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L’Italia mammona sul palco di Sanremo

Nella settimana in cui ero a Sanremo ricevevo messaggi audio che cominciavano con “scusa, lo so che sei a Sanremo” come a dire lo so che sei in quella bolla, in quel mondo a parte. Ed il festival è proprio questo, un momento di sospensione per l’Italia capace di nascondere sotto il tappeto anche gli elefanti più ingombranti, però è anche un grande fenomeno sociale capace di indicarci lo stato di salute del Paese. Inevitabile non far caso alla conduzione di Carlo Conti che come già hanno scritto in molti si è mostrata democristiana fin dalla prima puntata, forse la più difficile per il conduttore in quanto lo status Dio, padre e famiglia sembrava proprio trovare gli interpreti giusti in Gerry Scotti (il dio della tv), Carlo Conti (il padre che mette insieme tutta la famiglia provando a non litigare a natale) e Antonella Clerici (la famiglia, che tieni uniti a tavola da buona mamma).
E a proposito di mamme mi è sembrato di vederne e sentirne tante in questo festival. Simone Cristicchi nella sua canzone – Quando sarai piccola – parla della malattia di sua madre, Tony Effe dedica la canzone a sua madre, Fedez arriva all’Ariston con sua madre che è anche la sua fedelissima manager, Achille Lauro ha tratto spunto per la sua canzone- Incoscienti Giovani – dalla storia di sua madre ed infine Carlo Conti di solito tutto d’un pezzo in conferenza stampa si commuove parlando di sua madre.
Quante madri! Ma non è che sarà proprio questo il problema di questo Paese? La difficoltà di fare una separazione dalla propria madre e smettere di guardale come pilastro sacro in ogni cosa che si fa senza mai trovare la propria identità?
Come se non bastasse già il trio della sacralità, all’improvviso durante la competizione canora è arrivato papa Francesco con un videomessaggio, per la prima volta durante il festival di Sanremo, messaggio che si è perpetuato all’interno del 70% della case degli italiani (si, perché sono stati questi i numeri dello share), Tutto questo mi lascia basita, su una rete che dovrebbe essere nazionale e pubblica e rispettare la “laicità” di questo paese visto che siamo noi a pagarla.
Ma non solo cose negative, per fortuna ci hanno pensato tre cantautori, accomunati da una bella sensibilità a colorare e condire con stupore questo Festival sciapo, facendosi largo uscendo dalle loro nicchie con vari slalom fino ad arrivare sul podio. Partendo dal terzo classificato Brunori Sas che in questo tenero pezzo -“L’albero delle noci”- parla della sua terra, la Calabria e di come la nascita di un figlio possa cambiare l’architettura del proprio cuore. Passando al secondo classificato Lucio Corsi, la vera scoperta di questo Festival di Sanremo, cantautore umano e poetico che sul palco ha portato gli amici che suonano con lui dalle medie, il mondo immaginifico di topo Gigio e la volontà di abbattere quell’apparenza da duri e provare semplicemente a essere quello che si è.
Podio per il giovane Olly, genovese e anche egli cantautore che ha fatto breccia in pochissimi anni tra i giovanissimi per la sua semplicità, sul palco è tutto cuore e questo ai ragazzi gasa, per fortuna. Fa un po’ sorridere che il titolo della canzone vincitrice di questo festival si chiami proprio- “Balorda nostalgia” -come un po’ di “quella” nostalgia traspare da queste cinque puntate della kermesse proposte dalla tv di stato guidata dal governo Meloni, e come recita la canzone di Willy Peyote, anche lui in gara “c’è chi ha perso la memoria e vorrebbe che tornasse, come se non bastasse, grazie ma no grazie”. ‎

L’autrice: Marina Parrulli è attrice e speaker radiofonica. Per Left conduce il podcast LeftTalk

La Biennale IntelliGens di Carlo Ratti

Il curatore della Biennale architettura 2025 Carlo Ratti

Sarà una Biennale collettiva, così promette il curatore della 19esima Mostra internazionale di architettura Carlo Ratti, architetto e ingegnere, insegnante al Massachusetts Institute of Technology (MIT) nonché direttore del Senseable City Lab e socio fondatore dello studio Carlo Ratti Associati.

Con il titolo “Intelligens, Naturale, Artificiale, Collettiva”  la Biennale di Venezia si svolgerà dal 10 maggio al 23 novembre 2025 ai Giardini, all’Arsenale e a Forte Marghera.
Il tema di fondo è centrato sulla necessità di rispondere alla crisi climatica ripensando l’approccio progettuale seguito fino ad ora superando il modello, non più sufficiente, del progetto come mitigazione, riduzione del nostro impatto sul clima, ma viceversa ripensando il progettare come adattamento dei modelli insediativi che considerino i profondi cambiamenti climatici che si vanno manifestando e che nel tempo saranno sempre più marcati.
Per fare ciò le forze da mettere in campo, è stato detto, sono tante: architetti, scienziati in varie discipline, mondo dell’imprenditoria, cioè tutte le intelligenze innovative che possono fermare i grandi sconvolgimenti prodotti dall’uso scriteriato del suolo, dall’inquinamento delle acque, dall’aumento del calore sulla terra che preannuncia eventi catastrofici.
In questa prospettiva l’architettura deve attingere a tutte le forme di sapere, ridefinendo il concetto di autorialità e deve quindi aprirsi con una nuova inclusività al mondo scientifico, a quello dell’arte e all’insieme delle generazioni vecchie e nuove, svolgendo a pieno il suo ruolo che è quello di fornire soluzioni da proporre sviluppando l’ascolto e la condivisione nella formazione di scelte che coinvolgono tutti.
Le recenti sfide poste dai catastrofici effetti del climate change cui abbiamo assistito con gli incendi di Los Angeles, le inondazioni di Valencia e Sherpur, la siccità in Sicilia (solo per fare gli esempi recenti) hanno ribadito la necessità di rinnovare l’impegno in quell’arte necessaria all’umanità per affrontare un ambiente ostile che è l’architettura.

