In questo periodo stiamo tutti facendo i conti con la vittoria della destra, ma soprattutto con la sconfitta della sinistra. Gli esponenti dei partiti di opposizione, le testate giornalistiche e noi, elettori di sinistra, siamo chiamati a dare delle risposte a questa sconfitta o anche semplicemente a scegliere le domande giuste, per portare avanti una ricerca che non ci costringa a rimanere inermi spettatori.
Come sappiamo, il 13 ottobre scorso è stato il primo giorno della XIX Legislatura in Italia ed è stato eletto il presidente del Senato, Ignazio La Russa, in un’Aula presieduta dalla senatrice a vita Liliana Segre che ci ha incantato tutti con il suo emozionante discorso. Nello stesso giorno, nonostante un paese in piena crisi economica ed impegnato a rialzarsi dopo due anni e oltre di pandemia, c’è chi ha trovato il tempo di depositare tre disegni di legge che di fatto mirano ad ostacolare, in maniera subdola, il diritto all’interruzione di gravidanza senza andare a toccare la legge 194.
Vorremmo soffermarci su una di queste proposte di legge solo perché è la più sconcertante e discussa, visto che le altre, di fatto hanno lo stesso scopo. Facciamo riferimento a uno dei due disegni di legge che porta il nome di Maurizio Gasparri, senatore di Forza Italia e che senza ombra di dubbio è il più sconcertante. Prevede una modifica dell’art.1 del Codice Civile e pretende di conferire capacità giuridica al concepito. L’articolo 1 del C.C. recita: «La capacità giuridica si acquisisce al momento della nascita» e «i diritti che la legge riconosce a favore del concepito sono subordinati all’ evento della nascita». Il disegno di legge Gasparri chiede che venga riconosciuta la capacità giuridica già all’atto del concepimento. Con questo presupposto una donna che volesse ricorrere all’interruzione di gravidanza potrebbe essere accusata di omicidio essendo il feto riconosciuto come soggetto giuridico e quindi persona a tutti gli effetti.
Anche se è molto probabile che la legge 194 non venga toccata, tuttavia è in atto un tentativo di aggressione alla donna molto pericoloso per le idee che si porta dietro e soprattutto per il fatto che queste idee della destra che hanno uno stretto legame con la religione cattolica, non sono sufficientemente contrastate dalla sinistra.
Il dibattito culturale a cui assistiamo attualmente pone al centro dell’attenzione il fatto che la destra non sia mai stata attenta ai diritti civili, ma non siamo convinti di questa lettura perché ci sembra parziale. Abbiamo pensato invece che sia più determinante l’influenza che nella società possono avere certe idee, che più che idee sono imposizioni ideologiche proprie delle religioni monoteiste. E allora ci poniamo una domanda: la sinistra ha gli strumenti per contrapporsi alla destra rispetto a queste aggressioni alla donna, che si basano su dogmi religiosi da Stato teocratico?
Prendiamo spunto da un fatto accaduto in occasione del discorso di insediamento del leghista Lorenzo Fontana alla presidenza della Camera dei deputati in cui, ha per prima cosa, salutato e ringraziato il papa definendolo un “riferimento spirituale” per tutti gli italiani.
Papa Francesco a sua volta si è complimentato con Fontana tramite una telefonata che è stata definita privata dallo stesso presidente della Camera, ma che essendo intercorsa tra due figure istituzionali non si può definire tale. Ci domandiamo ancora, che sta succedendo? Ma non dovremmo essere un paese laico?
Quello che maggiormente ci stupisce è l’atteggiamento che negli ultimi anni diversi esponenti della sinistra hanno avuto verso questo papa, da loro molto apprezzato perché si è fatto portavoce di problematiche di giustizia sociale che notoriamente ben rappresentano il pensiero di sinistra. A noi invece non convince questo entusiasmo perché nasconde una visione dei fatti limitata alla superficie, in quanto siamo consapevoli che i fondamenti della dottrina cattolica di cui il papa è portavoce, non cambieranno mai né con lui né con nessun altro papa.
Perché la sinistra non riesce ad assumere un’identità ben distinta dalla destra fino a contrapporsi decisamente rispetto ai temi che stiamo affrontando?
