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Ecuador. Svolta moderata nel movimento indigeno con l’elezione di Vargas

Foto di Davide Matrone

Quito – L’ottavo congresso nazionale della Confederación Nacional de los Pueblos y Nacionalidades Indígenas del Ecuado (CONAIE) si è concluso con l’elezione di Marlon Vargas come nuovo presidente per il periodo 2025 – 2028. L’ex presidente della CONFENAIE vince con 619 voti (il 53% dei consensi totali) contro 540 voti dell’uscente Leonidas Iza.
Al Centro d’Integrazione Internazionale dei Popoli (CIIP) di Quito, quasi 60 organizzazioni dei popoli e delle nazionalità articolate nella CONAIE dell’Ecuador, dal 18 al 20 luglio hanno affrontato, nelle 10 tavole tematiche, le sfide per i prossimi 3 anni come: l’educazione interbilingue, l’economia popolare e solidale, l’estrazione illegale delle risorse dei territori da parte delle multinazionali, la difesa delle riserve naturali dell’Amazzonia, l’autodeterminazione dei popoli indígeni, la violenza e il razzismo, tra gli altri temi.
Una volta approvati i mandati e le risoluzioni come il cambio dello Statuto Interno, il rapporto della gestione CONAIE del periodo 2022 – 2025, il rapporto dell’Università Indigena Amawtay Wasi e l’espulsione dei 6 membri del Pachakutik, è stato eletto il Tribunale Elettorale composto da un delegato internazionale come Nelly Kuil CIACPY ed altri rappresentanti delle differenti nazionalità indigene.

Riforma dello Statuto interno e rielezione di Iza
Durante questo congresso un punto molto disputato è stato quello della Riforma dello statuto interno ed in particolare l’emendamento degli articoli 24 e 25 che sanciscono l’impossibilità di una rielezione da parte del presidente in carica. Dal primo giorno dei lavori congressuali, il Consiglio di governo in carica, ha proposto all’assemblea la riforma dei due articoli per permettere, praticamente, la ricandidatura di Leonidas Iza e quindi preservare l’autonomia della Confederación Nacional de los Pueblos y Nacionalidades Indígenas del Ecuador. Dai molti delegati territoriali si è manifestata la preoccupazione fondata che la confederazione indigena potesse essere cooptata dal governo neoliberista attuale attraverso la presenza di alcuni popoli e nazionalità oggi vicine al governo.
La mozione capeggiata da Leonidas Iza, proponente la rielezione, alla fine è passata con 542 voti e 471 voti contrari. Con questa votazione, approvata dall’Assemblea, Iza ha potuto presentare la sua ricandidatura e giocarsela con gli altri candidati. In questa fase congressuale si è, inoltre, registrato, uno scontro quasi fisico tra Iza e Fernando Guamán (líder della regione del Chimborazo che ha appoggiato Daniel Noboa alle ultime elezioni). Quest’ultimo ha assaporato la dura reazione dell’assemblea che l’ha praticamente delegittimato ed escluso dalla candidatura per l’elezione finale. Uscito di scena, Guamán ha poi indirizzato i suoi voti al candidato Marlon Vargas.

Espulsione di 6 membri di Pachakutik dalla Confederación Nacional 
Durante la seconda giornata del Congresso si è consumato uno strappo all’interno dell’organizzazione e cioè: l’espulsione di 6 membri nazionali del partito Pachakutik dalla Confederación Nacional de los Pueblos y Nacionalidades Indígenas del Ecuador. Alle ultime elezioni presidenziali del 2025, Leonidas Iza, il candidato di Pachakutik è stato il terzo candidato più votato con il 5.3% dei voti a livello nazionale conquistando ben 9 membri, cinque in più rispetto alle elezioni presidenziali del 2023. Di questi 9 membri, sei hanno più volte votato con l’attuale maggioranza di governo come per esempio la Legge di Solidarietà Nazionale. Una legge con un forte carattere repressivo e fascistoide per fronteggiare il problema della sicurezza interna del Paese. Alla Confederación Nacional de los Pueblos y Nacionalidades Indígenas del Ecuador non è piaciuta la posizione accondiscendente verso il governo dei propri legislatori. Inoltre, gli stessi 6 membri hanno votato a favore di Niel Olsen, candidato della destra per la Presidenza della Camera. Con oltre 90% dei voti il Congresso ha votato per l’espulsione dei propri legislatori per tradimento verso il mandato popolare. Nel frattempo i membri espulsi hanno già risposto attraverso le proprie reti sociali dichiarando che la decisione del Congresso della Confederación Nacional de los Pueblos y Nacionalidades Indígenas del Ecuador è stata radicale, arbitraria ed unilaterale.

