Come è potuto accadere? Come mai l’assassino di Ardea non è stato intercettato prima dai servizi medici territoriali? All’indomani della strage ci siamo rivolti alla psichiatra e psicoterapeuta Viviana Censi per cercare di dare una risposta a queste e altre domande rimaste irrisolte

Un ragazzo di 35 anni, un ingegnere informatico disoccupato, infila dei guanti, indossa uno zainetto esce dalla villetta in cui abita con la madre impugnando una pistola, fa pochi passi prende la mira e spara a due bambini che stavano giocando. Pochi secondi dopo ripete il gesto omicida contro un uomo di 74 anni che prova a difenderli. Li uccide tutti e tre. Dopo di che rientra in casa e con la stessa arma si suicida. Accade la mattina del 13 giugno in un complesso residenziale di Ardea, una cittadina vicino Roma. La storia è ormai tristemente nota. Ma lo sconcerto non si affievolisce con il passare dei giorni e resta la domanda: come è potuto accadere? Per cercare di orientarci rivolgiamo alcune domande alla psichiatra e psicoterapeuta Viviana Censi, dirigente medico presso Asl Roma 5.

La psichiatra e psicoterapeuta Viviana Censi è dirigente medico Asl Roma 5, lavora presso una Rems e un centro per il trattamento dei Disturbi del comportamento alimentare

Che idea si è fatta su quanto è successo?
Basandomi ovviamente solo su quello che ho letto sui giornali e avendo guardato alcuni video di questo ragazzo sui social, quello che emerge è che si trattava di una persona con delle problematiche che in qualche modo si erano mostrate già in passato. Mi ha colpito una frase della madre: «È sempre stato un ragazzo incompreso». Ha utilizzato questo aggettivo.

Cosa vuol dire?
Me lo sono chiesta. Ha detto che lui non era capito? Vuol dire forse che era “strano”? In effetti una serie di elementi fanno pensare a una situazione di patologia che covava in questa persona. Probabilmente riusciva a coprirla e non la esprimeva chiaramente. Ma c’è l’episodio di maggio 2020 in cui ha minacciato la madre con il coltello e c’è il fatto che non era la prima volta che sparava.

Era stato sentito dai vicini sparare nel bosco ma sembra che non sia stato denunciato.
C’erano però delle avvisaglie di qualcosa che non andava. Pare inoltre che fosse stato portato al Pronto soccorso in occasione delle minacce alla madre ma che non sia stato sottoposto a Tso. Qui sarebbe stato valutato e dimesso il giorno dopo. Non voglio fare una critica ai colleghi perché non so cosa abbiano visto e trovato. Però mi chiedo: se uno minaccia la madre con un coltello non è il caso di fermarlo e ricoverarlo?

Cosa può essere successo?
A volte ci sono situazioni in cui il paziente “è coperto” si dice in gergo. Cioè non si esprime. Allora percepisci, senti che c’è qualcosa. Vale a dire che c’è un pensiero che non ti sta dicendo e probabilmente questo ragazzo un pensiero delirante, un pensiero alterato ce l’aveva. Questa è l’idea che mi sono fatta a livello psichiatrico: probabilmente c’era un delirio di persecuzione. Non lo posso dire con certezza perché non ci ho parlato però quel che emerge sembra un discorso di persecutorietà che probabilmente all’inizio – forse quando sparava in aria – era come se fosse un po’ “diffusa” e poi negli ultimi tempi, o nel gesto che ha compiuto domenica mattina, ha individuato il persecutore nella famiglia di quei bambini. Per cui è uscito e li ha uccisi.

Qualcuno ha detto che c’è stato un litigio.
Anche se fosse vero, l’eventuale litigio è una motivazione futile a cui si è aggrappato per mettere in atto qualcosa, per mettere fine a una persecuzione che covava dentro. Ha delirantemente individuato in queste persone i suoi persecutori. È uscito di casa con l’intenzione di uccidere che covava da mesi, perciò sembra che abbia nascosto la pistola del padre. Questo significa aver annullato completamente la realtà, la vita, il senso della vita di questi bambini. E sono diventati dei nemici da abbattere. Se dovessi fare una diagnosi su questi pochi elementi penserei a una situazione di schizofrenia paranoidea.