Per cercare di rispondere a questa domanda vorremmo proporre una ricerca secondo la quale se non si rifiutano completamente quei dogmi della religione cattolica che attaccano la donna nella sua identità, la sinistra non sarà mai in grado di differenziarsi in modo netto dalla destra.
Prendendo come esempio l’attacco al diritto di abortire, potremmo dire che la sinistra ineluttabilmente soccombe alla destra se si contrappone limitandosi a difendere la libertà delle donne. Non è solo una questione di lottare per un’autodeterminazione della donna, anche se appare incredibile dover discutere di certi diritti ancora oggi. Sappiamo infatti che tuttora non si tiene conto dell’esistenza di una ricerca scientifica ben precisa che racconta senza ombra di dubbio che il feto non ha vita psichica e non ha nessuna possibilità di vita se non dopo la 24° settimana di gestazione. Soffermarsi sul diritto della donna di scegliere liberamente se portare avanti la gravidanza o decidere diversamente è cogliere soltanto un aspetto parziale della problematica che stiamo affrontando. Ripetiamo che è sconcertante che ancora si debba difendere la libertà della donna, tuttavia limitarsi a questo comporta un altro pericolo: si rischia che le donne siano libere di essere tutte criminali ed assassine e da qui i sensi di colpa di cui parla la ginecologa Anna Pompili nell’articolo di Left del 19 ottobre dal titolo “Gasparri si rassegni: il feto non è persona, l’aborto non è un omicidio”.
È assolutamente fondamentale che la sinistra, per costruire una identità totalmente diversa dalla quella ideologica della destra, rifiuti innanzitutto i dogmi antistorici e antiscientifici della chiesa. Il punto di inizio è la difesa a spada tratta dell’identità della donna.
Non abbiamo né la presunzione né la volontà di fare una ricostruzione storico politica accurata, avremmo invece l’ardire di ricostruire con poche pennellate la realtà politica e culturale che avrebbe portato alla crisi della sinistra che, da tempo, sembra aver perso una sua specificità tale da distinguersi nettamente dalla destra.
Basti pensare alla caduta del muro di Berlino e agli anni successivi, quando la sinistra si è ritrovata orfana di un’ideologia che fosse in grado di rispecchiare la situazione politico sociale e antropologica di allora. Sin dai primi anni Novanta ha cercato nuove strade per spogliarsi dei pesanti e logori abiti del marxismo alla ricerca affannosa di strumenti per analizzare la realtà sociale e politica. In Italia dalla fine del Partito comunista nascono varie realtà politiche frutto di scissioni che tuttora continuano.
Nel 1991 nasce da queste scissioni, tra gli altri, il partito di Rifondazione comunista che accoglie in sé, con il suo tentativo di rivisitazione e di superamento del comunismo, tanti movimenti che da tempo non avevano trovato rappresentanza in Parlamento.
Quasi 10 anni dopo si assiste al movimento “no global”, nato dal social forum internazionale e da movimenti esterni al mondo politico tradizionale e che fu colpito nelle drammatiche giornate del G8 a Genova nel luglio del 2001. Queste proposizioni diventano centrali nell’orizzonte politico internazionale e vengono viste dal Partito della rifondazione comunista (Prc) come realtà storiche con cui è necessario fare i conti per proseguire verso un orizzonte diverso.
Si sceglie la nonviolenza come metodo di azione politica capace di discostarsi profondamente anche dalla violenza che ha caratterizzato la storia del comunismo.
Negli anni successivi al G8 di Genova si cerca di gettare le basi per la nascita di un nuovo soggetto mondiale, partecipato e radicale, alternativo e articolato, che investe tutti gli ambiti della società, dall’economia alle relazioni umane. Il tentativo è quello di porre l’umanità come soggetto originario e fondante, dandole un significato politico, affermando che esiste un legame politico fra gli uomini.
Il legame fra gli uomini deve essere universale e quindi non può essere né la razza, né la lingua, né la cultura e si ricerca in quello che viene definito nonviolenza. Sulla base di questo percorso di ricerca si crea, infatti, un terreno di confronto tra questa area della sinistra e l’Analisi collettiva dello psichiatra Massimo Fagioli.
«Una lotta, senza armi, solo rivoluzione del pensiero e parola».