Un’architettura deve diventare flessibile e dinamica, proprio come il mondo per cui sta progettando. La Biennale Architettura 2025 si propone di sviluppare l’intelligenza umana e artificiale per progettare città più sostenibili. Per Carlo Ratti diventa fondamentale il rapporto tra natura e tecnologia.
Di conseguenza, la Biennale ha programmato una sinergia tra architetti e scienziati per proporre sistemi artificiali che, ispirandosi ai modelli della natura, possano generare architetture e città che affrontino i cambiamenti climatici.
Molti sono gli architetti, artisti, scienziati e imprese coinvolti: da Michelangelo Pistoletto con il suo Terzo Paradiso, a Konstantin Novosëlov premio Nobel per gli studi sul grafene e alla Porsche che si allea alla Norman Foster Foundation nell’ambito del progetto The Art of Dreams presentando l’installazione Gateway to Venice’s Waterways. E ancora da Kengo Kuma allo stesso Norman Foster promotore, insieme al Comune di Kharkiv del concorso per la ricostruzione della città sviluppato in collaborazione con il Consiglio comunale di Kharkiv, la Commissione economica per l’Europa delle Nazioni Unite, Arup e il Kharkivproject Institute e vinto da Andrew James Jackson, ingegnere progettista britannico, con la proposta, intitolata “Guarigione di Kharkiv: dalle macerie al rinnovamento”

Il Padiglione Italia curato da Guendalina Salinei si svilupperà fuori dalla sede storica che è in ristrutturazione e si estenderà in vari luoghi della città di Venezia intitolandosi “Terrae Aquae – L’Italia e l’intelligenza del mare”. La sezione “Space for Ideas” raccoglierà poi le idee selezionate attraverso una call che permetterà di scoprire voci inedite e inascoltate che altrimenti sarebbero passate inosservate.

Quindi una Biennale Architettura come un grande e diffuso laboratorio di idee, una astronave che pensa anche a un futuro in cui lo spazio fuori dalla terra non è una via di fuga alla Elon Musk ma un mezzo, con le sue ricerche, per migliorare materiali e sistemi da usare nelle costruzioni. Una astronave che Pietrangelo Buttafuoco ha fatto atterrare nel mondo attuale devastato dalle guerre citando Luciano Violante che ha descritto, in un articolo sul Corriere della Sera, l’attuale fase storica come domicidio cioè la deliberata e sistematica distruzione di scuole, ospedali, abitazioni, intere città allo scopo di privare un popolo della propria identità e anche memoricidio attraverso cui si vuole distruggere la storia e la memoria dei popoli. Abbattendo la dignità di un popolo, annichilendolo, se ne può poi disporre. E compaiono le atroci immagini di distruzione che giungono dai conflitti in Ucraina, in Palestina, nel Myammar .

Viene allora da sottolineare con forza che non ci si oppone abbastanza ai deliranti progetti di espulsione della popolazione e di sua sostituzione con i giganteschi progetti di sfruttamento immobiliare di Netanyahu e Trump (che vuole fare di Gaza un resort di lusso, deportando i gazawi ndr). Al crollo del senso umano delle cose, prima con le guerre poi con tali progetti, occorre trovare, anche attraverso eventi internazionali come la Biennale, una forte opposizione culturale.
La Biennale come laboratorio, fucina di idee e palcoscenico di progetti, assieme alle scuole di architettura, la nostra gens, come volontari, potrebbe farsi promotrice di proposte per contribuire alla ricostruzione di Gaza. In questo momento non pensare a questo territorio dove si è sfregiato il volto dell’umanità assumerebbe le sembianze di un degrado culturale anche dell’architettura.
Proponiamo allora un laboratorio in cui idee, progetti e iniziative possano coinvolgere tante professionalità per ricostruire la storia e la memoria dei popoli. Sommessamente suggeriamo: forniamo i macchinari per trattare le macerie e trasformarle in materiali per le costruzioni, utopisticamente proponiamo di riutilizzare i tunnel di Hamas per la climatizzazione degli ambienti recuperando le antiche conoscenze del mondo arabo, mutando così completamente il senso di quelle strutture.

Una Biennale di Architettura per costruire collettivamente le idee per permettere alle popolazioni di auto costruirsi le loro città, ritrovando una bellezza dopo la distruzione.
“L’architettura è l’arte del costruire, non risponde mai solo a bisogni, ma anche ai sogni, all’immaginario. Inseguire i sogni è cruciale. Fare dei progetti è anche questo, inseguire un sogno, proiettarsi in avanti. Voglio dire che l’architettura ha una tekne, ma anche una poiesis. Si tratta di creare luoghi dove le persone possano star bene insieme: scuole, università, sale da concerto, biblioteche, centri sportivi, musei, parchi. C’è una poesia dello stare insieme.” Renzo Piano intervista a Paolo Valentino. Sette – Corriere della Sera del Sera, dicembre 2024
E sorge adesso un interrogativo, se pure sarà possibile rispondere con tutte le intelligenze e le tecnologie alle sfide del clima che l’uomo ha alterato, quanto sarà indispensabile riuscire a trovare una risposta alla distruttività di alcuni individui della specie umana, quanto sarà indispensabile riuscire a condividere il bene comune attraverso una nuova arte di abitare la terra….

