Violenza sessuale e manipolazione. Sono queste le pesanti accuse da parte di diverse suore della Comunità Loyola contro padre Marko Ivan Rupnik, gesuita, artista religioso, teologo e consigliere di papa Francesco. I fatti sarebbero accaduti sin dai primi anni 90. Non è escluso che il potente prelato sia stato già condannato dal tribunale della Compagnia di Gesù, ma sia i gesuiti che il Vaticano stanno provando a non far trapelare nulla. Sarebbe questa la trasparenza e la tolleranza zero invocata da Bergoglio?

Negli ambienti esterni alla Chiesa cattolica il nome del gesuita padre Marko Ivan Rupnik potrebbe dire poco o nulla. All’interno del mondo ecclesiastico la questione è decisamente diversa. Qui padre Rupnik, per anni direttore del Centro Aletti di Roma, è un noto artista, con opere religiose esposte e installate in tutto il mondo, oltre che fine teologo e grande comunicatore, e secondo alcuni, tra i più stretti consiglieri di papa Francesco. Perché ne parliamo? Perché padre Marko Ivan Rupnik è stato accusato da numerose suore di abusi psicologici e violenza sessuale e forte di questa sua “fama” per circa tre decenni non ha mai dovuto render conto dei fatti che gli sono stati imputati. Veniamo a conoscenza di questa storia da una fonte che chiede di rimanere anonima e che ci ha contattato all’inizio di novembre attraverso la mail di Spotlight Italia, la nostra inchiesta permanente sui crimini compiuti all’interno della Chiesa in Italia ([email protected]).
Ma andiamo per ordine.

Tutto ha origine nei primi anni Ottanta presso la Comunità Loyola fondata a Lubiana in Slovenia da suor Ivanka Hosta, di cui Rupnik era amico e “padre spirituale”, racconta la nostra fonte. «Le prime denunce di violenza psicologica e sessuale risalgono agli anni 1992-1993 e la soluzione che viene trovata in accordo con il vescovo di Lubiana è quella di allontanare Rupnik dalla Comunità». Cosa che avviene in maniera burrascosa «dopo un forte litigio e una separazione fra Rupnik e Hosta; e varie sorelle escono dalla Comunità andando a  formare un nucleo di donne che, vivendo al Centro Aletti di Roma, collaborano con lui». Dopo questa fase critica nonostante il dolore e la sofferenza diffusa tra le consorelle abusate e manipolate, tutto torna come prima, come se non fosse successo nulla. E la situazione va avanti così per quasi tre decenni, fino a quando cioè le “lacerazioni” interiori vissute negli anni da molte delle circa 50 suore vissute all’interno di questa comunità – sofferenze acuite dall’atteggiamento omertoso della fondatrice, osserva la nostra interlocutrice – hanno spinto il Vaticano ad avviare una procedura di commissariamento nei confronti della Comunità fondata da Ivanka Hosta. Commissariamento affidato al gesuita monsignor Libanori che deve approfondire come mai negli anni molte suore siano uscite dalla comunità in maniera burrascosa e valutare le accuse di dinamiche settarie, con abusi di potere, psicologici e spirituali nei confronti della fondatrice e di alcune sue fedelissime nei confronti delle sorelle.

A questo punto, siamo intorno al 2020, con l’indagine del commissariamento riemergono ancora più precisamente le sofferenze dei primi abusi e sorge per il Vaticano di nuovo il problema Rupnik che dal 1993 giaceva sotto il tappeto. Divenuto ormai una sorta di star a livello mondiale in ambito religioso cattolico sia per le sue opere che per il suo carisma (a causa del quale viene indicato come uno dei più fidati consiglieri di papa Bergoglio), il calcolo fatto in Vaticano è stato quello di non rendere pubblico il commissariamento – cosa inusuale – altrimenti sarebbe stato relativamente facile per qualche organo di stampa meno disattento di altri scoprirne le reali motivazioni. Chiaramente era assolutamente da evitare che emergesse il nesso causale diretto tra la sofferenza psicologica vissuta dalle suore della Comunità Loyola e la sua storia confusa e settaria, con le violenze di cui è accusato padre Rupnik.

