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Vietato indagare sulle aziende italiane che fanno affari con l’esercito israeliano. Giornalisti e attivisti nel mirino

Con la reazione genocidaria di Israele al crimine orrendo attuato da Hamas il 7 ottobre 2023, è ricomparso il bisogno di censurare ogni critica allo Stato ebraico, con il ricorso ad un pretestuoso quanto inflazionato “Discorso dell’antisemita”, sovrapponendo in maniera febbrile il diritto alla libera espressione, con l’emergenza dettata da una campagna d’odio cosmico. Ultimi a farne le spese, alcuni giornalisti e attivisti storici propal modenesi, che da ormai due anni organizzano un presidio stabile nel centro cittadino, sensibilizzando attraverso un bollettino l’opinione pubblica sul massacro in atto.

Un bollettino nel quale, racconta Flavio Novara, giornalista di Alkemianews.it, si è cominciato ad indagare sui legami che interessano le istituzioni locali e gli interessi economici israeliani presenti sul territorio. È partita quindi una verifica per progetti dual use dall’università di Modena e Reggio perché, a differenza di altre città, a Modena non si è mobilitato nessun movimento universitario pro palestina. Il campo si è allargato poi alla riconversione militare dell’automotive. In particolare il salto di qualità è avvenuto con il focus sull’azienda italo-israeliana di cybersicurezza Tekapp, con sede a Formigine. Secondo diverse inchieste giornalistiche si tratterebbe di una realtà che ha strette connessioni con la divisione 8200 dell’IDF.

Dal canto suo tramite i suoi legali l’azienda ha smentito ogni contatto con eserciti, governi o apparati militari di qualsivoglia Paese. Tuttavia dall’inchiesta di Novara sono saltati fuori inoltre dei correlati stridenti coi poteri pubblici, ad esempio il controllo del sistema di sicurezza di aMo, la società dei trasporti pubblici di Modena. È partita così una pressione sugli organi amministrativi cittadini, affinché cessasse questa collaborazione milionaria. Inoltre si è puntato lo sguardo sulle strette interconnessioni tra il comparto delle ceramiche e la stessa Tekapp, chiedendo di dismettere gli appalti sulla sicurezza.

Anche il boicottaggio dei prodotti Coop è stato portato avanti con successo, con interventi nelle assemblee della cooperativa che hanno spinto la dirigenza a promuovere la cessazione dell’acquisto di alcuni marchi israeliani. Comunicare verità scomode e presidiare permanentemente sul territorio ha consentito al gruppo di attivisti di divenire davvero incisivi. Tuttavia aggiunge Flavio, mai si sarebbero immaginati che sul Resto del Carlino sarebbe stato pubblicato un comunicato stampa della Tekapp, con una serie di argomentazioni che hanno cercato di smontare l’attendibilità dell’inchiesta svolta, annunciando di voler procedere nelle sedi più opportune contro il danno reputazionale. Conclude però ancora Flavio: «Noi non abbiamo fatto nient’altro che prendere ciò che l’azienda stessa ha utilizzato come campagna di marketing».

Ho parlato con l’altra protagonista della vicenda, Linda Maggiori, autrice ad aprile di un documentato articolo sul Manifesto, intitolato “Adotta il tuo cecchino”, che approfondiva con tanto di prove, i legami della Tekapp con gli hacker israeliani, provenienti dalla divisione 8200 dell’esercito israeliano. Linda mi spiega che la Tekapp opera in joint venture con Cilynx, agenzia di cybersecurity israeliana, formata da veterani dei servizi di sicurezza e dell’esercito, dove si metteva in rilievo questo slogan di Tekapp, per pubblicizzare i servizi destinati alle aziende di cybersecurity “proattiva”. Il depliant, inserito sul sito ufficiale, mostrava lo slogan “Adotta il tuo cecchino”, accompagnato dalle immagini di un cecchino che spara. Dopo l’inchiesta, il sito è stato in parte ripulito. E la Regione Emilia Romagna ha ritirato il patrocinio al convegno Zero Trust, organizzato dall’azienda, che vedeva la presenza di hacker israeliani e aziende di cybersecurity.

Linda Maggiori ha aggiunto che dopo la sua inchiesta due siti sionisti le hanno rivolto delle accuse assurde, infamanti e senza prove: sarebbe ricorsa a delle invettive razziste, fino a chiedere le espulsioni degli ebrei da Modena. Gli autori anonimi delle deliranti calunnie, accompagnate da foto, nomi e cognomi di Linda e degli altri attivisti, sono sul sito F4F, free for future, condiviso da un altro social, Israele senza filtri. Canali sionisti, abbastanza seguiti che fanno pura propaganda. Come racconta Eliana Riva su Pagineesteri.it, nel mirino sono finiti oltre Linda Maggiori e  Flavio Novara, definito “noto estremista”, e gli attivisti Giovanni Iozzoli e Manuela Ciambellini, etichettati rispettivamente come “personaggio oscuro” e “sostenitrice della battaglia di Hamas”. Il presidente della Regione è stato invece apostrofato come “utile idiota”.

Anche chi scrive questo articolo scopre oggi che la vicenda che lo ha riguardato per l’esposizione di una bandiera palestinese, dal proprio balcone di casa, è finito sui medesimi siti. La giornalista del Manifesto mi chiarisce che non si sa chi ci sia dietro queste sigle, ma dal momento che sporgerà denuncia per diffamazione, sarà compito della polizia postale individuare i responsabili. Sui siti si fanno altre farneticanti dichiarazioni, per le quali in particolare “l’antisemita” Maggiori sarebbe stata pagata da Cina, Qatar e Russia per portare avanti campagne diffamatorie quando notoriamente è proprio Israele a fornire apparati tecnologici di Cybersicurezza ai cinesi ed a Putin. Su Altreconomia, Linda ha messo in luce anche il traffico di armi illegale dal distretto lombardo ad Israele. In particolare aggiunge che hanno fatto passare come componenti civili anche dei pezzi di cannoni dagli uffici doganali di Milano e di Bologna.

I tratti tipici del potere, che attraverso la paranoia difende le proprie prerogative di disciplinamento delle coscienze, ha sovvertito i canoni della decenza. Gli unici ferventi difensori di un governo di fanatici integralisti sono diventate quelle stesse destre estreme, che non hanno mai spezzato i legami col fascismo, mentre ogni cittadino democratico che vacilla di fronte al “genocidio in diretta” viene dipinto con i tratti di uno scomposto antisemitismo viscerale. Israele in tal modo lega paradossalmente sempre più il suo destino all’antisemitismo stesso, laddove ogni elemento che impedisca o che ne critichi il disegno di egemonia viene a rappresentare l’ostacolo da eliminare con ogni mezzo, in quanto incarnazione del “delitto originario”.

È vero, innegabile: l’antisemitismo esiste e veglia su tutti noi, anche ahimè a volte a sinistra. Ma può un espediente simbolico nocivo determinare la Storia, senza che a quella tecnica venefica si accompagni la ricaduta in termini di capitalizzazione effettiva sull’agire collettivo, politico? Perché quella peculiare forma nefasta di razzismo che è l’antisemitismo ha una valenza così determinante, tanto che chi lo ha subito deve invocarne di nuovo un inesistente ricorso, per legittimare a sua volta i propri crimini? Perché questo cortocircuito etico alimenta una fase disumanizzante ed afona della traiettoria occidentale, tanto da assegnarle i caratteri di un definitivo punto di non ritorno? Bisognerebbe provare a far deragliare definitivamente dai binari della convivenza quei significati che il portato politico dell’invettiva assume, e addirittura della sua esigenza pretestuosa, per evitare che altri binari vengano di nuovo a trasportare verso l’abisso il tessuto stesso del nostro esserci. O il genocidio giustifica il genocidio e la lotta all’antisemitismo diviene l’assunto di quella neolingua da cui scaturisce il controllo totalizzante di ogni dissenso? Può la sedicente “unica democrazia mediorentale” seppellire il cuore stesso della libertà?

C’è una costante che attraversa da sempre, anche da prima della sua genesi, lo Stato di Israele e quella peculiare forma di manipolazione strumentale della realtà che è la calunnia.

Si può dire infatti che, da un’ingiusta accusa di tradimento, mossa nei confronti di Alfred Dreyfus, l’Europa conosce la trasformazione definitiva del secolare antigiudaismo medioevale, in un ben più funzionale e moderno antisemitismo. D’altronde, da un’accusa di cospirazione messa in opera nei truculenti Protocolli dei Savi di Sion nel 1903 e dai pogrom tremendi che l’accompagnarono e seguirono, il sionismo compie un balzo in avanti perentorio nella risposta alla questione ebraica.

Tuttavia la vicenda più significativa che segnerà l’atto di nascita definitivo dello Stato d’Israele, come spazio declinato ad una sovranità che celebra e trova la sua legittimazione ontologica nel culto della memoria della Shoah, sarà quello legato al processo di Gerusalemme. Qui di nuovo l’impegno civile della filosofia entrerà in cortocircuito con le istanze del Leviatano, come già era accaduto nella polis socratica. Hannah Arendt compie il suo gesto parresiastico, consegnandoci il ritratto del “male”, sottratto però a qualsivoglia aura metafisica. In tal modo infrange la narrazione della classe dirigente israeliana, in preda ad un vero e proprio riflesso schmittiano, e sarà attaccata incredibilmente per il suo “antisemitismo”.