Prima di parlare del rapporto tra queste due realtà così diverse tra di loro, vorremmo aprire una piccola parentesi per cercare di individuare le ragioni storiche che portarono a questo confronto.
Negli anni Settanta nasce appunto l’Analisi collettiva, una originale psicoterapia di gruppo che fin dall’inizio ha avuto uno stretto legame con la società. All’interno di questo movimento affluirono, come è stato raccontato dalla stampa di allora, centinaia di persone deluse da quello che stava accadendo nell’area politica della sinistra.
Non possiamo raccontare per la loro complessità le vicende del “popolo” della sinistra che attraversò gli anni Settanta. Ci limitiamo ad accennare che negli anni precedenti c’era stato il movimento denominato ’68 che basandosi su idee di libertà cercava nuove strade rispetto a una politica istituzionale incapace di rappresentare le richieste dei giovani. Si trattava di un movimento appassionato ma che aveva fondato le sue radici in una libertà senza identità che, come sappiamo, ha poi generato una deriva verso la violenza.
Nell’autunno del 1973 il segretario del Partito comunista Enrico Berlinguer elabora e tenta di intraprendere la strategia del compromesso storico che prevedeva una collaborazione fra le tre maggiori forze politiche comunista, socialista e democristiana allo scopo di scongiurare le possibili derive autoritarie com’era accaduto per esempio in Cile.
Come si sa questo progetto è durato poco meno di 6 anni e si è concluso con l’omicidio da parte delle Brigate Rosse di Aldo Moro, il maggior interlocutore di Berlinguer all’interno della Democrazia cristiana (Dc).
Noi ipotizziamo che l’alleanza del partito comunista con la Dc sia sorta anche in risposta ai movimenti di protesta del ‘68 e abbia cementato e, reso evidente, lo strano connubio comunismo-cattolicesimo. Connubio che ha contribuito ad aumentare la rabbia e il malessere con reazioni sempre più violente.
Altri invece, per cercare di curare il proprio malessere, approdarono all’Analisi collettiva di Massimo Fagioli.
Non a caso, come dicevamo prima, questa particolare psicoterapia di gruppo libera e gratuita e che si avvaleva della teoria di Massimo Fagioli, nasce in questo periodo storico per l’affluenza di tantissime persone che cercavano nuove strade per rispondere alle conseguenze del ’68 e alla delusione del partito comunista che, come abbiamo visto, perseguiva l’alleanza con i cattolici. Quasi due anni dopo la nascita dell’Analisi collettiva comparve sul Messaggero del 9 novembre del 1977 un articolo dove si leggeva: “i giovani della nuova sinistra scoprono un altro pianeta: l’Analisi collettiva”, una frase che testimonia come sin dall’inizio questa realtà fosse stata seguita nell’area della sinistra.
Di conseguenza l’Analisi collettiva può essere considerata un fenomeno storico che da una parte origina dalla reazione di molti alla crisi degli ideali comunisti e dall’altra da una esigenza di ricerca sulla realtà umana che era stata sempre molto carente nella tradizione marxista. Noi pensiamo, che proprio per questa carenza di interesse rispetto alle esigenze umane delle persone, la sinistra non sia mai riuscita ad opporsi efficacemente alla religione cattolica che dal canto suo, nella pretesa di avere una egemonia su tutto ciò che riguarda la realtà umana, ha sempre cercato di imporre i propri dogmi.
A questo punto forse può apparire più comprensibile quello che è accaduto circa venti anni fa quando Bertinotti con la ricerca sulla non violenza e sul superamento del marxismo attraverso un nuovo umanesimo, arrivò a confrontarsi con Massimo Fagioli e l’Analisi collettiva, una prassi che si svolgeva su una nuova teoria sulla realtà umana e che aveva sempre avuto un forte radicamento a sinistra.
Cominciò così un periodo di confronto che è ben documentato dalla stampa dell’epoca e che a volte ha sollevato critiche da alcune aree della sinistra.
Vorremmo accennare ad alcuni degli incontri che si sono svolti tra il 2004 e il 2008 per ripercorrere momenti di ricerca molto intensa e soffermarci sulle idee proposte a Bertinotti, segretario del Partito di Rifondazione comunista, da Fagioli e dai partecipanti dell’Analisi collettiva.