Disputa ideologica tra Iza e Vargas
Marlon Vargas della nazionalità Achuar dell’Ecuador che si ubica nelle regioni amazzoniche di Pastaza e Morona Santiago, nel suo discorso ha puntato all’unità e al rafforzamento dell’Organizzazione. Ha sostenuto di voler ascoltare le istanze territoriali, di voler continuare a lottare per la difesa dell’acqua, difendere l’educazione interbilingue, la salute, i saperi ancestrali e la Pachamama. Inoltre, ha dichiarato di volere difendere e potenziare l’Università Indigena Amawtay Wasi sostenendo la connotazione plurinazionale della stessa. Ha ribadito, in vari momenti del suo discorso, di non essere una candidatura di nessun partito politico, ma l’espressione dei territori dai quali proviene e ha lottato. Su quest’ultimo punto, si palesano delle contraddizioni. Le regioni di Pastaza e Morona Santiago, da cui proviene in maggioranza la nazionalità Achuar alle scorse elezioni presidenziali ha votato in gran maggioranza per il candidato della destra Daniel Noboa. Inoltre, nelle votazioni interne di questo Congresso, Marlon Vargas ha ricevuto i voti dei popoli e nazionalità della Sierra e dell’Amazzonia che hanno votato per la destra alle ultime elezioni. Inoltre, nel suo discorso non c’è stata nessuna critica al paradigma di sviluppo estrattivista e neoliberista di Noboa. Tutt’altra posizione quella del presidente uscente, Leonidas Iza. Nel suo intervento ha dichiarato con fermezza: quella di oggi è una prova di fuoco tra il progetto politico dei popoli e delle nazionalità indigene e il progetto a favore degli interessi del governo e delle transnazionali nei nostri territori. Iza ha capeggiato el paro nacional del 2022 contro le politiche neoliberiste del governo del banchiere Guillermo Lasso e ha sostenuto al ballottaggio la candidata del centro-sinistra Luisa González alle elezioni passate per battere il neoliberismo e il fascismo. Ha ribadito, ancora una volta, la sua posizione intransigente e radicale contro il modelo estrattivista dell’attuale governo Noboa e delle multinazionali straniere. La vittoria di Marlon Vargas risponde a una fase nuova del Movimento Indigena che probabilmente abbandonerà posizioni radicali e di lotta intransigente per passare ad una fase più concertativa con il governo. In base ai discorsi e alle voci raccolte nel Congresso, questa sembra essere la linea.

L’autore: Davide Matrone è docente all’Universitad politecnica salesiana

Epstein batte Trump: il boomerang è tornato indietro

Trump voleva smascherare il complotto. Ora rischia di finirci dentro. Non nel senso della persecuzione giudiziaria che lui grida da anni, ma nel senso più grottesco: il complottismo su Epstein, la “lista dei pedofili” che secondo QAnon guiderebbe il mondo, rischia di esplodergli in mano. E di travolgerlo. Perché in quella lista- che ufficialmente non esiste, ma che la sua base pretende – ci sarebbe anche il suo nome. Così dicono i file del Dipartimento di Giustizia, così ha ammesso la sua stessa procuratrice Pam Bondi, che a maggio lo ha avvertito: il tuo nome salta fuori troppe volte.

Trump, che aveva promesso di desecretare tutto per far vedere le colpe dei democratici, ha tirato il freno. Ha spento la macchina del fango. Ha cominciato a lanciare diversivi a raffica: un video AI con Obama in manette, dossier su JFK e Martin Luther King, minacce ai Commanders della NFL e a Powell della Fed. Tutto pur di non parlare di Epstein. Ma i suoi lo vogliono sapere. I teorici del complotto che l’hanno eletto non gli credono più. Pensavano di combattere l’élite dei pedofili, e ora scoprono che il loro eroe ci andava a cena.

Il risultato? Un paradosso perfetto. Trump inseguito da quel complotto che ha alimentato per anni. Con l’alt-right che lo scruta, sospetta, si prepara al tradimento. Il boomerang è partito. E fa un rumore che non si può censurare con una diretta su Truth. Nemmeno la convocazione di Ghislaine Maxwell da parte della Camera potrà salvarlo: più lui nega, più i sospetti crescono. E se l’America è ancora un reality, questa è la puntata in cui il protagonista viene eliminato dal televoto del suo stesso pubblico.