L’autore: Marco Cosentina è insegnante

Immagine dal canale Youtube di Alkemianews

Genocidio del popolo palestinese: qual è la posizione del Sudamerica

I rappresentanti di oltre trenta paesi si sono riuniti martedì 15 a Bogotá, in
Colombia, per discutere e annunciare misure concrete contro Israele, di fronte al genocidio
del popolo palestinese. La riunione di emergenza è stata convocata dal Gruppo dell’Aia,
un’iniziativa fondata nel gennaio 2025 dai paesi del Sud globale, ad esempio della
mobilitazione mondiale che avvenne contro l’apartheid in Sudafrica.
Di fronte all’omissione delle grandi potenze occidentali alle continue violazioni del
diritto internazionale da parte di Israele, il vertice, guidato dai presidenti Gustavo Petro
(Colombia) e Cyril Ramaphosa (Sudafrica), segna uno sforzo senza precedenti per
coordinare le risposte diplomatiche e giuridiche di fronte allo stallo dei negoziati per un
cessate il fuoco.
La partecipazione della relatrice speciale delle Nazioni Unite sui diritti umani nei
Territori palestinesi occupati, Francesca Albanese, è prevista per oggi. La sessione si
concluderà con una conferenza stampa congiunta, una cerimonia di chiusura e una
mobilitazione simbolica dal Ministero degli Affari Esteri alla Plaza de Bolívar, nel centro
della capitale.
Quanto accade a Bogotá potrebbe essere definito come il tentativo del Sud del
mondo di trasformare l’indignazione globale in azioni concrete, e di recuperare i brandelli
di credibilità del diritto internazionale e umanitario.
Al momento, la posizione dei Paesi sudamericani a guida progressista sul genocidio perpetrato da Israele al popolo palestinese varia dalla rottura diplomatica alla pubblica condanna, senza però ulteriori passi concreti, da effettive misure economiche dei governi, come la scelta colombiana di sospendere le esportazioni di carbone verso Israele, alle richieste di responsabilità legale di Benjamin Netanyahu per crimini di guerra, presso la Corte Penale Internazionale.

Entrando nei dettagli, il primo Paese sudamericano a tagliare ogni vincolo con Israele è stato la Bolivia, il 31 ottobre 2023. Nelle tre settimane successive all’attacco terroristico di Hamas del 7 ottobre, Israele rispose militarmente con bombardamenti, che causarono 9.000 vittime, tra i civili palestinesi, perlopiù donne e bambini, e ciò ha portato il governo di Luis Arce (Movimento per il Socialismo) non solo a condannare verbalmente la «sproporzionata offensiva militare israeliana in corso nella Striscia di Gaza», ma anche a rompere i rapporti diplomatici ed economici con il governo di Benjamin Netanyahu. A seguito della decisione boliviana, anche Cile e Colombia ruppero i loro rapporti diplomatici con Israele.

Il governo cileno intrattiene relazioni diplomatiche con lo Stato di Palestina e ospita la più grande comunità palestinese al di fuori del mondo arabo, un dettaglio non da poco, dato che, storicamente, contribuisce all’impegno della diplomazia cilena a favore dell’autodeterminazione del popolo palestinese. Il presidente Gabriel Boric (Frente amplio) sostiene la proposta del governo spagnolo di implementare un embargo internazionale sulle armi a Israele e utilizza, senza mezzi termini, concetti come «genocidio» e «pulizia etnica» per definire la condotta del governo israeliano nei confronti della popolazione palestinese, rafforzando così il ruolo attivo del Cile nella difesa dei diritti umani e nella denuncia dei crimini di guerra commessi dall’esercito israeliano guidato da Benjamin Netanyahu.

Per quanto riguarda l’Uruguay, sebbene il presidente Yamandú Orsi sia alla guida di una coalizione di centrosinistra (Frente ampio) e, più volte, si sia presentato come erede politico dell’ex presidente Pepe Mujica (1935-2025) (che non ha mai esitato a denunciare il genocidio del popolo palestinese), lo scorso maggio, il suo governo ha annunciato l’intenzione di approfondire gli accordi di cooperazione bilaterale in materia di sicurezza, difesa, intelligence e cibersecurity con lo Stato di Israele.

Tra gli aspetti salienti dell’accordo, spiccano: la formazione e la consulenza per le Forze di sicurezza uruguaiane, l’acquisto di attrezzature di sorveglianza e tecnologia militare e lo scambio di esperienze in materia di difesa informatica e controllo delle frontiere. Occorre sottolineare inoltre che le ambiguità e le reticenze del governo uruguaiano stanno provocando diverse proteste popolari.

Per l’Asociación de Madres y Familiares de Uruguayos Detenidos Desaparecidos, il governo dovrebbe pronunciarsi «con chiarezza e responsabilità», poiché «i crimini di guerra» commessi da Israele sono documentati e, insieme alle risoluzioni di organismi internazionali, come la Corte Internazionale di Giustizia, «impongono il dovere di agire per porre fine all’impunità».

I presidenti di estrema destra, l’argentino Javier Milei (Partido Libertario) e il paraguaiano Santiago Peña (Partido Colorado) offrono il sostegno assoluto a Israele. Per quanto concerne il Perù, il governo autoritario della presidente Dina Boluarte, di orientamento conservatore e fortemente impopolare, si impone con un silenzio velato, mascherato da diplomazia. La repressione poliziesca nei confronti degli oppositori e degli attivisti per i diritti umani, nel corso degli anni, ha provocato decine di vittime e centinaia di feriti, sin dall’elezione di Boluarte, nel 2021. Attualmente, essendo in vigore il denominato «stato di emergenza», i diritti costituzionali dei peruviani, quali l’inviolabilità del domicilio e la libertà di manifestazione e di riunione, sono sospesi. Inoltre, a sostegno della Polizia Nazionale del Perù, per reprimere le proteste, ci sono le Forze Armate. Ammutolito e duramente represso, il mondo dell’associazionismo peruviano si affida così alle reti sociali per solidarizzare con i palestinesi.

Al momento, Bolivia, Brasile, Cile, Colombia e Venezuela hanno aderito alla denuncia contro Israele presentata dal Sudafrica alla Corte Internazionale di Giustizia (CIG), per cui Israele dovrà rispondere del crimine di genocidio contro il popolo palestinese.
Tuttavia, dall’ultimo Rapporto di Francesca Albanese (Special Rapporteur per l’ONU sulla situazione dei diritti umani nei territori palestinesi occupati dal 1967) emerge che, sebbene la Colombia abbia rotto i rapporti diplomatici con Israele nel mese di maggio 2024, circa sei spedizioni di carbone provenienti dal Paese sudamericano sono pervenute a Israele tramite la statunitense Drummond Company Inc. e la svizzera Glencore plc, per rafforzare la rete elettrica che arriva agli insediamenti illegali israeliani.

Inoltre, una approfondita inchiesta della giornalista colombiana Mariana Guerrero, pubblicata il 6 luglio, dimostra che nonostante il governo Petro abbia vietato la vendita di carbone a Israele dopo i suoi attacchi a Gaza, nell’ultimo anno sono state esportate dalla
Colombia quasi un milione di tonnellate: le eccezioni al decreto hanno permesso al commercio di continuare, sotto le protesta dei lavoratori. “Al di là del fatto che la vendita di carbone garantisca posti di lavoro alla nostra azienda, la vita viene prima di tutto. Quando un Paese agisce in modo bellicoso contro uno Stato debole, come quello palestinese, stiamo sicuramente dando una mano in termini energetici”, afferma Igor Díaz, rappresentante del Sindacato dei lavoratori dell’industria carbonifera, Sintracarbón.

per quanto riguarda il Brasile, in netta contrapposizione con le affermazioni di Lula, e la sua ferma condanna al genocidio del popolo palestinese, la Petrobras, azienda petrolifera, che ha come azionista maggioritario lo Stato brasiliano per il 50,26%, assieme a BP e Chevron, figura tra le maggiori fornitrici di petrolio e carburante in uso sugli aerei che bombardano Gaza.

Le considerazioni e i dati inseriti nel Rapporto di Francesca Albanese all’ONU, reso pubblico l’1 luglio, trovano riscontro nella lettera aperta, inviata a Lula il 25 maggio scorso, dalla Federação Nacional dos Petroleiros (FNP) e Federação Unificada dos Petroleiros (FUP), le due maggiori Organizzazioni sindacali che rappresentano lavoratori petroliferi e marittimi, dove chiedono l’immediata sospensione delle esportazioni del petrolio nei confronti di Israele. Entrambi i sindacati sostenevano già che il Brasile, rifornendo la macchina da guerra israeliana, si rendeva complice di crimini contro l’umanità. Nella suddetta lettera, scritta in rappresentanza degli oltre 17mila affiliati ai sindacati, i lavoratori chiedono con urgenza «un embargo globale completo sull’energia e sulle armi, affinché si possa porre fine al genocidio, smantellare l’apartheid e l’occupazione illegale di Israele», aggiungendo che «imporre sanzioni non è solo un dovere morale, ma anche una responsabilità legale di tutti gli Stati».

