque giorni il pubblico potrà approfondire le possibilità di “generare risorse per il bene comune, generare reddito e lavoro, educare per generare futuro, generare diritti e protagonismo sociale, ri-generare ambiente e territorio”.Per i baby lettori, ritornano al Castello i Dialokids, un cartellone di iniziative interamente pensato per coinvolgere attivamente i lettori più giovani nella vita culturale e discutere dei cambiamenti che incidono sulla figura dell’autore, sul mestiere di editore, ma anche sul ruolo del lettore e sul concetto stesso di “libro”. E una ricca rassegna cinematografica a cura di Apulia Film Commission. Con dirette dal Castello di Trani a cura di Rai Cultura e Radio 3, media partner della manifestazione. @simonamaggiorel

L’Aquila e il potere della musica

© FILIPPO TROJANO

Una città deserta, silenziosa, con le montagne che la stanno a guardare nella sua immobilità infinita, dopo il terremoto del 6 aprile 2009. Ma ecco che si risveglia.  È domenica mattina, il giorno del Jazz italiano per l’Aquila. Cominciano a circolare strani personaggi con valigione e custodie nere e più o meno grandi. Si salutano e si abbracciano, si conoscono quasi tutti. Stranieri a L’Aquila, messaggeri di un’altra vita. Il sole ha avuto pietà e dopo le piogge del giorno prima, finalmente l’aria si riscalda. Poi cominciano ad arrivare i suoni: sax, tromboni scatenati, trombe, pianoforti. La città è viva. E non è retorica. Alla fine quei ponteggi, quei muri sbrecciati e feriti, quelle finestre chiuse, quei negozi rimasti fermi a sei anni fa, non li noti nemmeno più. È il potere della musica, che ti fa dimenticare lo spazio fisico e ti porta in un’altra dimensione da condividere con gli altri esseri umani che sono accanto a te, madri con bambini nel passeggino, giovani, signori dai capelli bianchi, cultori di jazz. Si respira un’aria diversa, si sente la fatica, la passione e la cooperazione, la fratellanza, verrebbe da dire, che c’è tra gli artisti. C’è chi dice che non si era mai visto un clima così, senza competizione o rivalità di sorta – e dire che i musicisti un po’ narcisi lo sono davvero.

 

alessandro presti sulla scala di san bernardino prima di salire sul palco

(©-FILIPPO-TROJANO)

Ada Montellanico, presidente del Midj, l’associazione dei musicisti jazz, che ha dato molto per questa giornata, parla di una giornata “commovente”, lei che canta nel bellissimo salotto di piazza Santa Margherita quell’inno struggente contro il razzismo che è “Strange fruit” di Billie Holiday.  Tutti si impegnano al massimo per questa giornata speciale che fa rivivere L’Aquila. Ci sono i big come Marcello Rosa nel bellissimo auditorium dal cuore rosso come il sangue di Renzo Piano, ci sono gli scatenati musicisti della marching band dei Funkoff che non cessano di ballare e suonare e suonare e ballare davanti ai loggiati e ai bar presi d’assalto da una folla immensa. Saranno sessantamila, alla fine, gli aquilani e gli appassionati arrivati da tutta Italia. Paolo Fresu, il direttore artistico che con il suo quintetto ha scelto la scalinata di San Bernardino per il live, è colpito da quel pubblico che gli si para di fronte. I big sfilano la sera, in piazza Duomo: Enrico Rava, Enrico Pieranunzi, Franco D’Andrea, ma quella di domenica è stata la giornata di tutti, soprattutto di quei tantissimi giovani musicisti che emozionati si ritrovavano a suonare fianco a fianco con i grandi. Tutti uguali, tutti insieme, perché la musica unisce e ha la forza anche di far dimenticare un trauma come il terremoto.