«Si fa finta che la malattia mentale non esista. Mi ha colpito che non sia stato ricoverato dopo le minacce alla madre»

Seguendo le cronache di questi giorni vien da pensare che Andrea Pignani sia stato abbandonato a se stesso.
La malattia mentale viene ancora sottovalutata, negata. Per cui c’è questa “indifferenza” che poi in realtà è anaffettività. Si fa finta che la malattia mentale non esista, che il problema non ci sia. A me ha colpito tanto che non sia stato ricoverato dopo aver minacciato la madre. In tante situazioni come questa purtroppo assistiamo a una paralisi che colpisce un po’ tutti: i familiari, le istituzioni e purtroppo spesso anche degli psichiatri. Non ci si muove, non si reagisce. Come se non si volesse vedere la patologia oltre ciò che è manifesto. Lui era laureato, un ingegnere, forse è bastato questo per mettere in difficoltà chi “doveva” vedere? E finisce che la patologia si vede solo quando c’è l’azione eclatante. Quando ormai è tardi.

È un problema di scarsa cultura della prevenzione?
In realtà no. Nel campo della prevenzione c’è stato da alcuni anni un salto di paradigma. Ci sono tanti servizi dedicati agli adolescenti e alla prevenzione degli esordi delle patologie mentali. Quello che manca alla psichiatria è l’attenzione alla realtà non cosciente degli esseri umani. Per cui poi l’osservazione del paziente si basa solo su sintomi tangibili. E non viene individuata la fatuità, il manierismo, l’anaffettività e ammazzare due bambini diventa come gettare due scarpe vecchie. È questo che viene disconosciuto: la pulsione d’annullamento e quindi la realtà mentale non cosciente.

Cosa dovrebbe fare uno psichiatra se mancano sintomi manifesti?
Si deve basare su altro nel fare diagnosi, ad esempio sulla capacità di percepire una stranezza, il manierismo. Lo psichiatra Massimo Fagioli diceva che il vero nucleo della schizofrenia non sta tanto nel delirio cosciente e l’allucinazione ma nella lucidità, nella fatuità e nel manierismo. Queste sono le cose che bisogna andare a cercare per trovare il nucleo della schizofrenia.

Sembra che il ragazzo abbia agito in maniera molto lucida.
Sì ma in questa lucidità c’era l’anaffettività totale. Stando ai racconti si sarebbe vendicato per i litigi. Si è messo i guanti ed è uscito con lo zainetto e ha sparato. Se uno non vede che è nella lucidità, nella razionalità estrema, nell’anaffettività che c’è la malattia mentale poi pensa che chi agisce in questo modo sia una persona normale e che la mattina si è svegliata ed è stata colta da un raptus.

Non essendo il ragazzo stato intercettato dai servizi territoriali, molti commentatori sostengono che la legge 180 sia applicata male. È davvero così?
Potremmo dire che l’ideologia basagliana fondamentalmente attribuisce la patologia mentale alla società e non alla malattia. Quindi già alla base c’è la negazione della malattia. Per cui il problema…

* L’intervista integrale sarà pubblicata su Left in edicola dal 18 giugno 2021*

Scrivevo già per Avvenimenti ma sono diventato giornalista nel momento in cui è nato Left e da allora non l'ho mai mollato. Ho avuto anche la fortuna di pubblicare articoli e inchieste su altri periodici tra cui "MicroMega", "Critica liberale", "Sette", il settimanale uruguaiano "Brecha" e "Latinoamerica", la rivista di Gianni Minà. Nel web sono stato condirettore di Cronache Laiche e firmo un blog su MicroMega. Ad oggi ho pubblicato tre libri con L'Asino d'oro edizioni: Chiesa e pedofilia. Non lasciate che i pargoli vadano a loro (2010), Chiesa e pedofilia, il caso italiano (2014) e Figli rubati. L'Italia, la Chiesa e i desaparecidos (2015); e uno con Chiarelettere, insieme a Emanuela Provera: Giustizia divina (2018).