Secondo quanto dichiarato da Celso Amorim, principale consigliere di Lula per quanto riguarda i rapporti internazionali, il Presidente, dichiarato «persona non gradita» in Israele per avere paragonato Netanyahu a Hitler, starebbe valutando nuove azioni di pressione contro Israele, soprattutto in relazione agli accordi di cooperazione militare, tuttora in vigore; tuttavia, egli esclude la rottura completa delle relazioni commerciali e diplomatiche con il governo di Benjamin Netanyahu, ad esempio di Bolivia e Colombia. Il principale Consigliere di Lula per le relazioni internazionali afferma: «A mio avviso, la posizione corretta, oggi, è quella di partecipare alla causa intentata contro il Sudafrica per genocidio, mantenere le relazioni con Israele il minimo indispensabile e, infine, adottare una linea estremamente severa nei confronti dell’accordo di libero scambio, magari arrivando addirittura a sospenderlo».

Tali reticenze, silenzi e tentennamenti, per parte dei Paesi sudamericani, sono in netto contrasto con quanto storicamente ci si aspetterebbe dall’America Latina, una regione che possiede i più grandi giacimenti di uranio e terre rare al mondo, senza che ci siano, in contrapartita, potenze nucleari, come stabilito dal Trattato di Tlatelolco (1967), guerre fratricide tra i confinanti, o difficoltà a riconoscere la prevalenza del diritto internazionale rispetto alle leggi interne.

L’autrice: L’avvocata per i diritti umani Claudiléia Lemes Dias è scrittrice e saggista. Tra i suoi libri Le catene del Brasile.(L’Asino d’oro ed.) e il nuovo Morfologia delle passioni (Giovane Holden ed.) 

L’Unione europea dei vili

La decisione dell’Unione europea di non sospendere l’accordo di associazione con Israele, nonostante le evidenze di violazioni sistematiche dei diritti umani e del diritto internazionale, segna un punto di non ritorno morale. Il 15 luglio 2025, i ministri degli Esteri europei si sono riuniti a Bruxelles con dieci opzioni sul tavolo: dall’embargo sulle armi al blocco del commercio con gli insediamenti illegali. Non ne è passata nemmeno una.

È la fotografia plastica di un’Europa che si genuflette davanti ai propri interessi economici, incapace persino di fingersi indignata con coerenza. Agnès Callamard, segretaria generale di Amnesty International, ha parlato di “tradimento crudele e illegale” e di “uno dei momenti più vergognosi nella storia dell’Unione europea”. Ma i governi hanno preferito premiare il genocidio piuttosto che perdere un partner commerciale.

La codardia istituzionalizzata dell’Unione diventa oggi materia da tribunale: i giuristi di JURDI hanno depositato un ricorso alla Corte di giustizia Ue contro Commissione e Consiglio, accusandoli di complicità nello sterminio a Gaza e di violazione del trattato dell’Unione. Siamo oltre la diplomazia del silenzio: si tenta di istituire un principio giuridico che imponga di scegliere da che parte stare quando il diritto internazionale viene calpestato.

E l’Italia? Fa parte del coro. Aderisce a una linea di vigliaccheria europea che, mentre proclama la sua fedeltà ai diritti umani, nei fatti diventa complice dell’apartheid israeliano e della distruzione di Gaza. I leader dell’Unione, invece di rispondere ai tribunali della storia, potrebbero dover rispondere a quelli veri. E sarebbe persino tardi.

Buon mercoledì. 

Foto TimesofGaza

Saviano, carne da banchetto per il circo dell’odio tricolore

Ci sono voluti quasi 17 anni perché un tribunale sancisse che l’ex capo del clan dei Casalesi, Francesco Bidognetti, e il suo avvocato hanno pubblicamente minacciato lo scrittore Roberto Saviano e la giornalista Rosaria Capacchione.

La lunghezza del processo afferisce alla condizione della giustizia italiana, ma ciò che è accaduto in questi diciassette anni fuori parla chiaramente di noi. Sono diciassette anni che politici, leader di partito e perfino ministri giocano sulla carne avanzata di Roberto Saviano una sporca partita di propaganda. Sono diciassette anni che giornalisti, scrittori, “intellettuali” pasteggiano su Saviano trasformando la sua protezione in un onore da meritarsi, alla stregua dei fascisti con la cittadinanza.

Sono diciassette anni che si usano le minacce inflitte a Roberto Saviano come nervo scoperto da trasformare in cappio. Accade ogni volta che non si è d’accordo con una sua opinione, ogni volta che si vuole debilitare un suo atto d’accusa, ogni volta che si esulta per un suo insuccesso.

Diciassette anni dopo, come un film girato fuori tempo massimo, si ritorna alle minacce a Roberto Saviano e diventano tangibili le proporzioni dell’erosione che gli è stata inflitta.

Lui si è lasciato andare a un pianto liberatorio, ma non c’è liberazione. La delegittimazione ha funzionato benissimo e per quella non c’è possibilità di processo riparatore. Roberto Saviano è stato appiattito sulle minacce che ha subito: onere e onore, in un gioco che piace moltissimo alla mafia. Lui come carta velina schiacciato sul fondo.

 

Buon martedì

 

In foto Roberto Saviano ospite di Tintoria in occasione della presentazione del suo libro L’amore mio non muore (Einaudi)

I TU, dieci anni in un cassetto di musica e di ironia

Sebastiano Forte e Federico Leo sono I TU, che, ammettono con ironia, è il nome meno “googolabile” in circolazione, ma sui social si trovano come “TU la band”. Perché questo nome, gli chiedo come prima cosa:

Federico: “Cercavamo un nome. Prima ci chiamavamo “Forte vs Leo”, una strana band: andavamo in giro ad improvvisare delle cose senza darci mai un canovaccio. Poi è venuto fuori un primo brano e ci chiedevamo: “Come ci chiamiamo?” e a me è venuto in mente “TU” perché era un po’ l’italianizzazione di DUE e anche perché in quel periodo suonavamo qualsiasi musica possibile, la musica “che vuoi tu”. Poi la formula è cambiata, ma siamo rimasti in due”.

Sebastiano: “È rimasto il nome del primo disco che si intitolava Non avrai altro DUO all’infuori di (TU) e quindi a quel punto era un gruppo in seconda persona in tutto e per tutto. Abbiamo capito anche che, man mano che il tempo passava (questo gruppo ha poco più di 10 anni), che la parola Tu è sempre più relegata ai margini delle comunicazioni. C’è sempre solo un gigantesco IO. Noi stiamo aspettando che questa parola sparisca come pronome personale così la gente che cercherà “TU”, troverà il nome proprio di una band che fa cose varie e sono “I TU”! Quando il tu sparirà come pronome, resteremo solo noi!”.

Sebastiano e Federico sono “due immigrati del Sud Italia, con la valigia di cartone”, come gli piace raccontare.  Forte, dalla provincia di Siracusa, arriva a Roma nel 1997 per studiare psicologia e poi, al conservatorio di Frosinone, chitarra e composizione jazz. Da bambino suonava il clarinetto, adesso lo strumento principale è la chitarra, però poi suona quello che serve: dal pianoforte alle tastiere, non tralasciando il basso.

Leo da un’altra provincia, quella di Lecce, arriva nella capitale nel 2003 per studiare grafica e progettazione multimediale alla facoltà di architettura a Valle Giulia e parallelamente in un’accademia musicale romana, che poi è diventata Fonderia delle arti. Anche lui ha studiato al ìconservatorio di Frosinone arrangiamento jazz e batteria. Suona prevalentemente la batteria, ma facendo anche il produttore musicale, maneggia un po’ di tutto, ma non è strumentista, ammette.

Si incontrano nel 2015 e realizzano l’album Non avrai altro DUO all’infuori di (TU), poi si dedicano anche alla televisione, al teatro, al web. Sono inviati speciali per Rai 3 al Concertone del Primo Maggio nel 2018; protagonisti di lavori per RaiPlay; diventano virali sui social per “Tutto Sanremo in 5 minuti”, un esilarante medley dei brani con testi da loro rivisitati. Li abbiamo visti al Data Comedy Show di Rai Due, sono stati poi protagonisti dello speciale “Master of Comedy” su Comedy Central e prossimamente li vedremo tra gli ospiti del nuovo programma In & Out su TV8.

Tornano sulla scena dopo 10 anni dal loro primo album con il nuovo intitolato Cassetto, uscito lo scorso 13 giugno. Presentato al Monk di Roma, l’album vanta tantissimi ospiti, ed è bello citarli tutti: Avincola, Carolina Bubbico, Lucio Leoni, Lepre, Francesco Forni. E ancora, il maestro Pino Marino, lo scrittore e musicista Ivan Talarico, il comico Francesco De Carlo, l’autrice e attrice Federica Cacciola, l’attrice e cantante Violante Placido.

Sono ironici, simpatici, ma guai a definirli comici. Su tutto sono due musicisti professionisti che giocano, nel significato più positivo del verbo, con la musica per improvvisare, sorprendere e spiazzare. Nei loro testi ci sono sentimenti, nostalgie; che siano melodie blues o rock, si parla di vita soprattutto, non sempre per mezzo di metafore. Di loro stessi dicono: “Siamo difficili da spiegare”. Ma forse troppe parole non servono. Ci basta ascoltare i loro brani e per adesso adesso andarli a vedere il 27 luglio dal vivo al Teatro India nello spettacolo di Francesco De Carlo.

