Se vogliamo bloccare sul nascere nuovi focolai di Covid e contenere l’impatto delle varianti del virus, sarebbe indispensabile puntare tutto su test e tracking. Ma il governo italiano pare essersene dimenticato. Altrove in Europa, invece, le cose vanno diversamente

Cinquanta casi di Covid su 100mila abitanti ogni sette giorni. Nell’ultima settimana di maggio, quasi tutte le regioni sono rientrate al di sotto di questa soglia. Tutte, nella prima di giugno. Ora, potrebbe sembrare un traguardo simbolico. Ma non lo è. Per almeno due motivi, che ci riguardano da vicino.

Primo. Restare per tre settimane consecutive al di sotto di questo livello di incidenza del contagio è il criterio principe fissato per far transitare le regioni nella bramata “zona bianca”. Secondo. Non oltrepassare i cinquanta contagi alla settimana ogni 100mila cittadini è il presupposto base perché possa riprendere un tracciamento sistematico del contagio. Da mesi l’Istituto superiore di sanità continua a ribadire il concetto: solo se non si supera questa asticella si potrebbe tornare a tracciare seriamente, e dunque a “contenere” la diffusione del virus, non più solo a “mitigarla”.

Tracciare bene, in questa fase, è una partita decisiva per evitare nuove sofferenze e restrizioni. Ma, al momento, la stiamo perdendo. E troppo poco è stato sinora l’impegno del governo e del commissario all’emergenza sanitaria Figliuolo su questo frangente. Peraltro, per iniziare a cambiare rotta, basterebbero alcuni accorgimenti non troppo impegnativi. Ma raccontiamo questa vicenda dall’inizio.

Come funziona, ad oggi, il tracciamento? Si svolge in due modi. C’è quello “analogico”, tradizionale per così dire, effettuato di persona dagli operatori dei Dipartimenti di prevenzione delle Asl, e quello “digitale”, 2.0, realizzato con l’app Immuni. Entrambi i metodi sono fondamentali, ora più che mai. Per diversi motivi. Innanzitutto perché il…


L’articolo prosegue su Left dell’18-24 giugno 2021

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