«Prendersi cura e curare fanno parte dello stesso spettro terapeutico. L’una non esclude l’altra. Fu un errore contrapporle», dice lo psichiatra, segretario nazionale Fp Cgil medici, ricordando la 180 e parlando della sordità della classe politica verso la domanda di salute mentale che viene dagli studenti
«Cento anni fa nasceva a Venezia Franco Basaglia, un uomo, un medico, uno scienziato a cui non solo la psichiatria, e nemmeno solo la sanità, deve molto ma l’intera nostra comunità nazionale», ha detto la vicepresidente della Camera, Anna Ascani, intervenendo al convegno Franco Basaglia. A cent’anni dalla nascita, il 19 marzo a Montecitorio, sottolineando: «Ci ha insegnato che conta sempre e solo la persona, l’uomo o la donna, l’anziano o il bimbo con la sua storia, il suo volto, i suoi sogni e le sue disperazioni, la sua dignità». Riconoscere e difendere la dignità umana è fondamentale. Ma il compito dello psichiatra è altro, riguarda la cura della malattia mentale per la guarigione. Perché questa parola “cura” sembra ancora fare paura, chiediamo allo psichiatra e segretario nazionale Fp Cgil medici Andrea Filippi. «Sono temi molto delicati perché riguardano la dimensione umana nella sua complessità, toccano la filosofia, l’antropologia, la scienza. È necessario affrontarli con rigore scientifico e rispetto della storia per evitare fraintendimenti e per superare alcune mistificazioni che ancora persistono. In primis direi che è un errore contrapporre la tutela dei diritti e la lotta all’emarginazione alla dimensione prettamente scientifica di cura della malattia. Prendersi cura e curare fanno parte dello stesso processo terapeutico. L’una non esclude l’altra soprattutto quando si parla di patologie gravi come le psicosi». Come leggere oggi la storia di quegli anni che portò alla chiusura dei manicomi? All’epoca tutti i movimenti in ambito psichiatrico erano giustamente finalizzati alla chiusura dei manicomi. Ma avvenne una spaccatura fra quella parte del movimento che ricercava la cura nella relazione clinica, nella psicoterapia e nell’umanizzazione dei luoghi di cura e un altro filone che invece vedeva i luoghi di cura solo come istituzione, che andava abolita e basta. Per alcuni l’iniziativa prettamente politica di lotta all’emarginazione, di chiusura dei manicomi, di assistenza dei più fragili e di reinserimento sociale e lavorativo, esauriva la proposta terapeutica, come se la causa della malattia andava ricercata solo nelle istituzioni e non piuttosto nell’individuazione delle dinamiche patologiche relazionali.

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