Gli autori: Fiammetta Nante, Corrado Landi, Alessandro e Giancarlo Leonelli sono architetti

In foto il curatore della Biennale architettura 2025 Carlo Ratti, courtesy Biennale di Venezia

 

Malattie rare: una rivoluzione culturale contro la discriminazione dei pazienti

Definire significa necessariamente limitare, ridurre a un’etichetta la complessità delle cose, porre entro dei confini ben precisi l’identità specifica di ciascuno. Definire una persona “disabile” significa condannarla alla sua malattia, ricondurre tutte le sfumature della soggettività a un’unica grande categoria, quella della mancanza. È per evitare questo stigma che il decreto legislativo n. 62/2024 ha aggiornato la terminologia: “persona con disabilità” non indentifica un individuo con la sua menomazione ma separa le qualità intrinseche della persona da una condizione oggettiva di svantaggio. Il 15 febbraio è la giornata mondiale della Sindrome di Angelman, ma le parole e la sensibilizzazione pubblica non bastano se non sono accompagnate da un effettivo riconoscimento sociale dei diritti delle persone con disabilità.

La Sindrome di Angelman, scoperta dal pediatra inglese Harry Angelman nel 1965, è una malattia genetica rara che colpisce circa un bambino ogni 15mila, causata da un’alterazione di un gene del cromosoma 15. È caratterizzata da un grave ritardo dello sviluppo psicomotorio, linguaggio verbale assente, epilessia, deficit dell’equilibrio dinamico e movimenti scoordinati con tremori agli arti. I primi sintomi si manifestano tra i 6 i 12 mesi, mentre le crisi epilettiche compaiono intorno ai 2-3 anni di vita (nell’80-85% dei casi). Spesso sono presenti anche problemi gastrointestinali, visivi e ortopedici (curvatura anormale della colonna vertebrale). Il comportamento tipico rivela una certa facilità nella relazione, iperattività motoria, ipereccitabilità con ridotto span attentivo e disturbi del sonno. Un altro tratto frequente, presente nell’80% dei casi, è la microcefalia, che si rende evidente dopo i 2 anni di vita.

«Quando abbiamo saputo che nostro figlio aveva la SA, chiaramente la notizia è stata devastante», racconta a Left Ferruccio, il papà di Federico. «Il mondo ci è crollato addosso, perché tutti i sogni e le aspettative che una giovane coppia si fa quando sta per nascere il primo figlio vengono a crollare, soprattutto quando si tratta di una sindrome così rara. Paura e sconforto sono state le sensazioni prevalenti durante quel periodo. A darci un po’ di sollievo è stato conoscere le altre famiglie di bambini con SA, che abbiamo incontrato grazie all’associazione ORSA (Organizzazione Sindrome di Angelman).». Oggi Federico ha 14 anni, frequenta la prima superiore e gioca a baskin (basket inclusivo). È ben voluto dai compagni e dagli insegnanti, e affronta con serenità questa fase della sua vita. Tuttavia gli episodi di discriminazione non sono mancati in passato.

«Le discriminazioni più grandi che abbiamo vissuto finora paradossalmente sono arrivate proprio da parte dello Stato, nei confronti dei diritti di nostro figlio – diritti che in buona parte gli sono stati negati nei primi anni di vita e solo tramite una causa civile all’INPS siamo riusciti a far riconoscere. Dopo la diagnosi di Angelman, a Federico sono state attribuite l’invalidità civile al 100% e la L.104, entrambe però con rivedibilità della diagnosi. La giustificazione è stata che, essendo molto piccolo ancora, poteva esserci margine di miglioramento. Per noi era una cosa normale, perché avevamo fiducia nella commissione che se ne occupava, un’equipe di professionisti costituita da medici, assistenti sociali, e via dicendo».

«Al primo convegno dell’Orsa a cui abbiamo partecipato abbiamo scoperto che, secondo il decreto ministeriale 02/08/2007, la Sindrome di Angelman prevede sì l’invalidità civile e l’handicap grave (L. 104 art.3 c.3) ma con l’indennità di accompagnamento, mentre a noi era stata attribuita quella di frequenza; soprattutto, non è considerata rivedibile. Volevamo fare ricorso ma non potevamo perché era troppo tardi. Abbiamo dovuto aspettare due anni per fare una seconda visita di accertamento e di nuovo l’invalidità civile non è stata riconosciuta come “non rivedibile”. Ci siamo quindi rivolti a un avvocato per fare causa all’INPS, che abbiamo poi vinto. Altre circostanze discriminatorie si sono verificate a scuola, dove abbiamo sempre dovuto lottare per ottenere l’assegnazione del massimo delle ore di sostegno o della presenza della figura dell’educatore nelle ore mancanti».