Ripartiamo dal disco Cassetto: è il risultato di 10 anni di lavoro?

F. O di un non lavoro di 10 anni (ride ndr). Sì, dopo il primo disco, l’anno dopo era già pronto quello che era il secondo album, o parte di quello che era il secondo album. Però quando era finito, lo abbiamo riascoltato, ci piaceva molto e ci siamo chiesti cosa farne. Quindi abbiamo detto di provare a fare altre cose, a trovare po’ di seguito e solo quando lo avremmo avuto, allora il disco era pronto per essere ascoltato. Abbiamo portato ai minimi termini la nostra personalità, ci siamo chiesti che cosa ci contraddistingue. Ci contraddistingue il fatto di essere due curiosi della musica, che sanno suonare più o meno tutto, che la sanno analizzare, la sanno capire, forse la sanno raccontare e quindi è nata la prima serie che era PosiscionTU (una webserie con cui molti li hanno conosciuti ndr), che racconta la seconda posizione dei singoli più venduti in Italia ogni settimana. Abbiamo iniziato analizzando e prendendo un po’ in giro la classifica, poi abbiamo cominciato a suonare i brani della classifica in maniera un po’ nostra, ovvero facendo emergere il carattere delle canzoni che non arriva al primo ascolto. Poi da lì è arrivata la Rai che ha detto “bello”, chiedendoci di farlo sui grandi della canzone italiana, utilizzando il materiale delle Teche Rai, e quindi abbiamo fatto “Happy Birthday TU”, raccontando nei giorni del compleanno, i grandi artisti della musica italiana. E poi da lì, per una serie di fortunati, o sfortunati, eventi ci siamo ritrovati nel mondo della comicità e abbiamo cominciato a collaborare con Francesco De Carlo, abbiamo fatto i live per “Comedy Central”. Insomma, abbiamo fatto tutta una serie di cose che non ci aspettavamo.

S. In questi giorni c’è In & Out, questo programma comico di TV8 e in ogni puntata ci siamo pure noi a suonare dei brani, insieme a Francesco De Carlo.

F. Questo album c’è sfuggito. È stato lì nel “cassetto”. Siamo stati distratti dall’ironia, dal rapporto con la comicità. Giocare con la musica ci ha portato lontano dalle canzoni. Alcune erano scritte e ne scrivevamo altre. L’anno scorso ci siamo resi conto che queste canzoni erano pronte, cominciavano ad uscire.

S. Alcune le abbiamo fatte uscire, anche slegate dal concetto di album. Poi abbiamo deciso di farle uscire insieme con un disco. Abbiamo pensato di chiamare degli amici perché non volevamo stare da soli. Erano tutti brani per i quali richiedevamo un aiuto.

F. Quando abbiamo cominciato questa avventura di coinvolgere altre persone, ci siamo innamorati di questa cosa perché vedevamo che poi quando arrivava qualcuno, e metteva il suo, le canzoni prendevano una vita inaspettata, diventano diverse, ma più belle. Non potevamo più farne a meno, ci chiedevamo chi le potesse cantare e facevamo associazioni strane tra i nostri amici e siamo riusciti a far cantare un pezzo metal a Ivan Talarico, che non succederà mai più nella vita!

Dieci brani, dieci artisti ad impreziosirlo, per un risultato diverso ogni volta. Un contributo per l’interpretazione perché testi e musica sono vostri o anche idee per una migliore esecuzione?

F. In realtà alcune volte hanno contribuito alla scrittura dei testi. Ivan (Talarico ndr), per esempio, ha scritto la melodia di “Portami là”; abbiamo buttato via tutta la parte cantata e abbiamo detto “adesso ci scrivi una cosa tu!”. Oppure, il ritornello di “Chiamami” è stato scritto e cantato da Lepre.

S. Pensavamo che Lepre stesse venendo a registrare la strofa e invece ha detto “Secondo me, dobbiamo scrivere un ritornello”. Abbiamo riscritto insieme una cosa totalmente diversa, che è diventata il ritornello di quel brano. Abbiamo dato totale libertà, non ci siamo sentiti padroni dei pezzi, della musica. Per noi la musica è una cosa che, per come è nata, cambia quando incontra gli altri, come è sempre successo. Da un punto di vista musicale, abbiamo suonato quasi tutto noi due. Però Francesco Forni, in “Lasciami qui” (‘nell’autogrill’, prosegue il titolo ndr), ha fatto un bellissimo assolo di chitarra; su “Senza paura”, che è l’ultimo brano del disco, oltre a Violante (Placido ndr), che è anche scritto insieme a noi il testo, perché lo ha preso e lo ha personalizzato, ci sono gli archi di Carmine Iuvone, a cui abbiamo dato carta bianca. Su “Chiamami” ci sono le tastiere di Andrea Pesce “Fish”. Invece, su ogni brano c’è una voce diversa.

F. Anche in maniera atipica. Su “Feste anni 70”, Francesco De Carlo ha quasi improvvisato un pezzo di Stand Up all’interno di una canzone strumentale. Anche Federica Cacciola, in “Talent”, ha fatto degli interventi esplicitando il significato della canzone con dei commenti puntualissimi, molto simpatici.

Avete fatto un live al Monk, a giugno, che ha avuto un grande successo di pubblico. Non state pensando a replicare o a fare altre date?

F. La prossima cosa che faremo dal vivo, è il 27 luglio al Teatro India, una serata insieme a Franceso De Carlo, una cosa orientata più sul lato comico però suoneremo anche qualche brano del disco per ripresentarlo. Ci saranno lì un sacco di ospiti e ci saranno altre persone, ma non abbiamo in mente una scaletta. Sarà una serata imprevedibile come saranno tutte le serate con Francesco in cui può succedere di tutto anche all’ultimo momento.

Vi definite “simpatici”, ma non comici in qualche modo siete arguti, pungenti, ironici, divertentissimi direi, come del resto i titoli dei vostri brani. Tutti questi connotati che apporto danno alla vostra produzione musicale?

F. Credo che la musica, come tutte le arti, sia una questione prima di tutto emotiva, non tanto di messaggio, ma ha che fare con le emozioni. Quando un artista (uso il termine impropriamente) si mette a scrivere, si dà un tono e parla di cose molto serie. Dell’ironia si fa sempre poco uso. Noi siamo appassionati di ironia, ci piace tanto, molto di più della comicità ecco perché non siamo comici. La comicità vuole fare ridere, noi non vogliamo far ridere, vogliamo spiazzare e nemmeno lo vogliamo fare apposta, semplicemente all’interno degli ingredienti che usi ci metti anche l’imprevidibilità o l’ironia in cui anche se ti prendi sul serio, ti prendi in giro mentre ti prendi sul serio. Diventa tutto spiazzante, entrano in campo quegli elementi che ti fanno sorridere perché hai la sensazione di vuoto. Quando ascolti le canzoni de I TU, non sai mai bene che cosa sta succedendo, devi essere serio, devi ridere. Questa sensazione di vertigine ci piace tanto, ci piace rincorrerla. La comicità è un’altra cosa. Quando si utilizza l’ironia in questo fantastico mondo che è pronto ad incasellarti sempre da qualche parte (e lo è sempre di più: tutto deve avere la stessa durata; essere descritto con un aggettivo e basta; il programma giusto), allora viene fuori che I TU sono due comici perché è più semplice da dire, però non è così perché quelli che fanno i comici lo fanno veramente e sono più bravi di noi. Noi siamo due musicisti che utilizzano l’ironia e questa cosa è sicuramente rara e non lo era un po’ di tempo fa se si pensa a Cochi e Renato o a Enzo Jannacci. Oppure Elio, che sono una band incredibile che alla fine fanno LOL. Questo è un buco nel sistema, non dovrebbe succedere.

S. L’elemento che fa ridere, che fa sorridere, è l’elemento della sorpresa. Il sorprendere, il voler sorprendere, non nel senso di fare uno sgambetto, nel senso di trovare una cosa inaspettata per quanto mi riguarda, per me ascoltare musica è questo. Un disco in cui non ho avuto sorprese è poco stimolante.

Come è il momento musicale che viviamo? O meglio, qual è il vostro pensiero su come sta la musica italiana, di cui spesso si dice che non sta messa bene…parlo di fantasia, soprattutto.

F. Se parliamo di musica, io credo che come sempre ci sia tantissima musica bella in giro e tante persone che la fanno ad altissimo livello in Italia e nel resto del mondo, soprattutto nei luoghi dove meno me te lo aspetti. Se parliamo di mercato discografico, io credo che sia veramente malatissimo perché succede quello che Federica Cacciola, presentando il brano al Monk, ha detto sul palco, ha sciorinato la formula “noi siamo al mondo anche oggi, ma adesso vi portiamo a un Talent, poi vi facciamo un contratto, poi il giro dei palazzetti, poi gli stadi e poi vi prosciugheremo faremo in modo che non avrete più una goccia di creatività”. Questo è più o meno quello che succede. Il problema è che oltre alla creatività, gli si prosciuga anche il denaro. È l’artista che si presta ad essere non produttore, ma prodotto.