© Donatella Coccoli 2015-09-06 12.28.23

il concerto di ada montellanico nella piazza di santa margherita

(©-FILIPPO-TROJANO)

Nel 2016 si replica: il 4 settembre, ha detto il ministro Franceschini sul palco di piazza Duomo. Il sindaco Cialente, incontrato per strada insieme al direttore del Conservatorio, è raggiante: «Spero che per tanti giovani dell’Aquila, questa sia una giornata che in qualche modo li possa influenzare. Ci sono 1400 studenti tra Conservatorio e scuola media musicale», dice, come se la cultura potesse essere una via d’uscita da quelle montagne che incombono. Chissà, potrebbe essere un’idea. E la ricostruzione della città? «I 6 miliardi si sono sbloccati, appena arrivano, apriamo i cantieri, 300 solo qui nel Corso», e il sindaco indica la via principale. Vedremo se veramente sarà la svolta. Gli abitanti sono come rassegnati e delusi, ma intanto, quasi increduli, per un giorno hanno vissuto un’altra città. Anche se immateriale, fatta di suoni.

 

Notte bianca, legge popolare e referendum per fermare la Buona Scuola

La notte bianca della scuola il 23 settembre, una nuova legge di iniziativa popolare, un referendum abrogativo della legge 107, una manifestazione nazionale entro ottobre e forse anche uno sciopero generale. Sono questi i risultati di due intensi giorni di confronto che si sono tenuti a Bologna. Il primo, il 5 settembre, ad opera della rete dei Comitati Lip che ha discusso il tema della riscrittura della legge di iniziativa popolare. Il secondo, il 6 settembre, ha visto invece come protagonista quello che a tutti gli effetti si potrebbe definire un Comitato permanente a difesa della scuola pubblica contro la legge 107. Qui il comunicato stampa ufficiale dei due incontri. 

 

Una vasta rete che comprende decine e decine di comitati spontanei locali sorti in tutta Italia durante l’ultimo anno, ma anche associazioni nazionali professionali storiche o costituite sempre durante il 2015, movimenti studenteschi, sindacati e partiti. Una rete sindacale e di movimento insieme che ha visto domenica una partecipazione enorme (qui tutti i comitati): 350 persone e 68 interventi, come racconta Carlo Salmaso, dei comitati Lip. Tra i partiti erano presenti: M5s, Sel, Maria Mussini (ex M5s) del gruppo misto del Senato, L’Altra Europa per Tsipras (rappresentata da Francesco Campanella e Fabrizio Bocchino ex M5s) Stefano Fassina fuoriuscito dal Pd, e anche Alfredo D’Attorre, deputato Pd che pur avendo votato contro la legge 107, ha suscitato qualche protesta proprio per la sua permanenza nel partito che è stato  il principale sponsor della Buona scuola.

La legge di iniziativa popolare

È stato deciso di riattualizzare il testo di legge, sono stati individuati nove nuclei tematici su cui studieranno dei gruppi di lavoro. Fra sei mesi, il 12-13 dicembre, di nuovo un appuntamento di verifica, stavolta a Napoli. «L’obiettivo è quello di riuscire a chiudere tutto entro marzo, in modo che da aprile si possa cominciare a raccogliere le firme», afferma Carlo Salmaso. Sia per la nuova Lip che per il referendum abrogativo.

La tabella di marcia verso il referendum

All’incontro di Bologna del 6 settembre era presente anche il costituzionalista Massimo Villone che già sul Manifesto aveva espresso le sue valutazioni sulla delicatezza nello scrivere i quesiti referendari sulla scuola. «Dopo di lui abbiamo fatto parlare sia i comitati referendari per l’acqua pubblica che la Fiom, cioè soggetti che hanno già presentato in passato dei referendum», continua Salmaso. Come già si discute da tempo, il referendum sulla scuola dovrebbe essere accompagnato da quello sul Jobs act, da uno di carattere ambientale sullo Sblocca Italia e da uno sull’Italicum. «Il 99 per cento degli interventi si è detto d’accordo su questo percorso», continua Salmaso. Adesso saranno costituiti due tavoli, uno tecnico, con Villone ed esperti di legislazione scolastica, l’altro più “politico”. Domenica 13 settembre intanto i promotori dell’incontro di Bologna sono stati invitati all’assemblea nazionale della Coalizione sociale di Maurizio Landini. “Mai andare da soli” è il mantra che recitano tutti i partecipanti all’incontro nazionale. E che è stato ripetuto al rappresentante di Possibile e dello Snals di Napoli che, come è noto, hanno già presentato dei quesiti referendari sulla scuola. A novembre altro incontro a Roma per verificare il percorso del referendum.