Episodi come questi si verificano tutti i giorni nella vita delle persone con disabilità, storie di diritti calpestati che cadono nel silenzio. Lontano dalle luci dei riflettori, gli individui più fragili pagano il prezzo di vivere in una società ultra-competitiva che non ha tempo di badare a chi rimane indietro. «Tutti si riempiono la bocca di belle parole come inclusione, solidarietà, partecipazione ecc., ideali sicuramente nobili, ma nella realtà quotidiana le cose vanno diversamente. Tutto viene scaricato sulle spalle delle famiglie, che devono costantemente rimboccarsi le maniche ed essere disposte a battersi: se non lo fanno, vengono emarginate. Alle nuove famiglie che hanno appena scoperto la disabilità del proprio figlio/a dico sempre che la prima cosa da fare in assoluto è accettare la situazione. La seconda: lottare per far valere i propri diritti. Perché quella è veramente la discriminazione più grande. Nessuna malattia è così rara da non meritare l’attenzione».

L’autore: Elvis Zoppolato è docente, giornalista e saggista

In apertura Ritratto di fanciullo con disegno di Giovanni Francesco Caroto. Sembra che il soggetto ritratto potesse essere affetto dalla sindrome di Angelman

Foto wikimedia

Lo “Stato canaglia”, teoria e prassi

Nelle relazioni internazionali l’epiteto di “rogue” è riservato a Stati che deliberatamente si isolano dal contesto internazionale per perseguire condotte illecite, in spregio del diritto internazionale e tossiche per gli attori contermini o ad essi legati. Tutto questo al solo fine di perseguire vantaggi specifici e univoci dell’ambito internazionale e rafforzare posizione del proprio governo in politica interna. L’aggettivo “rogue” può essere tradotto come pericoloso o disonesto, in questo caso specifico però viene generalmente tradotto con canaglia, per sottolineare la malafede del soggetto in questione. L’epiteto di Stato canaglia è generalmente utilizzato da Paesi che hanno una grande potenza e influenza nelle relazioni internazionali, ad esempio gli Stati Uniti, contro Paesi che confliggono contro i propri interessi. Derrida nel suo libro Stati canaglia esplicitava bene il meccanismo per il quale nell’era post-liberale la definizione di “Stato canaglia” forse ormai d’uopo a sostenere le politiche estere degli attori più forti. Questo non toglie, tuttavia, che possano essere identificati come comportamenti da “Stato canaglia” alcune condotte particolarmente spregiative del diritto internazionale e contrarie ai trattati cui gli stessi “Stati canaglia” ufficialmente aderiscono, con un atteggiamento talvolta piratesco e tendente ad ottenere un vantaggio politico molto spesso più interno che internazionale.

L’Italia ha concluso una serie di accordi per negare il diritto di asilo a tutta una serie di soggetti bisognosi di tale istituto, ma la cosa più grave è che lo ha fatto con governi che spesso hanno dimostrato di essere sprezzanti dei diritti umani e con i quali l’Italia ha scambiato sostanzialmente assistenza militare con la repressione del diritto di asilo e, spesso, la detenzione illegittima e la tortura dei migranti.

L’accordo dell’Italia con la Libia è emblematico in tal senso: l’Italia si è impegnata a: «a fornire supporto tecnico e tecnologico agli organismi libici incaricati della lotta contro l’immigrazione clandestina, e che sono rappresentati dalla guardia di frontiera e dalla guardia costiera». Questa posizione nella sostanza è già di per sé delicata poiché presuppone che l’Italia supporti direttamente forze armate di un altro Paese e ponga quindi risorse economiche importanti nella disponibilità di un governo straniero per il controllo dell’immigrazione. Oltre a ciò questo comportamento rappresenta un’aperta contraddizione ai tentativi dell’Unione Europea per sviluppare una comune politica di asilo ed è stato siglato con un governo che non è apertamente riconosciuto da tutta la popolazione libica. Infatti in Libia coesistevano e coesistono due entità amministrative che non godono di mutuo riconoscimento: il governo di stabilità nazionale e il governo di unità nazionale. Infine, come già accennato, il governo libico con il quale l’Italia ha siglato l’accordo pro domo sua, ha dato prova a più riprese di calpestare i diritti umani dei migranti. Uno dei più solerti torturatori e stupratori in servizio in Libia è proprio il famigerato Najeem Osam (Almasri) contro il quale è stato emesso un mandato di arresto internazionale (dalla Corte penale internazionale) il 18 gennaio scorso e che è stato prima arrestato e poi liberato e rimpatriato a causa di una cogente e quasi certamente consapevole omissione dell’esecutivo italiano.

Un altro atteggiamento che ha del piratesco è quello che l’Italia tiene con la Tunisia. Il Paese mediterraneo, nel quale è presidente l’autoritario Kaïs Saïed sta divenendo una vera e propria autocrazia. Saïed è una figura abbastanza controversa che ha di fatto forzato l’entrata in vigore di una nuova Costituzione del 2022. Questa Carta fondamentale, che concede poteri straordinari alla figura del presidente, gli dà la possibilità, come vero e proprio dominus istituzionale di gestire direttamente e senza bilanciamento il potere esecutivo e legislativo (vedi l’articolo di Biagi sulla rivista Diritti comparati”). L’Italia ha deciso di plasmare la propria politica sull’immigrazione anche in funzione di una partnership con Kaïs Saïed, assistendo la Tunisia con sistemi d’arma come motovedette e, di fatto, esternalizzando ad essa la sorveglianza di alcune delle proprie frontiere.

