L’accordo tra Europa e Turchia è finalmente (non per i rifugiati) entrato in vigore. I primi traghetti sono salpati da Lesbos e Chios e sono giunti a Dikili, accolti da un grande schieramento di reporter, funzionari di polizia turchi e dai cartelli (poi rimossi) appesi sulle vetrine dei negozi della città che protestano contro l’arrivo dei rifugiati. Le persone ferme sulle isole greche dove nei mesi ci sono stati più sbarchi sono più di 50mila e le prime due navi ne hanno trasportate circa 250. Il governatore della provincia turca ha parlato di 202 persone.
Il governo greco ha spiegato che tra le persone rispedite indietro non c’è nessun richiedente asilo, ma non ha dato indicazioni su quante siano e da dove provengano le persone imbarcate. L’agenzia Ana ha però rivelato che si tratta di pakistani, bengalesi, cingalesi e persone provenienti da alcuni Paesi africani. Alcuni di questi verranno espulsi dalla Turchia, mentre i siriani verranno trasferiti in campi profughi, registrati e poi, in teoria e fino al numero di 72mila persone, potranno rientrare in Europa. La verità è che pakistani e bengalesi venivano già respinti verso la Turchia e che, dunque, è difficile verificare che cosa cambierà con l’inizio dell’applicazione dell’accordo turco-europeo. I siriani nel primo traghetto erano solo due.
Le foto e i tweet dei reporter indicano una certa propensione alla segretezza da parte delle autorità turche, che aprono teloni per coprire dallo sguardo degli obiettivi il loro lavoro. Sulle isole greche e turche manca ancora molto personale addetto alla registrazione e identificazione delle persone: in Grecia tutti devono avere diritto a poter presentare domanda di asilo prima di – eventualmente essere deportati. Negli ultimi giorni c’è stata un aumento improvviso delle domande. In molti hanno però protestato perché non erano stati informati dei rischi di deportazione, ad altri non è stato consentito chiedere asilo.
France presse racconta la vicenda di alcuni siriani provenienti da Homs cui è stata spostata avanti di un giorno la data di ingresso in maniera da farli rientrare nei termini dell’accordo. «Mi hanno detto che il giorno prima il computer era rotto», ha raccontato una persona in fuga da Homs. A Lesbos, Idomeni e altrove ci sono molte donne e molti bambini siriani che stanno cercando di raggiungere i loro familiari in Germania o altrove in Europa: gli uomini hanno fatto per primi l’attraversamento mentre le donne e i bambini sono rimasti nei campi turchi o giordani in attesa di poter raggiungere i loro mariti o padri. Avviare procedure di ricongiungimento familiare per queste persone aiuterebbe e sarebbe umano. Il 90% delle persone a Moria, sull’isola di Lesbos, sono richiedenti asilo. Il che complica ulteriormente la vicenda: legalmente non li si può espellere.
La portavoce di Unhcr Melissa Fleming ha reso noto che l’agenzia ha avuto modo di spiegare le procedure di richiesta di asilo alle persone destinate a essere rispedite indietro. L’agenzia Onu per i rifugiati (come ci ha detto Carlotta Sami, responsabile per il Sud Europa, qualche giorno fa) non prende però parte in nessun modo alle procedure di espulsione e deportazione. Così come non vi prendono parte Medici Senza frontiere e le altre organizzazioni umanitarie che da mesi lavorano in Grecia e in Europa per garantire un minimo di accoglienza.
Nei tweet qui sotto una foto dei teloni che coprono le operazioni di sbarco e registrazione a Dikili e il volantino distribuito alle persone a Lesbos per informare dell’accordo con la Turchia e il centro di accoglienza di Lesbos, divenuto, dopo l’accordo, un centro di detenzione per persone in attesa di essere espulse
The delay is so that the govt can hide the disembarkation under a white tarpaulin, away from press’s prying eyes pic.twitter.com/LEICore4Hi
— Patrick Kingsley (@PatrickKingsley) 4 aprile 2016
The document given to people in #Moria #Lesvos on Friday informing about their situation after the #EUTurkeyDeal pic.twitter.com/mqMkzG7gir
— Giorgos Kosmopoulos (@GiorgosKosmop) 4 aprile 2016
Inside #Moria. Depuis le 20 mars, le centre d'accueil et d'enregistrement de Lesbos a été transformé en prison. pic.twitter.com/N9AYvwJew4
— Sarah Leduc (@SarahlF24) 4 aprile 2016