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La maggioranza invisibile

Questa settimana si va in  piazza e si cerca di capire come può far bene Maurizio Landini, unico a tentare con la sua “colazione sociale” una reazione alle riforme del governo Renzi che ha smantellato lo statuto dei lavoratori e ora marcia alla volta della legge elettorale.

Emanuele Ferragina e Alessandro Arrigoni (autori de La maggioranza invisibile), spiegano su Left chi compone la maggioranza invisibile del nostro Paese, uomini e donne resi invisibili da una politica cieca e da un sindacato vecchio incapace di rappresentarli da  anni. Neet, precari, disoccupati, pensionati non abbienti, giovani donne. Reddito minimo, redistribuzione, welfare state universale e molto altro, leggerete le loro proposte per Landini.

Ma non solo, Felice Casson, candidato del centrosinistra, intervistato da Tiziana Barillà vi racconterà i suoi progetti per Venezia; Ilaria Giupponi vi spiegherà che la nuova legge sul divorzio non ha toccato il divorzio (!) ma semplicemente i tempi della separazione.  Ma a volte serve fuggire dall’Italia per scoprire per esempio che in Cina, nelle periferie di Pechino, artisti ed operai si incontrano e fanno arte insieme, come accade nel sobborgo di Hei Qiao; e in Paraguay dai rifiuti si costruiscono strumenti musicali per orchestre meravigliose come quella di Cateura e il suo maestro Favio Chavez.

Ma anche che Ayman Odeh è forse la novità più importante delle elezioni israeliane. Giovane avvocato arabo di sinistra ha ottenuto con la sua Lista araba unita un risultato eccezionale. Imperdibile in cultura l’intervista di Giacomo Zandonini a Femi Kuti, al grande musicista nigeriano che racconta del suo Paese e dell’eredità lasciatagli da suo padre il grande Fela Kuti, inventore dell’afrobeat.

Il numero di questa settimana chiude con un pezzo titolato “E davanti il mondo”. È lo splendido racconto che Giorgia Furlan vi propone per raccontarvi di uno strano webdoc. La storia di una storia, come dice l’autrice. La storia di un gruppo di ragazzi  convinti di fare davvero la cosa giusta. Buona lettura.

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La colta leggerezza di Paul Thomas Anderson in Vizio di forma

Tratto dal romanzo di Pynchon, è in sala Vizio di forma del regista Paul Thomas Anderson, che, dopo il drammatico The Master, qui si concede una ventata di leggerezza e colto divertissement, con un occhio all’interiorità del protagonista, interpretato da un Joaquin Phoenix in stato di grazia e l’altro rivolto al fittizio microcosmo psichedelico che lo avvolge.

Cinema, locandina Vizio di FormaIl film si dipana sulla falsariga dell’hard boiled d’ispirazione chandleriana, ma vive di contaminazioni surreali, divertenti e sorprendenti. Il detective Doc Sportello, basettoni e barba incolta, sandali ai piedi e giacca stropicciata, capigliatura rasta e sguardo torpido – provocato dalla cannabis e dall’alternativa tossica che si è dato a una vita di conformismo – indaga sulla scomparsa di un magnate, coinvolto in loschi traffici e speculazione edilizia, su invito della sua bella ex, intrigante aggiornamento della femme fatale del noir e delle ninfette di Woodstock. Lui ne è ancora innamorato e perciò si dedica al caso, ma, nel cercare il bandolo della matassa, impara sulla sua pelle che la realtà è una parvenza sfuggente e nel caso c’è un altro caso e un altro ancora, come in un gioco di bambole russe.

Così Doc si imbatte in una galleria di personaggi eccentrici, fuori posto, declinati in chiave postmoderna: poliziotti pseudo-fascisti con turbe psichiche; sassofonisti, dati per spacciati, che lavorano per la Cia e si nascondo in centri benessere zen; massaggiatrici orientali sollecite e vogliose; donne, sessualmente invitanti, compresa una procuratrice distrettuale che di Doc sente tutto il fascino; Black panthers e neonazisti con tatuaggi, complici all’occorrenza; avvocati cialtroni, impeccabili nella difesa del cliente; dentisti spacciatori e figlie di papà con i denti rifatti.

Alla galleria si aggiungono luoghi propri del genere: uffici di polizia squallidi, ville sontuose, appartamenti in penombra, strade battute dalla pioggia, stanze livide, ove il pericolo è in agguato, e velieri, che insinuano il desiderio di paesi esotici. E riferimenti espliciti: Chinatown, Il lungo addio, del maestro Altman, Il grande Lebowski. Chi ha amato questi film, qui si divertirà moltissimo, anche perché la trama è una suggestione di ispirazione letteraria, a cui vale la pena abbandonarsi come in un viaggio lisergico, attraversato da una nota di nostalgia, il rimpianto per un’America più sincera, che con Nixon e Reagan ha rinunciato alla sua controcultura e al suo sogno hippy.