L’imbarazzante questione dei migranti a più riprese tradotti in maniera illegittima, e con spese consistenti, in centri di detenzione in Albania e poi ricondotti in Italia per provvedimenti della magistratura sono un esempio più della sprovvedutezza dell’esecutivo che della volontà di calpestare il diritto, tuttavia servono a delineare un quadro preoccupante.

Un altro comportamento che mette in evidenza la volontà italiana di agire come freerider delle relazioni internazionali è il piano Mattei. E’ stato tronfiamente annunciato dall’Italia oltre un anno fa, nonostante le proteste di vari paesi africani, tuttavia è ancora in una fase frammentata ed embrionale. Nei mesi che hanno seguito il suo annuncio ufficiale, la gestione e articolazione del Piano hanno evidenziato varie criticità. Come afferma anche un articolo apparso sul sito del think tank “ECCO” il “piano”, che un vero è proprio piano non è, ma assomiglia piuttosto ad una serie di avventurose iniziative bilaterali, ha un carattere frammentato, presenta la difficoltà di ricondurre i singoli progetti a una strategia e brilla per l’assenza di chiarezza. Sembra piuttosto un goffo tentativo di prendere il sopravvento sulla diplomazia di diversi paesi africani.

In rapporti che l’Italia tesse con Israele per la fornitura a questo Paese di armi documentati da varie testate e rappresentati da siti come quello di Altreconomia e la contemporanea intesa promossa dal governo italiano con l’Arabia saudita, emergente dalla visita del Presidente del consiglio italiano alla corte del principe saudita in gennaio gettano la luce sui reali interessi dell’Italia in Medio-oriente: sponsorizzare l’attività delle industrie di armi italiane nell’area. Quest’ultimo punto è lampante dal Memorandum of Understanding siglato la Leonardo contestualmente alla visita.

Il quadro che emerge è chiaro al di là di quanto viene alla luce da episodi sporadici (e gravissimi) come quello di Almasri, ed è quello dell’Italia che si comporta similmente a un vero e proprio “stato canaglia” delle relazioni internazionali. Questo atteggiamento intossica il lavoro fatto dalle istituzioni europee per creare un ambiente virtuoso fra i paesi più rilevanti nelle proprie politiche di vicinato e crea il potenziale di instabilità che potrebbe portare ad un ulteriore peggioramento della situazione delle aree esaminate.

In foto, Giorgia meloni con il presidente della Tunisia Kaïs Saïed 

Stalking, maltrattamenti, femminicidi: il tribunale attende, gli assassini no

La Corte europea dei diritti umani ha condannato l’Italia. Non per un errore isolato, ma per un sistema che non protegge. La storia di P.P., la donna che ha visto la sua denuncia di stalking impantanarsi nella lentezza della giustizia italiana, non è un caso raro: è il paradigma di un Paese che lascia sole le vittime.

Le autorità sapevano. Sapevano delle aggressioni, delle minacce, dei 2.500 messaggi. Eppure, tra rinvii e prescrizioni, l’ex compagno ha ottenuto l’impunità. E ora lo Stato paga 10mila euro per i danni morali: una cifra che sa di elemosina per chi ha visto la propria sicurezza calpestata.

La condanna della Cedu fotografa una macchina giudiziaria che non riesce a garantire giustizia tempestiva alle persone che denunciano violenza. I numeri sono noti: troppe donne uccise da uomini già segnalati, troppi fascicoli lasciati a prendere polvere finché non arriva l’irreparabile. Il ritornello è sempre lo stesso: “Non c’erano elementi per intervenire prima”. Falso. C’erano, ma non bastavano. Non bastano mai.

Nel 2024, una donna è stata colpita con dieci martellate dall’ex compagno, che aveva già precedenti per maltrattamenti. Nel 2023, Vanessa Ballan ha denunciato il suo stalker prima di essere uccisa. P.P. ha denunciato e ha atteso che la giustizia facesse il suo corso, ma la giustizia ha scelto di non correre.

L’Italia è stata condannata, ma non è la prima volta. E non sarà l’ultima. Finché il sistema continuerà a trattare la violenza di genere come una faccenda privata, i tribunali non saranno luoghi di tutela ma di attesa. Attesa di un processo, attesa di una condanna, attesa di un’altra vittima.