Buon giovedì

Dedicato a Berlusconi

Separare i pubblici ministeri dai giudici per “disarticolare le correnti”. Così il governo ha impacchettato la sua riforma della giustizia: con la carta della modernità e il fiocco della retorica anticasta. Il risultato, però, non è un sistema più equo, ma una magistratura più esposta al potere politico. Lo dice con chiarezza Gherardo Colombo: “Danneggia i cittadini, non i magistrati”. Perché un pm che perde la cultura del giudice diventa una parte, e basta. Lotta per vincere, non per accertare la verità.

Dietro il voto in Senato – con brindisi, buffet e dediche a Berlusconi – c’è l’inizio di un’altra stagione: quella della sottomissione silenziosa del potere giudiziario. Con un Csm svuotato e selezionato a sorteggio, con una “Alta Corte” che giudicherà i magistrati in un clima avvelenato, con una separazione che isola chi dovrebbe cercare anche le prove a favore. Il garantismo evocato dai banchi della maggioranza è il travestimento di chi ha un conto in sospeso con la magistratura.

Opposizioni, magistrati e giuristi lo denunciano: è una torsione autoritaria. E ora si punta al referendum. La destra sogna di vendicare anni di inchieste. Ma chi ha ancora a cuore la giustizia come diritto, e non come favore, dovrà rispondere. L’ultima parola sarà degli italiani. E potrebbe fare molto più male di un avviso di garanzia. Perché il referendum non sarà solo su una riforma, ma su un’idea di Paese: quello in cui il potere si processa o quello in cui il potere si protegge.

Buon mercoledì.

 

Foto AS

Essere genitori, essere figli oggi: un dialogo al Messapica film festival

In occasione del Messapica film Festival, in qualità di pediatre e pedagogiste,  il 24 luglio tratterò il tema “Essere genitori, essere figli, oggi”. Ci ha coinvolto l’idea di poter raccontare l’adolescenza e la genitorialità dal nostro punto di vista professionale.

Pensando alla splendida piazza di Mesagne come ad un’occasione di confronto e scambio anche con i genitori, ci siamo chieste su quali aspetti soffermarci in merito all’adolescenza e, studiando e confrontandoci, abbiamo pensato fosse importante raccontare dello sviluppo fisiologico dell’adolescente e di come non ostacolare la sua identità in formazione (cfr il numero di Left di luglio Costruttori di futuro ndr) . Quindi, ci siamo chieste chi è l’adolescente oggi e che tipo di genitorialità proporre nel rapporto con i ragazzi. Pensiamo sia un diritto vivere una buona relazione con i propri genitori fin dalla nascita, necessaria per accompagnare ogni bambino e adolescente verso le fisiologiche autonomie. Questa bellissima parola, autonomia, noi la leghiamo ad un’altra parola importante, separazione. Senza le separazioni non ci può essere autonomia, intesa come libertà di essere e realizzare sé stessi. È fondamentale facilitare la naturale propensione del bambino e dell’adolescente, ad andare a cercare all’esterno altre possibilità di rapporto che gli permettano di sperimentare la propria identità.

Per comprendere lo sviluppo fisiologico dell’essere umano dobbiamo partire dalla nascita.Il neonato, fin dal momento della nascita, è attivo e reattivo, motivo per il quale va attivamente alla ricerca di un altro essere umano, con la speranza di trovare una corrispondenza con la sua sensibilità corporea. Questa è la ragione per il quale, per quasi tutto il primo anno di vita, il piccolo è interessato esclusivamente all’umano.  È esigenza del neonato, del bambino e dell’adolescente poi, essere visto non solo fisicamente, ma anche psichicamente nella sua realtà’ interiore in continuo movimento…come il mare. La capacità di sentire gli affetti è esclusivamente umana e c’è fin dalla nascita, la sua salvaguardia consente di preservare la sensibilità, vitalità e creatività del bambino e dell’adolescente. Gli affetti sono una realtà interna originaria e come tali vanno vissuti. Ci discostiamo da quella visione secondo cui gli adolescenti devono imparare a “gestire” le emozioni (per esempio, spesso la rabbia viene risolta mandando i ragazzi a fare uno sport, pensando: “così si sfogano”). È importante crescere i figli con l’idea che va dato un nome a quello che si prova; le emozioni e i vissuti vanno conosciuti, compresi ed elaborati.