S. Un prodotto indebitato soprattutto!

F. Il mercato è sempre stato mercato. La differenza con quello che è successo negli anni Settanta è che allora i dischi li poteva fare un cantautore su 100, non c’erano le risorse per farlo. In un modo o nell’altro si investiva su dei talenti, c’era una scrematura, adesso i dischi li possono fare tutti e c’è tantissima musica, non sempre di altissimo livello. Io sono un fan dello streaming, però se un brano esce e non viene messo dentro le playlist per essere spinto, e quindi acquisire credibilità, stream o poi andare a suonare in quei due o tre festival, allora succede che hai buttato un disco e questa cosa può succedere perché i dischi costano poco. Se invece costassero tantissimo, uno farebbe un contratto per tre album, seguendo l’artista in un percorso di almeno 10 anni. Io non ho una risposta a come uscire da questa cosa, a parte una che a un certo punto credo che bisogna cancellare i numeri. Se Spotify smettesse di far vedere i numeri mensili di un artista e le stream del brano e facesse la stessa cosa Instagram, togliendo i follower, noi in un secondo avremmo un mondo che sarebbe di nuovo piatto e ognuno ascolterebbe quello che vuole ascoltare e non quello che una piattaforma ti dice di ascoltare.

S: Sei un “mondo-piattista” (ride ndr). Stiamo parlando di capitalismo e di lotta al capitalismo selvaggio perché non è che il mercato musicale segue canoni diversi. Se chiedi come sta la musica, è come se chiedi come stanno le verdure, sono un prodotto. Dipende da dove le vai a prendere: trovi quelle del contadino, che hanno un sapore pazzesco, e trovi quelle che hanno lo stesso sapore di Tony…(emh) Acca, una cosa artificiale. C’è chi “magna tutto” e c’è chi dice che vuole qualcosa che gli piaccia. Non aver paura di dire che ti piace un artista che piace a pochi, e sentirlo anche se non ha i numeri, oggi diventa una scelta coraggiosa. Ascoltare quello che va per la minore, ma anche che ci piace.

F. Insomma, ci sta altro. Ci stiamo noi che abbiamo fatto un live al Monk e non siamo la band da classifica. Abbiamo venduto un sacco di vinili. Abbiamo fatto un concerto in cui non volevamo guadagnare nulla, abbiamo dato tutto in beneficenza. Le nuove generazioni, la Gen Z, sta già risolvendo questo problema andando fuori da questi circuiti, organizzando i concerti in luoghi altri che non siano i club. Sta ricominciando “una pulizia” che, probabilmente, tra qualche anno porterà a qualcosa di buono. Poi il mercato troverà sempre il modo di fagocitare, però adesso si sta separando in maniera automatica il mercato dalla musica.

Cassetto” è un insieme di tante cose. Il lavoro di tanti anni, un lavoro condiviso con artisti e amici, la possibilità di suonare live come piace a voi. Ci sono altre cose, al momento, nei vostri cassetti personali?

S. Questo disco ci ha fatto effetto borsa di Mary Poppins. Tiri fuori tutto, ma ci sono ancora un sacco di cose dentro, escono possibilità. È un po’ quello che abbiamo capito quando abbiamo iniziato a far cantare i brani a qualcun altro: si sono creati rapporti, altre possibilità, altre energie. Stanno nascendo altri brani, ci sono cose in potenza che cominciano a prendere forma nelle nostre idee.

F. Non ci sono altre canzoni nel cassetto, le abbiamo tirate tutte fuori, ma nel nostro caso è l’ultimo dei problemi. Ci ha fatto venire voglia di scrivere canzoni nuove e di scriverne per altri. Ci è presa tantissima voglia di suonare dal vivo, cosa che non facevamo da tantissimo come I TU. Adesso stiamo realizzando che faremo altri concerti di “Cassetto” in giro per l’Italia.

Portuali bloccano armi destinate a Israele: “Non saremo complici di un genocidio”

Lunedì 14 luglio la Ever Golden è attraccata al porto del Pireo. La nave, proprietà giapponese e battente bandiera di Panama, ad Atene deve scaricare 75 fasci di acciaio di tipo militare proveniente dall’India. I lavoratori portuali organizzati nel sindacato Enedep, però, hanno affermato: «non scaricheremo un solo grammo di questo carico di morte». Perché? Perché la destinazione finale della merce, dopo il trasferimento che dovrà avvenire dalla Ever Golden alla Folk Dammam, di proprietà del fondo saudita Saudi Public Investment Fund (Pif), è il porto israeliano di Haifa. «Questo carico di guerra, se scaricato e trasferito, finirà per essere usato per colpire civili, ospedali, scuole, bambini, neonati, donne nel massacro portato avanti dallo Stato assassino di Israele contro il popolo palestinese”, ha scritto il sindacato greco. “Il nostro obiettivo è bloccare lo scarico e impedire il trasferimento di questo carico di morte. Non macchieremo di sangue le nostre mani, non diventeremo complici. Il porto del Pireo non è l’avamposto degli Usa, della Nato, dell’Ue o degli speculatori di guerra».

 L’iniziativa dei portuali greci è l’ultima in ordine di tempo da parte di lavoratori e lavoratrici che con le loro azioni agiscono per rompere la catena di complicità che rende possibile il genocidio israeliano in Palestina.  Agli inizi di giugno erano stati i portuali di Marsiglia prima, Genova e Salerno poi, a incrociare le braccia quando scoprirono che la Contship Era, di proprietà dell’israeliana Zim, avrebbe dovuto caricare ben 19 pallet di pezzi di ricambio per mitragliatrici. «Non parteciperemo al genocidio orchestrato dal governo di Israele», dissero i portuali del sindacato Cgt a Marsiglia e scioperarono per dar seguito, coi fatti, alle loro parole. «Non saremo complici del genocidio che prosegue a Gaza», gli fecero eco i portuali del Calp di Genova.

 Nella diserzione del genocidio israeliano e, più in generale, della guerra, ai lavoratori portuali si sono aggiunti quelli degli aeroporti. L’8 luglio i sindacati Sud Aérien e Cgt Roissy comunicano agli iscritti di essere venuti a sapere che si prevede che «un carico di materiale militare destinato a Tel Aviv parta domani dall’aeroporto di Roissy-Cdg. Di fronte a questa grave situazione, […] riaffermiamo che mai un solo lavoratore o una sola lavoratrice di Roissy dovrà rendersi complice, contro la sua volontà, di un crimine di guerra o di un trasferimento di armi verso uno Stato che viola il diritto internazionale» La Cgt concludeva il suo comunicato affermando che «un sindacalismo di classe non difende solo i salari. Rifiuta la guerra, la repressione e ogni complicità con questi crimin». La reazione di imprese e istituzioni di fronte a queste azioni è tutt’altro che tenera. Erik Helgeson, lavoratore da vent’anni al porto di Goteborg in Svezia, è il portavoce della Swedish Dockworkers’ Union. Un sindacato che nel suo “curriculum” ha la lotta contro l’apartheid in Sudafrica e contro la dittatura di Pinochet in Cile. A dicembre 2024 decide di bloccare il carico e scarico di qualsiasi materiale militare proveniente da o destinato a Israele: «Quando almeno 3mila bambini palestinesi sotto i 5 anni sono stati uccisi, i nostri membri si sono rifiutati di continuare come nulla fosse«, aveva affermato Helgeson in quell’occasione.

A febbraio, quando dalle parole erano passati ai fatti, proclamando sei giorni di blocco di 20 porti svedesi contro i carichi militari destinati a Israele, Helgeson è stato licenziato dalla Dfds, l’impresa danese di cui è dipendente e che controlla la maggioranza dei terminal di Goteborg. Dfds lo accusa addirittura di essere una minaccia per la “sicurezza nazionale”. Helgeson è tutt’altro che pentito: «la solidarietà è fonte di potere. Se non hai una cultura della solidarietà che va oltre le questioni quotidiane, allora verrai isolato quando sarà il tuo turno».Luigi Borrelli, invece, è un lavoratore della Gda Handling, impiegato da anni all’aeroporto civile di Montichiari, Brescia. Il 9 luglio ha ricevuto una lettera di contestazione con cui gli si imputa di aver divulgato informazioni che hanno violato il “dovere di riservatezza” e messo a rischio la sicurezza aeroportuale.La “colpa” di Borrelli, Rsa dell’Unione Sindacale di Base e RlsL, è di aver reso noto che il 24 giugno l’aeroporto civile sarebbe stato teatro del carico di materiale bellico. Usb aveva dunque proclamato uno sciopero, esclusivamente per i lavoratori addetti a quelle specifiche operazioni. Sciopero peraltro annullato vista la cancellazione del volo e del carico di missili. Ciononostante la Commissione di garanzia dello sciopero ha condannato lo sciopero perché avrebbe interrotto un servizio pubblico essenziale. Caricare armi è quindi un servizio pubblico essenziale?

