La destra in Italia si distingue dai partner europei e americani perché, diversamente da loro, si muove su uno sfondo in cui anche il passato conta: ha una storia da rivendicare, e una lettura di essa che vorrebbe diventasse memoria pubblica, cultura egemone, storia condivisa
«Non c’è spazio, in Fratelli d’Italia, per posizioni neofasciste, razziste o antisemite, come non c’è spazio per i nostalgici del fascismo e dei totalitarismi del ’900, o per qualsiasi manifestazione di stupido folklore. I partiti di destra dai quali molti di noi provengono hanno fatto i conti con il passato e con il ventennio fascista già diversi decenni fa …» (Giorgia Meloni in una lettera inviata ai dirigenti di Fratelli d’Italia il 2 luglio, in seguito all’inchiesta di Fanpage “Gioventù meloniana”).
Le parole in corsivo, ovviamente, non compaiono nel testo della presidente del Consiglio, ma le ho volute inserire per restituire l’impatto che avrebbero creato nel lettore qualora lo fossero state. D’altro canto, chiedere a FdI di rinnegare il fascismo quale modello storico di regime antidemocratico e autoritario, suonerebbe come pretendere che un partito di ispirazione liberal-democratica ripudiasse gli ideali della rivoluzione francese. È la loro base ideologica, il loro orizzonte identitario; ci possiamo solo acconciare ad osservare le funamboliche contorsioni cui sono costretti, per evitare che i loro riferimenti storico-politici siano d’intralcio al mantenimento di posizioni di potere e di consenso. Perché è da quelle posizioni che possono non solo “riscrivere la storia”, quanto soprattutto restituircela “sub specie modernitatis”, rendendo attuale e reale una prospettiva di tipo illiberale e antidemocratico che, se non può definirsi fascista in senso proprio, è tuttavia da quel paradigma che trae ispirazione e nutrimento. Lo smantellamento della Costituzione del ’48 con la legge sull’autonomia differenziata e la proposta del premierato; la morsa sull’informazione con l’occupazione manu militari del servizio pubblico e la stretta sulle intercettazioni; i decreti sicurezza appena approvati e le politiche di contrasto all’immigrazione; l’attacco alla legge sull’aborto, con l’ingresso dei volontari “pro-vita” nei consultori pubblici: tutti questi provvedimenti disegnano un quadro i cui contorni sono ben definiti, e rinviano ad un regime ibrido, una sorta di «democratura», che pare essere il progetto politico cui guarda, in verità, tutta l’estrema destra in Occidente da una decina d’anni a questa parte, e sul quale i neofascisti registrano più di una convergenza con l’area neoliberal (come è stato messo in evidenza, il 3 luglio su Left, da Andrea Ventura). Però, mentre il disegno delle destre reazionarie e sovraniste negli Usa e in Europa viene costruito intorno ad una prospettiva che, pur richiamandosi al fascismo storico, è in realtà totalmente modellata sul presente (come risposta regressiva alla globalizzazione, facendo leva sulle sue contraddizioni in termini socio-economici), la destra al governo in Italia si distingue dai partner europei ed americani perché, diversamente da loro, si muove su uno sfondo in cui anche il passato conta: ha una storia da vendicare e rivendicare, e una lettura di essa che vorrebbe diventasse memoria pubblica, cultura egemone, storia condivisa. Per il momento la prospettiva di “riscrivere da capo” la storia repubblicana, riabilitando il Ventennio mussoliniano e soprattutto i suoi epigoni missini, non pare avere molte possibilità di realizzarsi, nonostante la moda revisionistica degli ultimi trent’anni.
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