Le manifestazioni in programma

Notte bianca il 23 settembre da svolgere a seconda delle situazioni. Chi può a scuola, oppure in strada oppure ancora legando quell’evento ad altri in programma. L’assemblea di Bologna ha anche approvato due giornate di protesta decise dalle organizzazioni studentesche, il 9 ottobre (Uds e Rete della conoscenza) e il 2 ottobre (centri sociali). In Toscana i sindacati hanno deciso di iniziare il primo giorno di scuola con un’assemblea e nelle altre regioni comunque si tenterà di farlo nei primi giorni. «È forte tuttavia la richiesta di una manifestazione nazionale entro la fine di ottobre e anche uno sciopero generale», continua il rappresentante dei comitati Lip.

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Messico, smentita la versione ufficiale sulla strage di Iguala

«Questo rapporto fornisce un atto d’accusa schiacciante sulla gestione da parte del governo del Messico di una delle peggiori atrocità commesse a memoria recente», così ha commentato José Miguel Vivanco, direttore per le Americhe di Human Rights Watch «Le autorità non si sono dimostrate in grado di condurre un’indagine seria». Vivanco si riferisce alla pubblicazione di un rapporto indipendente sulla strage di Iguala, quando 43 studenti sono stati rapiti e poi fatti sparire nel nulla quasi un anno fa.

Il testo di quasi 400 pagine redatto dagli esperti della Commissione Inter-Americana per i Diritti Umani, un’istituzione importante ma non certo tacciabile di parzialità – al lavoro ha collaborato il governo messicano – spiega semplicemente che tutte le conclusioni delle indagini sulla scomparsa degli studenti sono sbagliate e fuorvianti.

Mexico Iguala Stidenti

Studenti Iguala, Messico

Mexico Iguala Studenti

La versione ufficiale è che studenti e docenti universitari provenienti da Ayotzinapa siano stati catturati dalla polizia nella città di Iguala e consegnati ai loro assassini – membri di un gruppo di narcos – che li ha uccisi e poi ha bruciato i loro corpi in una discarica di rifiuti nei pressi della città di Cocula. Più di 100 persone sono state arrestate, compreso il sindaco di Iguala e sua moglie. Oggi gli esperti ci dicono che il luogo identificato come la fossa comune alla quale è stato dato fuoco per far sparire i cadaveri non può essere quello identificato nelle indagini: in loco non è presente la quantità di legna e/o copertoni arsi che avrebbero dovuto essere bruciati per far scomparire i resti umani (che non sono quasi stati trovati). Il

Tra gli arrestati molti si dicono innocenti, alcuni denunciano di essere stati torturati, mentre, scrivono gli esperti, risultano spariti diversi video che avrebbero potuti essere stati usati come prova e alcune testimonianze non sono state messe agli atti. Il classico depistaggio. Il rapporto è l’ennesima denuncia, autorevole e non collegata agli esperti incaricati dai parenti delle vittime, di quanto il governo federale abbia evitato di aprire il vaso di Pandora della connivenza tra polizia locale, polizia federale e gli strapotenti e violenti cartelli di narcos.

Il lavoro della commissione non aiuta a gettare luce sulla vicenda – è un’inchiesta sull’inchiesta – anche se si lascia andare a un’ipotesi sulla causa della strage. Il giorno in cui sono stati sequestrati gli studenti avevano sequestrato degli autobus per andare a fare una manifestazione. L’inchiesta ufficiale ipotizza che l’obiettivo fosse interrompere un comizio della mogli del sindaco di Iguala. E che per questo sono stati puniti. La verità è che la cronologia dei fatti non coincide con questa ipotesi. La commissione ritiene invece che tra gli autobus che gli studenti si erano presi ce ne fosse uno usato dai narcos per trasportare eroina oltre il confine con gli Stati Uniti. E che per riprenderselo, i narcos, in combutta con la polizia, abbia operato sequestro e strage.

La speranza di Enrique Peña Nieto era probabilmente quella di mettere a tacere la questione in fretta: studenti di sinistra, di una provincia lontana, una vicenda che sarebbe stata dimenticata in fretta anche grazie ad arresti fatti in pompa magna. Oggi Città del Messico si trova a dover gestire nuove pressioni, anche internazionali. Il governo giura che le nuove indagini assumeranno le conclusioni dell’inchiesta indipendente.