Dalla Francia alla Svezia, dalla Grecia all’Italia, questi lavoratori e queste lavoratrici stanno mostrando all’intero continente che se guerre e genocidio possono andare avanti è solo grazie a una lunga catena di complicità dei nostri Paesi, che va dalla produzione al trasferimento di armamenti. Ma fanno di più: non si limitano a indicare con la parola, ma mostrano coi fatti che possiamo fare qualcosa: oggi sono un granello di sabbia nell’ingranaggio bellico e genocidario, capace di rallentarlo e far saltare alcune operazioni. La moltiplicazione dei granelli, però, ha le potenzialità di produrre un blocco complessivo. Di questo ha paura chi, invece, prosegue nella sua complicità con guerra e genocidio. Ha paura perché “sente” che i lavoratori, per quanto potere politico e mediatico provino a convincerci del contrario, sono tutt’altro che “senza potere”. In particolare alcuni segmenti, posizionati in settori e luoghi chiave dell’apparato produttivo e distributivo hanno il potere, se organizzati, di mettere alle corde un intero sistema. È una consapevolezza di cui far tesoro se vogliamo fermare la tendenza a guerra e riarmo, cioè la strada intrapresa dalle classi dominanti di tutto il continente, siano esse di destra, centro o sinistra.

L’autore: Giuliano Granato è portavoce di Potere a popolo

foto porto dl Pireo Adobe stock

Come un solo corpo, per resistere: solidarietà a Francesca Albanese

Solidarietà da solidum “tutt’uno”, «qualcosa di intero, di indiviso, completo, spesso in opposizione a ciò che invece è frammentato e spezzato. E così, come un unico corpo, dovremmo riuscire a unirci, incontrarci e resistere. La solidarietà, in questi termini, diventa una “declinazione politica dell’amore”, come ha saggiamente osservato la rabbina americana Alissa Wise». Così scrive Francesca Albanese, giurista e relatrice speciale per le Nazioni Unite per i diritti umani nei territori palestinesi occupati, nell’Introduzione al suo ultimo libro edito da Rizzoli, Quando il mondo dorme.

E questo è proprio il momento della solidarietà, di diventare “tutt’uno” con lei dopo che da parte del segretario di Stato Usa Marco Rubio le sono state annunciate sanzioni, che lei stessa ha poi definito «oscene». Definizione alla quale ci sentiamo di fare eco. Le sanzioni Usa nei suoi riguardi infatti sembrano, in modo assolutamente malcelato, qualcosa di molto simile ad una ritorsione, una vendetta diretta alla persona per aver dimostrato e denunciato nel suo ultimo report From economy of occupation to economy of genocide quanto il genocidio dei palestinesi abbia a che fare con gli interessi economici e finanziari di di svariate aziende made in Usa (es. Google, Microsoft, Amazon, IBM, Booking, Caterpillar), ma non solo (di italiana c’è la Leonardo S.p.a.).

Quasi contemporaneamente alle sanzioni c’è stata poi la vicenda della pubblicazione attraverso un sotto dominio del governo israeliano di un link diffamatorio su Albanese. La vicinanza tra i due Stati – Usa e Israele – ci sembra trapelare anche dalla coincidenza temporale pressoché esatta tra la visita di Netanyahu a Trump e il successivo annuncio delle sanzioni alla Relatrice speciale. Mentre l’Ue ha espresso il suo sostegno ad Albanese, ad oggi rimane il silenzio più assoluto del nostro governo che ancora non è intervenuto in alcun modo per tutelare pubblicamente una cittadina italiana che subisce tali attacchi da Stati esteri.

Sul contenuto del report si sono esposti con una lettera aperta undici economisti di fama mondiale, Yanis Varoufakis in testa, per esprimere solidarietà e sostegno ad Albanese dopo l’annuncio delle sanzioni. A Lubiana, in una conferenza tenuta il 10 luglio, la stessa ha dichiarato: «Mi sanzionano, ma non mi hanno mai contestato i fatti» e in diverse interviste ha sottolineato come questa “attenzione” rivolta alla sua persona sia in realtà un’operazione tesa a distrarre l’opinione pubblica dal contenuto del report ma volta anche in qualche modo a intimidirla e quindi silenziarla. Allora ci chiediamo: attaccano la persona perché il contenuto del report è inattaccabile? Ciò che spaventa di più, probabilmente, è il fatto che questo report, che segue un rigore metodologico assoluto e un’obiettività estrema, ha di fatto una valenza politica, perché dimostra che viviamo in un sistema in cui gli interessi economici internazionali, nati dal libero mercato, hanno maggior valore dei diritti umani. È la manifestazione dell’homo oeconomicus che priva dell’umanità l’altro rendendolo animale da sfruttare o parassita, ostacolo, da eliminare. È la disumanizzazione infatti il primum movens che, in collusione con gli interessi economici, ha determinato nei decenni e continua a determinare le violenze sistemiche perpetrate nei confronti dei palestinesi, giunte oggi fino al genocidio.

Pensiamo quindi che Albanese vada difesa e protetta con ogni mezzo per quello che rappresenta per i palestinesi, perché con il suo lavoro e il suo mandato continua a portare alla luce verità scomode su quanto sta accadendo in quella terra. Per noi e per tanta parte della società civile che ogni giorno si rifiuta di chiudere gli occhi davanti al genocidio cercando nel suo piccolo di informarsi, boicottare e soprattutto di continuare a sentire – per quanto insopportabile – il dolore della carne piagata dei palestinesi che tutti i giorni muoiono nelle loro tende o in fila per il pane, il tempo della neutralità è finito da un po’. «Lottare per una causa giusta è un comando al quale alcuni di noi non sono equipaggiati per disobbedire» come scrive sempre Francesca Albanese nel suo ultimo libro. Questa lotta è in primis il rifiuto di anestetizzarsi davanti al dolore di un popolo vittima da troppo tempo di razzismo, apartheid, colonialismo d’insediamento, pulizia etnica e ora genocidio. È la richiesta che sia fatta giustizia. Come Albanese dobbiamo continuare a tentare come possiamo di ribellarci nonostante le difficoltà e le intimidazioni perché, lei ci avvisa, «le sanzioni funzioneranno solo se le persone saranno spaventate e smetteranno di impegnarsi».

Amnesty international Italia ha creato sul suo sito una pagina dove poter lasciare un messaggio di solidarietà a Francesca Albanese dopo l’annuncio delle sanzioni. La rete tutta, in realtà, si sta riempiendo di appelli, articoli e petizioni in suo favore, come quella per candidarla per al Premio Nobel per la pace, alla quale ci associamo (per firmare qui). Nella pagina di Amnesty, e veramente anche in questa montata di solidarietà, stima e amore diffusa che si può trovare anche nei commenti ai singoli post che riguardano la Relatrice Speciale, si ritrova un’umanità che riunita forma quell’«unico corpo» citato all’inizio, che serve a lei e a tutti noi per resistere. Siamo tanti, tantissimi, a sostenerla e a seguirla. La società civile ha bisogno di una persona come lei alla quale ispirarsi e dalla quale prendere a piene mani l’onestà e il coraggio per ribellarsi ad un presente che resterà ricordato nella Storia per il livello di violenza raggiunto con il genocidio del popolo palestinese. Siamo tantissimi e la conclusione di questa lettera la affidiamo per questo alle parole di chi come noi, incapace di rimanere in silenzio dopo gli ultimi aberranti avvenimenti e attacchi, ha deciso di scrivere parole di supporto per la Relatrice speciale Albanese. Alessia scrive «Ti vogliamo bene, sei la nostra speranza, continua nel tuo lavoro e nel difendere la vita e l’umanità delle persone. Lo sto facendo anche io da qui, come posso con i miei piccoli mezzi. Siamo tutti con te.». Aggiungiamo solo, Palestina libera.

Per aderire e esprimere solidarietà alla relatrice Onu Francesca Albanese scrivete a [email protected]

Gli autori: Carolina Carbonari, Rossella Carnevali, Filippo Montanelli, Ada Montellanico e Simone Roffi sono autori del libro “Esseri umani uguali” (L’Asino d’oro edizioni)

In apertura, l’opera di Harry Greb che lancia la campagna per Francesca Albanese Nobel per la pace. Il murale è comparso in via della Lungaretta a Trastevere (Roma)

Adesioni:

Fondazione Massimo Fagioli
L’asino d’oro edizioni
Rivista di Psichiatria e Psicoterapia Il sogno della farfalla
Sez. ANPI C. Martinelli Tiburtino Pietralata-Roma

Buongiorno, aderiamo all’appello di solidarietà a Francesca Albanese per il suo importante impegno per la Palestina.
Renzo Bacci – presidente Anppia Livorno (Ass. Naz. Perseguitati Politici Italiani Antifascisti)

Vorrei che questo mio messaggio arrivasse a Francesca che già apprezzavo moltissimo per i suoi Rapporti e per i suoi interventi in TV e su canali di informazione anche più seri ed obiettivi. In questi giorni l’ho apprezzata all’assemblea dellONU dei popoli a Perugia e durante la Marcia della Pace Perugia-Assisi dove ho camminato spesso al suo fianco ed ho visto in lei una giovane donna bella fuori e dentro, una persona saggia e trasparente, una mamma dolcissima con la piccola Leila (così credo di aver capito si chiami la figlia).
Grazie Francesca abbiamo davvero bisogno di te e di tante persone come te per sperare in un mondo migliore. Non ti fermare, non ci fermiamo!
Matilde

Intendo anche io inviare ed aderire a questo movimento di solidarietà, rivolto alla relatrice ONU, che ritengo molto prezioso. Francesca, e il suo lavoro, sono davvero importanti e non vanno sanzionati, silenziati e privati della loro libertà.
Stefano Nova