Disastro Airbus, il comandante Alvigini: serve selezione psichiatrica dei piloti. Ma prima di volare

Si possono prevenire incidenti come quello della Germanwings? «Occorre una forte selezione dei piloti all’inizio. Magari attraverso un controllo affidato a psicologi, o meglio, a psichiatri. Perché in genere, nei controlli successivi periodici si valuta il pilota solo dal punto di vista tecnico e se ci sono patologie gravi, queste non si vedono». Claudio Alvigini è un comandante Alitalia che ha volato per 40 anni, con 16mila ore di volo alle spalle. È stato istruttore ed esaminatore anche sul Boeing 747.  Li conosce i bene i piloti, ma soprattutto sa come si svolgono i controlli periodici: «Erano tutti a livello tecnico, blandamente comportamentale».

Se Andreas Lubitz, il copilota del volo Germanwings che, secondo le ultime ricostruzioni, avrebbe fatto schiantare di proposito al suolo l’aereo, avesse avuto seri problemi psichiatrici, questo si sarebbe dovuto scoprire all’inizio quando è stato preso dalla compagnia aerea. «Una volta entrati, è difficile che l’istruttore se ne accorga, perché anche costui dovrebbe avere una preparazione psicologica che al momento non c’è. Per cui queste cose scappano, non si vedono».

Del problema “umano” ci si accorge quindi solo al momento del disastro.

«Sempre di più nell’aeronautica in tutto il mondo si sta prendendo in considerazione questo aspetto. Non a caso è nata proprio una branca di ricerca che si chiama Human factor – continua Alvigini – perché si verificavano incidenti che non avevano una spiegazione apparente, che non dipendevano né dall’assetto strutturale dell’aereo, né dalle condizioni atmosferiche avverse».

Il comandante ricorda un caso passato alla storia. «In Giappone una volta ci fu una lotta furiosa tra i due piloti, uno voleva farla finita e buttarsi a mare, l’altro glielo voleva impedire e alla fine l’aereo riuscì a fare una mezza planata sul mare poco prima della pista e i passeggeri si salvarono». Ma l’indagine è sempre a posteriori, quando l’incidente c’è già stato. Quando invece occorre prevenire,  prima, al momento della selezione.

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Zzzleepandgo l’idea italiana per dormire in aeroporto

Dormire comodamente in aeroporto in attesa del proprio volo e avere gli stessi comfort di una normale camera d’albergo: è questa l’idea da cui sono partiti tre giovani varesini. Il progetto si chiama Zzzleepandgo e altro non è che una cabina hi-tech di tre metri quadri, completamente insonorizzata, che offre la possibilità di riposare in tutta tranquillità e nella più totale privacy.

A disposizione per gli ospiti, oltre al letto, anche: servizio sveglia, wi-fi, film, musica, ampio piano di lavoro, zona riservata al deposito bagagli e addirittura la possibilità di cambiare il colore delle pareti. Appena il cliente entra nella stanza un sistema automatico fa partire l’impianto di ventilazione e il cambio della biancheria per la sostituzione delle lenzuola.

Ogni modulo ha un peso inferiore ai 500 Kg e l’igienizzazione della struttura avviene ogni 24 ore. Il tutto ad un costo di 8 euro per la prima ora che scende a 6 euro nelle ore successive. Gli utenti avranno anche la possibilità di prenotare la stanza via web o attraverso una app dal proprio smartphone. Il primo prototipo è stato costruito direttamente dai tre giovani che hanno lavorato per oltre un anno al progetto incontrando subito un imprenditore deciso a finanziarli.

Le prime cabine le vedremo a Malpensa in occasione dell’ Expo, ma ci sono altri scali italiani, come quello di Palermo, che hanno mostrato interesse per il progetto. Nel mondo esistono già aeroporti che utilizzano delle strutture simili. A Monaco ci sono le Napcabs, ad Helsinki le GoSleep e a Tokyo le Nine Hours, ma con costi orari per gli ospiti più alti e un livello di comfort decisamente minore. A differenza dei concorrenti, il prototipo italiano permette, inoltre, l’abbattimento delle spese di manutenzione grazie a dei sistemi completamente automatizzati.

Io devo continuare a scrivere

Il monologo su Left in edicola sabato 21 marzo “Io devo continuare a scrivere” è scritto da Sonia Alfano, ex eurodeputata Italia dei Valori, figlia del giornalista Beppe, ucciso l’8 gennaio del 1993 da un boss della mafia locale, e interpretato da Giulio Cavalli.