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A Bologna il Pd vira a sinistra. Nonostante Renzi

Funziona, evidentemente, il modello Merola del Pd. Il sindaco del capoluogo felsineo, sul filo della tensione sottopelle con la parte più renziana del partito, ha tirato dritto e a forza di “mosse di sinistra”, ha blindato la sua ricandidatura alle amministrative dell’anno prossimo.
Nei giorni passati, ha infatti incassato non solo l’unanimità dell’assemblea provinciale del Pd e l’investitura del popolo della Festa dell’Unità di Bologna, ma anche il sostegno nazionale, passato per la vicepresidente del Partito Debora Serracchiani: «Questa amministrazione uscente ha ben operato, siamo assolutamente convinti di doverla e poterla riconfermare e stiamo lavorando per questo», ha dichiarato. In realtà, come sempre nelle dichiarazioni degli uomini e delle donne di Renzi, di vero c’è poco, e molto di ampolloso: hanno aspettato il sentore del popolo, prima di appoggiare un sindaco, e il vero lavoro in questi mesi è consistito nell’evitare un polverone mediatico contro un sindaco che, c’è poco da fare, alla base piace.

Prima dell’estate, proprio il renzianissimo presidente della Regione Stefano Bonaccini, fiutando i malumori dei giovani rampanti della gerenza del partito, aveva titubato sul Merola bis («il Pd ha il diritto di decidere come essere competitivi su Bologna»), ma Virginio non si era fatto intimorire: «Francamente quel che conta davvero è il giudizio degli elettori. Vado avanti». E allora il braccio del premier ha frenato i suoi, temendo nello tsunami della vetrina della Festa dell’Unità, che si sarebbe inevitabilmente trasformata – come di fatto è successo – in un’acclamazione del popolo al sindaco.

Ma esattamente in cosa consiste questo modello Merola? In prese di posizione decisamente in controtendenza rispetto alla corrente nazionale, e che sono andate a riempire uno spazio: quello creatosi a sinistra in questi anni. Non a caso, alternative a sinistra, a Merola, oggi, non ce ne sono.
Una su tutte, la sua battaglia per la parità dei diritti delle coppie gay, che dal registro delle coppie di fatto arriva fino all’autocertificazione per genitori omosessuali all’asilo. Non se ne abbia il nostro premier scout, ma nessuna traccia di cattolicesimo, nel Pd di Merola. In compenso, molto rispetto per le persone. Stessa cosa è successa con le occupazioni: la linea morbida del sindaco, che ha fatto riallacciare l’acqua agli occupanti, gli è valso un’indagine a carico per abuso di ufficio da parte della Procura di Bologna, e il plauso e sostegno da parte di tutta la società civile e politica. Il primo cittadino ha motivato spontaneamente così, la sua presa di posizione: «Una scelta dettata dall’urgenza e dalla necessità di tutelare i diritti costituzionali e i soggetti deboli quali i minori presenti nello stabile occupato».

Altra mossa, altro segnale di netta indipendenza. Arriva a luglio: «A Bologna, il sindaco ripristina l’articolo 18», titolano i giornali. Di fatto, Virginio Merola ripristina, del tutto in controtendenza con il Jobs act, l’articolo 18 negli appalti pubblici. Comune, sindacati e imprese firmano un nuovo accordo che regolerà le gare pubbliche, nel quale viene previsto il rispetto dei contratti nazionali e della clausola sociale, che garantisce in caso di cambio d’appalto il passaggio di tutti i dipendenti, riservando più punti a chi assume lavoratori svantaggiati. Garantendosi l’appoggio dell Cgil.

E ancora: no alle vendite delle quote della multiutility Hera, critiche al Governo per i tagli agli enti locali e alle Città metropolitane, e ultima iniziativa di ieri: al via una raccolta firme per istituire il diritto d’asilo europeo.

Certo, Merola, non ha mai attaccato Renzi direttamente, anzi. Ha seguito l’onda nazionale come un fedele soldatino del partito doveva fare. E non è certo un cuor di leone. Ma una cosa è innegabile: a livello amministrativo, piaccia o meno, continuerà ad andare per la sua strada – che questa coincida o meno con quello nazionale. E probabilmente no, visto che volge a sinistra.