Commentando la più grave crisi idrica degli ultimi decenni, ampiamente prevista dai report scientifici, il ministro Cingolani ha detto: «Speriamo che sia una cosa contingente». Sono le istituzioni le prime a chiudere gli occhi di fronte al climate change, denunciano gli attivisti di Extinction rebellion

Quando, nel corso del 2018, l’idea di Extinction rebellion cominciava a prendere quella forma che l’avrebbe portata il 31 ottobre alla prima grande dichiarazione di ribellione all’esterno del Parlamento britannico, era chiaro che sarebbe diventato un movimento radicato nei suoi principi ispiratori e radicale nelle sue modalità di contrapposizione all’intero sistema.

Le espresse esigenze di fermare la devastazione ecologica si intrecciavano già allora con istanze più larghe di inclusione praticata nel quotidiano, pace costruita mediante la nonviolenza e giustizia fondata sulla condivisione. Quelle modalità di azione non solo sono rimaste, ma si sono anche potenziate in modo del tutto naturale con la crescita a livello internazionale del movimento, la cui energia aumenta  in maniera esponenziale ogni volta che un gruppo di Extinction rebellion prende vita nelle comunità locali, che da area di sfruttamento capitalista, diventano zone  pulsanti di resistenza.

Questo originario e costante legame di Extinction Rebellion con le aspirazioni dei differenti  territori e con gli obiettivi di diverse lotte è risultata ancora più evidente quando le crisi che hanno investito l’ambiente, l’energia, le migrazioni, la salute ed i diritti fondamentali hanno recentemente rivelato tutta la loro interconnessione ed hanno spogliato i governi della più grande dote della quale si ammantavano: la capacità di tenere la situazione sotto controllo.

Ormai anche i massimi organismi sovranazionali riconoscono apertamente il livello di estremo pericolo che corriamo e i danni che già subiamo, e di conseguenza ammettono l’…

L’articolo prosegue su Left dell’8-14 luglio 2022 

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