Nel 1978 il Prof. M. Fagioli, psichiatra, che ha teorizzato la Teoria della nascita, disse in un’intervista su Rai2, Dipartimento Scuola Educazione: “E’ che non ci si fida dei bambini. Ma perché non ci si fida? Per il loro mondo irrazionale. Infatti, sappiamo che spesso la dimensione non cosciente non viene accettata dagli adulti razionali. Talvolta, anche agli adolescenti, si dice “ti comporti come un bambino”, dando a questa espressione un’accezione negativa che va a svalutare quella che può essere una reazione emotiva all’interno di una dinamica di rapporto. L’adulto deve imparare a fidarsi anche dell’adolescente, imparare a conoscerlo profondamente, scoprendo la sua autenticità ed unicità. L’adulto inconsapevolmente chiede al figlio di realizzare ciò che il genitore si aspetta, ma in questo modo il ragazzo non riesce ad essere sé stesso e ad essere aderente al suo sentire. L’essere umano ha l’esigenza di evolvere, è in continuo movimento, ma talvolta, i genitori fanno fatica a cambiare.

Molte volte accade che l’adulto entra in crisi nel vedere il figlio crescere e diventare sempre più autonomo; questo può provocare sentimenti di solitudine al genitore, che in effetti è sempre meno indispensabile. L’adulto prende atto della crescita e dell’esigenza di autonomia del proprio figlio, ma poi fa fatica a separarsi e questo può attivare delle dinamiche di rapporto disfunzionali, a cui spesso l’adolescente tenta di ribellarsi. Il rapporto genitore figlio, a qualunque età, può essere un’occasione unica per scoprire nuove dimensioni di rapporto. Riteniamo sia importante relazionarsi al proprio figlio uscendo fuori dal ruolo tradizionale di genitore: colui che deve educare, impartire regole, attingendo alla funzione normativa come fosse la via maestra per crescere “il bravo ragazzo” di cui tanto sentiamo parlare. La cultura dominante pensa al bambino e all’adolescente come una persona che va “educata”, “direzionata”, quindi, troviamo spesso genitori che sono anticipatari, che tendono a prevenire “i guai” che i figli possono creare; questo fa sentire sfiducia e controllo ai nostri ragazzi che, automaticamente, reagiscono per sfuggire a questa mancanza di libertà di espressione di sé.

L’unicità degli adolescenti si lega ad una loro sensibilità, creatività, affettività, che spesso rimane incompresa. I ragazzi sperano di sentire accolto il loro mondo interno, spesso inquieto e turbato per via dei velocissimi cambiamenti fisiologici, ma, talvolta, l’adulto ha perso quell’originaria capacità umana di sentire con la pelle, l’udito e il suono della voce, gli affetti che emergono dalle parole del proprio figlio. Spesso i genitori non riescono a trovare un loro contenuto di sostanza e affettivo per rispondere alla fisiologica ribellione che l’adolescente cerca di fare. A questo proposito, in questi giorni di studio, ci è venuta in aiuto la serie televisiva “Per sempre”, che costringe l’adulto a vedere il mondo degli affetti e dei rapporti dal punto di vista dell’adolescente. Racconta di incontri e separazioni e di una genitorialità che trova, nel controllo, la strada per affrontare l’intensità delle emozioni di due ragazzi che sperimentano il primo amore. Racconta anche di una paternità che tenta di proporre un rapporto genitore-figlio basato sulla fiducia e l’ascolto, senza il timore di uno scontro nella coppia. E c’è tanto altro, che ci ha coinvolte e spinte a voler comprendere meglio il linguaggio degli adolescenti.  Per via di tutti i cambiamenti sociali in corso, l’adulto deve accettare che le sfide di un genitore sono cambiate: ce ne sono di nuove, ed è necessario e urgente comprendere come meglio affrontarle.

I social, l’intelligenza artificiale, hanno dato avvio a nuovi fenomeni che riguardano tanti ragazzi: dal cyberbullismo all’amico/psicologo dell’intelligenza artificiale, l’attesa di quei cuoricini su Instagram, che segnano il grado di accettazione che si ha all’esterno e poi ancora tutti i filtri che si possono usare per modificare la propria immagine e renderla conforme ai canoni del momento. Questo, deve costringere l’adulto e ogni figura di riferimento a fare i conti con la solitudine e il vuoto affettivo che i giovani di oggi sentono attorno a loro, sia in famiglia che a scuola. Nell’elaborare il nostro intervento, ci è venuto in mente quello che ha detto una delle maturande che ha rifiutato di fare l’orale della maturità: “I prof pensano solo ai voti, nessuno è mai stato interessato a conoscermi”.