Alla ricerca della propria nota personale con Orpheus groove

Al teatro Bellini di Napoli è ancora in scena fino al 16 febbraio, lo spettacolo scritto e diretto da Annalisa D’amato, Orpheus groove che aveva debuttato al Campania Teatro Festival nel 2024. Una coproduzione italo-francese (la regista e drammaturga vive e lavora tra Napoli e Parigi). Al centro della scena c’è una donna alle prese con un acufene associato a una stanchezza cronica, un disagio che le permette di condurre una vita normale, ma che in realtà non le permette di viverla pienamente. In italiano il verbo “sentire” possiede un duplice significato; provare un sentimento (ascoltare se stessi) e udire (ascoltare una fonte sonora esterna). L’acufene è un disturbo sonoro che proviene dal corpo stesso, ma che impedisce una corretta (e piacevole) percezione del mondo (sonoro) esterno che, all’orecchio della protagonista, risulta quindi “dissonante”. Per cercare di risolvere questo problema si rivolge a un misterioso “Istituto per la ri-armonizzazione universale”, un laboratorio in cui il fisico del suono indiano Orpheus Shivandrim. insieme a un team di bizzarri scienziati, conduce studi sul suono allo scopo di riarmonizzare la vibrazione degli esseri umani e della terra che si sta drammaticamente affievolendo. Un progetto mirabolante che parte da un assunto reale: esiste una condizione globale, un malessere che ci riguarda tutti. E un obiettivo cruciale: come fare a stare bene? Come curare questo mondo troppo offeso?
Lo spettacolo vuole essere la rappresentazione di un viaggio iniziatico compiuto dalla protagonista femminile alla ricerca di una cura a una condizione di malessere nella quale chiunque, in diversa misura, può facilmente riconoscersi. L’insofferenza verso le sollecitazioni del mondo contemporaneo (specialmente negli ultimi anni, tra pandemia e guerre) e l’insoddisfazione verso una quotidianità arida sono parte del “paesaggio esistenziale” dei nostri giorni.
Annalisa D’Amato, attraverso una scrittura drammaturgica molto ben calibrata, sempre in bilico tra il dramma e la farsa, ha il merito di metterci di fronte a questo malessere senza falsi pudori. Dissimulati nel testo, ci sono continui riferimenti ad autori e opere, puntualmente elencati nella brochure dello spettacolo: dal Trattato sugli effetti della musica sul corpo umano di Roger e La Danza Cosmica di Ellock a La società della stanchezza di Byung-Chul Han fino a Rushdie, Pavese, Rilke, Calvino, Gurdjieff e altri. Ma il peso specifico delle citazioni “colte” non affatto nuoce alla godibilità dello spettacolo, a tratti persino divertente.
In una recente intervista l’autrice ha dichiarato: «Per me la scrittura nasce da una domanda: come stanno le persone oggi? Mi ha risposto un libro, La società della stanchezza(Nottetempo). Quest’ultima è parola chiave della nostra epoca. Anche il più realizzato di noi dirà: va tutto bene, ma sono stanco. E lo siamo per iperproduttività, perché i nostri atti politici non trovano riscontro e perché siamo separati gli uni dagli altri. I Sufi dicevano che ognuno nasce con una propria nota, ma noi l’abbiamo persa. Ho pensato ad Orfeo come a uno sciamano e a un guaritore che trasforma la realtà malata: mi è venuta l’idea di un gruppo di scienziati che cercano di riarmonizzare le vibrazioni della terra e l’uomo».
Anche assistere a Orpheus groove può essere considerato l’inizio di un “percorso iniziatico”, nella misura in cui lo spettatore è invitato a porsi delle domande, a cercare per conto suo le cause della “dissonanza” tra il proprio corpo, spesso costretto ad eseguire compiti meccanici e stupidi, e la parte più profonda del proprio essere.

 

Orpheus Groove ideazione, scrittura scenica, regia Annalisa D’Amato, drammaturgia Elvira Buonocore e Annalisa D’Amato. con Andrea de Goyzueta, Juliette Jouan, Savino Paparella, Stefania Remino, Antonin Stahly, musiche: Annalisa D’Amato e Antonin Stahly, scenografia: Simone Mannino, costumi: Giuseppe Avallon

 

L’autore: Lorenzo Pompeo è slavista, traduttore, saggista e docente universitario

Lavoro in somministrazione. Ecco le novità contenute nel rinnovo del contratto

L’andamento della contrattazione in Italia, in questa stagione, è piuttosto frammentario. Mentre alcuni grandi contratti, come quello dei metalmeccanici dell’industria, non riescono ad andare in porto, altri settori offrono interessanti esempi di contrattazione di successo, come era stato, in novembre, proprio per i metalmeccanici artigiani e, recentemente, per i lavoratori dell’edilizia.
Poco più di una settimana fa, invece, è stata la volta di un comparto particolare: quello del lavoro in somministrazione che conta più di mezzo milione di attivi ogni giorno.
Ma cosa si intende con “lavoro in somministrazione”? In parole povere di tratta di un rapporto di lavoro con una caratteristica particolare, perché coinvolge non due, ma tre parti: cioè il lavoratore, l’agenzia di somministrazione e l’azienda utilizzatrice che si avvarrà della prestazione di lavoro.
Dunque, un rapporto nel quale si verifica una scissione tra la titolarità del contratto, che è in capo all’agenzia per il lavoro che lo sottoscrive, e l’uso effettivo della prestazione professionale da parte di un’azienda.
Il contratto nazionale di lavoro è stato sottoscritto, il 3 febbraio, da Assolavoro, l’associazione nazionale che rappresenta la quasi totalità delle agenzie per il lavoro, e dai sindacati confederali di questo complesso settore: Nidil-Cgil, Felsa-Cisl e UilTemp. E comprende diversi contenuti interessanti. La qualità del dialogo sociale tra le parti è un valore centrale dell’accordo: fatto non scontato per un settore che, fondato proprio sulla flessibilità del rapporto di lavoro è stato per taluni, nella prima parte della sua storia, sinonimo della condizione di precarietà dei lavoratori. Un settore che noi abbiamo sempre sostenuto per il semplice fatto che, per l’azienda utilizzatrice, questo tipo di prestazione flessibile ha un costo molto più elevato del normale lavoro dipendente a tempo indeterminato o determinato. Come spiega una dichiarazione congiunta delle organizzazioni confederali: “l’ipotesi di accordo, che sarà sottoposta al voto delle assemblee di lavoratori e lavoratrici, offre risposte, seppure con gradi diversi, a tutte le rivendicazioni della nostra piattaforma, adeguando le norme ai bisogni delle persone che lavorano in somministrazione e innovando il settore, anche attraverso una maggiore centralità delle relazioni sindacali”. Dal canto suo, Assolavoro definisce l’intesa «una prova di maturità importante per il settore, che dimostra di saper affrontare con responsabilità e visione le sfide del mercato del lavoro, garantendo continuità occupazionale ai lavoratori».
Riassumiamo gli aspetti sostanziali dell’accordo. Per quanto riguarda la formazione e le competenze, l’investimento delle risorse del fondo bilaterale Formatemp viene regolato in modo più strutturato per migliorare l’occupabilità dei dipendenti delle agenzie: 300mila lavoratori, ogni anno, potranno beneficiare di attività di formazione gratuita. Il welfare sanitario contrattuale prevede un rafforzamento delle prestazioni assicurative e mediche. La continuità occupazionale sarà sostenuta da nuovi strumenti che interverranno durante periodi recessivi e a supporto delle donne in gravidanza e delle categorie più svantaggiate. È stata aumentata, con percentuali superiori al 15%, l’Indennità di disponibilità, portando quella “ordinaria” da 800 euro a 1.000 euro mensili e quella di Procedura di ricollocazione (ex art. 25), da 1.000 a 1.150 euro. È previsto un meccanismo di verifica dell’adeguatezza in base all’andamento dell’inflazione. Per quel che riguarda il Fondo di solidarietà bilaterale è stato previsto un raddoppio del finanziamento con una crescita dell’aliquota contributiva allo 0,60%, ripartita tra agenzie (0,45%) e lavoratori (0,15%). Infine è prevista la certificazione della rappresentanza di settore, anche per la parte datoriale, e le regole per l’elezione delle Rsu.
Crediamo che, in un periodo tanto complesso e difficile per il nostro tessuto produttivo, Assolavoro e le organizzazioni confederali dei lavoratori di questo settore abbiano offerto al Paese, senz’altro, una buona notizia: ossia un esempio di relazioni industriali di qualità.

