«Stiamo tutti vivendo un momento storico, anche la scienza e noi ricercatori. Tra un secolo si parlerà di questa pandemia e del Covid-19 come oggi si parla ancora della Spagnola e del vaiolo. Ed entro poche settimane è molto probabile che la lotta della medicina contro questo virus, sconosciuto fino a poco meno di un anno fa, entri in una nuova fase. Costringendolo a rallentare». Siamo con Valerio Azzimato, biotecnologo e ricercatore al Karolinska Institutet di Stoccolma. Da marzo scorso collabora con gruppi di ricerca sul Covid che si sono formati nella prestigiosa università svedese al cui interno è insediato il comitato che ogni anno assegna il Nobel per la medicina. In pratica si tratta di uno degli hub nevralgici attraverso cui passano le informazioni che sin dai primi mesi di quest’anno la comunità scientifica internazionale si sta scambiando sul coronavirus.
Azzimato sa perché lo abbiamo cercato. Vogliamo sapere se le voci di una imminente approvazione del primo vaccino contro il Covid-19 siano fondate. E su questo ci risponde subito: «C’è sicuramente una buona possibilità che entro l’inverno negli Stati Uniti si comincino a distribuire le prime dosi». Cercheremo quindi di capire in che termini questa è una buona notizia. Noi che come lui abbiamo mantenuto un forte scetticismo di fronte agli annunci che nelle ultime settimane abbiamo sentito fare a diversi presidenti e capi di governo. Uno scetticismo che per uno scienziato è la bussola, ci tiene a precisare, e che per chi fa informazione è dettato dal fatto che di norma per un vaccino dall’avvio della sperimentazione all’approvazione al commercio passano almeno 4-5 anni. Nel caso del Covid-19, stando a quel che hanno detto Trump, Putin, Conte e altri non saranno passati nemmeno 12 mesi. Davvero le loro non sono affermazioni avventate da bollare come propaganda politica? «In questo periodo storico – spiega Azzimato – tutta la ricerca mondiale è concentrata sulla scoperta del vaccino. È la priorità di tutte le grandi case farmaceutiche, dei laboratori di ricerca virologica, di quelli di chimica combinatoriale etc. Una ricerca collettiva e di massa senza precedenti accompagnata da una mole imponente di scambio di informazioni che anche solo per una questione di logica fanno capire perché è possibile che si sia riusciti a trovare un vaccino in tempi molto più brevi rispetto al solito».
L’esigenza di conoscere che fa da motore alle scoperte è rappresentata anche dal modo in cui si sono formati i gruppi Covid al Karolinska. Azzimato – che ha ricevuto una proposta dall’università svedese quasi 6 anni fa dopo essersi formato a Milano, presso il Centro cardiologico Monzino e precedentemente all’Ifo Regina Elena di Roma – come tanti altri giovani ricercatori suoi colleghi ha dato subito la sua disponibilità nella formazione di questi team. «La mia “vita scientifica è in un ambito diverso, mi occupo infatti di malattie metaboliche del fegato (a fine febbraio ha pubblicato uno studio su Science Translational Medicine che potrebbe aprire nuove strade al trattamento contro il fegato grasso, ndr) ma insieme a tanti altri mi sono subito messo a disposizione della ricerca per la conoscenza del nuovo coronavirus Sars-cov-2. Qui ci sono medici, immunologi, virologi, centinaia di persone che lavorano h24 per aiutare a comprendere la pandemia e questo virus sconosciuto e per certi versi inaspettato. Nel senso che nessuno l’aveva previsto in questa forma. La scienza – chiosa il ricercatore – per arrivare ad una cura deve prima conoscere».
E non è un caso se uno dei gruppi Covid del Karolinska è tra i titolari della scoperta del ruolo delle cellule T nella risposta immunitaria al coronavirus. E qui torniamo al vaccino. Come vi abbiamo raccontato la scorsa settimana, il 20 ottobre la casa farmaceutica Pfizer ha inviato anche in Europa dosi del vaccino da testare su volontari ricoverati con sintomi. Il vaccino Pfizer è in via di…
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