Generalmente si dice che gli adolescenti non parlano, che sono criptici, ma riteniamo che sia l’adulto a dover imparare a relazionarsi rispettando la loro libertà ed esigenza di confronto tra pari. Il rapporto con loro è in costante cambiamento e richiede immediatezza e sensibilità. In un anno e mezzo di spazio neutro presso un Centro per le Famiglie, da pedagogista mi sono relazionata a diversi adolescenti e li ho vissuti come un fiume in piena, con tanta voglia di parlare di sé. Anche io, da pediatra, nei tanti colloqui con i ragazzi, ho sempre osservato che appena sentono che qualcuno è realmente interessato a loro, si aprono. E allora, è importante seguire questo fiume di parole e affetti, fare ricerca ognuno nel proprio campo per comprendere come meglio rispondere loro e capire profondamente cosa chiedono.

Sappiamo che c’è un’emergenza sociosanitaria che sta avendo come protagonisti i nostri ragazzi e allora, oltre a fare prevenzione, è urgente promuovere una cultura del benessere e delle buone idee, dove gli adolescenti vengano accolti, scoperti e i genitori presi per mano per un cambiamento necessario. Ci auguriamo un cambiamento culturale che sia sempre più in grado di sostenere la donna e il bambino nelle loro trasformazioni, per vivere infanzie e adolescenze sempre più libere. Questa potrebbe essere un’occasione, anche per molti uomini, di cercare un nuovo modo di essere con la donna e con i propri figli.

 

 

Non fu il mare, fu lo Stato

Ci sarà un processo. È una notizia. Una sconfitta per chi sognava di seppellire anche le responsabilità insieme ai corpi. Il giudice di Crotone ha rinviato a giudizio sei ufficiali – quattro della Guardia di Finanza, due della Guardia Costiera – per la strage di Cutro. Naufragio colposo e omicidio colposo plurimo: novantaquattro morti, trentacinque bambini.

La notte del 26 febbraio 2023 il caicco Summer Love si è schiantato davanti alla costa, mentre la macchina dei soccorsi restava immobile. Il piano Sar non fu attivato. I comandi sapevano. Non fu un errore: fu una scelta.

La procura parla di ritardi, sottovalutazioni, negligenze. E sarà lo Stato, datore di lavoro degli imputati, a dover rispondere dei danni. Le Ong sono state ammesse parte civile, perché salvare vite non è propaganda. È dovere.

La Regione Calabria, invece, ha ritirato la sua costituzione: voleva colpire gli scafisti, non chi ha lasciato annegare. Un errore “materiale”, hanno detto. Politico, si dovrebbe dire.

Il processo inizierà il 14 gennaio 2026. Arriva tardi, come tutto in Italia quando riguarda i migranti. Ma arriva. E questo basta a turbare il sonno di chi sperava che il mare inghiottisse tutto: i cadaveri, le omissioni, le domande. Invece no. Galleggiano. E bussano in aula.

Per mesi si è cercato di archiviare Cutro come un destino avverso, una burrasca fatale, un evento da commemorare senza mai indagare. Ora, almeno, qualcuno dovrà spiegare perché quelle vite non sono state salvate. Perché i segnali sono stati ignorati. Perché la burocrazia ha vinto sulla pietà.

Buon martedì. 

Bombe israeliane sulla popolazione di Deir el Balah, a Gaza. In pericolo anche un operatore umanitario italiano [VIDEO]

Domenica mattina è arrivato l’ordine perentorio dell’esercito israeliano alla popolazione palestinese di lasciare la zona di Deir el Balah, a Gaza, dove hanno sede le Ong e l’agenzia dell’Onu. Molti non avevano i mezzi per allontanarsi mentre fame e sete colpiscono soprattutto i bambini. L’attacco aereo è partito domenica sera. Lunedì mattina è partita l’avanzata terrestre con i carri armati che stanno distruggendo tutto. È stata individuata una “zona rossa” da radere al suolo. In questa zona agisce come operatore umanitario un cittadino italiano, Gennaro Giudetti, che tenta ancora di portare conforto e aiuto.

“Il governo italiano, la Farnesina, debbono intervenire immediatamente per fermare l’ennesima violazione del diritto internazionale che rappresenta uno smacco per il pianeta intero” dice Maurizio Acerbo, segretario del Partito della Rifondazione Comunista. “Quanto accade al nostro concittadino e quanto subisce l’intera popolazione dell’area è l’ennesimo crimine di cui Israele e il suo governo debbono rendere conto. Netanyahu è un criminale e chi lo sostiene, come il governo italiano, è un miserabile complice”.