Ma attenzione, padre Marko Ivan Rupnik a quanto pare sarebbe molto più che “semplicemente” sotto inchiesta. Nel corso di un nuovo incontro con la nostra fonte veniamo infatti a sapere che probabilmente a gennaio 2022 è stata emessa una sentenza di condanna definitiva nei suoi confronti (secondo il blog Silere non possum l’esito del processo sarebbe stato comunicato a Rubnik direttamente da Bergoglio il 3 gennaio, lo si dedurrebbe dal Bollettino della Santa sede circa le udienze di quel giorno). Ricostruire come ci si è arrivati non è semplice. «Non conosco esattamente il numero delle persone rimaste vittima di Rupnik ma ne conosco personalmente almeno tre» ci racconta previa garanzia di anonimato una delle suore della ex Comunità Loyola. «E per le violenze subite alcune sorelle già appartenute alla Comunità e uscite ormai da anni sono state risarcite per iniziativa di mons. Libanori con i fondi della Comunità con 43mila euro. Un risarcimento mascherato con la motivazione di un sostegno per il loro serio stato di indigenza in cui si sono trovate a vivere dopo il commissariamento della Comunità Loyola». Dopo questo misero risarcimento le tre suore sono state abbandonate a se stesse con la propria sofferenza. «La questione – prosegue il racconto – emerse tra il 1992 e il 1993 in forma molto coperta. Nel settembre del 1993 ci fu la frattura definitiva tra la fondatrice della Comunità e padre Rupnik. Oggi con il senno di poi e con le testimonianze che altre due consorelle hanno dato, tutti sia a Lubiana che in Vaticano erano a conoscenza di questi fatti. Peraltro tra aprile e settembre del 1993 una di queste vittime fuggì due volte dalla Comunità e di recente ho saputo che tentò il suicidio».

Questi fatti, insieme ad altre numerose denunce nei confronti di Rupnik, sono stati tutti comunicati alla Santa Sede. «Da quello che mi risulta c’è stato un primo momento in cui la situazione è stata valutata dal Dicastero della dottrina della fede. Le querelanti sono state sentite, hanno fatto la loro deposizione davanti alla Ddf ma poi tutto è rimasto in stand by per un lungo periodo tra il 2020 e la fine del 2021». Sappiamo inoltre che, come ci racconta la nostra fonte, a un certo punto «sembra che la questione Rupnik sia stata trattata solo ed esclusivamente nel contesto della Compagnia di Gesù. E quindi se ne è avvocata la competenza il generale della Compagnia». Le chiedo perché ha deciso solo ora di parlare con qualcuno “esterno” al mondo della Chiesa. «A causa di un video su youtube» mi risponde. In che senso?

«A fine ottobre varie persone con cui sono ancora in contatto si sono imbattute in un video su youtube in cui Rupnik senza essere inquadrato faceva un commento a Vangelo della domenica. Stando alle restrizioni che gli sono state comminate, vale a dire tutte quelle che il diritto canonico prevede in questi casi (non può celebrare in pubblico, non può fare attività pastorale etc.) non può farlo. Pertanto abbiamo chiesto spiegazioni al mons. Libanori, l’incaricato del commissariamento. La risposta è stata sconcertante. In pratica è vero che padre Rupnik ha ricevuto le restrizioni da parte del generale dei gesuiti (il che confermerebbe che c’è una condanna, ndr), tuttavia in assenza di una legislazione che regola il web, lui non sta infliggendo alcuna restrizione. Semplicemente non gli è stato detto che non può postare e apparire in video quindi facendolo non infrange alcuna regola». Il punto è, prosegue la ex suora, che «circola anche una locandina di un corso di esercizi di formazione di discernimento vocazionale che si svolgeranno a Loreto nel 2023 e qui siamo un po’ oltre le goffe spiegazioni ricevute. Questo proprio non dovrebbe farlo. Ma lo fa». Opinione della nostra fonte è che «la reticenza di oggi sul caso di Rupnik si spiega con il non dover non ammettere le responsabilità di allora. Ed è scandalossissimo che questa persona possa continuare a fare discernimento vocazionale che era uno dei contesti in cui più ha adescato approfittando della fase di estrema fragilità emotiva e della vulnerabilità di coloro che intraprendono questo percorso». Siamo alla conclusione di questo racconto. «Posso aggiungere una cosa?» ci chiede la donna. Ma certo.