Ad aprile ritorna Games of Thrones

Grande attesa per il ritorno del Trono di Spade, ormai alla quinta stagione, previsto dal canale statunitense HBO per il 13 aprile 2015, in Italia su Sky Atlantic.

La serie è un piccolo capolavoro. In vetta alle classifiche di gradimento degli spettatori di tutto il mondo, abbonda di cliff hanger lasciandoci con il fiato sospeso alla fine di ogni puntata. Per capire come si svolge l’azione è fondamentale avere chiara la geografia del mondo fantastico di Games of Throne (non è un caso che la sigla della serie sia la mappa dei Sette Regni, sui quali governa egemone la nobile casata che siete sul trono di spade) che, molto spesso, connota anche moralmente i personaggi.

La capitale, Approdo del Re, è dissoluta e corrotta, «Qui tutti mentono». Il Sud è un oriente sconosciuto, governato da mercanti e tiranni, teatro epico per le avventure di Daenerys Targaryen, regina illuminata e ultima erede in esilio della dinastia che aveva forgiato il trono di spade. Infine ci sono la Barriera – una sorta di Vallum Adrianum che difende l’impero dai Bruti e dai misteriosi Estranei – e il Nord, governato dagli integerrimi Starks, ben consapevoli che il pericolo è alle porte e che, i giochi di potere della Capitale sono solo quisquilie che impediscono di fronteggiare il vero dramma: «L’inverno sta arrivando ». È proprio quest’ultimo elemento a riportarci alla realtà. L’inverno che avanza ha infatti tutta la dimensione di una crisi economica e morale che si prepara a inghiottire un mondo in cui i confini si sgretolano e i popoli ai margini dell’impero migrano in cerca di fortuna o superstiti dell’ennesima guerra. Nella quinta serie, l’“atlante” dei Sette Regni promette di ampliarsi ancora seguendo a oriente le avventure della piccola Arya Stark.

Se non siete amanti del genere fantasy non lasciatevi spaventare, l’altrove raccontato in Games of Thrones riesce, come nelle migliori distopie, a essere comunque una buona metafora del mondo reale e il vero punto di forza di tutta la serie è lo stesso intreccio della trama, costruito a regola d’arte. I protagonisti infatti sono moltissimi, ma tutti sacrificabili.

George R. R. Martin, autore di Cronache del ghiaccio e del fuoco da cui David Benioff e D.B. Weiss hanno tratto il telefilm, dimostra così che l’equilibrio narrativo non si regola sulle storie dei singoli individui, ma su quella collettiva all’interno della quale le loro vite si intrecciano e si scontrano. E allora tutto può succedere: in una sola puntata, quello che pensavamo il protagonista può venire giustiziato (Eddard Stark nella prima stagione) o, in un’altra, la gran parte dei personaggi principali possono essere trucidati d’improvviso a un banchetto di nozze. In ogni caso l’effetto suspense è assicurato.

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La gassosa, il francobollo

Antesignana per antonomasia delle più moderne bibite da sorseggio dal trend transoceanico e figlia di quella genuina fantasia imprenditoriale che potrebbe differenziare le produzioni del nostro Paese. Ignara protagonista dei più profondi cambiamenti che hanno attraversato la cultura della nostra società. La gassosa accompagna e addolcisce, da oltre un secolo, ricordi adolescenziali di svariate generazioni.

Alfiere indefesso di un’archeologia industriale che resiste e vanta eccellenti linee di produzione sparpagliate, come tante bollicine, in stabilimenti in ogni angolo della nazione. Produzioni genuine e smaliziate, indifferenti ai dettami del marketing prepotentemente imposto dalle grandi multinazionali, orchi famelici di tradizioni e abitudini. Sempre fresca e trasparente. Briosa e audace nel suo stile frizzantino e involontariamente retrò. Ghiacciata anche solo nell’apparenza. Liscia o a mezzi in combinazione con vino o birra. Al limone, al mandarino, al cedro, al caffè. Amara, amarissima, dolce o dolcissima, quasi sgasata o frizzantissima.

Da gustare al mare o al bar, durante i pasti post-scolastici. Consentita anche dalle suore e dai maestri più intransigenti, era il perfetto tonificante nei dopo partita di piazza. Per anni considerata come un proletario champagne operaio, economica sciccheria provinciale, tipico dissetante dei lunghi tornei di briscola che si svolgevano nelle storiche case del popolo.

Sono centinaia le ricette “segrete” tramandate, assieme alle migliaia di sfumature sensoriali. Eterna seconda, non v’è dubbio, sempre epicamente salva dalle crisi più profonde che hanno investito il mercato globale e le piccole imprese familiari. Originariamente fatta fermentare al sole e distribuita in vetro anche quando era antieconomico, con il tappo a pallina prima e con la chiusura a corona poi. La gassosa è un’indefessa rappresentante dell’ecologia industriale del nostro Paese, valore riconosciuto solo negli ultimi anni con l’avvento dell’“etica” geolocalizzata.