I dazi trumpiani al Brasile? Un favore politico alla famiglia Bolsonaro

Il 19 luglio, il segretario di Stato degli Stati Uniti, Marco Rubio, ha annunciato la revoca dei visti statunitensi a 8 degli 11 giudici della Corte suprema brasiliana. Accusati, secondo il governo Trump, di “perseguire” e “censurare” l’ex presidente Jair Bolsonaro, la misura è stata estesa anche ai loro familiari e al capo della procura generale della Repubblica, Paulo Gonet, per aver chiesto, presso la Corte, la condanna a circa quarant’anni di reclusione per Bolsonaro, i generali Walter Braga Netto, Augusto Heleno e Paulo Sérgio Nogueira, assieme ad altri tre militari. I crimini riscontrati dalla procura sarebbero quelli di associazione a delinquere, tentata abolizione violenta dello Stato democratico, colpo di Stato e danneggiamento al patrimonio pubblico e culturale, aggravato da violenza e grave minaccia.

Per Lula, l’ingerenza degli Stati Uniti nel sistema giudiziario del Brasile è “inaccettabile”, un ricatto che viola i principi fondamentali del rispetto e della sovranità tra le nazioni .
La decisione del governo statunitense è stata applicata unicamente ai giudici considerati “nemici” di Bolsonaro, meritevoli quindi di una “punizione” per aver accolto la denuncia della procura che individuò l’ex presidente Bolsonaro come il mentore del tentativo di golpe, avvenuto l’8 gennaio 2023, dal quale emerse la trama per uccidere Lula, il suo vice Geraldo Alckmin e il giudice della Corte suprema Alexandre de Moraes. Oltre all’accusa per il tentato golpe, il 17 luglio scorso Bolsonaro ha confessato di aver trasferito al figlio Eduardo Bolsonaro, eletto deputato, ma sin da febbraio negli Usa, ben due milioni di reais (circa trecentomila euro), per «difendere la democrazia», ovvero, finanziare la lobby che convinse Trump ad applicare dazi, sanzioni economiche e misure contro la magistratura del suo stesso paese, in cambio dell’estinzione dei processi a suo carico e dell’amnistia agli estremisti che invasero Brasília.
Non sono stati oggetto della ritorsione degli Usa i giudici André Mendonça e Kassio Nunes Marques, nominati da Bolsonaro, o il giudice Luiz Fux, per aver votato contro le misure coercitive applicate dalla Corte agli estremisti che misero a ferro e fuoco Brasilia, poco prima dell’insediamento di Lula. I tre giudici, tuttavia, hanno espresso la loro solidarietà ai colleghi e ribadito il comune impegno a favore dell’indipendenza della magistratura e della difesa dello Stato democratico .
La decisione degli Usa di attaccare la Corte suprema accade in un momento particolarmente delicato per l’estrema destra brasiliana che, da incrollabile sostenitrice di Trump, ha ricevuto con incredulità l’annuncio dei dazi al 50% per il Brasile. Il Partido Liberal, al quale appartiene Bolsonaro e i suoi tre figli, il deputato Eduardo, il senatore Flávio e l’assessore comunale Jair Renan, appare diviso tra esponenti che ritengono sia un tradimento della famiglia nei confronti del proprio elettorato, pur di salvaguardare il capo clan, e un nocciolo duro di esaltati, guidati dal pastore Silas Malafaia, che indice manifestazioni pro Trump in chiave anticomunista .
Con l’annuncio della punizione collettiva di Trump, l’estrema destra, finanziata e sostenuta dal mondo dell’agribusiness – settore maggiormente colpito dal cosiddetto “tarifaço” – si è vista crollare i suoi consensi ma, per Eduardo Bolsonaro, il presidente statunitense ha ragione e, al contrario delle retromarce fatte con gli altri Paesi, non sarebbe disponibile ad arrivare ad alcun tipo di trattativa con la comitiva spedita dal governo Lula, avente capo il vicepresidente Geraldo Alckmin: rifiutandosi di cedere ai ricatti di Trump, il Brasile, “un paese che marcia a passo spedito verso il comunismo”, allontanandosi perciò dal “mondo libero”, secondo la retorica del primogenito di Bolsonaro, merita “ricevere dal governo Trump lo stesso trattamento del Venezuela” .