Grazie Francesca.
Mi fai sentire meno solo. Mi fai sentire.
Gian Luca Guerrini

Solidarietà e vicinanza totale a Francesca Albanese.
Dalla stessa parte, quella degli esseri umani.
Fausto Pellegrini, giornalista

Grazie grazie grazie a Francesca Albanese per parlare coraggiosamente dove tutti tacciono, davanti ad un genocidio inaccettabile. Resistere resistere resistere
Giovanna Como

Grazie a Francesca Albanese per il suo coraggio. Siamo tutt* con lei
Delio Niccolai

Piena solidarietà.
Attilio Tempestini

Un immenso grazie a Francesca Albanese per il suo coraggio, la sua resistenza e la sua profonda umanità. Gaia Ripepi

Aderisco all’appello come un solo corpo per resistere in solidarietà con Francesca Albanese.
Fausto Pellegrini – giornalista

Buongiorno, vorrei esprimere il mio pieno supporto a Francesca Albanese per il suo coraggio di parlare dove tutti tacciono di fronte ad un genocidio inaccettabile come tutti i genocidi.
Dott.ssa Heidi Ammermann

Totale solidarietà a Francesca Albanese. Svegliamoci tutti!
Sofia Diaz

Esprimo tutta la mia solidarietà a Francesca Albanese.
Elisabetta Amalfitano

Esprimo tutta la mia solidarietà a Francesca Albanese per gli ignobili attacchi a cui è stata, ed è tutt’ora sottoposta. Ma volevo anche ringraziarla per non aver taciuto, per quel suo tenere la schiena dritta. Abbiamo bisogno di persone così.
Antonella Sangalli

Solidarietà per Verità e giustizia.
Maurizio Tallariti

Per questa donna integra e coraggiosa tutta l’umana solidarietà per i suo coraggio per amore della verità.
Anna Giuseppina Schettini

La mia solidarietà a Francesca Albanese che dà voce alla popolazione Palestinese vittima di un genocidio di cui sono responsabili tutti i paesi che ancora sostengono il criminale Netanyahu.
Nadia Latini

Tutta la mia solidarietà a Francesca Albanese.
Claudio Di Stefano

Un grande abbraccio e un grazie a Francesca, una donna coraggiosa che con la forza non violenta della verità mette paura ai potenti.
Giampiero Minasi

Tutta la mia solidarietà a Francesca Albanese, con affetto
Silvia Scialanca

Grazie a Francesca Albanese per la sua coraggiosa lotta in difesa della Palestina e contro il genocidio perpetrato da Israele nel totale silenzio dei governi che amano definirsi civili e democratici. Uniamoci tutti in un urlo: NON IN MIO NOME!
Lucia Valente

Solidarietà a Francesca Albanese.
Salvatore Palidda

Con tutto il cuore sostengo Francesca Albanese!
Elda Alvigini

Aderisco al coro a sostegno della Albanese, donna coraggiosa che si espone per tutti noi! Grazie Francesca, non possiamo chiudere gli occhi né rimanere indifferenti di fronte ad una violenza così disumanizzante come quella in corso a Gaza. Siamo con te! Viva la resistenza.
Ilaria Guarnaccia

Esprimiamo tutta la nostra solidarieta’ alla relatrice ONU Francesca Albanese per le oscene sanzioni annunciate nei suoi confronti dal Segretario di Stato USA Marco Rubio, sperando che questo nostro intervento possa contribuire a stimolare una risposta collettiva di rifiuto il piu’ possibile vasta e consapevole.
Associazione Amore e Psiche Ets

Esprimo tutta la mia solidarietà alla relatrice Onu Francesca Albanese , per la sua grande umanità e resistenza.
Giovanni De Michele

Aderisco ed esprimo solidarietà alla relatrice Onu Francesca Albanese.
Clara Santini

Solidarietà a Francesca Albanese
Nuccio Russo

Aderisco al sostegno a Francesca Albanese.
Grazie
Silvia Solaroli

Solidarietà a Francesca Albanese.
Ro. Pompei

Solidarietà a Francesca Albanese. Grazie per questa iniziativa.
Simona Cortellesi

Sostengo completamente ed esprimo solidarietà alla relatrice dell’ONU, la Signora Francesca Albanese. Grazie per averlo fatto.
Giuseppina Colelli

Aderisco alla vostra iniziativa per esprimere la solidarietà a Francesca Albanese : “Come un solo corpo, per resistere”. Grazie mille per averla promossa. Un caro saluto
Leda Di Paolo

Solidarietà a Francesca Albanese.
Valentina Mancini

Aderisco alla vostra iniziativa di esprimere tutta la nostra solidarietà a Francesca Albanese. Francesca va sostenuta e protetta nella sua lotta ai poteri forti che pensano di governare tutto il mondo. Dobbiamo essere uniti su questo. Per lei, per i palestinesi che a Gaza stanno morendo, e per riportare la giustizia e la legalità in un mondo che ormai si fa guidare unicamente da interessi economici.
Patrizia Perrella

Aderisco alla richiesta, vostra e di Amnesty International Italia, ad esprimere Solidarietà e Sostegno all’ attività di Francesca Albanese sia come ruolo pubblico, Relatore speciale Onu per i Diritti Umani per i Territori Occupati, autrice di un nuovo Rapporto molto importante, sia come identità femminile. Sta svolgendo un grande lavoro, di enorme significato per i palestinesi, rappresenta un pensiero e un sentire diffuso che, anche attraverso il suo lavoro, ha nome, volto, risonanza, a livello mondiale. È il motivo fondamentale delle aggressioni nei suoi confronti.
Alberto Lattanzi

Con stima, ammirazione, solidarietà e affetto. Siamo in tanti a sostenerTi. Continua il Tuo prezioso lavoro. Lottiamo insieme a Te. Palestina libera. Con riconoscenza
Ilaria Saglia

Grazie per questa iniziativa. Poter esprimere vicinanza e solidarietà a Francesca Albanese è un vero onore!
Elena Girosi

Solidarietà a Francesca Albanese
Annalina Ferrante

Il silenzio dei supini

La lettera è arrivata a Bruxelles con l’educata brutalità del potere imperiale: “Dear Madam”, 30% di dazi su tutte le importazioni Ue a partire dal primo agosto. Firmato, Donald J. Trump. È il modo in cui un ex presidente sotto processo e un candidato in piena campagna elettorale ha scelto di trasformare l’Europa in bersaglio mobile. Non un errore tattico, ma un metodo: creare il problema per vendere la soluzione.

La risposta italiana? Un misto di afasia e devozione. Giorgia Meloni, quella che diceva di voler fare da ponte tra Washington e Bruxelles, si è trovata travolta da uno tsunami economico e politico che parte proprio da lì, dagli Stati Uniti che considera “amici”. Non un messaggio pubblico, non una strategia chiara, solo l’evocazione di un negoziato ancora aperto, come se i dazi fossero una variante del meteo.

Eppure i numeri sono lì, implacabili: fino a 200mila posti di lavoro a rischio, 35 miliardi di danni all’export, interi settori strategici colpiti – dall’agroalimentare all’automotive, dalla meccanica alla farmaceutica. E con essi, il cuore dell’elettorato di centrodestra. Non serve scomodare la geopolitica per capire che qui crolla un intero racconto.

A destra si accusa Bruxelles, si loda il “rilancio” negoziale, si invoca cautela. Ma è una cautela tossica, che ha il suono dell’inerzia e il profumo del servilismo. Perché chi si inginocchia prima della battaglia non può poi lamentarsi delle condizioni della resa. E chi in nome della fedeltà atlantica ha già concesso tutto – armi, gas, tasse azzerate per le big tech – non può certo alzare la voce ora.

Meloni tace. E chi tace di fronte a un’aggressione economica, non è prudente: è complice.

Buon lunedì 

Il giurista Musacchio: Colpire Albanese è uno schiaffo al diritto penale internazionale

Professor Musacchio, qual è il motivo delle sanzioni americane contro Francesca Albanese?

Le sanzioni imposte alla relatrice speciale delle Nazioni Unite per i diritti umani dei palestinesi, Francesca Albanese, sembrano avere un obiettivo chiaro: ostacolare il monitoraggio e la verifica dei continui crimini internazionali perpetrati da Israele a Gaza.

Il segretario di Stato americano Marco Rubio ha difeso queste sanzioni, affermando che Francesca Albanese si sia dedicata a “attività parziali e malevole”, ha “vomitato uno sfacciato antisemitismo” e ha “espresso sostegno al terrorismo”. Perché una posizione così estrema?

Credo che sia un tentativo disperato di screditare lei, le indagini e i procedimenti della Corte Penale Internazionale (CPI). Si cerca di proteggere Israele dai meccanismi di responsabilità internazionale, anche a costo di minare i cardini del diritto penale di guerra. Vorrei solo ricordare a chi ci ascolta che gli Stati Uniti hanno anche imposto sanzioni al procuratore capo della Corte Penale Internazionale, Karim Khan, e a quattro giudici, dopo che la CPI ha giustamente emesso mandati di arresto per Netanyahu e l’ex Ministro della Difesa Yoav Gallant, imputati di presunti crimini di guerra.