L’autore: L’ex ministro Cesare Damiano è presidente dell’associazione Lavoro&Welfare

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Decreto Piantedosi: sette giri del mondo per sabotare i soccorsi

Quelli di Sos Méditerranée si sono messi a fare i conti. La loro nave Ocean Viking, che nel Mediterraneo salva le vite che qualcuno vorrebbe annegate senza troppo rumore, ha percorso 63.000 chilometri inutili. Chilometri figli del cosiddetto decreto Piantedosi, vergato con il solo scopo di sabotare il salvataggio in mare. In tutto, le navi delle Ong che operano nel Mediterraneo hanno dovuto percorrere 271.000 chilometri inutili. Sette volte il giro del mondo.

La direttrice generale Valeria Taurino spiega che «prima del Decreto Piantedosi, una nave come la nostra Ocean Viking era in grado di salvare in media 278 persone a missione» mentre nel 2023 «questo numero è sceso a 143 e, nel 2024, a 114» nonostante l’assetto operativo della nave non sia cambiato. In compenso si è speso un milione e trecentomila euro in più.

Poi ci sono i fermi amministrativi. «26 fermi amministrativi per le navi, per un totale di 640 giorni di stop in mare comminati, di cui 535 effettivamente scontati». Praticamente un anno e mezzo lontani dal mare, impigliati tra beghe amministrative quasi sempre smontate dai tribunali. In realtà, come spiega Taurino, «prolungare la permanenza di naufraghi a bordo di una nave è vietato espressamente dal diritto marittimo internazionale».

La Ocean Viking è stata multata per una deviazione di 15 miglia, 24,4 chilometri, percorsi per un allarme arrivato alla radio di bordo. Nel frattempo, in due anni di decreto Piantedosi, sono morte 4.225 persone. L’empietà può essere a forma di carta bollata?

Buon giovedì.

Ocean Viking, foto di Daniel Leite Lacerda

Così l’Italia diventa la 52esima stella della bandiera Usa, subito dopo Israele

Il lavoro intellettuale è portato per vocazione a seguire ciò che succede, a coordinare i fatti vicini e lontani, a mettere insieme i pezzi disorganizzati e frammentari di un quadro coerente, nella cultura e nella politica, per ritrovarvi la logica, l’arbitrarietà o anche la follia, ancor più se tutto è fatto in modo smaccato, e anche sciatto direi. Ma bisogna sempre badare alle coincidenze, ai ritorni periodici.

Partiamo dall’inizio, autunno 2024. Viene emesso il mandato d’arresto della Cpi a carico di Netanyahu. Senza esprimere giudizi – ai quali peraltro è chiamata la Corte –, i Paesi occidentali si dichiarano pronti a eseguire l’arresto nel rispetto del multilateralismo e della giustizia internazionale. Ma il governo italiano esprime posizioni contraddittorie, che lasciano trasparire già qualcosa che non torna. Se il più cauto ministro della Difesa a novembre diceva che non condivideva la scelta della Corte penale internazionale (Cpi), ma la si sarebbe dovuta eseguire, tutti gli altri leader di maggioranza hanno criticato la Corte, con toni più o meno accesi: Salvini ha espresso il categorico rifiuto di dar seguito ad un arresto, invitando qui il criminale Bibi; Meloni ha detto che la sentenza non era corretta, ma d’altronde ci ha fatto ben capire che dal suo punto di vista la divisione dei poteri non ha alcun valore; il presunto moderato Tajani parlava di sentenza inadeguata, su cui si sarebbero fatte le debite valutazioni in caso necessario.
L’ultima posizione è in realtà la più insidiosa, moderata solo in apparenza, e sfrutta proprio il posizionamento centrista, sbandierato e anche per questo ingannevole, del partito. Se si riconosce il valore storico e umano del diritto internazionale, ci si astiene da ogni valutazione, perché solo al tribunale spetta il compito di giudicare, esaminando i fatti e le carte, per decide alla fine se condannare o assolvere. Non spetta al potere politico, ripetiamolo sempre.
Ma loro avrebbero valutato…