Con la difesa a spada tratta dell’alleato Bolsonaro, oltre a provare a strangolare l’economia del Brasile, Trump punta a colpire la Corte suprema non solo in quanto organo che garantisce la corretta applicazione dei principi costituzionali nel paese ma anche, negli ultimi anni, come l’organismo che più volte ha provato a regolare l’operato delle big tech statunitensi per quanto riguarda la diffusione di notizie false. Poiché si tratta di motivazioni politiche (e non tecniche), c’è ben poco margine di negoziazione e di eventuali concessioni da parte del governo Lula.
Oltre a ciò, l’obiettivo finale dell’amministrazione Trump sembra essere quello di esercitare una qualche influenza sul processo elettorale del 2026. In questo senso, l’estinzione dei processi a carico di Jair Bolsonaro garantirebbe, successivamente, la sua candidatura alla presidenza della repubblica e, se eletto, l’uscita dai Brics, frenando la strada del multilateralismo, difesa da Lula . Per Steve Bannon, uno degli artefici dell’alleanza transnazionale dell’estrema destra, Eduardo Bolsonaro, più volte ospite nelle sue trasmissioni per attaccare, dagli Usa, il governo Lula e le istituzioni del paese che l’ha eletto deputato, sarebbe proprio lui il destinato a diventare il futuro presidente del Brasile . A dimostrazione dell’investimento degli Stati Uniti nella sua persona, due giorni prima della lettera di Trump, Eduardo aveva già preannunciato l’arrivo di misure contro l’economia brasiliana e, subito dopo, non esitò a ringraziare Trump come l’eroe che avrebbe impedito il Brasile di diventare “un’altra Venezuela, Cuba o Nicaragua” auspicando, addirittura, in un video divulgato il 19 luglio, il dispiegamento della marina militare degli Usa sulle coste brasiliane, pur di intimidire il governo Lula e la Corte suprema.
Suo fratello Flávio, nonostante sia senatore della repubblica, andò ancora oltre. In un’intervista alla Cnn, affermò che Trump aveva il diritto di “fare quello che voleva” e che, siccome nel corso della II Guerra mondiale gli Usa avevano “lanciato una bomba atomica su Hiroshima per dimostrare la loro forza”, la responsabilità di evitare che “due bombe atomiche” venissero lanciate anche contro il Brasile era del governo Lula e del parlamento, che doveva “arrendersi” ai voleri di Trump concedendo, tanto per cominciare, l’amnistia agli estremisti di destra in carcere o sfuggiti alla legge, nonché al proprio padre.
Con la motivazione che Jair Bolsonaro e il figlio Eduardo avevano lavorato sodo per punire l’intera popolazione e attentato alla sovranità nazionale, il giudice della Corte Suprema, Alexandre de Moraes ha ordinato un’operazione della Polizia Federale che ha sequestrato circa 15.000 dollari nell’abitazione dell’ex presidente, oltre a determinare l’uso di un braccialetto elettronico alla caviglia, in vista del pericolo di fuga. In base alla decisione, all’ex presidente è stato anche vietato l’accesso ai social network, di circolare liberamente tra le 19 e le 7, di avvicinarsi alle ambasciate, e di parlare con altre persone indagate dal tribunale, compreso il figlio Eduardo.
Dal canto suo, dopo essere stato invitato dal proprio partito a moderare i toni e far ragionare Trump, per bloccare l’entrata in vigore dei dazi, prevista per il primo agosto, Eduardo Bolsonaro ha scelto di posare da “martire per la libertà” affermando di preferire “morire” nel suo auto esilio ad essere giudicato dalla Corte suprema .
La risposta decisa del presidente Lula a Trump, in difesa della magistratura, della democrazia e dell’indipendenza tra i poteri, ha generato nel paese un clima di unità e consenso contro “i traditori della patria” come li ha definiti Lula, riportando la bandiera del patriottismo, sequestrata per decenni dalle destre, non solo in mano alla sinistra, ma anche ai più moderati e al mondo dell’imprenditoria.

