L’Italia dovrebbe essere un solo Paese, ma ha due scuole diverse, come messo in evidenza da Svimez, per quanto riguarda l’offerta educativa. Si riscontra una sottrazione di formazione di 200 ore circa all’anno in meno per i bambini di quei cittadini che risiedono al Sud: sui soli 5 anni di scuola elementare significa perdere ben un anno di formazione e data la mancanza di infrastrutture, tempo pieno, risorse, con una percentuale di scuole senza mensa (80%) e palestra (83%), si riscontra anche una peggiore alimentazione, soprattutto per i figli delle classi sociali più deboli, e una maggiore incidenza dell’obesità e del sovrappeso per i bambini del Mezzogiorno (40% contro una media nazionale del 29%). Una differenza data principalmente dai diversi finanziamenti statali che al Sud al momento si basano ancora sulla spesa storica. Nel Mezzogiorno così tra il 2015 e il 2020, si sono persi 250mila studenti, mentre nel Centro Nord il calo è -75mila. A cui si aggiunge un crollo negli investimenti nella scuola che al Sud ha toccato il -30%. Il tutto in violazione dell’art. 34 della Costituzione.
Così due studenti su tre al Sud hanno competenze inadeguate per affrontare il mondo del lavoro o lo studio universitario! Si tratta di un’emergenza enorme, che dovrebbe vedere l’intero Paese impegnato in un’azione a favore della scuola, da cui dipende il futuro dell’Italia. La stessa annosa “questione meridionale” non può essere risolta se non si risolve il “problema scuola”. Infatti, dove c’è “povertà educativa” c’è “povertà economica”, l’una alimenta l’altra. Come se non bastasse gli atenei del Mezzogiorno, più colpiti dal calo demografico in atto e meno capaci di attrarre studenti per la scarsità di fondi, sembrano essere condannati a perdere iscritti, con una dinamica che diviene via via più pesante, al punto da mettere a rischio la stessa sussistenza di alcune Università
Anche per queste situazioni, unite alla cronica mancanza di lavoro, in base ai dati Istat diffusi pochi giorni fa, dal 2012 al 2021 sono emigrati 1 milione e 138 mila abitanti del Mezzogiorno. Negli ultimi 10 anni oltre 43 mila giovani laureati sono emigrati dal Mezzogiorno in cerca di un futuro migliore.
Nessuna risposta giunge dal governo Meloni, così come dai governi precedenti, a questa ennesima emergenza, anzi si procede speditamente con l’Autonomia differenziata proposta dal ministro Calderoli. È lo stesso Calderoli che nel 2006, dichiarava che Napoli è «una fogna che va bonificata. Infestata da topi, da eliminare con qualsiasi strumento, e non solo fingere di farlo perché magari anche i topi votano…. Qualsiasi trasferimento di risorse a questa città, che rappresenta un insulto del paese intero, sarebbe assurdo e ingiustificato».
Parola mantenuta per quanto riguarda il blocco del trasferimento di risorse a Napoli e a tutto il Mezzogiorno, dato che la Lega si è molto spesa in questi ultimi anni al proposito, come dimostra la sottrazione continua di fondi dal 2000 al 2017, certificato da Eurispes nel 2020 in ben 840 miliardi di euro e mai smentita, sottrazione dai fondi spettanti in base ad una equa ripartizione basata sulla sola percentuale di popolazione residente (34%). Cifra che aggiornata al 2022 supera i 1000 miliardi. Se pensiamo che il Pnrr, con i suoi 191,5 miliardi di euro, è decantato da due anni da politici e media nazionali come panacea per far ripartire l’intera Italia è facile capire il livello incredibile di sottrazione, che è diventata una vera e propria rapina, che si è prodotta nell’ultimo ventennio da parte dei vari governi che si sono succeduti dal 2000 ad oggi nei confronti dei territori del Mezzogiorno. Territori ampiamente sottofinanziati, a favore di quelle Regioni del Nord, la cosiddetta “Locomotiva”, i cui politici ora hanno anche il coraggio non solo di dichiararsi virtuosi, coi soldi degli altri, ma anche di negare ogni solidarietà nazionale grazie alla recente approvazione dell’Autonomia differenziata di Calderoli, ottenuta con la sponda offerta dai sovranisti (senza sovranità) di Meloni e ai “protoleghisti” emiliani guidati da Bonaccini.