Il primo incontro ci fu il 5 novembre 2004, organizzato dalla libreria Amore e psiche a Villa Piccolomini, con Fausto Bertinotti e Pietro Ingrao, figura storica del comunismo italiano. Il tema dell’incontro era la “non violenza” e la stampa si soffermò sull’avvenimento scrivendo di un evento culturale, a cui aveva partecipato tantissima gente, soprattutto giovani. Le migliaia di persone accorse discutevano di tematiche sicuramente insolite in ambito politico, proponevano la ricerca di una nuova identità dell’essere umano che, rifiutando completamente l’idea biblica di un uomo creato così com’è e che non può cambiare, non fosse violenta, senza scissione tra razionale e irrazionale, cioè libera e creativa.
L’idea era quella di portare i due interlocutori a pensare che se si vuole costruire una politica sociale di sinistra che faccia davvero la differenza con quella della destra cattolica, bisogna avere le idee chiare sulla realtà dell’essere umano e l’identità umana. Scrivevano sui giornali: «Chiedono di declinare la non violenza in termini filosofici, antropologici, psicoanalitici».
Giulia Ingrao affermava: «Siamo a un punto di partenza. Per cercare idee nuove, per uscire dalla crisi forse si dovrebbe andare più a fondo». E poi «Le idee nuove ci sono e non sono affatto un filosofeggiare, partono da un uomo non dimezzato, uomo che è in effetti immagine e corpo, corpo e psiche, realtà e pensiero, parti ambedue essenziali operanti e influenti sull’agire, anche politico».
E dalla folla alcune donne incalzavano:
«È Vero che l’immagine della sinistra si può legare alla parola irrazionale perché ha vicino a se, legate, parole come utopia, ideale eccetera?».
«C’è più violenza nel provocare sofferenza fisica o nel voler distruggere la mente altrui?».
Certamente queste erano domande inusuali in un confronto politico, si basavano sulla teoria nella nascita di Massimo Fagioli che ha il suo fondamento sull’uguaglianza originaria tra tutti gli esseri umani. Come inusuale era la ricerca sull’immagine femminile e la sua proposizione, con il volto di una sconosciuta, sulla copertina degli Atti che furono pubblicati dopo quell’incontro. Forse una provocazione per la sinistra che avrebbe dovuto comprendere che non si può prescindere dall’immagine femminile e dal suo significato se s’intende trovare una strada per un reale rinnovamento. Poteva la sinistra interessarsi a una tale immagine femminile?
Successivamente, nel luglio del 2005, Bertinotti chiese di inaugurare la campagna elettorale delle primarie nella libreria Amore e Psiche progettata dallo stesso Fagioli. Primarie che si svolsero nella coalizione di centro sinistra in vista delle elezioni di aprile del 2006 in cui, come sappiamo, il centro-sinistra vinse e Bertinotti diventò presidente della camera dei deputati.
Allora la libreria Amore e psiche aveva tredici anni di vita ed era molto nota a Roma perché spesso ospitava eventi culturali che facevano riferimento al lavoro di ricerca dello psichiatra Massimo Fagioli e dell’Analisi collettiva. Pertanto l’incontro del 2005 è stato estremamente significativo perché è come se fosse stato un manifesto del legame tra la politica rinnovatrice rappresentata da Bertinotti, Fagioli e il movimento di migliaia di persone legato alla sua Teoria della nascita. Anche per questo motivo ebbe una grande risonanza a livello mediatico e fece molto scalpore nell’area della sinistra. Pure in questa circostanza le domande sono molto lontane dalle tematiche della politica tradizionale e tentano di portare il discorso su piani diversi da quelli usuali. Si parla di emancipazione e liberazione e non solo dalla sofferenza del corpo ma anche da ideologie e credenze.
Un altro incontro molto partecipato avvenne il primo giugno del 2007 all’Auditorium di Roma, il titolo era La cultura socialista. Anche in questa occasione i partecipanti all’Analisi collettiva continuarono a proporre ricerche molto complesse, come quella sull’irrazionale e sul non cosciente che sono il fondamento dell’identità umana.