Ricordiamo, nel mentre, che gli Usa avevano rigettato senza dubbi il valore del mandato d’arresto spiccato dalla Corte penale internazionale. Lo fece l’allora presidente in carica Biden, senza sollevare polveroni, e anche il presidente eletto Trump, con critiche dure e sferzanti. Ma in ogni caso, la tendenza degli Usa è di agire sentendosi al di sopra delle parti, padroni gendarmi e giudici del mondo, non sottoposti al giudizio altrui. E così, già allora, Netanyahu fu accolto a Washington.

Intanto, le valutazioni di Tajani – dunque del governo in quanto lui è il capo della Farnesina – hanno partorito topolini pestiferi. Temporeggiando temporeggiando, il ministro degli Esteri il 16 gennaio dichiarava apertamente che l’Italia non avrebbe arrestato Netanyahu, e in più esprimeva un parere sull’operato della Cpi, tacciando i suoi provvedimenti di infondatezza.
Siamo ancora in tempi non sospetti, ma sul piano delle intenzioni politiche la decisione era stata presa: la Cpi è un nemico, non bisogna darle ascolto, sono magistrati, e per di più sovranazionali (odiosa parola per Meloni e Salvini).
E pochi giorni dopo scoppia il caso Almasri, di cui abbiamo scritto molto. In sintesi: in quell’occasione l’Italia non ha nemmeno preso tempo, ha subito fatto del diritto internazionale carta straccia, e il rito conclusivo è stato il pessimo spettacolo del ministro Nordio durante le informative al Parlamento.
Giusto così, come ipotesi, sembra che col caso Almasri il governo si sia preparato il terreno, non solo portare su tutto il globo terraqueo la guerra alla magistratura, ma anche per creare un precedente (nel senso tecnico della giurisprudenza), e poter accogliere Bibi con tutti gli onori in Italia. D’altronde, se riserviamo onori al boia libico, possiamo far lo stesso con quello israeliano. Ma per il momento, va Salvini a stringere la mano insanguinata in Israele, tanto per rendere più chiara la posizione del governo.

E poi, l’Italia non ha firmato il documento Ue a sostegno dell’Aja, contro le sanzioni americane. Infatti, ormai in carica, Trump ha preso di mira anche la Cpi, di cui gli Usa nemmeno fanno parte. La Casa Bianca ha messo sanzioni sulla Corte e i suoi membri, dando come motivazione i presunti attacchi illeciti dei giudici nei confronti di americani e israeliani (ossessioni parallele su i cieli di Washington e Roma). E intanto, il presidente Usa si prepara ad acquistare Gaza, nella totale noncuranza del diritto internazionale, rispolverando ed esasperando la dottrina Eisenhower, che considerava il Medio Oriente una provincia americana, e che già Kennedy criticava, insieme al concetto di Pax Americana. Perciò, ecco lì Israele, già 51esima stella sulla bandiera Usa, al di là delle aggressive pretese di Trump su Canada e Groenlandia. E dati i suoi governanti attuali, l’Italia sembra tristemente indirizzata ad occupare la stella 52…

L’autore: Matteo Cazzato è dottore in filologia, ricercatore e insegnante

Governo in retromarcia: finita la recita da trumpisti di periferia

Dietrofront, camerati. Il ministro Nordio, così sfrontato in Parlamento quando ha inveito contro la Corte penale internazionale, improvvisamente si è ammansito. Dopo la sfuriata contro le opposizioni ha indossato l’abito dello statista (ogni membro del governo ne ha uno nell’armadio, Meloni più d’uno) e ha citofonato all’Aja con le mani giunte.

I bene informati dicono che tra le proposte dell’esecutivo ci sarebbe anche “quella di rivedere il sistema di invio al ministero dei mandati di cattura internazionali” per instaurare “una sorta di comunicazione diretta in modo da eliminare il passaggio con l’ufficiale di collegamento dell’ambasciata italiana in Olanda”. Magari, si scherza, anche l’uso di Google Traduttore per comprendere le carte ricevute.

Negli uffici di via Arenula i consiglieri del ministro devono averlo convinto che trumpizzarsi contro la CPI e impugnare la clava contro il procuratore Lo Voi è un atteggiamento che accarezza gli sfinteri degli elettori ma che isola l’Italia sul piano europeo e internazionale. A meno che la presidente del Consiglio, sovranista alla bisogna, non sogni di diventare il cinquantunesimo Stato degli USA di Trump.

Dietrofront, audaci. Gli sfrontati nel giro di poche ore sono tornati a voler fare gli statisti. Hanno giocato a ribaltare l’ordine internazionale e la maestra li ha richiamati all’ordine. Fine della boria, fine della festa. Chissà come ci è rimasto il ministro Salvini in tournée con gli abiti sbagliati mentre i suoi treni continuano a non arrivare.

Buon mercoledì.