Così anche una certa “sinistra” considera ordine naturale delle cose (antropologico) mettere il Nord sopra e il Sud sotto. È quella “sinistra” che negli ultimi anni non parla più di questione meridionale sostituendola con una inesistente questione settentrionale, scimmiottando la Lega dei tempi di Bossi. Questo ci dovrebbe far capire che per costruire l’alternativa popolare di sinistra alle parole d’ordine antiliberista, ambientalista, anticapitalista, antifascista, femminista e pacifista, bisognerebbe finalmente aggiungere anche meridionalista; visto che il Mezzogiorno non solo è il territorio più povero d’Europa, ma soffre di discriminazioni e di un razzismo di Stato che addirittura penalizza volutamente anche la durata di vita dei suoi abitanti e quindi ha bisogno di un richiamo e di una sua specificità riconoscibile e riconducibile.
Il meridionalismo infatti non è una corrente politica, ma è semplicemente un’attività di ricerca e di analisi storica ed economica sulla Questione meridionale al fine di risolverla. Ecco perché se la sinistra non mira a risolvere le differenze e discriminazioni territoriali è automaticamente protoleghista. Com’è infatti quella capitanata da Bonaccini che, al momento, dato l’avvicinarsi del Congresso Pd assume toni rassicuranti sull’Autonomia differenziata, forse per fare passare in secondo piano che con le leghiste Lombardia e Veneto Bonaccini ha costituito da tempo un “asse”, anche per materie delicate. Non a caso la Segreteria Cgil regionale dell’Emilia-Romagna ha dichiarato pochi giorni fa: «Suona un po’ strano oggi leggere che il presidente della Regione Emilia-Romagna dichiari quella bozza essere irricevibile e che invochi la mobilitazione senza fare nessuna autocritica rispetto a scelte sbagliate e dannose che hanno contribuito ad alimentare questo inutile dibattito». Risulta evidente che sull’Autonomia differenziata è Bonaccini, da sempre, il migliore alleato della Lega.
In questo quadro scoraggiante giunge la proposta, fra il detto e il non detto, parte di Bonomi di Confindustria, di spostare i fondi del Pnrr non utilizzati a favore delle industrie. Quali sono questi fondi? In una intervista dei giorni scorsi Bonomi lo dice chiaramente cioè spostare fondi (dal Sud), così come già fatto nel 2020 (sottrassero i Fondi Sviluppo Coesione) durante l’emergenza Covid, tanto i parlamentari del Sud (tranne poche eccezioni) non protestano e più che i territori difendono la loro personale posizione all’interno dei partiti nazionali nordcentrici. È il problema, già sottolineato da anni anche su Left, di un Sud senza reale rappresentanza autonoma e a schiena dritta.
Come già scritto più volte, dopo un ventennio di tagli e di spending review, i Comuni, in stragrande maggioranza del Sud, non hanno tecnici a differenza dei territori della “Locomotiva”, e non per colpa loro visto i minori trasferimenti statali al Sud, e di conseguenza perderanno i fondi del Pnrr (trasferiti principalmente del Nord), col consenso di tutti o quasi i partiti in Parlamento. Così anche questi fondi che dovevano servire a iniziare a ridurre le diseguaglianze fra le due parti del Paese, come indicato dalla Ue, saranno intercettati dalle Regioni del Nord, come richiesto già un anno fa da Sala & Fontana. Detto che questo Pnrr per il Sud assume sempre più i connotati di una vera e propria “truffa”, visto che, a fronte di percentuali sempre minori di fondi che dovrebbero arrivare sui territori, il Mezzogiorno dovrà restituire con le tasse la stessa percentuale, del prestito rilevante ricevuto dalla Ue, delle aree più ricche, che stanno per intercettare e beneficiare della stragrande maggioranza dei fondi. Il tutto ovviamente graverà pro quota sulle tasche dei cittadini.