Infine vorremmo ricordare l’incontro del 19 gennaio 2008, dove in occasione della proiezione del film Signorina effe di Wilma Labate, ci fu un dibattito molto partecipato da ambo le parti e che aveva come oggetto l’interpretazione della trama di questo film. Sullo sfondo delle lotte sindacali degli anni Ottanta, si racconta di un’intensa storia d’amore, ambientata a Torino
Durante il dibattito che seguì la proiezione del film, ci fu l’intervento di una giovane partecipante dell’Analisi collettiva che partendo dalle suggestioni provocate dall’immagine cinematografica, propose una ricerca su una identità femminile che affronta la difficile scelta tra la realizzazione sociale di un matrimonio borghese e quella di un rapporto uomo donna invece assolutamente libero e irrazionale. Quello che emerse nel dibattito è l’assolutamente nuovo di una ricerca nata nell’Analisi collettiva in cui la donna persegue la realizzazione della propria identità soprattutto sul piano personale. Mentre la protagonista del film fallisce non trovando il giusto equilibrio tra la realizzazione sociale e quella personale, la nuova immagine di donna che emerge dalla ricerca dell’Analisi collettiva, da sempre, si volge invece verso l’irrazionale e non verso ciò che ha una utilità sul piano della condizione sociale. In quell’occasione Bertinotti non prese in considerazione il pensiero proposto ma si focalizzò invece sulla lotta di classe, come è sempre stato nella tradizione marxista. Di conseguenza, puntò l’attenzione sulla storia collettiva delle lotte sindacali che in realtà facevano da sfondo a quella in primo piano di una donna che invece si lasciava andare alla storia d’amore con un uomo.
Dopo questo dibattito il confronto sul piano delle idee tra Bertinotti e l’Analisi collettiva si è gradualmente raffreddato fino a interrompersi completamente poco dopo le elezioni politiche di aprile del 2008 in cui la sinistra radicale subisce una sconfitta storica che la esclude dal parlamento.
Bertinotti di fatto lascia la politica e il segretario di Rifondazione comunista diventa Nichi Vendola, comunista e cattolico. Massimo Fagioli in un’intervista uscita su Repubblica dichiara nel 2010 «non posso seguire Vendola perché ho sempre rifiutato, nella mia vita, il cattocomunismo. Lo dice chiaramente la teoria della nascita elaborata in Istinto di morte e conoscenza».
Negli anni successivi al 2008 ci furono altri esponenti di spicco del panorama politico italiano, come Marco Pannella e Pierluigi Bersani, che si avvicinarono all’Analisi collettiva e Massimo Fagioli. Ma nessuno di questi incontri portò alla creazione di un nuovo organismo politico capace di interpretare la realtà dell’essere umano. Nessuno degli interlocutori incontrati in questi anni è stato in grado di cogliere l’originalità assoluta dell’Analisi collettiva pur percependone le potenzialità.
A questo punto è difficile individuare le ragioni di questo fallimento che la sinistra non ha ancora superato, un dramma che è stato molto analizzato ma che tuttora risulta di difficile lettura; allo stesso tempo non comprendiamo perché la sinistra abbia rinunciato a quella ricerca sulla realtà umana che sembrava aver momentaneamente affascinato alcuni dei suoi esponenti più rappresentativi che cercavano nuove strade per superare il comunismo. Ci chiediamo infatti per quali motivi questo confronto con l’Analisi collettiva si è interrotto improvvisamente e, più in particolare, perché non è stata accolta da parte della sinistra questa ricerca originale sull’identità di donna che alla luce dell’attuale situazione politica sarebbe fondamentale per opporsi alla destra cattolica.
Soltanto con la ricerca e la conoscenza della realtà umana è possibile opporsi alla destra cattolica; per scoprire che non ha idee, sono soltanto fantasticherie violente e inesistenti.
Nel film di Herzog, Cuore di vetro, gli abitanti di un villaggio erano spaventati perché avevano visto i giganti. Ma i giganti non esistono, sono solo lunghe ombre della sera.
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Gli autori: Diletta Di Cesare è psichiatra e psicoterapeuta, Serena Pandolfi è architetto, Carlo Anzilotti è psichiatra e psicoterapeuta
La foto in apertura è di Lorenzo Foddai, Roma 5 novembre 2022