«Il fatto che ci sia una sentenza definitiva, come pare, e che non sia stata pubblicata è un’anomalia ma non è l’unica. Quando il caso Rupnik è arrivato alla Dottrina della fede (Ddf) era già improprio. Lui è un religioso. Secondo le nuove norme sarebbe dovuto andare alla Congregazione per la vita religiosa». Quindi? «Quindi quello che penso è che sia stato deviato alla Cdf perché altrove non avrebbe avuto appoggi. Dico questo perché è impossibile che abbiano sbagliato la procedura. Un’altra anomalia è che tra le persone chiamate a decidere chi dovesse seguire il caso di Rupnik ce ne era una che viveva al Centro Aletti di cui il padre era direttore» (il riferimento è a Giacomo Morandi, nominato vescovo di Reggio Emilia nel gennaio 2022 e precedentemente segretario al Dicastero per la dottrina della fede, ndr). Quindi cosa è successo? «È successo che quando il fascicolo è arrivato alla Cdf a un certo punto si è “perso” e poi qualcuno è riuscito a rimettere in marcia il processo con un escamotage che salvasse capra e cavoli». Vale a dire? «L’escamotage è stato rimetterlo alla discrezione interna della Compagnia di Gesù e al giudizio del generale. Che ci siano state pressioni dai gesuiti è evidente» prosegue la nostra fonte. «Forse sono le stesse pressioni che hanno rallentato il processo di commissariamento della Comunità di Loyola sul quale da mesi si attende una risposta definitiva da parte della Congregazione per la vita religiosa e di cui non sappiamo più nulla. Peraltro si tratta di un atto pubblico ma non se ne trova notizia. Si cerca di tenere il più possibile sotto controllo gli effetti di una eventuale presa di coscienza pubblica di questa realtà che chiama in causa direttamente i gesuiti e quindi il papa». Pontefice che a luglio del 2021 ha ricevuto tre lettere con le dolorose testimonianze di altrettante religiose della Comunità. E come è andata? «Papa Francesco non ci ha mai risposto».

*Aggiornamento: Sabato 3 dicembre 2022 ore 15:36; martedì 21 febbraio 2023 ore 14:18

  • Abbiamo pubblicato una delle tre lettere a papa Francesco citate nel finale dell’articolo. Leggila qui

*Aggiornamento: Sabato 3 dicembre 2022 ore 11:06

  • Articolo integrato con il link al Bollettino della Santa sede del 3 gennaio 2022
  • Dopo la pubblicazione di questo articolo il nostro giornalista Federico Tulli è stato oggetto sui social di numerosi messaggi diffamatori e lesivi della sua dignità professionale. Non è la prima volta che accade e data la delicatezza del tema trattato ce lo aspettavamo, tuttavia stiamo valutando se e in che modo agire presso le sedi opportune contro i responsabili.

Nell’immagine di apertura padre Marko Ivan Rupnik (Foto da un video su Youtube)

Tutte le puntate dell’inchiesta di Spotlight Italia – Il database di Left

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Scrivevo già per Avvenimenti ma sono diventato giornalista nel momento in cui è nato Left e da allora non l'ho mai mollato. Ho avuto anche la fortuna di pubblicare articoli e inchieste su altri periodici tra cui "MicroMega", "Critica liberale", "Sette", il settimanale uruguaiano "Brecha" e "Latinoamerica", la rivista di Gianni Minà. Nel web sono stato condirettore di Cronache Laiche e firmo un blog su MicroMega. Ad oggi ho pubblicato tre libri con L'Asino d'oro edizioni: Chiesa e pedofilia. Non lasciate che i pargoli vadano a loro (2010), Chiesa e pedofilia, il caso italiano (2014) e Figli rubati. L'Italia, la Chiesa e i desaparecidos (2015); e uno con Chiarelettere, insieme a Emanuela Provera: Giustizia divina (2018).