Il sindaco di Parma s'è deciso. Lascia il Movimento 5 stelle e ne ha per tutti. Per Di Maio («ormai vanno di moda i lobbisti»), per Raggi, per Grillo («Avevamo un megafono, ora abbiamo un capo e tutti sono contenti»). Prende tempo, invece, sul suo futuro

Federico Pizzarotti lascia il Movimento, e verrebbe da dire “finalmente”, perché il tira e molla è durato tantissimo e perché “finalmente”, soprattutto, è quello che pensano dalle parti della Casaleggio associati, dell’ex direttorio, quello che pensa Beppe Grillo. L’ex comico ora ufficialmente capo politico che viene ringraziato dal sindaco di Parma, figurarsi: «Senza Beppe Grillo io non mi sarei alzato dal divano», dice Pizzarotti prima di aggiungere un «Però…». Una serie di però.

«Da uomo libero non posso che uscire da questo movimento 5 stelle», dice dunque Pizzarotti, che ora immagina una ricandidatura alla testa di una coalizione di liste più o meno civiche, guardando a sinistra. Parla di mutazione, Pizzarotti, dice: «Eravamo persone libere, critiche, volevamo le telecamere nei consigli comunali. Adesso invece siamo quelli dei direttori, praticamente nominati, ratificati dalla rete». «Noi non avevamo un capo ma un megafono, si diceva», continua, «e ora ci ritroviamo con un capo politico e tutti che dicono “benissimo aspettavamo da tempo un capo”». Siamo quelli delle gogne, poi, perché «posso immaginare», aggiunge Pizzarotti, «il simpatico trattamento che riceverò questo pomeriggio».

Il sindaco di Parma ne ha per tutti. Per Di Maio («Son diventati di moda i lobbisti e gli incontri bilaterali», è la stoccata, «al posto degli streaming») e gli altri volti nazionali: «Persone che non hanno idea di cosa significa governare», dice spiegando che il Movimento 5 stelle dovrebbe rompere il tabù delle alleanze, almeno con forze civiche: «Quando noi pensiamo a un governo 5 stelle e poi parliamo di non dialogare con nessuno, diciamo una cosa che non ha senso. Perché bisogna includere, dialogare, allargare, un po’ come facevano le prime liste civiche 5 stelle».

E ne ha per Virginia Raggi, che per lui è un po’ il paradigma di come si siano usati più pesi e più misure per giudicare gli eletti del Movimento. «Siamo diventati quelli delle stanze chiuse», dice, pensando a come è stata nominata (più volte) la giunta romana o a come si è arrivati al No alle Olimpiadi. E lui, dunque, è stato sospeso solo perché scomodo, solo perché «io penso le cose e le dico, non come certi parlamentari, e lo faccio proprio per far crescere il Movimento». Solo perché lui non ha pensato alla sua carriera, non è uno di quelli «partiti dall’essere cittadini con l’elmetto e finiti a farsi dei selfie per andare in televisione», non è uno «dei tanti consiglieri comunali che non si sono ricandidati per il secondo mandata, in giro per l’Italia, in attesa del 2018». Lui, assicura, continuerà a dedicarsi a Parma, «dove abbiamo la maggioranza», e però dice «dobbiamo ancora decidere se ricandidarci», ma è un modo per prender tempo, scansare le accuse di chi prevede un futuro con il Pd, e lasciare tempo al suo gruppo consiliare, «perché il sospeso sono io».