Francesca Albanese ha espresso forti critiche contro l’operazione militare israeliana a Gaza, definendola un genocidio. Lei è stato tra i primi studiosi di diritto penale, sia in Italia che all’estero, a sollevare la questione del genocidio. Come è possibile che, nonostante queste opinioni sempre più diffuse, nessuno riesca a fermare questo sterminio?

Fino a quando gli Stati Uniti continueranno a sostenere, con ogni mezzo, legale e illegale, il loro alleato più stretto in Medio Oriente, il genocidio e lo sterminio di massa proseguiranno senza sosta. Le prove documentate dei gravissimi crimini di guerra in corso a Gaza non serviranno a nulla. Oltre agli Stati che forniscono armi a Israele (inclusa l’Italia), ci sono anche significativi interessi economici da parte di grandi aziende statunitensi che puntano a un’occupazione totale di Gaza da parte di Israele. Purtroppo, gli interessi geopolitici, militari ed economici non fermeranno il genocidio in atto fino a quando non sarà raggiunto l’obiettivo finale.

Qual è questo obiettivo?

Mi sembra piuttosto chiaro. Il Consiglio di Sicurezza israeliano ha rivelato apertamente il fine che guida il genocidio in corso a Gaza: il trasferimento forzato della popolazione palestinese e l’annessione di un territorio che non si limita a Gaza, ma si estende anche alla Cisgiordania e all’intera Palestina storica.

Come giudica il lavoro di Francesca Albanese?

Non ho il privilegio di conoscerla personalmente, ma dalle relazioni che ho letto, anche per motivi professionali (ho collaborato alla presentazione del ricorso del Sudafrica contro Israele per genocidio), considero del tutto infondate le accuse di parzialità che le sono state mosse. Ho esaminato documenti che dimostrano chiaramente la violazione dei diritti umani nei territori palestinesi occupati. Nelle sue relazioni ho riscontrato terzietà, obiettività e imparzialità. È evidente, però, che queste prerogative infastidiscono chi deve giustificare crimini di guerra inaccettabili.

Dove ci porteranno questi eventi di cui stiamo parlando?

Ho paura che ci conducano alla fine del diritto internazionale penale, riportandoci al dominio del più forte sul più debole, utilizzato per giustificare imperialismo, colonialismo e altre forme di dominio e sfruttamento che le nazioni più potenti utilizzano per soggiogare quelle più deboli. Questo contrasta inesorabilmente con i principi dello Stato di diritto, della legalità internazionale e della protezione dei diritti e delle libertà fondamentali. Stiamo andando verso la soppressione dei diritti dei più deboli creando società sempre più ingiuste.

C’è una soluzione a questa regressione?

È fondamentale recuperare la legalità internazionale che abbiamo perso da troppo tempo. Dobbiamo ripristinare le norme e i principi del diritto penale internazionale e umanitario, rafforzare la cooperazione globale tra gli Stati e, soprattutto, garantire il rispetto degli accordi internazionali. È essenziale rendere le organizzazioni internazionali come le Nazioni Unite e la Corte Internazionale di Giustizia più efficaci e credibili. Non possiamo permettere che il diritto internazionale sia continuamente calpestato per interessi economici e geopolitici meschini.

Francesca Albanese è stata riconfermata come relatrice Onu per i territori palestinesi fino al 2028. Se avesse bisogno di consigli, cosa le direbbe?

Non penso che abbia bisogno dei miei suggerimenti. Da cittadino, non da giurista, la esorterei a mantenere la determinazione che ha dimostrato finora. Continui a raccontare la verità e a sostenere i fatti senza paura, perché ha dalla sua parte il diritto, le prove di quanto afferma e la sua integrità.

Un’ultima domanda: la proporrebbe al premio Nobel per la Pace?

Sì, soprattutto se penso a chi è stato premiato in passato e ha poi dimostrato di non meritare quel riconoscimento o, peggio, ha agito contro i valori di pace.

L’autore:  Vincenzo Musacchio, criminologist and professor of strategies against transnational organized crime, is an associate at the Rutgers Institute on Anti-Corruption Studies (RIACS) in Newark, New York. Independent researcher and a full member of the Graduate School of Strategic Studies on Organized Crime at Royal United Services Institute in London.

Foto di Giuliana Morena

Revisione architettonica con l’IA: una nuova frontiera tra creatività e sostenibilità?

Vorrei parlarvi oggi di Intelligenza artificiale, e come d’abitudine in questa serie, partendo da un’esperienza concreta. Insegno architettura e il centro dell’insegnamento è la revisione, che in inglese si chiama desk crit. Durante una revisione ci si siede attorno a un tavolo insieme a uno o più studenti per analizzare il progetto, ascoltare, suggerire idee, apportare correzioni e invitare a studiare altri progetti o a consultare libri, riviste e siti web. La revisione come dicevamo rappresenta il cuore dell’insegnamento della mia materia, la “Composizione architettonica urbana”, e ciò avviene in tutte le scuole di architettura che conosco, in Cina, America, Brasile, Svizzera, Africa e, naturalmente, anche nel nostro paese.
Ieri, per la prima volta, ho condotto una revisione ibrida con il supporto dell’intelligenza artificiale. Gli studenti, sebbene teoricamente abili con i computer, sono rimasti stupiti. Innanzitutto, ho effettuato la revisione utilizzando il loro account, così che tutte le informazioni del dialogo con l’ Ia venissero salvate. Ho iniziato descrivendo dettagliatamente il loro progetto in due o tre righe, per poi chiedere all’IA quale tipo di verde urbano mi avrebbe suggerito per gli spazi esterni. Sono state proposte dieci specie, ciascuna con le proprie caratteristiche (!). Successivamente, ho richiesto suggerimenti sui materiali delle pavimentazioni, e di nuovo ho avuto risposte molto specifiche. Ho poi chiesto di indicarmi progetti simili, e l’Ia ne ha mostrati undici, completi di link per l’approfondimento. Infine, ho domandato: “Mostreresti in un’immagine quanto abbiamo descritto per l’area di piazza Mancini a Roma?”. Per tutto questo ho utilizzato chat.gtp.open.ai e non strumenti specializzati per la creazione di immagini. Avevo scoperto che Chat GTP è capace non solo di generare un’immagine, ma di posizionarla esattamente nel contesto urbano richiesto in un fotomontaggio.
Il progetto che Chat Gtp ha creato dopo la mia richiesta, incredibilmente, somiglia molto a quello realizzato uno studente del mio corso lo scorso anno per la medesima area. La questione è sorprendente perché significa che l’Ia ha autonomamente trovato un progetto molto attinente alla questione (chiedo infatti a tutti i miei studenti di pubblicare i propri progetti in un blog) .
Vi chiederete: perché questo discorso? La prima ragione è che molti sentono parlare di intelligenza artificiale senza avere un’idea chiara di come funzioni realmente e di come interagire con essa. Ora la questione è grande come il mare, ma se non si comincia, non si attraverserà mai. Dico ai miei studenti che l’unica cosa sciocca oggi è non usare l’Ia. Il secondo aspetto è che il risultato che ci ha fornito l’Ia non è un progetto immediatamente lavorabile, bensì una raccolta di elementi che vanno ulteriormente affinati in una composizione definitiva. Forse chi è molto abile e con software dedicati lo potrebbe fare completo di disegni e dettagli già ora, ma già le risposte e le indicazioni che Chat Gtp ci ha fornite sono utilissime. Ma certo bisogna comunque avere un minimo di volontà, di tempo e di competenza per seguirle. In terzo luogo, l’Ia risulta utile solo se le domande sono poste con cognizione di causa: chi scrive, grazie alla sua esperienza nel campo, struttura i prompt in maniera articolata, cosa che chi non opera nel settore difficilmente saprebbe fare. Rimane infatti regola fondamentale di questa nostra era. È più importante saper strutturare le domande che conoscere le risposte. In quarto luogo, l’uso dell’Ia permette di risparmiare tempo e sforzo intellettuale, illuminando spesso su nuove vie progettuali.

Eppure dei problemi esistono. Oltre a quelli su cui sempre si dibatte e che non starò qui a ricordare, l’intelligenza artificiale è quanto di peggio si sia inventato sin’ora per l’uso indiscriminato delle risorse del pianeta.
Mentre in passato svolgere una revisione ai miei studenti aveva un impatto ambientale quasi nullo, oggi il costo energetico è elevato: basti pensare ai server che elaborano e immagazzinano informazioni, o ai computer interconnessi in grado di generare, in pochi secondi, risposte articolate. Tutta energia che si consuma e risorse del nostro Planet Earth che, in fin dei conti, si esauriscono più rapidamente oggi che ieri. Alcuni decenni fa eravamo convinti che l’informatica potesse rappresentare una inversione di tendenza rispetto all’uso indiscriminato delle risorse rispetto all’era industriale. Ma non è purtroppo così: la nostra civiltà consuma di più, e più rapidamente risorse del pianeta.
Sono questioni che stanno interessando anche la 19 Biennale di Architettura (che si chiude a Venezia il prossimo 23 novembre 2025) che ha per titolo “Intelligens. Natural. Artificial. Collective” e che anche e soprattutto di questo si occupa.

L’autore: Antonino Saggio, architetto, è docente ordinario alla Facoltà di Architettura della Sapienza di Roma. Tra i suoi libri Lo Specchio di Caravaggio (Vita nostra edizioni)