L’autrice: L’avvocata per i diritti umani Claudiléia Lemes Dias è scrittrice e saggista. Tra i suoi libri Le catene del Brasile.(L’Asino d’oro ed.) e il nuovo Morfologia delle passioni (Giovane Holden ed.)

In foto, Bolsonaro e Trump nel 2019

Il sacco di Milano ha il volto truccato della modernità

Dei reati non sappiamo – sarà l’eventuale processo a dircelo – ma il tema tutto politico che sta dietro alla maxi inchiesta sull’urbanistica a Milano è scritto nero su bianco, sotto la prurigine delle conversazioni trapelate.

Milano è una città sventrata da mangiarsi ancora, dove il cemento è il fine ultimo di un solido coacervo di imprenditori e politici. Per questo non servivano indagini. La politica che piace ai milanesi che piacciono è quella in grado di immaginare soldi a forma di case, di complessi commerciali, scrollandosi di dosso i vincoli urbanistici ed etici.

Milano è la città in cui l’archistar Stefano Boeri fu l’amato candidato di un pezzo del Partito democratico alle primarie che perse contro Giuliano Pisapia quindici anni fa. Milano è la città in cui un architetto si prodiga per non far scrivere sul principale quotidiano nazionale di uno stupro che avrebbe rovinato la cipria della città. E ci riesce. Milano è la città in cui un architetto chiede al sindaco di calmare gli spiriti buonisti dell’ex assessore Majorino che tratta “con i guanti” quei maledetti senzatetto che sciolgono il mascara della Madunina.

Milano è la città in cui un’assessora al circolo Pd di Corvetto si fregiava di attirare “gli altospendenti”, eufemismo per indicare la passione per i ricchi. Il sacco di Milano però – a differenza di quello cianciminiano a Palermo – ha la faccia buona del progressismo. Si traveste da sinistra per fare più serenamente la destra. Vorrebbe essere la capitale morale del Nord ma segue l’antico adagio di certo Sud che fu: “Chi ti manda?” è la chiave per aprire le porte.

Buon lunedì.

Foto AS

La memoria fa paura: per questo Federico non ha pace

Venti anni dopo, la memoria di Federico Aldrovandi è un dolore che si rinnova e una cartina tornasole dell’Italia che abbiamo deciso di diventare. Un ragazzo di diciotto anni, nato il 17 luglio 1987, disarmato, incensurato, lasciato morire sull’asfalto, con i polsi ammanettati e il volto tumefatto, mentre quattro agenti lo “bastonavano di brutto”. Così, senza vergogna, dissero via radio.

A Ferrara, quella notte del 25 settembre 2005, non è morto solo un ragazzo: si è infranta l’illusione che lo Stato sia sempre garante della sicurezza. Si è affermata invece la possibilità — concreta, tangibile — che chi dovrebbe proteggere possa uccidere, e poi insabbiare, e poi tornare al proprio posto. I poliziotti condannati per omicidio colposo rientrarono in servizio nel 2014. La pena, tre anni e mezzo, fu ridotta dall’indulto a sei mesi. Come se la vita di un diciottenne valesse meno di un permesso non timbrato.

Federico non è stato ucciso solo dalla violenza fisica ma da un sistema che ha mentito, coperto, deviato. Dai manganelli spezzati ai verbali manipolati. Dai primi comunicati alla versione smentita dei “pali contro cui si sarebbe sbattuto da solo”. Dai funzionari chiamati a coprire, fino alle accuse pubbliche contro la madre, “colpevole” di voler sapere. E da un ex ministro, Carlo Giovanardi, che osò definire Federico un “eroinomane”, aggiungendo infamia alla morte.

Ogni 25 settembre, la famiglia Aldrovandi ripete il suo calvario, ricordando un figlio lasciato morire per strada mentre gli veniva negata anche la dignità di un lenzuolo. Ma ogni 25 settembre dovrebbe essere anche il giorno in cui lo Stato si guarda allo specchio. E ha il coraggio di stanare i traditori, i torturatori e gli assassini. Anche quando indossano la divisa.

Buon venerdì.

Inflazione alle stelle, salari a terra: ma l’importante è lo storytelling

Nel Paese del “Meno male che Giorgia c’è”, le cattive notizie non esistono. Se esistono, si ignorano. Se insidiano il racconto del governo-fenomeno, si trasforma la realtà in folclore da social. E così mentre l’Istat certifica che il carrello della spesa si è mangiato i salari e l’Inps conferma che in cinque anni i lavoratori hanno perso nove punti di potere d’acquisto, il governo preferisce parlare d’altro.

I rincari non si fermano: +24,8% il caffè, +7,2% le uova, +15,8% gli agrumi. In estate, quando il Paese prova a respirare, scatta l’assalto finale al portafoglio. Voli a +38,7%, traghetti +19,6%. Intanto, in Parlamento, il governo tace. Gli stipendi più bassi d’Europa sono diventati silenziosamente il nuovo standard. Ma si promettono bonus e “tagli del cuneo” come palliativi elettorali.

Mentre si prepara la tempesta dei dazi trumpiani, che rischia di colpire duramente l’export italiano e aumentare la cassa integrazione, Meloni si appende al paracadute retorico della Nazione. Nessuna proposta concreta, solo fede nel marketing. Il salario reale resta fuori dall’agenda, i sindacati europei chiedono un nuovo “Sure” per difendere l’occupazione, ma l’Europa sociale non abita più qui.

È tutto perfettamente coerente. Chi vive con mille euro al mese non fa rumore, non turba i talk show, non contribuisce ai sondaggi. La propaganda vola, mentre gli italiani restano a terra, senza fiato. La realtà è inflazionata quanto i prezzi: pesa, ma non conta. E il governo, a ogni dato scomodo, gira canale.

Buon giovedì.