«L'80% del capitale azionario mondiale è nelle mani di meno del 2% degli azionisti e il Covid sta accentuando le disuguaglianze sociali» dice l’economista Emiliano Brancaccio. Di fronte a tale situazione «Keynes non basta. Serve una nuova logica di pianificazione collettiva»

Ritorno dei contagi, rischi di nuovi lockdown generalizzati e una seconda crisi economica che incombe. Ne discutiamo con l’economista Emiliano Brancaccio dell’Università del Sannio, un innovatore del pensiero economico critico di cui esce il 12 novembre il suo ultimo libro edito da Meltemi: Non sarà un pranzo di gala, un viaggio tra le pieghe del difficile futuro che ci attende e delle idee forti che serviranno per affrontarlo.

Professor Brancaccio, il suo nuovo libro parte da un tributo a Marx: quando ideò la legge di tendenza verso la centralizzazione del capitale aveva visto giusto.

I nuovi metodi di ricerca di cui oggi disponiamo e la potenza dei moderni calcolatori ci consentono di confermare la legge marxiana: il controllo del capitale tende a centralizzarsi in sempre meno mani. Meno del due percento dei proprietari controlla l’ottanta percento del capitale azionario mondiale. E al sopraggiungere di ogni crisi questo piccolo manipolo di grandi capitalisti tende a restringersi ulteriormente.

Secondo un rapporto della banca svizzera Ubs il patrimonio delle persone più ricche al mondo è aumentato di oltre un quarto durante la pandemia. D’altro canto, secondo Branko Milanovic, prima dell’emergenza sanitaria la globalizzazione, pur inasprendo le disparità nei paesi occidentali, le stava riducendo a livello globale. Come leggere i due elementi?

Come la grande recessione internazionale del 2008 ha accentuato i divari tra le classi sociali, allo stesso modo e in misura ancor più accentuata farà pure la crisi del coronavirus. Tra le nazioni una convergenza esiste ed è causata soprattutto dall’enorme progresso della Cina e dei suoi satelliti. Ma in termini aggregati si tratta il più delle volte di una convergenza al ribasso: per esempio, le quote di reddito che vanno ai salari tendono a diventare più simili tra le diverse nazioni, ma il loro avvicinamento avviene intorno a una media più bassa. E così via.

Nel suo libro viene ripresa una tesi dell’ex capo economista del Fondo monetario internazionale Olivier Blanchard, che in alcuni dibattiti con lei ha sostenuto che per evitare una futura “catastrofe” ci vorrebbe una “rivoluzione” della politica economica di stampo keynesiano. Parole forti.

Sì, piuttosto inconsuete per un esponente di vertice delle grandi istituzioni economiche mondiali. Il fatto che siano state pronunciate mi sembra un segno di questo tempo minaccioso. Oltretutto si tratta di tesi avanzate subito prima dell’avvento del virus. Oggi sono ancor più attuali.

Nel suo libro però lei afferma che oggi «Keynes non basta, come non basta invocare un reddito». Di fronte ad crisi così devastante, dice, dovremmo concepire una nuova logica di pianificazione collettiva. A partire proprio dalla lotta al virus. Cosa intende dire?

Ogni azienda – e ogni nazione – sta difendendo gelosamente i diritti di proprietà intellettuale e i brevetti che ruotano intorno al virus. Ma gli scienziati impegnati nella ricerca denunciano da mesi che questa logica di…

L’intervista prosegue su Left del 30 ottobre – 5 novembre 2020

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