Singolare coincidenza negli stessi giorni dell’appello di Bonomi la Corte dei Conti ha lanciato l’allarme sui ritardi nella spesa delle risorse e sulla qualità degli investimenti. La pandemia Covid-19 prima e la crisi generata dalla guerra in Ucraina dopo, infatti hanno aumentato il gap tra Nord e Sud ed è per questo motivo che i fondi di Sviluppo e coesione andrebbero spesi subito, destinando realmente quell’80% di risorse riservate al Mezzogiorno. Il richiamo si trova spulciando le 647 pagine della Relazione annuale 2022 sui rapporti finanziari Italia/Ue e sull’utilizzo dei fondi europei della Corte dei Conti: i magistrati, non solo sono preoccupati per i ritardi nella spesa ma anche per la qualità degli investimenti. Un problema che se saranno seguite le direttive di cui sopra ben presto non sarà più da affrontare semplicemente perché i Fondi saranno stati, come già più e più volte in passato dirottati ancora una volta.
Anche sulla sanità la situazione è drammatica lo documenta l’ultimo rapporto Gimbe. Che mette in rilievo come ci sono sempre più giovani medici al Nord e sempre meno al Sud. C’è un aspetto che, tra le istanze «eversive» segnalate dal Gimbe sul progetto di autonomia differenziata voluto dalla Lega, preoccupa più degli altri cioè il rischio che alla «fuga» dei pazienti in cerca di cure verso il Settentrione, un vero e proprio esodo che, secondo la fondazione guidata da Cartabellotta, è costato al Mezzogiorno 14 miliardi di euro in dieci anni, si accompagni un’ulteriore diaspora. Quella dei giovani medici in formazione. In altre parole, gli specialisti del prossimo futuro, spesso utilizzati già nel presente dalle aziende sanitarie per far fronte alle carenze di organico degli ospedali. Professionisti che un domani tutt’altro che remoto, per le associazioni di categoria, potrebbero vedersi costretti a migrare verso Nord, attratti dalla maggiore disponibilità di borse di studio e dalle migliori condizioni di lavoro. A cominciare dalla busta paga.
Così grazie alle proposte di gabbie salariali e didattica differenziata, a partire da storia e italiano, con la scuola e il Servizio sanitario arlecchino in arrivo con l’Autonomia differenziata, il rischio concreto che si sta delineando è quello di frantumare l’unità nazionale,
[Anche per fare fronte comune, creare una massa critica attiva e per opporsi a queste derive secessioniste e discriminatorie è nato nelle settimane scorse il Fronte meridionalista- La riscossa del Sud, un’aggregazione di forze meridionali e meridionaliste di orientamento progressista e radicale promossa dal Partito del Sud, dalla Carta di Venosa, dal Laboratorio per la Riscossa del Sud e dal Comitato “G. Salvemini”. Che ha proposto un suo Manifesto in dieci punti per un altro Sud in una Italia che ripudia la guerra, per la pace e il disarmo, per un paese solidale e di coesione sociale, contro ogni diseguaglianza. Donne e uomini che vivono quotidianamente la durezza dello scontro di civiltà tra le pratiche del vivere solidale e le regole della sopraffazione dei potentati economici, politici e criminali.]
Coglierà l’opportunità la sinistra al momento silente o complice per cercare di iniziare ad invertire la prospettiva geografica? Su questa domanda si giocherà nei prossimi mesi la possibilità di proporre una alternativa concreta all’attuale governo e a quelle pratiche consociative che da troppo tempo stanno relegando le proposte di sinistra nel fastidioso recinto dei vinti.
L’autore: Natale Cuccurese è presidente del Partito del Sud
In apertura illustrazione di Fabio Magnasciutti
Per approfondire leggi il libro di Left Lezioni meridionali. Il Sud di oggi e di ieri. Temi e percorsi.