Almeno 200mila persone in Italia potrebbero finire in ospedale con sintomi da Long Covid. E poi c’è il ritardo accumulato nei confronti dei pazienti non Covid. «La gestione della sanità sarà tutt’altro che semplice» avverte l’infettivologa Silvia Carla Magnani

Grazie alla massiccia campagna vaccinale e all’arrivo delle alte temperature dopo oltre un anno di pandemia l’Italia sta vivendo un momento di regressione dell’emergenza. Finalmente è possibile riaprire le attività e allentare le misure atte a contenere il contagio, ma anche avere il tempo di riflettere sulle strategie di contrasto per eventuali nuovi picchi e criticità. Uno dei problemi più immediati, grazie al sempre crescente numero di informazioni e dati di cui siamo in possesso, è quello che la comunità scientifica chiama Long Covid. Una condizione che protrae i sintomi dell’infezione nei pazienti anche molto tempo dopo la guarigione dalla malattia acuta. Per avere delle informazioni chiare su una sindrome che sta colpendo anche in Italia e che nel solo Regno Unito interessa almeno 400mila persone, ci siamo rivolti a Silvia Carla Magnani specialista in malattie infettive e direttrice della struttura di riferimento dell’ospedale Umberto Parini di Aosta.

Qual è la definizione medica di Long Covid?
Con Long Covid si intende la persistenza della sintomatologia dopo 12 settimane dalla fase acuta dell’infezione in un malato, conclamata attraverso un tampone rapido o molecolare. Ci sono pazienti contagiati un anno fa, con la prima ondata, che ancora presentano complicazioni. Non abbiamo ancora idea della durata possibile di questa condizione. I sintomi possono essere molteplici ma in linea di massima quelli più comuni sono: una persistenza di un affaticamento nelle azioni del quotidiano, fiato o respiro corto, una tosse secca e fastidiosa, insonnia , alterazione di percezione di gusti e odori. Ma il fattore più inquietante è il calo della prestazione intellettiva. Non una forma di demenza vera e propria ma difficoltà di concentrazione e nella memorizzazione, anche chiamata “nebbia cognitiva da Covid”.

È chiaro da cosa derivi questa grande varietà di sintomi?
Come nella fase acuta, così anche nella sua forma cronica la malattia si manifesta con infiammazioni localizzate in svariate parti dell’organismo, generando l’alto numero di sintomi. Quello che sappiamo è che se il paziente ha riscontrato complicazioni a livello polmonare o gastrointestinale durante il ricovero, tenderà a riscontrare le medesime anche durante il Long Covid.

Sappiamo se esistono categorie di persone predisposte?
Non esiste ancora a livello medico e scientifico una…


L’articolo prosegue su Left dell’18-24 giugno 2021

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