Ode alla gassosa, avrebbe scritto Neruda. Noi la vogliamo ricordare citando alcuni dei marchi che l’hanno resa grande, con la stessa solennità con cui Nicolò Carosio avrebbe scandito i nomi degli azzurri ai mondiali di calcio. Provateci voi: Di Iorio, Partanna, Luisia – Quattrone, Sete Fuentes, Gallo, Avena – Neri, Polara, Tomarchio, Paoletti – Chiurazzi, Marra, Arnone – Baldacci & Luperi. Allena il signor: Spumador.

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Da Firenze il via alla Coalizione Sociale di Landini

“Stiamo assistendo a una crisi totale della rappresentanza, sindacale e politica e allo smantellamento dei diritti, in nome del solo interesse del mercato”. Lo ha detto Maurizio Landini ieri in un Teatro Puccini di Firenze stracolmo. Nella città di Matteo Renzi giovani, anziani e anziane, mamme con i bimbi nei passeggini, si sono ritrovati numerosissimi, anche fuori dal teatro, ad ascoltare al freddo e in piedi le parole del leader della FIOM, che fuoriuscivano dalle casse allestite in tutta fretta per accontentare anche coloro che non erano riusciti a entrare.

Insieme a Landini, sul palco coordinati da Raffaele Palumbo: Daniele Calosi, Segretario della Fiom fiorentina; Francesca Chiavacci, Presidente Nazionale ARCI; Sandra Bonsanti, Presidente di Libertà e Giustizia; Silvano Sarti, Presidente dell’ANPI di Firenze; Don Andrea Bigalli, Coordinatore di Libera Toscana; Marianna Nardi studentessa universitaria del collettivo Sinistra Per. Tutti insieme alla presentazione di “Per la coalizione sociale” e della manifestazione FIOM del 28 marzo contro il Jobs Act; per provare a rifondare la politica dal basso, sull’esempio delle nostre vicine Grecia e Spagna.

“Se il sindacato non allarga la sua rappresentanza è destinato a finire. Bisogna unire ciò che stanno dividendo”.

Landini propone dunque una ricompattazione sociale per riaffermare quei diritti alla base della nostra Costituzione, che nemmeno Berlusconi era riuscito a smantellare. Ci sta riuscendo il Pd di Renzi, quel Pd che rappresenta – sottolinea il segretario – soltanto il 15% del corpo elettorale.

Oggi si è persa la distinzione “privilegiati” e non privilegiati” perché oggi “tutti siamo senza diritti”. “Si sta mettendo in crisi la tenuta democratica di questo paese e di tutta l’Europa. Stiamo perdendo pezzi interi del nostro sistema industriale e stiamo svendendo un patrimonio in termini di conoscenze e di competenze”.  “Gli studenti di oggi, domani non avranno un futuro”, incalza la studentessa Marianna e la sala si scalda ancora alle parole del partigiano Sarti e alla fine del suo intervento si intona “Bella ciao”.

Il clima è caldo, compatto, anche fuori le persone ascoltano attente. “Non dobbiamo conservare, ma cambiare, per la realizzazione delle persone attraverso il lavoro” grida adesso Landini e gli applausi sono tanti e allora prosegue: “manutenzione del territorio, lotta alla criminalità organizzata e all’evasione fiscale!”. Siamo di fronte a un passaggio epocale e c’è bisogno di ripensare un vecchio modo di fare politica, c’è bisogno di riunire le persone, c’è bisogno di progettazione.

Landini avanza un progetto di legge per uno statuto dei diritti dei lavoratori, una legge sulla rappresentanza. “Qualsiasi azione che fai è politica se la fai in termini collettivi!”, risponde così Landini a chi lo accusa di voler fondare un nuovo soggetto politico: “qui non si intende fare nessun partito, ma provare a rimettere in campo le forze civili e sociali, tutte insieme”.

“La coalizione sociale non si decide a tavolino, occorre una battaglia comune in ogni luogo, per la difesa della costituzione e del territorio, per il diritto al lavoro, alla scuola pubblica, per la lotta alla criminalità”.

“C’è bisogno di ricostruire una cultura, c’è bisogno di ricostruire una politica”. Dobbiamo di nuovo urlare il nostro “diritto di coalizione”, per un’Europa sociale e della legalità. Da Firenze stasera sembra che non manchino entusiasmo e volontà. Le delusioni sono state tante e cocenti fino ad ora, anche sul fronte di quei sindacati che hanno commesso gravissimi errori, ma forse vale la pena riprovare. Sarà banale ma… “l’unione fa la forza”: è bene ricordarcelo, per smettere di difenderci e basta e provare a costruire un progetto nuovo.